(parte 12)

Alcuni cenni di contrattualistica

Benchè in alcuni Paesi esistano norme più o meno specifiche in tema di scambi compensati, la materia non trova ancora una sua precisa definizione a livello civilistico internazionale e, in ultima analisi, i riferimenti giuridici vanno ricondotti alla più generica matrice dei tradizionali contratti di compravendita di merci. In realtà le normative, laddove esistenti, sono più ispirate da specifiche motivazioni valutarie (salvaguardia dell'equilibrio della bilancia dei pagamenti, freno all'esodo incontrollato di capitali, ecc.) o da tendenze di protezionismo commerciale dei varî Stati, che non dal desiderio di regolamentare in modo organico la contrattualistica di questo tipo di operazioni. L'allargamento "a macchia d'olio" del countertrade, verificatosi negli ultimi decenni e le obiettive necessità di fornire agli operatori taluni "punti di riferimento" mirati a limitare i possibili eccessi di discrezionalità delle controparti "più forti" hanno peraltro stimolato l'intervento della Commissione Economica per l'Europa, operante presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite che, con l'intervento di un apposito "Gruppo di lavoro sui contratti internazionali", ha elaborato una "guideline" per la stesura dei contratti relativi agli scambi bilanciati ("Contrats internationaux de contre-achat", ECE/TRADE/169, ONU, Rif.: 90.II.F.3). Quale risultato della 36a riunione della Commissione, tenutasi nel giugno 1990, è stato infine elaborato un primo schema relativo alla contrattualistica degli scambi di tecnologia con riacquisto di prodotti finali (buy-back ) ed alla cooperazione industriale in genere. Si tratta, per ora, di semplici suggerimenti, che comunque assumono una particolare rilevanza, sia per la "fonte" stessa dalla quale provengono (non si dimentichi, infatti, che proprio le strutture economiche e finanziarie facenti capo all'O.N.U. hanno spesso disapprovato ed ostacolato lo sviluppo del countertrade), che per la riconferma dell'importanza ormai assunta da questo tipo di operazioni. Se, peraltro, la materia può trovare nelle indicazioni dell'O.N.U., o nelle casistiche didattiche riportate negli elaborati dei principali cultori della materia, taluni "punti di riferimento" utili ad agevolare la stesura degli aspetti squisitamente commerciali dei contratti, molto rimane ancora da definire sotto il profilo delle "responsabilità delle parti", vis-à-vis dei legami contrattuali e delle controversie che possono scaturire dalla complessità di talune transazioni. Una delle raccomandazioni più frequentemente sollevate in caso di cessione ad un ente terzo degli obblighi di controacquisto riguarda, ad esempio, la necessità di una netta separazione fra il contratto di vendita del "bene principale" e gli accordi relativi al ritiro dei prodotti compensativi. Le ragioni sono ovvie: occorre far sì che le responsabilità di una delle parti nei confronti della seconda non ricadano in alcun modo sulla terza. Se, per ipotesi, il venditore del bene principale non dovesse portare a termine correttamente la propria fornitura e la controparte, per comprensibile conseguenza, non ottemperasse agli impegni di consegna dei prodotti compensativi, su chi potrebbe rivalersi il terzo contraente che si è impegnato nei confronti della propria clientela a fornire tali prodotti? Questa circostanza potrebbe talvolta essere addirittura determinata da una semplice pretestuosità della controparte estera che, attraverso la contestazione sulla "qualità" della fornitura principale, cercherebbe di mascherare la propria incapacità, od impossibilità, a fornire i prodotti promessi. Casi pressochè analoghi possono sorgere in presenza di impegni di buy-back relativi a prodotti finali generati da joint-ventures operanti in Paesi ad economia centralizzata, dove l'ingerenza politica nella gestione dell'azienda, o nella determinazione dei componenti di costo locali, potrebbe talvolta deteriorare l'economicità della gestione della joint venture stessa e pregiudicarne l'output produttivo. Se queste situazioni comportano già notevoli problematiche a livello di due soli interlocutori, si può facilmente comprendere quali ripercussioni possano avere in presenza di più attori. La raccomandazione riguardante la netta separazione dei contratti non è quindi del tutto fuori luogo ma, purtroppo, è anche molto difficile da attuare senza che si perdano le caratteristiche salienti ed i "vantaggi" della compensazione stessa. Anche la Commissione delle Nazioni Unite non ha saputo risolvere definitivamente questo particolare problema e nella stesura della sua bozza di contratto ha mantenuto una serie di legami, fra il cedente ed il cessionario degli obblighi compensativi, che lasciano aperte tutte le porte a possibili future controversie. Un altro aspetto particolarmente delicato riguarda la determinazione del prezzo dei prodotti di ritorno. Qualora la transazione compensativa fosse ben definita in tutte le sue tempistiche di attuazione e nei suoi aspetti merceologici, qualitativi e quantitativi, il problema sarebbe di più semplice soluzione, ma spesso si è purtroppo in presenza di fattori imponderabili che rendono impossibile una definizione aprioristica del prezzo dei prodotti di ritorno e che, in alternativa, richiedono l'utilizzo di alcuni parametri indicativi. Le incertezze a livello contrattuale (qui riferito al contratto "principale") nella determinazione dei prezzi dei prodotti compensativi può quindi essere, anch'essa, causa di controversie (la controparte può unilateralmente sostenere di aver offerto i prodotti ad un prezzo "equo" ed addossare a colui che si era impegnato al controacquisto l'onere di non averli ritirati, pretendendo la riscossione di penali per inadempienza contrattuale) che possono ripercuotersi negativamente sull'esito dell'intera operazione, se non adeguatamente cautelate da precise suddivisioni di responsabilità fra le parti in causa. Se al momento della stipula del contratto principale mancasse completamente la possibilità di fissare i prezzi dei prodotti compensativi (perchè le consegne avranno inizio in epoca differita e si protrarranno nel tempo) si dovrebbe introdurre negli accordi una clausola che stabilisce alcuni parametri di valutazione, basati -ad esempio- sulla quotazione rilevabile dai listini di una particolare Borsa-merci (in caso di prodotti di largo mercato) o corrente sul mercato di consumo o di rivendita per prodotti analoghi (per beni non quotati nelle Borse-merci). In taluni casi si potrebbe inserire, inoltre, la condizione del "cliente più favorito", in modo da consentire a colui che ritirerà i prodotti di ritorno la possibilità di esitarli sul mercato senza subire le conseguenze della concorrenza attuata da altri distributori o, al limite, dallo stesso produttore dei beni. Le cose si complicano ancor più quando, non solo non si è in grado di stabilire con certezza i prezzi dei prodotti di ritorno, ma non si conosce neppure l'esatta composizione degli stessi. In effetti, capita talvolta che l'unico dato "certo" riguardi soltanto l'ammontare totale da compensare, in rapporto al valore totale della fornitura principale, e che si indichino genericamente prodotti compensativi rientranti in una "famiglia merceologica" (ad esempio, alcuni prodotti agricoli). Se vengono adottati i parametri di determinazione dei prezzi più sopra accennati, queste incertezze non costituiscono un problema aggiuntivo dal punto di vista del valore, ma ne creano un'altro, più squisitamente commerciale, laddove non mettono in condizione colui che ha assunto l'impegno di ritiro di ricercare, per tempo, le controparti cui vendere gli specifici prodotti. Tutto questo suggerisce che, a livello di contratto, vengano previste apposite clausole che impongano al fornitore dei beni di ritorno il rispetto di scadenze ben definite per "informare" per tempo il compratore sulle merceologie (qualità e quantità) che si renderanno effettivamente disponibili per la compensazione. L'accenno qui fatto ad alcune difficoltà che si incontrano nella stipula di contratti di compensazione non può certamente considerarsi esaustivo ed in realtà ogni operazione, sia essa semplice o complessa, fa storia a sé, comportando una sua particolare formulazione contrattuale che solo marginalmente può far ricorso a schemi o modelli pre-confezionati. Certamente alcune clausole quali, ad esempio, quelle riguardanti la soluzione delle controversie, la scelta del Foro competente, l'eventuale arbitrato, la legge applicabile al contratto, ecc., sono comuni a tutti i contratti internazionali e non necessitano di alcuna particolare riformulazione, mentre acquisiscono specifica rilevanza i punti che rendono possibili i "legami" fra le varie parti coinvolte nella transazione compensativa. D'altro canto l'esperienza insegna che, rispetto alle due diverse tendenze generalmente espresse dalla gran massa degli operatori nella stesura dei contratti: quella che preferisce mantenere una estrema sinteticità e quella che ritiene utile puntualizzare anche ogni possibile evenienza futura, ciò che spesso più conta nel buon esito di ogni operazione è la volontà concorde delle parti e la reciproca vantaggiosità dell'affare in sé stesso.