Speciale Boritec '92

Articoli predisposti per lo "Speciale Boritec '92" del mensile "In Fiera", pubblicati, con alcune
modifiche ed integrazioni, nel maggio 1992

cod.: IF.92.99.MKT.0

Europa centrale, orientale e CSI

I fermenti di totale rinnovamento che da qualche tempo scuotono tutta l'area precedentemente definita "Est europea", si ripercuotono in modo alquanto difforme e discontinuo sulle aspettative e sui programmi di sviluppo, sia degli operatori locali che degli investitori e dei partners stranieri. Da una parte si auspicano nuove interessanti correnti di affari, conseguenti al crollo di molte barriere e alla graduale apertura di quei Paesi verso l'economia di mercato e, dall'altra, si temono gli effetti di una persistente instabilità che fatica a trovare un suo equilibrio politico-economico ed un suo ordinato collocamento nel contesto internazionale. Inoltre, il repentino e talvolta disordinato cambiamento del quadro istituzionale interno a molti Paesi, con le conseguenti "mobilità" dei "referenti", alimenta un senso di incertezza sulla corretta identificazione delle controparti più qualificate ad assumere impegni per la realizzazione di programmi a medio-lungo termine. Se questi sono i timori più diffusi, permane, comunque, la convinzione che il crollo del "muro di Berlino" abbia dato avvio ad un processo di sviluppo ormai inarrestabile, rispetto al quale non dovranno e non potranno restare indifferenti gli operatori occidentali che, per ragioni tecnologiche, di vicinanza geografica e di comunanza storico-culturale, sono visti come gli interlocutori più validi per contribuire allo sviluppo di questi nuovi ed interessanti mercati. La domanda di cooperazione che proviene dai Paesi dell'Europa centrale ed orientale e dalla Comunità degli Stati Indipendenti è principalmente orientata verso lo sviluppo di attività, manifatturiere e non, che consentano il miglioramento del tenore di vita delle popolazioni e l'acquisizione di talune quote di mercato nelle aree tradizionalmente di libero scambio. Non più, quindi, progetti riferiti all'industria "pesante", bensì principalmente rivolti alla produzione di beni strumentali e di consumo, con utilizzo di tecnologie moderne che possano impiegare una forza-lavoro locale, già di per sè stessa disponibile ed idonea a garantire un corretto svolgimento del processo produttivo. Occorre però che da parte "occidentale" la cooperazione non venga vista soltanto sotto il profilo della cessione di impianti e di tecnologia, ma venga inquadrata in più ampio contesto di integrazione sistemica, che non escluda l'eventuale interscambio di beni e che getti le basi per una presenza continuativa nelle aree di principale interesse. Certamente le problematiche finanziarie connesse con gli interventi nei Paesi ex-socialisti possono costituire un aspetto particolarmente meritevole di più attenta verifica, ma, d'altro canto, occorre sottolineare che un atteggiamento di eccessiva prudenza potrebbe pregiudicare ogni possibilità di successivo recupero di fasce di mercato oggi largamente disponibili.

Paesi del Sud-Est asiatico

La presenza italiana nei progetti di cooperazione con i Paesi del Sud-Est asiatico, dopo di aver riscosso un certo interesse nei decenni passati (particolarmente nei settori dell'elettronica, della gomma, del tessile e del legno), ha subito una battuta d'arresto che ha certamente favorito il rafforzamento di altri concorrenti, giapponesi, europei e nordamericani, i quali hanno potuto così rafforzare le loro quote di mercato in aree di così forte sviluppo. Le cause che hanno motivato questa situazione sono molteplici, ma vanno principalmente ricercate nella eccessiva distanza che geograficamente ci separa da quei mercati e nel clima di generale sfiducia che si è determinato a seguito della crisi finanziaria che, per molti anni ha attanagliato molti Paesi in via di sviluppo. Occorre tuttavia sottolineare che proprio nell'area sud-orientale dell'Asia le condizioni economico-finanziarie (e, non da meno, anche quelle politiche) dei vari Paesi presentano talvolta caratteristiche di maggiore interesse e stabilità; certamente molto meno preoccupanti di quelle di altri Paesi verso i quali si sono prevalentemente rivolte le maggiori attenzioni e le attese di molti nostri operatori. Se consideriamo, ad esempio, la Malaysia e ne valutiamo attentamente i principali dati economico-statistici, notiamo, ad esempio, che nel 1990 il Paese ha registrato una crescita del PIL pari al 9,4% (largamente superiore alle aspettative del 5° piano di sviluppo, che indicava mediamente una crescita del 5,8% annuo); che la sua bilancia commerciale mostra da oltre quattro anni un costante segno positivo, che la bilancia dei pagamenti è sostanzialmente in pareggio e che il debito estero (circa 19,5 miliardi di dollari) rimane contenuto in dimensioni ancora ben controllabili. Ciò nonostante, e a differenza di altri Paesi europei, l'Italia non riesce a pareggiare il proprio interscambio con la Malaysia e le importazioni italiane sono costantemente superiori alle esportazioni. Questo Paese, come peraltro altri suoi vicini, sollecita da tempo un maggiore interesse dei nostri imprenditori, soprattutto delle PMI, verso forme di cooperazione industriale che consentano alla Malaysia di raggiungere una maggiore diversificazione produttiva e di acquisire nuove tecnologie che possano abbinare alla creatività e all'inventiva tutta italiana la disponibilità di materie prime e di mano d'opera di cui il Paese asiatico è ricco. Così come per la Malaysia, altre aree limitrofe (la Thailandia, l'Indonesia, le Filippine, ecc.), seppure con caratteristiche non sempre identiche fra loro, possono rappresentare mercati di interessante sviluppo per quelle iniziative italiane particolarmente attente ad un allargamento dei propri orizzonti e ad una significativa presenza nei nuovi scenari che già si delineano a seguito della ormai inarrestabile globalizzazione dei mercati.

L'Africa ed i Paesi del Mediterraneo meridionale

I grandi avvenimenti politici e politico-militari che hanno caratterizzato il 1991 (crollo dei regimi socialisti e guerra del Golfo) per ragioni peraltro del tutto diverse fra loro, hanno fatto passare in secondo piano l'attenzione di molti operatori verso i mercati esistenti a Sud del nostro Paese; verso quelle aree, cioè, che per molti anni avevano alimentato una pluralità di interessi e di iniziative, anche nel campo della cooperazione industriale. Certamente il perdurare di notevoli ostacoli di ordine finanziario, sia locale che internazionale (difficoltà di ottenimento di prestiti e delle relative coperture assicurative), suggerisce il mantenimento di una certa cautela nell'affrontare iniziative di investimento nei mercati più deboli; pur tuttavia una più accurata selezione dei Paesi, delle specifiche iniziative e delle controparti di volta in volta interessate, può far emergere utili prospettive di affari. In particolare occorre ricordare che molti Paesi dell'Africa (sia centro-meridionale che mediterranea) sono fra i principali produttori di materie prime largamente utilizzate anche nel nostro sistema produttivo (minerali, legname, fertilizzanti, fibre tessili naturali, pellame, ecc.) e di consumo (semi oleaginosi, frutta, spezie, ecc.) e che una più qualificata presenza del nostro comparto manifatturiero in talune aree, oltre a godere dei benefici doganali derivanti dagli Accordi di Lomé, potrebbe consentire l'ottenimento di interessanti economie in termini di costi di produzione. La cooperazione industriale con queste aree, se da un lato presenta caratteristiche particolari, soprattutto per gli aspetti di natura finanziaria che la condizionano, dall'altro offre il vantaggio di un accesso facilitato, sia dall'apprezzamento che in genere viene attribuito al nostro Paese e ai suoi prodotti, che dalle numerose iniziative già realizzate in passato. Paesi come la Nigeria, la Costa d'Avorio, lo Zambia, la Tanzania, l'Egitto e la Tunisia, pur avendo talvolta presentato in un recente passato notevoli problematiche di regolamento, dispongono di numerose e valide strutture industriali sorte proprio grazie alla cooperazione industriale italiana e guardano con notevole interesse un rafforzamento della nostra presenza, sia per favorire il processo di sviluppo in atto che per consolidare i rapporti d'interscambio. Anche nel caso di queste controparti, come per altre appartenenti a Paesi a notevole grado di rischio, sarebbe probabilmente un grave errore sottovalutare le opportunità di cooperazione che vengono richieste al nostro sistema produttivo: si tratta soltanto di applicare criteri di ragionevole prudenza e di valutare con realismo e con determinazione le modalità, gli strumenti, gli obiettivi e le risorse necessari ad avviare nuove ulteriori iniziative che potrebbero rivelarsi reciprocamente vantaggiose.

I Paesi dell'America latina

Dopo lunghi anni caratterizzati da un'inflazione galoppante ed apparentemente inarrestabile, da un vertiginoso debito estero, dal ristagno economico e da continue crisi socio-politiche, sembra che finalmente qualcosa stia cambiando nelle aree latino-americane e ne sono la riprova i recenti positivi risultati raggiunti da alcuni Paesi, quali il Messico, il Venezuela e l'Argentina che, dopo di aver rallentato il trend negativo, stanno ora trainando la locomotiva di una ripresa che, ci si augura, sia estesa, rapida e duratura. Il continente latino-americano, così vicino a noi per cultura, tradizioni e legami sociali, richiede da tempo e con tenace assiduità una maggiore collaborazione industriale italiana, che non si è potuta sinora attuare in forma intensiva proprio a causa del permanere di insormontabili difficoltà economico-finanziarie. I vari Paesi, bisognosi di sostituire apparati produttivi per lo più obsoleti ed antieconomici con impianti e macchinari tecnologicamente più avanzati, chiedono sostanzialmente una nostra cooperazione nei settori più affini alle caratteristiche strutturali del contesto economico italiano, con dimensioni degli impianti medio e medio-piccoli, offerta di valide tecnologie, design, know-how, ecc. Generalmente, anche nel caso dell'America latina, come per altre aree richiedenti forme integrate di cooperazione industriale, non si tratta soltanto di fornire impianti e macchinari, bensì di partecipare attivamente alla gestione delle iniziative comuni, di investire una quota-parte del capitale di rischio e, infine, di collaborare nella commercializzazione dei prodotti finali. Se tutto ciò poteva costituire in passato un deterrente non secondario per l'investitore estero (che spesso si trovava costretto a declinare la proposta), le prospettive di ripresa che si stanno ora delineando nell'intera area suggeriscono di considerare più attentamente le opportunità offerte, selezionando con cura i progetti disponibili e individuando le formule più idonee a garantire l'economicità della singola iniziativa. Il tutto anche alla luce delle prospettive di sviluppo che scaturiranno a breve dalle intese già raggiunte a livello politico per l'integrazione economica di varie regioni (Mercosur, Nafta, ecc.) e delle potenzialità offerte da un continente dotato di enormi risorse, soltanto in minima parte sfruttate.