Le strutture di promozione e di assistenza per lo sviluppo dell'interscambio di beni e servizi

Articolo del marzo 1992 - non pubblicato

cod.: XX.92.00.MKT.0

Alcune carenze del "sistema"

Le istanze e le iniziative che emergono da più parti per la messa a disposizione di servizi alle imprese per la promozione e lo sviluppo della loro presenza sul mercato internazionale, offrono lo spunto per alcune considerazioni, che intendono presentare un quadro -il più possibile obiettivo- delle concrete necessità dell'impresa e, nel contempo, cercano di delineare, seppure a grandi linee, una "mappatura" delle principali strutture esistenti. Innanzi tutto occorre sgombrare il campo da quella concezione, alquanto di comodo, che attribuisce il "bisogno di servizi" prevalentemente alle imprese di piccola o media dimensione e che assegnerebbe a quelle più grandi la capacità di operare autonomamente, con minori necessità di ricorrere ad interventi di sostegno pubblico. Se ciò, infatti, può risultare plausibile sul piano strategico generale, laddove ci si riferisca alla "vocazione" dell'impresa all'internazionalizzazione, o sotto il profilo strutturale, legato alle risorse quantitative (umane, tecnologiche ed economico-finanziarie) di cui dispone l'impresa stessa, lo è forse meno sotto il profilo strettamente operativo, quando si devono fare i conti con gli aspetti qualitativi delle risorse stesse e con la concorrenza estera che, in termini di dimensione aziendale, talvolta riduce molte cosiddette "grandi imprese" ad entità del tutto trascurabili. In effetti, gli aspetti qualitativi delle risorse spesso prescindono dalla dimensione dell'impresa, ricollegandosi più ad una problematica del "sistema" che non a una differenziazione quantitativa all'interno dello stesso. Per fare un semplice esempio, non è detto che l'Export Manager di un'azienda di grande dimensione abbia migliori capacità intrinseche di promozionare i prodotti affidatigli rispetto al collega (in molti casi lo stesso titolare) di una impresa più modesta. E le "capacità intrinseche" trovano certamente un supporto importante nella struttura aziendale che le promuove, le utilizza e le sostiene, ma derivano anche da un insieme di fattori personali (culturali, professionali, motivazionali, ecc.) che spesso si riconducono più al mondo esterno che non a quello interno all'impresa. Ciò è tanto più significativo quanto più manifesta, anche in Italia, quella "mobilità dei quadri" che da tempo caratterizza, in misura certamente più ampia, altri Paesi industrializzati (con la sola esclusione del Giappone). Per citare un secondo esempio, non è certo che un'impresa di grandi dimensioni possa incontrare minori scogli, rispetto a un'azienda di piccole dimensioni, nel tentativo di superare le difficoltà di pagamento di un Paese dotato di scarse risorse valutarie. E, anche in questo caso, l'abilità, la fantasia e il grado di professionalità individuale del singolo operatore possono, in taluni casi, rivelarsi determinanti per la soluzione del problema. Alcune necessità derivano, quindi, dalle carenze del "sistema" e pertanto occorre che quest'ultimo trovi, al suo interno, gli strumenti più idonei per migliorarsi e per adeguarsi alle sempre mutevoli esigenze del mercato, cercando di analizzare con obiettività (e, se necessario, con un sereno senso di autocritica) i veri bisogni delle imprese, siano esse grandi o piccole, ed evitando di incorrere nella tentazione di trovare soluzioni troppo avanzate rispetto all'impiego che praticamente potrà esserne tratto dall'utenza. In altri termini, occorrerà che i miglioramenti del sistema "tengano il passo" con la capacità delle imprese di seguirli e che si eviti di acuire la divaricazione già ora esistente fra talune "offerte di servizi" e la reale "domanda". E' opportuno far sì che non si costruiscano autovetture di Formula Uno, lasciandole poi circolare su fondi stradali ancora in terra battuta.

La domanda di servizi delle imprese

Alcune recenti indagini condotte su un ragguardevole numero di aziende manifatturiere italiane, sia del Nord (1) che del Mezzogiorno (2), hanno messo in risalto elementi conoscitivi di estrema importanza e alquanto sconcertanti rispetto alle tesi sinora sostenute in merito alla domanda di servizi per l'internazionalizzazione. Sotto l'effetto di una situazione contingente non certamente favorevole per l'interscambio italiano e di una prospettiva (sia politica che economica) a medio-lungo termine densa di incertezze e di preoccupazioni, la "domanda" delle imprese (e questa volta ci si riferisce particolarmente alle PMI) ha avuto un unico motivo conduttore: "aiutateci concretamente a vendere". Laddove per "concretamente" s'intende un sostegno diretto alla commercializzazione dei loro prodotti, da attuarsi attraverso il reperimento di ordini di fornitura e/o la presentazione di agenti, rappresentanti, distributori, ecc., in grado di raccogliere sollecitamente tali ordini. Tutte le altre offerte di servizi istituzionali (informazioni sui mercati, normative estere, utilizzo di banche-dati, consulenze di tipo tradizionale, ecc.) sono state ritenute quindi marginali rispetto alle esigenze primarie della semplice vendita. Si tratta, come detto, di una risposta in un certo senso sconcertante, che nella sua cruda e semplice formulazione denuncia una situazione di forte preoccupazione e una velata critica nei confronti delle modalità con cui le Istituzioni hanno sinora inteso sviluppare le azioni di sostegno all'internazio-nalizzazione delle imprese. Ma denota anche il permanere di un basso livello conoscitivo e l'impreparazione di un largo strato dell'imprenditoria italiana ad affrontare, sistemicamente, le problematiche internazionali. Si ripete, infatti, il vecchio discorso di un prodotto italiano che preferisce "farsi comprare" anzichè andare direttamente a scovare i compratori nei mercati esteri. Inoltre si afferma, ancora una volta, la preminenza della pura esportazione rispetto a tutte quelle altre componenti che in un Paese come il nostro, privo di importanti materie prime e sostanzialmente trasformatore, interagiscono quali fattori di successo nell'internazionalizzazione dell'impresa. Le imprese, e lo stesso sistema, riescono faticosamente a comprendere come una più accorta politica degli approvvigionamenti dall'estero possa influenzare positivamente il costo dei fattori produttivi e, quindi, consentire una migliore competitività internazionale (3). Se questa è la situazione, occorre forse rivedere lo scenario in cui operano le tradizionali strutture di assistenza e considerare più attente strategie operative, che portino ad un migliore utilizzo delle risorse, a una razionalizzazione degli interventi e, non da ultima, a una maggiore visibilità dei risultati.

Le "critiche" sollevate dalle imprese

Il comune operatore è talvolta piuttosto confuso e perplesso di fronte alla varietà', e -talvolta- alla seppur involontaria "concorrenzialità", delle strutture che si propongono quali promotrici dell'internazionalizzazione dell'impresa. Vengono sottolineati l'eccessivo numero di convegni e di dibattiti, l'eterogeneità degli enti (spesso con finalità dichiaratamente identiche), le duplicazioni di funzioni e di prestazioni, la sproporzione fra i mezzi (pubblici) impiegati e i risultati ottenuti. Viene inoltre talvolta criticata la fragilità della preparazione, sotto il profilo strettamente operativo (conoscenza delle tecniche finanziarie, mercantili, dei trasporti, delle dogane, ecc.), di chi è materialmente preposto a fornire assistenza alle imprese, e la propensione a considerare più gli aspetti macro-economici che non quelli, come si suol dire, "di bassa cucina", forse meno edificanti ma certamente più rispondenti alle esigenze dell'impresa. Infine, non vengono sempre compresi gli stessi linguaggi, un pò troppo "accademici", che spesso infarciscono le iniziative e le proposte di fonte pubblica. Si tratta, certamente, di osservazioni non sempre giustificate e, talvolta, addirittura abbinate alla inconfessabile impreparazione di molte imprese, che tendono -spesso- a confondere l'assistenza istituzionale con l'assistenzialismo di Stato. D'altro canto è noto che quando un utente riceve da un prestatore di un servizio pubblico una collaborazione che si rivela utile e vantaggiosa, difficilmente ne pubblicizza la riconoscenza, mentre - di fronte al mancato soddisfacimento di un desiderio (anche se di impossibile soluzione) - è pronto, alla prima occasione, a sollevare le più spietate critiche.

Un tentativo di "mappatura"

Un'altra osservazione sembra, comunque, essere meritevole di attenzione: quella che denuncia l'esistenza di un numero eccessivo di strutture similari, alle quali si cerca continuamente di affiancarne di nuove. In teoria, e in una visione idilliaco-istituzionale, il solo Ente pubblico che dovrebbe curare la promozione dell'interscambio, in tutti i suoi aspetti strategici ed operativi, dovrebbe essere l'Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE) che, attraverso la sede centrale e gli uffici periferici (italiani ed esteri) dovrebbe "coprire" le esigenze e le diverse realtà imprenditoriali locali, nonché le aree estere di maggior interesse. In realtà non è così, perchè a questo Ente si affiancano numerose altre iniziative, pubbliche (regionali, del sistema camerale, ecc.) o a metà strada fra il pubblico e il privato (fra queste ultime, seppure impropriamente, si possono annoverare anche i Consorzi Export, le Associazioni imprenditoriali e le Banche), che - a loro volta - si presentano quali fornitrici di servizi similari, seppure dichiaratamente rivolti ad un'utenza più specificatamente territoriale o settoriale. Nella realtà, fortunatamente pluralistica del nostro Paese, una certa competizione non guasta: il troppo però può rivelarsi dispersivo e controproducente. Capita, così, che un ente investa fondi per una ricerca nel mercato delle calzature in Canadà e che, poco tempo dopo (o poco prima), un altro ente prenda un'analoga decisione. Che una delegazione di Macerata parta per una missione esplorativa a Calcutta e che due settimane dopo gli stessi interlocutori indiani vengano avvicinati da operatori arrivati dal Veneto per promozionare lo stesso settore dei loro colleghi maceratesi. Può succedere, ancora, che giunga a Reggio Emilia una delegazione d'imprenditori australiani interessati alle macchine agricole e che, quasi contemporaneamente, parta da Modena per l'Australia una missione italiana. E così via. Si tratta, ovviamente, di esempi ipotetici, che però si ritrovano frequentemente nelle critiche dell'utenza e nella confusione che ormai gravita intorno a tutta questa pluralità di iniziative. Ma non basta. Ogniqualvolta si presenta l'occasione di dibattere pubblicamente il tema delle esportazioni, e si alza l'ormai ricorrente "grido d'allarme" sulle difficoltà della bilancia commerciale, viene invocata l'opportunità di creare nuove strutture "che diano assistenza alle PMI per la promozione del Made in Italy". Chi ha voglia e la pazienza di risfogliare la stampa economica degli ultimi due-tre anni può verificare facilmente la veridicità di quanto affermato più sopra. Forse sarebbe meglio che venisse affrontato con maggiore pragmatismo l'intero problema, effettuando una seria mappatura dell'esistente, identificando meglio le eventuali disfunzioni, apportando i correttivi più opportuni e, soprattutto, operando per una razionalizzazione ed una integrazione delle iniziative, nell'interesse della collettività e per un migliore utilizzo delle risorse disponibili. Si tratterebbe di impostare, una volta tanto, una ricerca mirata ad obiettivi concreti, che saranno tanto più "paganti" quanto più sarà determinata, e determinante, la volontà politica di porre un punto fermo su questo ormai annoso problema.

La "formazione" quale presupposto per l'utilizzo dell'infor-mazione

Un ultimo aspetto riguarda il rapporto fra "formazione" ed "informazione". Da quanto accennato in premessa, si nota una certa difficoltà - da parte soprattutto della PMI - di saper e poter utilizzare proficuamente la massa di informazioni sui mercati esteri disponibile presso le varie strutture pubbliche. Si tratta di un patrimonio notevole, spesso fornito da strumentazioni informatiche e di telecomunicazione molto avanzate (collegamenti "a rete", banche-dati, ecc.), che non viene sempre utilizzato dalle imprese come meriterebbe, in quanto si nota una certa carenza, anche di tipo culturale o formativo, che impedisce alle imprese stesse di comprendere appieno le opportunità insite nell'utilizzo di tali dati. E' necessario, quindi, affiancare agli attuali investimenti nell'informazione taluni ulteriori impegni nella formazione specifica, insistendo anche sul Ministero della Pubblica Istruzione perchè dia più spazio - a tutti i livelli d'insegnamento- alle materie tecniche che possano meglio preparare i giovani alla soluzione delle problematiche del commercio internazionale nel contesto dei nuovi scenari che si stanno manifestando in presenza di una costante spinta verso la globalizzazione dei mercati.

Note:

(1) Indagine, attualmente in fase di conclusione, promossa dal Centro Estero delle CC lombarde sulla domanda di "trading" delle PMI lombarde.
(2) "Le esportazioni dell'industria meridionale: analisi e politiche di promozione, 2° Rapporto intermedio al Ministro per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno", Monitor, Napoli, dicembre 1991
(3) L'ICE ha recentemente varato uno specifico progetto denominato "Import Strategico". La CCIAA di Milano, da parte sua e con la collaborazione del Cesdi, ha in corso un'iniziativa sulle "Strategie dell'importazione. Le politiche di approvvigionamento delle PMI sui mercati internazionali".