Compensazione: la commedia degli equivoci?

Intervista di Enrico Rotondi pubblicata su "Sistema Italia" n. 3/1993

cod.:SIS.93.03.COM.0

"Credo, innanzitutto, che parlando di scambi in compensazione si debba eliminare quel residuo alone di mistero che, nonostante tutto ciò che é stato detto e scritto nell'ultimo decennio sulla materia, sembra ancora aleggiargli attorno. La compensazione, o countertrade, non é infatti altro se non una modalità di regolamento di esportazioni verso determinati Paesi; una necessità operativa che presenta - in sintesi - la caratteristica, peraltro tutt'altro che semplice, di conglobare in sé le problematiche di una "vendita" con quelle di un "acquisto" di beni o servizi, spesso fra loro completamente diversi".

Chi getta acqua sul fuoco é Gian Cesare Marchesi, esperto di countertrade, autore tra l'altro di numerosi testi in materia e Vice-Presidente dell'Ance, l'associazione che raggruppa le più importanti International Trading Companies italiane.

"All'operatore medio o medio-piccolo - aggiunge Marchesi - non dovrebbe importare più di tanto conoscere nei dettagli la differenza che corre tra il controacquisto e il buy-back o fra lo switch e l'offset; ciò infatti che più conta è avere ben chiare le basi dell'operazione e, soprattutto, saper valutare i rischi ai quali potrà andare incontro affrontando controparti e contropartite commerciali spesso tutt'altro che facili.

E' innanzi tutto importante sapere se nel Paese verso il quale s'intende esportare é d'uso corrente il regolamento compensativo. Lo si può fare documentandosi, ad esempio, con le notizie ricavate dalle più qualificate "schede-paese". E, a questo punto, non ci si dovrebbe più sorprendere sentendosi proporre, al posto del pagamento in valuta, uno scambio di merci".

" Allo stesso tempo - prosegue Marchesi - bisogna porsi il problema della destinazione dell'eventuale merce di ritorno. Merce che potrebbe essere utilizzata direttamente dallo stesso operatore (è il caso del fabbricante-esportatore di scarpe che riceve in pagamento pelle conciata o semi conciata) o che deve necessariamente essere collocata presso o tramite qualcun altro. In quest'ultimo caso é necessario partire dal presupposto che, quasi certamente, non si potranno trarre specifici guadagni addizionali dalla cessione del bene di ritorno e che, spesso, si deve sacrificare sull'altare della compensazione parte del guadagno che scaturisce dalla vendita del bene principale. Perché mai, infatti, un utilizzatore di pellame o, comunque, un operatore di quello specifico settore dovrebbe acquistare il prodotto che un altro operatore ha ritirato in compensazione dalla controparte estera, pagando il prezzo richiesto, quando quell'utilizzatore dispone già - da sempre - di suoi collaudati e tradizionali canali di approvvigionamento?. Generalizzare è sempre pericoloso, ma in questo caso é ovvio che solo un sostanzioso "sconto" sul prezzo potrà far concludere l'operazione.

Una volta compreso tutto ciò, é ovvio che, per salvaguardare la redditività dell'operazione nel suo complesso, occorre caricare sul prezzo di vendita della merce "principale" il disagio che può derivare dalla cessione del bene di ritorno. E questo è uno dei punti più delicati dell'intera operazione. Per calcolare il disagio, o premio di sfioramento, non esistono appositi listini: nel caso delle grandi commodities vi sono alcuni parametri di valutazione che scaturiscono anche dall'esame dei prezzi internazionali delle merci, ma - più in generale e in caso di perplessità - é opportuno rivolgersi per tempo a uno specialista di countertrade che, certamente, è in grado di fornire un'assistenza adeguata".

Da queste pur semplici considerazioni introduttive emerge la vera natura dello scambio in compensazione.

"Talvolta é anche, e in un certo senso, una commedia degli equivoci" - afferma Marchesi. "Chi vuol dare in cambio un determinato prodotto sa benissimo che lo sta offrendo a un prezzo sicuramente superiore a quello che in condizioni "normali" potrebbe spuntare sul libero mercato; in caso contrario venderebbe quel bene facendosi semplicemente pagare in denaro. Con il denaro in mano potrebbe quindi comprare ciò che vuole alle migliori condizioni. Allo stesso tempo questa persona sa, altrettanto bene e se non ritiene di trovarsi di fronte degli sprovveduti, che il prezzo della merce che sta acquistando tiene conto di tutto ciò".

"Uno degli errori più gravi che l'operatore alle prime armi può commettere - sottolinea il Vice-Presidente dell'Ance - é quello di concordare il prezzo di vendita della merce principale ancor prima di aver ben definito i termini della compensazione. Potrebbe rivelarsi un vero e proprio suicidio; a meno che anche questo non rientri nel copione della commedia degli equivoci.

Alla base di tutto bisogna supporre che la merce che viene offerta in compensazione abbia qualche difficoltà, per la controparte estera, ad essere venduta contro denaro e alle condizioni proposte. Ci possono essere mille motivi: un occulto squilibrio nel rapporto qualità-prezzo, talune difficoltà di consegna o di ottenimento delle licenze di esportazione, un problema di marketing (incapacità o impossibilità della controparte di impostare e di gestire una propria rete commerciale all'estero), ecc. E, allora, la prima domanda che ci si deve porre nei confronti dell'interlocutore estero è: "perché mi propone una compensazione?". Dalla risposta a questo quesito si può capire se esistono valide motivazioni che giustificano l'offerta di compensazione; tali da consentire la prosecuzione dell'operazione.

Bisogna quindi stare ben attenti a non prendere delle cantonate." - continua Marchesi - "In ogni caso, comunque, è sempre meglio farsi consegnare la merce compensativa prima di spedire la nostra. Non ci si dovrebbe infatti eccessivamente sorprendere se il bene offerto in compensazione non fosse in realtà disponibile o, nella migliore delle ipotesi, fosse qualitativamente diverso da quello originariamente proposto. In conclusione" - secondo quanto afferma Gian Cesare Marchesi - "i rischi di una compensazione affrettatamente accettata sono tre: la mancata o ritardata consegna della merce, la differente qualità della stessa e l'effettivo valore realizzabile dalla sua rivendita".

"E' altresì da sfatare" - conclude Marchesi - "il luogo comune secondo cui la compensazione sarebbe praticabile solo dalle grandi imprese. Forse era così negli anni passati, quando queste operazioni erano anche la conseguenza di accordi intervenuti ad alto livello o di rapporti politici intrattenuti tra i diversi Paesi. Oggi, anche le piccole e medie imprese concludono operazioni di countertrade; magari senza preoccuparsi eccessivamente di sapere se si tratta o no di compensazione. E' il caso - ad esempio - del camiciaio, che per produrre le sue confezioni a un minor costo costituisce, da solo o con altri, un'azienda alle Mauritius, inviando laggiù macchinari, accessori, ed altri beni che verranno ripagati con il ritiro del prodotto finito. Per quell'imprenditore poco importa se l'operazione viene terminologicamente definita buy-back o altrimenti: l'importante è aver avviato un'iniziativa per lui profittevole. E tutto ciò spesso non consente di trarre delle attendibili valutazioni statistico-quantitative sull'entità globale del fenomeno. Una volta rispettati gli eventuali vincoli doganali esistenti, la cessione del macchinario può configurarsi come una semplice esportazione, mentre il ritiro delle camice può benissimo essere dichiarata come una normale importazione. Quindi, per favore, non chiedetemi di fornire statistiche sulla compensazione.....".


UNO STRUMENTO COMMERCIALE CHE HA MIGLIAIA DI ANNI

La compensazione è vecchia come l'uomo. Il baratto si è evoluto nel corso dei secoli; é stato accantonato in alcuni periodi in cui gli scambi si potevano regolare senza eccessivi problemi di valuta ed é divenuto addirittura obbligatorio in molti casi, di fronte all'accentuazione di barriere tariffarie o al sorgere di particolari blocchi politico-economici.

Non ci dobbiamo dimenticare che anche in Italia, nel periodo tra le due guerre, la compensazione era ampiamente utilizzata come difesa dalle "inique sanzioni ". In quel periodo, ma ci sono state code fino ai primi anni sessanta, si parlava particolarmente di " rapporti di clearing bilaterale".

L'esempio più classico ed evidente, in termini di importanza, rimane tuttavia quello della compensazione in uso presso i Paesi a suo tempo definiti di "area Comecon", e che si attuava - in forma pressoché coercitiva - sia all'interno del sistema, sia nei confronti dei paesi occidentali.

Al di là di questi casi, alcuni Paesi hanno introdotto l'obbligo della compensazione semplicemente per favorire l'afflusso al loro interno di prodotti o di tecnologie ritenuti di importanza strategica e, per contro, per acquisire nuovi mercati di sbocco per quei prodotti locali ritenuti "non tradizionali".