Obiettivi, opportunità e modalità del countertrade

Incontro di Cegos (poi annullato) su "Come migliorare le vendite all'estero"

Milano, 16 giugno 1994

Cod.: CEG.94.00.COM.0

Origine ed evoluzione degli scambi compensativi

Il tema di questi due giorni d'incontri, basato sulle strategie e sulle metodologie più opportune per potenziare ed ottimizzare le capacità dell'azienda di penetrare nei mercati esteri, ha visto sinora il succedersi di interventi che hanno messo in risalto i lati, per così dire, più "canonici" del marketing internazionale, nell'ottica di un mercato sempre più globale, caratterizzato da un'accesa competitività, da un'elevata professionalità e dalla presenza di strumenti operativi e comunicazionali sempre più sofisticati. Il tema che mi è stato affidato appartiene, invece, a una sfera differente, che costi tuisce - in un certo senso - una distorsione del sistema degli scambi; una variante resa necessaria da difficoltà strutturali insite in talune aree e/o conseguenti ad eventi di tipo ciclico che hanno alterato l'ordinato svolgersi delle normali transa zioni commerciali. Mi riferisco allo scambio di merci contro merci, cioè a quella modalità commerciale che trova le sue origini più remote nell'ancestrale formula del baratto e che, come l'araba fenice, risorge dalle ceneri del passato ogniqualvolta si determinano nei mercati situazioni tali da impedire il regolamento in moneta della compra-vendita di beni o servizi. Tralasciando, in questa sede, di ripercorrere il cammino del baratto, partendo da quando ancora non esisteva la moneta e gli uomini preistorici scambiavano fra loro pecore contro utensili di selce o di bronzo, ricordiamo come in tempi molto più vicini a noi la compensazione sia stata attuata - in forma temporanea - a seguito delle difficoltà subentrate alla crisi del '29 e dei successivi eventi bellici o - in forma sistemica - quale modalità di regolamento degli scambi fra i Paesi apparte nenti al Comecon. Il succedersi delle crisi petrolifere che hanno caratterizzato gli anni '70, le crescenti difficoltà dei mercati finanziari internazionali, il neo-protezio nismo e l'aggressiva concorrenza portata dai Paesi di nuova industrializzazione, hanno dato nuovi spazi agli scambi compensativi, con punte di offerta che hanno toccato i loro massimi storici nella seconda metà degli anni '80. Solo pochi anni fa c'era chi riteneva che il bilateralismo negli scambi, attuato in forma compensativa, avrebbe presto potuto uguagliare, in termini di valore, il regolamento in moneta. Fortunatamente queste previsioni pessimistiche non si sono del tutto avverate e sembra che le tendenze attuali dei mercati riconducano gradualmente il fenomeno entro termini più contenuti. In effetti, le motivazioni che hanno originato il "boom compensativo" degli anni '80 erano individuabili in due distinte causali: la prima basata su obiettive carenze strutturali e la seconda su semplici illusioni originate dalla "moda del momento". Carenze strutturali, ma anche - per così dire - "culturali", che tuttora permangono in taluna aree e che non permettono di attuare precise strategie di marketing inter nazionale, e fattori di illusione che hanno fatto credere a molti Paesi che solo im ponendo la compensazione si potessero superare le difficoltà di un "sistema inter nazionale" che aveva ormai esaurito i flussi degli aiuti finanziari indiscriminati. Per chiarire meglio il concetto e per sgombrare il campo da quella che potrebbe apparire come una vera e propria "commedia degli equivoci", occorre partire da una considerazione elementare: ogni merce ha un suo prezzo, determinato dall'incontro della domanda e dell'offerta in un mercato che diventa ogni giorno più aperto e globale. Se il possessore del bene riesce a venderlo sul mercato ot tenendo in cambio il denaro corrispondente, con questo può acquistare ciò che gli serve, spuntando il prezzo migliore. Ma se, invece, offre un bene che "vale" sul mercato 90, in totale pagamento di qualcos'altro che "vale" 100, è chiaro che la sua controparte cercherà di ottenere una maggiore quantità di prodotti compensa tivi, in modo da recuperare la differenza. Ecco che, allora, il prezzo di vendita del bene "primario" aumenta artificialmente, rischiando di condurre - se l'azione è at tuata su vasta scala - a una vera e propria distorsione del mercato. La "commedia" vive proprio su questo concetto: i due attori sanno che il rapporto prezzo/qualità che ha determinato il rapporto di scambio ufficiale non rispecchia l'andamento del mercato in regime di semplice regolamento monetario, ma forse non hanno altre alternative. Il venditore del bene primario vuole concludere la sua operazione senza perderci e l'offerente del bene compensativo non ha altre pos sibilità di cedere quest'ultimo contro una più conveniente cifra di denaro. Su questo tema, comunque, ritorneremo meglio più avanti. L'anticipazione è stata fornita solo per chiarire il concetto che è stato citato in premessa. La compensa zione è, infatti, una vera e propria malattia di un sistema che non riesce a trovare un suo ordinato equilibrio in una logica di multilateralità degli scambi. Malattia che, allo stato attuale, è in fase di superamento in talune aree (esempio nell'America latina o nel Sud-Est asiatico), mentre permane - seppure per ragioni non sempre identiche e di cui verrà fatto cenno in seguito - in altre regioni (ad esempio, nell'ex URSS).

Principali tipologie

Occorre, innanzi tutto, premettere una importante distinzione fra il countertrade originato da rapporti - per così dire - "politici", che coinvolge le relazioni fra Stati e/o l'operatività di grandi imprese, e quello - più ordinario - che interessa la pic cola-media impresa. Nel primo caso troviamo, ad esempio, gli accordi stipulati nel campo delle forniture militari, dei prodotti energetici, delle grandi commesse per lavori pubblici, dei regolamenti di prestiti finanziari in sofferenza, ecc. Si tratta, per lo più di operazioni che volano piuttosto alte sulle teste delle PMI e che forniscono anche lo spunto ai media più accreditati per interessanti spunti giornalistici. A un livello dimensionale molto più basso e numericamente ben più rilevante, esistono le operazioni che vengono concluse dalle imprese anche le più piccole, scam biando i beni più disparati, in una pluralità di tipologie e di volumi che sfuggono a qualsiasi rilevazione di tipo statistico o quali-quantitativo. Capita, così, che del countertrade si parli molto, più per sentito dire che non per esperienze dirette, confondendo spesso una prassi alquanto generalizzata, e non facilmente ricon ducibile entro formule rigidamente schematiche, con le classificazioni elaborate a livello accademico o con le informazioni desunte dalle notizie di cronaca. Chi ha un'esperienza diretta in questo tipo di operazioni sa fin troppo bene quanto sia difficoltoso concludere uno scambio compensativo e quanto sia, tutto sommato, sterile cercare di ricondurre le singole esperienze entro nomenclature ben pre cise. Ogni operazione fa, in un certo senso, storia a sé e si sviluppa a seconda delle realtà contingenti del prodotto, del mercato o della forza contrattuali delle parti. Occorre, comunque, conoscere - seppure sommariamente - le diverse grandi tipologie entro cui si possono esprimere questi tipi di scambi, al fine di poter indi viduare quali e quanti "attori" devono o possono intervenire nella esecuzione dell'operazione e, quindi, identificare i rischi e le responsabilità che si devono fronteggiare.

Prodotti e mercati

Prodotti

Teoricamente non c'é alcun bene, sia esso una merce o un servizio, che non possa essere oggetto di scambio compensativo. Una distinzione di base è co munque fondamentale, fra quei beni che merceologicamente rientrano, o possono rientrare, nella sfera di competenza dell'operatore e quelli che esulano completa mente dalle sue conoscenze. Nel primo caso, possiamo parlare, ad esempio, di materie prime o di semilavorati che possono entrare nel ciclo produttivo o, comunque, di prodotti che possono integrare la gamma commerciale. E' chiaro che, in questo caso, l'operatore ha una maggiore facilità di gestione dell'operazione: conosce i beni, ne sa valutare direttamente qualità e valore, sa come e dove utiliz zarli. In altri termini, la compensazione può essere gestita "in house", senza altri interventi esterni e con una più precisa sensibilità sui rischi e sui benefici che possono derivare da questo tipo di operazione. A questo punto la compensazione, anziché essere subita, può addirittura essere ricercata e sollecitata dall'operatore stesso che non trae il beneficio principale tanto dalla vendita del bene primario, quanto dal ritiro dei beni compensativi. Il caso si presenta in modo nettamente differente laddove i beni compensativi siano del tutto estranei agli interessi prevalenti dell'operatore primario. Viene, ad esempio, venduto un impianto per la produzione di latticini e, in cambio, viene riti rato succo di mela. Occorre, a questo punto, che intervenga un terzo operatore - compratore del sidro - che ne conosca a fondo il settore. E l'intervento deve es sere concordato prima che l'operatore primario concluda la trattativa con il com pratore del macchinario, in modo da conoscere almeno quanto basti per non in correre in rischi inopportuni (qualità, quantità, prezzo, modalità di acquisto e di ri tiro, ecc.).

Mercati

Per quanto riguarda i mercati e se consideriamo le 5 grandi aree geo-economiche che avevano a suo tempo fatto maggiormente parlare di sè in termini di countertrade: l'Est europeo, il Sud-Est asiatico, l'Africa sub-sahariana, i Paesi arabi e medio-orientali e l'America latina, vediamo come i grandi cambia menti politici avvenuti negli ultimi anni - nelle stesse aree o quale effetto di cam biamenti avvenuti in altre - abbiano modificato il sistema degli scambi e, conseguentemente, anche le modalità di operare in countertrade. Cito per primo l'Est europeo e, in particolare, l'ex Unione Sovietica, in quanto si tratta dell'area che più di ogni altra ha una lunga tradizione compensativa, deri vata da quell'economia collettivista e pianificata che ha governato per decenni gli scambi fra i Paesi aderenti al blocco comunista. Caduto il muro di Berlino e defi nite - o tuttora in corso di definizione - nuove individualità geo-politiche, le diverse realtà economiche sorte dalle ceneri del Comecon si sono trovate all'improvviso del tutto prive di quelle strutture centralizzate (ricordo, ad esempio, le Foreign Trade Organizations) che avevano a suo tempo gestito, nel bene o nel male, an che gli scambi con il resto del mondo. Ma non basta. Con la scomparsa delle F.T.O. e della restante complessa impalcatura centralizzata, i nuovi imprenditori si sono trovati pressoché privi, non solo di una guida, ma anche di un "mercato" e, spesso, di un valido sistema infrastrutturale che li sorreggesse. Il risultato di tutto ciò è ormai sotto gli occhi di tutti coloro che si avventurano, ad esempio, nell'immenso territorio a Est di Mosca. Viene richiesto di tutto e viene offerto in compensazione tutto ciò che l'interlocutore ha, o che pensa di avere. Poi, all'atto pratico, spesso il soggetto scompare nel nulla; le merci non ci sono o non possono essere acquistate perché mancano le licenze o i trasporti, perché non sono esattamente quelle che erano state inizialmente descritte, o perché si scopre che - nel frattempo - le stesse sono state cedute a qualcun altro per pochi dollari in più. Occorre anche considerare che quando esistevano le F.T.O., non era per nulla strano, ad esempio, vendere un impianto industriale destinato a Leningrado, con tro partite di cotone provenienti dal Kazahstan. Ci pensava la F.T.O. stessa a met tere d'accordo i vari soggetti locali interessati, ad ottenere le licenze e ad organiz zare i trasporti. Ora, invece, gli operatori delle varie Repubbliche agiscono in modo del tutto indipendente: il cotone viene possibilmente venduto per contanti dagli stessi produttori e gli imprenditori di San Pietroburgo, se non hanno i denari sufficienti per pagare l'impianto industriale, devono arrangiarsi a trovare prodotti locali da offrire in compensazione. O, in loro vece, deve darsi da fare l'operatore occidentale. Per contro, la confusione determinatasi a seguito del crollo del vecchio regime ha consentito il nascere di una schiera di nuovi personaggi, prima quasi del tutto sconosciuti, ma talvolta dotati di mezzi finanziari che permettono loro di intervenire sul mercato regolando le transazioni semplicemente in valuta forte. Più difficile è identificare esattamente tali soggetti e stabilire con loro dei rapporti concreti d'affari che vadano al di là della semplice firma di quel "protocollo" che costituisce ancora la tradizionale conclusione di qualsiasi iniziale trattativa con molti operatori di quei Paesi. Un'esperienza significativa si è verificata, negli ultimi due anni, con la presenza di operatori italiani all'esposizione moscovita "Byt Italia", organizzata dal MOE. Nell'edizione del 1992, l'ANCE (l'Associazione Nazionale del Commercio Estero, che raggruppa fra i suoi soci le principali aziende che operano nella compensa zione) era presente con una propria unità che assisteva gli espositori italiani nella impostazione di operazioni di countertrade. Le possibilità di regolare in valuta le esportazioni italiane erano state scarse, ma le offerte di merci compensative erano state numerose. Per la maggior parte, comunque, scarsamente definibili e, soprat tutto, tutte da verificare. Terminata la manifestazione e ritornati in Italia gli esposi tori, di molti degli offerenti russi si sono letteralmente perse le tracce. Nella successiva edizione, tenutasi pochi mesi fa, gli affari hanno avuto un anda mento ben diverso e quasi tutti gli espositori hanno potuto realizzare ottimi affari ottenendo il pagamento in buona valuta, senza insistere molto nell'offerta di merci compensative. In una situazione così fluida, operare in compensazione diventa quindi ancor più difficile e spesso comporta il sacrificio di doversi recare "sul posto", e fermarvisi sin tanto che non siano stati direttamente risolti gli innumerevoli problemi esistenti. In sostanza, le motivazioni che stanno alla base dell'offerta di countertrade risie dono ancora, per quelle aree, nella scarsa disponibilità di valuta forte di molti im prenditori locali e nella loro impossibilità ad intervenire direttamente nei mercati esteri con adeguate azioni di marketing.

La situazione del Sud-Est asiatico è, in generale, alquanto diversa. Alcuni Paesi, ad esempio la Malaysia, che solo una decina di anni fa insistevano nell'offrire prodotti locali in compensazione, hanno notevolmente aumentato il loro livello di sviluppo e parlano sempre meno di countertrade. Il tema dominante delle proposte che vengono rivolte agli operatori occidentali, ri guarda ora la cooperazione industriale e la commercializzazione dei prodotti finiti. Il problema di base non è quindi la mancanza di risorse finanziarie o la incapacità di sviluppare un adeguato marketing internazionale, bensì la necessità di inte grare le conoscenze tecnologiche, di consolidare la presenza sui mercati e - infine - di contrastare, per quanto possibile, l'irruenza commerciale di Paesi quali il Giappone o la Corea del Sud. L'interlocutore del Sud-Est asiatico non dice più: " ... se vuoi che io acquisti il tuo prodotto devi accettare in compensazione i miei e, possibilmente, quelli <non tra dizionali> ..."; bensì propone: "... vieni nel mio Paese, investi con me in questa o in quella iniziativa industriale ... poi, assieme, commercializzeremo il relativo pro dotto nel mercato globale ...". Il countertrade, quindi, assume una veste molto più imprenditoriale, dove la com ponente di cooperazione industriale, commerciale o finanziaria, diventa rilevante ai fini di una integrazione sinergica di risorse e di esperienze paritetiche.

L'Africa sub-sahariana (con l'esclusione del Sud-Africa) costituisce, invece, un caso che purtroppo non esito a definire "semi-patologico". I suoi mercati, che hanno rappresentato per anni un serbatoio rilevante per lo sbocco delle nostre esportazioni di merci e servizi (e mi limito qui a ricordare le vendite di beni strumentali o la costruzione di grandi opere pubbliche o civili), nonché una fonte importante di materie prime e di grandi commodities in genere, languono ormai da tempo in una situazione di pressoché totale abbandono. I grandi avvenimenti che hanno interessato la scena, non solo politica, degli ultimi anni (la guerra del Golfo, la caduta del muro di Berlino, la nascita del mercato unico europeo, le intese del NAFTA), sono passati molto in alto sopra questi Paesi ed hanno fatto cadere ancora più in basso l'interesse degli operatori verso il "continente nero". Anche quest'ultimo, durante il periodo di massimo "splendore" del countertrade (anni 1983-1989), aveva cercato di inserirsi nel circuito compensativo offrendo cotone, legname, frutta tropicale, pelli, petrolio, minerali, ecc. e tentando di supe rare - in questo modo - l'impossibilità di far ricorso ad ulteriori aiuti erogati dai principali enti finanziari internazionali. Molti ricorderanno, ad esempio, come la Nigeria per un certo periodo abbia fatto molto parlare di sé per via di maxi-accordi stipulati col Brasile e con altri Paesi esteri. Poi, sull'intera area è caduto il pressoché totale disinteresse e gli africani sono stati lasciati soli a dibattersi con i loro antichi problemi. Anche con questi mercati non si dovrebbe più parlare di countertrade in termini di puro scambio di beni, bensì sotto forma di cooperazione industriale e commer ciale. Gli spazi esistono, anche se dovrebbero essere occupati in un modo diverso da quello indicato a proposito della cooperazione con i Paesi del Sud-Est asiatico. L'imprenditoria locale, benché generalmente motivata e volonterosa, non sempre è sufficientemente preparata ad interloquire in termini paritetici con quella dei Paesi più industrializzati e, inoltre, non dispone delle stesse risorse finanziarie detenute dai "colleghi" asiatici. Occorrono, quindi, più investimenti diretti (unitariamente forse inferiori, ma percentualmente superiori) e un maggior apporto di formazione tecnologica e commerciale. Molti mercati africani fanno parte dei Paesi A.C.P. e, come tali, sono legati alla Comunità Europea dai cosiddetti "Accordi di Lomé", che favoriscono l'interscambio commerciale, in esenzione di dazi o di contingenti doganali. La compensazione si potrebbe quindi attuare sotto forma di joint-ventures produt tive, che contemplino anche la commercializzazione nei mercati settentrionali di gran parte dei prodotti finiti. Anche se le ristrettezze finanziarie imposte dagli Enti di sviluppo sovranazionali limitano le possibilità di disporre di sostegni simili a quelli che venivano elargiti a piene mani nel passato, esistono ancora interessanti possibilità di cointeressenza - ad esempio da parte dell'International Finance Corporation (IFC) - che potreb bero risultare utili nella realizzazione di nuove iniziative di cooperazione.

Veniamo ora ai Paesi arabi e medio-orientali; in particolare a quelli, come l' Arabia Saudita, l'Iraq, l'Iran o la Siria, che avevano fatto parlare molto di sé nel countertrade degli anni '80, riguardante principalmente petrolio e fosfati. Due prodotti che, allo stato attuale e per ragioni non sempre coincidenti fra loro, hanno perso molta della loro importanza nello scambio compensativo; soprattutto per quanto concerne le possibilità dell'operatore che vede in questo tipo di ope razioni una possibilità in più per ampliare le sue attività tradizionali. Il commercio del petrolio ha ormai acquisito una sua dimensione più o meno sta bile, con flussi che vengono gestiti da strutture specialistiche e ben inserite nel mercato. Si tratta, comunque, di un bene che ha una sua particolare identifica zione in termini di prezzo e, quindi, che non lascia molto spazio a chi dovesse av venturarsi nella sua compra-vendita occasionale. I fosfati, per contro, hanno talvolta creato non pochi grattacapi a chi li ha trattati in termini compensativi e, come per il petrolio, sono ormai nelle mani di veri e propri specialisti del settore. Anche fra gli associati ANCE vi sono aziende ben introdotte in queste tipologie merceologiche, e che possono essere interessate a fornire il necessario supporto a chi intenda accettare un regolamento compensativo di questo tipo. Gli stessi Paesi arabi, d'altro canto, non hanno mai spinto troppo sull'acceleratore del countertrade, riservandolo per lo più ad operazioni di una certa rilevanza, ivi comprese le operazioni concernenti l'acquisto di armamenti, non sempre destinati ad usi prettamente difensivi. Ricordo qui, per la cronaca, il maxi-contratto dell'Arabia Saudita per l'acquisto di aviogetti, non solo commerciali, ripagati in petrolio; o quello della Siria per l'acquisto di macchine movimento terra, pagate in fosfati.

Infine, vorrei brevemente citare il caso dei Paesi dell'America latina. Ultimi arrivati nella corsa al countertrade degli anni '80 e motivati nella loro azione dalla pesantezza del debito estero e dalla impossibilità di ottenere ulteriori prestiti internazionali, hanno vissuto il fenomeno compensativo in una forma piuttosto tra vagliata e sofferta. Alcuni Paesi hanno emesso a getto continuo decreti e contro-decreti, pro e contro gli scambi in compensazione (e in questo sono in un certo senso simili a molte Repubbliche dell'ex-Unione Sovietica, che dal punto di vista normativo hanno un atteggiamento tuttora controverso), favorendo per lo più quelle operazioni che portavano a una diretta riduzione del debito estero. Cito, ad esempio, le azioni di debt-nature-swap (compensazione dalle caratteristi che prevalentemente finanziarie) attuate dal Governo brasiliano con concessioni forestali nell'Amazonia, rilasciate ad alcune organizzazioni ambientaliste interna zionali che si erano impegnate a proteggere parte del patrimonio naturalistico, o con debt-equity-swaps utilizzati per nuovi insediamenti produttivi nel Paese. O, ancora, i vari tentativi di introduzione degli International Trade Certificates, attuati dal Governo messicano. Con gli esempi sopra citati non ho inteso affermare che sia impossibile concludere transazioni compensative, di tipo per così dire "corrente", con l'America latina o, ancora, che non ne siano mai state fatte. D'altro canto, alcuni Paesi di quell'area (es.: Argentina e Venezuela) hanno messo in atto negli ultimi anni validi, seppur talvolta non indolori, correttivi di politica economica, che hanno notevolmente mi gliorato la loro posizione internazionale e reso talvolta superfluo il ricorso "strategico" al countertrade.

Tutto ciò sta a significare che il countertrade, superata la fase euforica ed alquanto scombinata incontrata negli anni '80, ha ora assunto una dimensione molto più realistica e concreta. E, non a caso, ho ripetutamente citato la cooperazione in dustriale e commerciale. Oggi, a mio avviso, è infatti questa la strada su cui si possono innestare con pro fitto le operazioni di countertrade. Nella mia posizione, non solo di vice-presidente dell'ANCE, l'Associazione Nazionale del Commercio Estero, ma soprattutto di Consigliere Delegato di UNIONSCAMBI (la struttura di consulenza all'interscambio posseduta da Fiera Milano, CCIAA di Milano, ANCE ed Assolombarda), partecipo attivamente alla realizzazione del BORITEC, la Borsa Internazionale della Cooperazione, dello Sviluppo e degli Investimenti che si svolge annualmente presso il comparto fieristico milanese. Per inciso, la prossima edizione si svolgerà dal 22 al 24 giugno prossimi e, come per il passato, vede un'attiva collaborazione anche dell'ICE. Ebbene, fra le oltre 1.500 opportunità di affari mediamente presenti ogni anno nella banca-dati di Boritec e riguardanti una ottantina di Paesi esteri, molte coin volgono iniziative che contemplano la commercializzazione dei prodotti finali, in termini anche compensativi. Dal punto di vista terminologico, potremmo quindi definire queste possibilità come vere e proprie proposte di joint-ventures, accompagnate da un buy-back. L'imprenditore italiano è infatti chiamato, non solo a vendere il suo prodotto, bensì anche ad intervenire operativamente in una iniziativa industriale congiunta e, quindi, a collaborare con il suo partner nella commercializzazione dei beni finali, condividendone rischi e benefici. Tali beni possono consistere in materie prime (da estrarre), in semilavorati (da inserire nel ciclo produttivo) o in generi di con sumo da immettere direttamente sul mercato. L'accentuata globalizzazione dei mercati ha ormai fatto ampiamente superare il concetto della sola produzione o della sola commercializzazione dei beni, in una combinazione di nuovi interessi e di nuove opportunità che coinvolgono ormai strettamente le esperienze di tipo produttivo con quelle di carattere più tipicamente mercantile. Lo scambio di merci effettuato con lo schema del "baratto" ("io do una cosa a te se tu ne dai una a me" ), anche se vestito di terminologie più sofisticate, rimarrà - con le sue peraltro sempre valide ragioni - un fatto limitato ad operazioni di carattere per lo più sporadico e certamente non strategico. Man mano che i mercati si evolvono e che l'economia si avvia verso un processo di graduale ed auspicabile sviluppo, lo scambio compensativo abbandona le sue radici ancestrali per trasformarsi in una più attiva partecipazione dei partners in azioni di tipo congiunto, che vedano una maggiore integrazione sinergica delle ri spettive risorse ed esperienze.

Accorgimenti operativi

E proprio sul tema delle esperienze occorre prestare attenzione, perché, come è stato più volte affermato, "il countertrade non è uno sport per dilettanti". Sia che si tratti di compensazione in senso stretto o di più complesse operazioni di coopera zione industriale con commercializzazione dei prodotti finali che ripaghino gli in vestimenti effettuati, il ri corso agli specialisti del settore diventa un elemento indi spensabile per evitare, sin dall'inizio, di incorrere in rischi inopportuni. Il tema è troppo vasto e complesso perché lo si possa analizzare in pochi minuti di convegno, ma alcuni punti basilari possono comunque essere individuati, seppure in forma schematica:

1 esaminare il ripagamento compensativo solo se si è accertata l'impossibilità della controparte di utilizzare altre forme di pagamento;
2 appurare la reale disponibilità, qualità e quantità delle merci, delle eventuali licenze d'esportazione, della efficienza dei trasporti, nonché l'assenza di vincoli circa la rivendita delle merci stesse;
3 non stabilire il prezzo di vendita del proprio prodotto sintantoché non saranno stati chiariti i valori reali di realizzo delle merci compensative. Tenere presente che, salvo casi del tutto particolari, la commercializzazione dei beni compensativi difficilmente può dar luogo a profitti autonomi;
4 cercare di ottenere le merci compensative prima che venga dato luogo alla spedizione delle proprie;
5 richiedere la collaborazione degli specialisti del settore;
6 stabilire delle basi contrattuali che definiscano in modo trasparente le responsabilità delle varie parti.

Un "case study"

Consideriamo, ad esempio, che l'impresa industriale "Alfa" sia chiamata a fornire un impianto di macellazione alla "Cooperativa Soyuz" contro cessione di pellame e di balle di cotone. Due prodotti, questi ultimi, che per necessità d'esame, ho vo luto contenere nell'ambito di ciò che la Soyuz stessa abitualmente produce. La società Alfa, una volta risolti i problemi di fondo, cui ho accennato più sopra, si trova di fronte ad un interrogativo: "gestire tutta l'operazione in house, ricercando direttamente gli acquirenti del pellame e del cotone, oppure affidare a qualcun al tro il compito di ritirare e vendere tali prodotti?" Nel primo caso, deve affrontare taluni rischi e dedicare risorse interne che, nel loro complesso e a prescindere dalle esperienze disponibili, hanno anche un loro co sto. I rischi, peraltro, sono di natura complessa e non riguardano solo il prezzo e la qualità dei prodotti che effettivamente potranno essere ritirati, ma anche altri elementi, quali, ad esempio, i tempi di consegna agli effettivi utilizzatori finali dei beni. Le balle di cotone, ad esempio, dovranno essere fornite nel rispetto delle re gole commerciali che governano questo tipo di prodotto e se il cotonificio che dovrà utilizzarlo dovesse ricevere il prodotto in ritardo rispetto ai tempi concordati, potrebbe applicare pesanti penali, che difficilmente potrebbero essere recuperate dalla Soyuz. Qualora, invece, la ditta Alfa scegliesse di affidare a terzi il compito di gestire l'operazione, si troverebbe di fronte a due tipologie di interlocutori/intermediari:

a) quello che opera prevalentemente come una "trading company" e
b) quello che opera prevalentemente in veste di "countertrader".

La distinzione, più sostanziale che formale (in effetti non sempre si può stabilire a priori in quale veste si può presentare l'intervento di una struttura di intermedia zione), consiste nelle modalità di operare nell'operazione:

A

La "trading company" può (i) prendersi in carico l'intera operazione, acquistando l'impianto dalla ditta Alfa e rivendendolo alla Soyuz, ritirando quindi da quest'ultima il pellame e di cotone, che rivenderà quindi agli utilizzatori. In questo caso, la trading company valuterà lei stessa i rischi dell'operazione e trarrà i be nefici proprio dalla compra-vendita dei diversi beni. Oppure (ii), può lasciare che Alfa venda direttamente l'impianto alla Soyuz, limitandosi ad acquistare i beni compensativi da collocare presso gli utilizzatori. In questo secondo caso, poiché le merci di ritorno non consentono - per definizione - di trarre alcun profitto, la trading chiederà alla ditta Alfa una commissione che remuneri il lavoro svolto e copra i ri schi.

B

Il "countertrader" agisce invece in termini di brokeraggio, assumendosi l'incarico di ricercare le controparti che compreranno direttamente il pellame e il cotone dalla Soyuz. Anche il countertrader solitamente agisce con la necessaria esperienza e professionalità, liberando la ditta Alfa dalle preoccupazioni di curare la parte più difficile dell'operazione. Il tutto, dietro un compenso che terrà conto del Paese e dei prodotti coinvolti, dell'entità e del frazionamento dell'operazione, dei rischi che dovranno essere coperti, ecc.

Conclusioni

Una tematica complessa come quella della compensazione non può essere sinte tizzata in poche battute e richiederebbe una ben più accurata disamina, che tenga nel debito conto anche gli aspetti normativi, finanziari, legali e assicurativi. Questi temi sono comunque ampiamente presenti nella copiosa bibliografia esistente e, in ogni caso, sono ben noti agli specialisti del settore. Se ad un esame superfi ciale la compensazione potrebbe apparire come la semplice somma di un acqui sto dall'estero e di una vendita all'estero, con le caratteristiche tipiche di questi due tipi di operazioni, in realtà è qualcosa di ben più complesso, proprio perché le due azioni sono legate fra loro e i risultati dell'una incidono notevolmente su quelli dell'altra. Si sente dire talvolta che "il countertrade sia come il sesso: molti ne parlano ma pochi lo praticano seriamente". A prescindere dal paragone, più o meno valido e più o meno calzante, operare in countertrade richiede una notevole esperienza professionale, che dovrebbe escludere qualsiasi desiderio di pressa pochismo. Esistono sul mercato valide strutture che hanno maturato significative esperienze in questo settore: utilizziamole e, certamente, il relativo costo eviterà l'insorgere di indesiderabili emicranie.