Il ricorso al countertrade: tecniche e aspetti contrattuali

Seminario ICE del 14 aprile 1994
Intervento sul tema: "Il countertrade e le sue tecniche"

Cod.: CON.94.AA.COM.0

I 30 minuti che mi sono stati indicati nel programma di questa giornata per l'illustrazione, seppure schematica, del countertade e delle sue tecniche, mi pongono in una posizione di imbarazzo, perchè la tematica è così ampia e variegata che potrei correre il rischio di avventurarmi in una esposizione che potrebbe risultare troppo lunga e troppo "teorica" rispetto a quella degli interventi che mi seguiranno. Cercherò allora di restare nei tempi previsti, trascurando di ripetere tutte quelle nozioni - per così dire "propedeutiche" - che, peraltro, trovano già ampio spazio nella copiosa bibliografia esistente. Tralascerò, quindi, di illustrare le varie modalità in cui può esprimersi un'operazione compensativa, anche perché - come ho già avuto modo di dire in altre occasioni - per l'operatore non interessa tanto sapere se una transazione può essere classificata nei "parallel deals", o nell'"offset", o in qualsiasi altra nomenclatura di tipo più che altro accademico, quanto di conoscere quali sono le attuali tendenze del countertrade e le conseguenti cautele da rispettare per far sì che una opportunità di lavoro non si trasformi in un'operazione ad eccessivo quoziente di rischio. In effetti, anche il countertrade - come tutte le operazioni sull'estero - può essere soggetto a mutamenti strategici e metodologici conseguenti alle evoluzioni dei mercati, ai cambiamenti politico-economici degli Stati e, non ultime, alle variazioni della "moda". Basti pensare all'euforia che era esplosa agli inizi degli anni '80, quando alcuni avevano addirittura pronosticato che la compensazione potesse sostituire il denaro nelle transazioni internazionali e che anche i Paesi più finanziariamente sinistrati potessero trovare in questa formula apparentemente taumaturgica la chiave risolutiva per la soluzione dei loro problemi. Si parlava, in quegli anni, di mega-contratti e di maxi-accordi fra Stati e fra grandi imprese, di scambi compensativi di petrolio, di grano, di zucchero, di carbone e di minerali, di scheletri di dinosauri e di macchine fotografiche antiquate. Scambi compensativi che sembrava coinvolgessero tutto e tutti. E molte transazioni sono realmente avvenute, mentre altre sono rimaste, in effetti, a livello di puro esercizio giornalistico. Poi, il tempo, le esperienze "sul campo", le mutazioni dell'assetto politico-economico di molte aree e una visione meno disincantata degli operatori, hanno ricondotto il tema entro termini più realistici, determinando una situazione molto più vicina alle sue reali possibilità di utilizzo. Non voglio con questo affermare che la compensazione sia passata di moda, bensì semplicemente riconoscere come lo scambio di merce contro merce possa essere uno strumento utile solo in certi casi particolari, per non perdere le occasioni di penetrare in mercati che non hanno ancora raggiunto il loro giusto equilibrio economico-finanziario. Se consideriamo le 5 grandi aree geo-economiche che avevano a suo tempo fatto maggiormente parlare di sè in termini di countertrade: l'Est europeo, il Sud-Est asiatico, l'Africa sub-sahariana, i Paesi arabi e medio-orientali e l'America latina, vediamo come i grandi cambiamenti politici avvenuti negli ultimi anni - nelle stesse aree o quale effetto di cambiamenti avvenuti in altre - abbiano modificato il sistema degli scambi e, conseguentemente, anche le modalità di operare in countertrade.

Cito per primo l'Est europeo e, in particolare, l'ex Unione Sovietica, in quanto si tratta dell'area che più di ogni altra ha una lunga tradizione compensativa, derivata da quell'economia collettivista e pianificata che ha governato per decenni gli scambi fra i Paesi aderenti al blocco comunista. Caduto il muro di Berlino e definite - o tuttora in corso di definizione - nuove individualità geo-politiche, le diverse realtà economiche sorte dalle ceneri del Comecon si sono trovate all'improvviso del tutto prive di quelle strutture centralizzate (ricordo, ad esempio, le Foreign Trade Organizations) che avevano a suo tempo gestito, nel bene o nel male, anche gli scambi con il resto del mondo. Ma non basta. Con la scomparsa delle F.T.O. e della restante complessa impalcatura centralizzata, i nuovi imprenditori si sono trovati pressochè privi, non solo di una guida, ma anche di un "mercato" e, spesso, di un valido sistema infrastrutturale che li sorreggesse. Il risultato di tutto ciò è ormai sotto gli occhi di tutti coloro che si avventurano, ad esempio, nell'immenso territorio a Est di Mosca. Viene richiesto di tutto e viene offerto in compensazione tutto ciò che l'interlocutore ha, o che crede di avere. Poi, all'atto pratico, spesso il soggetto scompare nel nulla; le merci non ci sono o non possono essere acquistate perchè mancano le licenze o i trasporti, perchè non sono esattamente quelle che erano state inizialmente descritte, o perchè si scopre che - nel frattempo - le stesse sono state cedute a qualcun altro per pochi dollari in più. Occorre anche considerare che quando esistevano le F.T.O., non era per nulla strano, ad esempio, vendere un impianto industriale destinato a Leningrado, contro partite di cotone provenienti dal Kazahstan. Ci pensava la F.T.O. stessa a mettere d'accordo i vari soggetti locali interessati, ad ottenere le licenze e ad organizzare i trasporti. Ora, invece, gli operatori delle varie Repubbliche agiscono in modo del tutto indipendente: il cotone viene possibilmente venduto per contanti dagli stessi produttori e gli imprenditori di San Pietroburgo, se non hanno i denari sufficienti per pagare l'impianto industriale, devono arrangiarsi a trovare prodotti locali da offrire in compensazione. O, in loro vece, deve darsi da fare l'operatore occidentale. Per contro, la confusione determinatasi a seguito del crollo del vecchio regime ha consentito il nascere di una schiera di nuovi personaggi, prima quasi del tutto sconosciuti ma talvolta dotati di mezzi finanziari che permettono loro di intervenire sul mercato regolando le transazioni semplicemente in valuta forte. Più difficile è identificare esattamente tali soggetti e stabilire con loro dei rapporti concreti d'affari che vadano al di là della semplice firma di quel "protocollo" che costituisce ancora la tradizionale conclusione di qualsiasi iniziale trattativa con molti operatori di quei Paesi. Un'esperienza significativa si è verificata, negli ultimi due anni, con la presenza di operatori italiani all'esposizione moscovita "Byt Italia", organizzata dal MOE. Nell'edizione del 1992, l'ANCE era presente con una propria unità che assisteva gli espositori italiani nella impostazione di operazioni di countertrade. Le possibilità di regolare in valuta le esportazioni italiane erano state scarse, ma le offerte di merci compensative erano state innumerevoli. Per la maggior parte scarsamente definibili e, soprattutto, tutte da verificare. Terminata la manifestazione e ritornati in Italia gli espositori, di molti degli offerenti russi si sono letteralmente perse le tracce. Nella successiva edizione, tenutasi pochi mesi fa, gli affari hanno avuto un andamento ben diverso e quasi tutti gli espositori hanno potuto realizzare ottimi affari ottenendo il pagamento in buona valuta. In una situazione così fluida, operare in compensazione diventa quindi ancor più difficile e spesso comporta il sacrificio di doversi recare "sul posto", e fermarvisi sin tanto che non siano stati direttamente risolti gli innumerevoli problemi esistenti. In sostanza, le motivazioni che stanno alla base dell'offerta di countertrade risiedono ancora, per quelle aree, nella scarsa disponibilità di valuta forte di molti imprenditori locali e nella loro impossibilità ad intervenire direttamente nei mercati esteri con adeguate azioni di marketing.

La situazione del Sud-Est asiatico è, in generale, alquanto diversa. Alcuni Paesi, ad esempio la Malaysia, che solo una decina di anni fa insistevano nell'offrire prodotti locali in compensazione, hanno notevolmente aumentato il loro livello di sviluppo e parlano sempre meno di countertrade. Il tema dominante delle proposte che vengono rivolte agli operatori occidentali, riguarda ora la cooperazione industriale e la commercializzazione dei prodotti finiti. Il problema di base non è quindi la mancanza di risorse finanziarie o la incapacità di sviluppare un adeguato marketing internazionale, bensì la necessità di integrare le conoscenze tecnologiche, di consolidare la presenza sui mercati e - infine - di contrastare, per quanto possibile, l'irruenza commerciale di Paesi quali il Giappone o la Corea del Sud. L'interlocutore del Sud-Est asiatico non dice più: " ... se vuoi che io acquisti il tuo prodotto devi accettare in compensazione i miei e, possibilmente, quelli <non tradizionali> ..."; bensì propone: "... vieni nel mio Paese, investi con me in questa o in quella iniziativa industriale ... poi, assieme, commercializzeremo il relativo prodotto nel mercato globale ...". Il countertrade, quindi, assume una veste molto più imprenditoriale, dove la componente di cooperazione industriale, commerciale o finanziaria, diventa rilevante ai fini di una integrazione sinergica di risorse e di esperienze paritetiche.

L'Africa sub-sahariana (con l'esclusione del Sud-Africa) costituisce, invece, un caso che purtroppo non esito a definire "semi-patologico".

I suoi mercati, che hanno rappresentato per anni un serbatoio rilevante per lo sbocco delle nostre esportazioni di merci e servizi (e mi limito qui a ricordare le vendite di beni strumentali o la costruzione di grandi opere pubbliche o civili), nonché una fonte importante di materie prime e di grandi commodities in genere, languono ormai da tempo in una situazione di pressoché totale abbandono. I grandi avvenimenti che hanno interessato la scena, non solo politica, degli ultimi anni (la guerra del Golfo, la caduta del muro di Berlino, la nascita del mercato unico europeo, le intese del NAFTA), sono passati molto in alto sopra questi Paesi ed hanno fatto cadere ancora più in basso l'interesse degli operatori verso il "continente nero". Anche quest'ultimo, durante il periodo di massimo "splendore" del countertrade (anni 1983-1989), aveva cercato di inserirsi nel circuito compensativo offrendo cotone, legname, frutta tropicale, pelli, petrolio, minerali, ecc. e tentando di superare - in questo modo - l'impossibilità di far ricorso ad ulteriori aiuti erogati dai principali enti finanziari internazionali. Molti ricorderanno, ad esempio, come la Nigeria per un certo periodo abbia fatto molto parlare di sé per via di maxi-accordi stipulati col Brasile e con altri Paesi esteri. Poi, sull'intera area è caduto il pressochè totale disinteresse e gli africani sono stati lasciati soli a dibattersi con i loro antichi problemi. Anche con questi mercati non si dovrebbe più parlare di countertrade in termini di puro scambio di beni, bensì sotto forma di cooperazione industriale e commerciale. Gli spazi esistono, anche se dovrebbero essere occupati in un modo diverso da quello indicato a proposito della cooperazione con i Paesi del Sud-Est asiatico. L'imprenditoria locale, benché generalmente motivata e volonterosa, non sempre è sufficientemente preparata ad interloquire in termini paritetici con quella dei Paesi più industrializzati e, inoltre, non dispone delle stesse risorse finanziarie detenute dai "colleghi" asiatici. Occorrono, quindi, più investimenti diretti (unitariamente forse inferiori, ma percentualmente superiori) e un maggior apporto di formazione tecnologica e commerciale. Molti mercati africani fanno parte dei Paesi A.C.P. e, come tali, sono legati alla Comunità Europea dai cosiddetti "Accordi di Lomé", che favoriscono l'interscambio commerciale, in esenzione di dazi o di contingenti doganali. La compensazione si potrebbe quindi attuare sotto forma di joint-ventures produttive, che contemplino anche la commercializzazione nei mercati settentrionali di gran parte dei prodotti finiti.

Anche se le ristrettezze finanziarie imposte dagli Enti di sviluppo sovranazionali limitano le possibilità di disporre di sostegni simili a quelli che venivano elargiti a piene mani nel passato, esistono ancora interessanti possibilità di cointeressenza - ad esempio da parte dell'International Finance Corporation (IFC) - che potrebbero risultare utili nella realizzazione di nuove iniziative di cooperazione.

Veniamo ora ai Paesi arabi e medio-orientali; in particolare a quelli, come l' Arabia Saudita, l'Iraq, l'Iran o la Siria, che avevano fatto parlare molto di sé nel countertrade degli anni '80, riguardante principalmente petrolio e fosfati. Due prodotti che, allo stato attuale e per ragioni non sempre coincidenti fra loro, hanno perso molta della loro importanza nello scambio compensativo; soprattutto per quanto concerne le possibilità dell'operatore che vede in questo tipo di operazioni una possibilità in più per ampliare le sue attività tradizionali. Il commercio del petrolio ha ormai acquisito una sua dimensione più o meno stabile, con flussi che vengono gestiti da strutture specialistiche e ben inserite nel mercato. Si tratta, comunque, di un bene che ha una sua particolare identificazione in termini di prezzo e, quindi, che non lascia molto spazio a chi dovesse avventurarsi nella sua compra-vendita occasionale. I fosfati, per contro, hanno talvolta creato non pochi grattacapi a chi li ha trattati in termini compensativi e, come per il petrolio, sono ormai nelle mani di veri e propri specialisti del settore. Anche fra gli associati ANCE vi sono aziende ben introdotte in queste tipologie merceologiche, e che possono essere interessate a fornire il necessario supporto a chi intenda accettare un regolamento compensativo di questo tipo. Gli stessi Paesi arabi, d'altro canto, non hanno mai spinto troppo sull'acceleratore del countertrade, riservandolo per lo più ad operazioni di una certa rilevanza, ivi comprese le operazioni concernenti l'acquisto di armamenti, non sempre destinati ad usi prettamente difensivi. Ricordo qui, per la cronaca, il maxi-contratto dell'Arabia Saudita per l'acquisto di aviogetti, non solo commerciali, ripagati in petrolio; o quello della Siria per l'acquisto di macchine movimento terra, pagate in fosfati.

Infine, vorrei brevemente citare il caso dei Paesi dell'America latina. Ultimi arrivati nella corsa al countertrade degli anni '80 e motivati nella loro azione dalla pesantezza del debito estero e dalla impossibilità di ottenere ulteriori prestiti internazionali, hanno vissuto il fenomeno compensativo in una forma piuttosto travagliata e sofferta. Alcuni Paesi hanno emesso a getto continuo decreti e contro-decreti, pro e contro gli scambi in compensazione (e in questo sono in un certo senso simili a molte Repubbliche dell'ex-Unione Sovietica, che dal punto di vista normativo hanno un atteggiamento tuttora controverso), favorendo per lo più quelle operazioni che portavano a una diretta riduzione del debito estero. Cito, ad esempio, le azioni di debt-nature-swap (compensazione dalle caratteristiche prevalentemente finanziarie) attuate dal Governo brasiliano con concessioni forestali nell'Amazonia, rilasciate ad alcune organizzazioni ambientaliste internazionali che si erano impegnate a proteggere parte del patrimonio naturalistico, o con debt-equity-swaps utilizzati per nuovi insediamenti produttivi nel Paese. O, ancora, i vari tentativi di introduzione degli International Trade Certificates, attuati dal Governo messicano. Di tutte queste formule specialistiche si possono trovare più ampi dettagli esplicativi nelle pubblicazioni curate dall'ICE. Con gli esempi sopra citati non ho inteso affermare che sia impossibile concludere transazioni compensative, di tipo per così dire "corrente", con l'America latina o, ancora, che non ne siano mai state fatte. D'altro canto, alcuni Paesi di quell'area (es.: Argentina e Venezuela) hanno messo in atto negli ultimi anni validi, seppur talvolta non indolori, correttivi di politica economica, che hanno notevolmente migliorato la loro posizione internazionale e reso talvolta superfluo il ricorso "strategico" al countertrade.

Tutto ciò sta a significare che il countertrade, superata la fase euforica ed alquanto scombinata incontrata negli anni '80, ha ora assunto una dimensione molto più realistica e concreta. E, non a caso, ho ripetutamente citato la cooperazione industriale e commerciale. Oggi, a mio avviso, è infatti questa la strada su cui si possono innestare con profitto le operazioni di countertrade. Nella mia posizione, non solo di vice-presidente dell'ANCE, l'Associazione Nazionale del Commercio Estero, ma soprattutto di Consigliere Delegato di UNIONSCAMBI (la struttura di consulenza all'interscambio posseduta da Fiera Milano, CCIAA di Milano, ANCE ed Assolombarda), partecipo attivamente alla realizzazione del BORITEC, la Borsa Internazionale della Cooperazione, dello Sviluppo e degli Investimenti che si svolge annualmente presso il comparto fieristico milanese. Per inciso, la prossima edizione si svolgerà dal 22 al 24 giugno prossimi e, come per il passato, vede un'attiva collaborazione anche dell'ICE. Ebbene, fra le oltre 1.500 opportunità di affari mediamente presenti ogni anno nella banca-dati di Boritec e riguardanti una ottantina di Paesi esteri, molte coinvolgono iniziative che contemplano la commercializzazione dei prodotti finali, in termini anche compensativi. Dal punto di vista terminologico, potremmo quindi definire queste possibilità come vere e proprie proposte di joint-ventures, accompagnate da un buy-back. L'imprenditore italiano è infatti chiamato, non solo a vendere il suo prodotto, bensì anche ad intervenire operativamente in una iniziativa industriale congiunta e, quindi, a collaborare con il suo partner nella commercializzazione dei beni finali, condividendone rischi e benefici. Il "prodotto" può consistere in materie prime (da estrarre), in semilavorati (da inserire nel ciclo produttivo) o in beni di consumo da immettere direttamente sul mercato. L'accentuata globalizzazione dei mercati ha ormai fatto ampiamente superare il concetto della sola produzione o della sola commercializzazione dei beni, in una combinazione di nuovi interessi e di nuove opportunità che coinvolgono ormai strettamente le esperienze di tipo produttivo con quelle di carattere più tipicamente mercantile. Lo scambio di merci effettuato con lo schema del "baratto" ("io do una cosa a te se tu ne dai una a me" ), anche se vestito di terminologie più sofisticate, rimarrà - con le sue peraltro sempre valide ragioni - un fatto limitato ad operazioni di carattere per lo più sporadico e certamente non strategico. Man mano che i mercati si evolvono e che l'economia si avvia verso un processo di graduale ed auspicabile sviluppo, lo scambio compensativo abbandona le sue radici ancestrali per trasformarsi in una più attiva partecipazione dei partners in azioni di tipo congiunto, che vedano una maggiore integrazione sinergica delle rispettive risorse e delle rispettive esperienze.

Non è con queste affermazioni che io intenda demonizzare o, tanto meno, ostracizzare la formula operativa del countertrade che, come l'Araba Fenice, spesso risorge; nella fattispecie ogni qual volta si determinano situazioni di particolare crisi dei mercati finanziari. Occorre però che si guardino in faccia non solo la realtà passata o contingente, ma anche le prospettive di sviluppo. E in questa visione si intravvede con sempre maggior concretezza la possibilità di fare buoni affari coinvolgendosi più attivamente in iniziative di carattere partecipativo e cooperativo, non limitate al breve termine, bensì proiettate nel medio-lungo. Sotto questo profilo, rimane sempre valida quell'affermazione secondo la quale "il countertrade non è uno sport per dilettanti". Sia che si tratti di compensazione in senso stretto o di più complesse operazioni di cooperazione industriale, con commercializzazione dei prodotti finali che ripaghi gli investimenti effettuati, il ricorso agli specialisti del settore diventa un elemento indispensabile per evitare, sin dall'inizio, di incorrere in rischi inopportuni. E gli specialisti dell'ANCE sono, come sempre, a Vostra disposizione.