Rotary Club Milano Nord-Ovst

Presentazione del volume Una casa e quattro donne valsesiane

Milano, 12 maggio 1994

Cod.: CON.94.BB.VAR.0

Avevo sentito dire, tempo fa, che un buon numero di Italiani tiene in qualche cassetto un manoscritto contenente le più disparate fantasie, o la storia della propria vita e delle esperienze vissute in guerra, in amore, in politica, ecc. E la statistica non contempla solo persone mature che si ritengono ormai inascoltate dalle più giovani generazioni (forse attratte da ben altre sollecitazioni) ma coinvolge individui di tutte le età e di tutti i sessi. Un fiume di parole e di pensieri che, in un Paese notoriamente poco incline alla lettura come il nostro, crea non poca meraviglia. Ma, in effetti, si dimostra così ancora una volta la validità del detto secondo il quale "... è certamente più difficile leggere che scrivere".

Anche se non ho sufficienti elementi per valutare il grado d'interesse suscitato dai miei scritti, e - tutto sommato - non spetta a me esprimere questo tipo di giudizio, ho contribuito anch'io a consumare una notevole dose d'inchiostro, avendo prodotto - senza peraltro esercitare la professione di "scrittore"- un ragguardevole quantitativo di carta stampata. Per lo più si è trattato di testi di natura tecnica; articoli e volumi di carattere finanziario o commerciale che interessano principalmente gli operatori impegnati nello sviluppo dei rapporti internazionali. Nulla a che fare, comunque, con la letteratura, quella con la elle maiuscola, che continua ad essere decisamente al di là delle mie eventuali o recondite aspirazioni. L'occasione di uscire dallo specifico campo del commercio estero per avventurarmi in uno scritto che nulla ha a che fare con quella disciplina, è giunta del tutto casualmente, più per puro divertissement che non per desiderio di entrare nel novero dei veri e propri Autori. E, infatti, il volume va visto proprio in questa chiave di lettura: il racconto di una piccola storia di paese, fortunatamente piaciuto a un Editore-sponsor che ha evitato che anche questo manoscritto rimanesse relegato in fondo a qualche cassetto. Un divertissement, quindi, che è anche un doveroso omaggio a una valle e a una popolazione che mi ospitano, ormai da una ventina d'anni, ogniqualvolta sento la necessità di sfuggire alle ansie della vita cittadina e di respirare una boccata di quello che ritengo sia ancora "l'ossigeno".

La casualità cui ho fatto cenno, è stata anche la conseguenza di un salvataggio, in extremis, di un voluminoso fascio di vecchie carte che stavano per essere distrutte durante i lavori di ristrutturazione di una ormai cadente dimora contadina dell'alta Valsesia, da tempo disabitata. Inizialmente ero curioso di capire come mai, in una decrepita casa di pietre e di legno, fossero state conservate così a lungo quelle carte e, quindi, cosa avessero potuto rappresentare per i suoi vecchi abitanti. Il pretesto di antichi documenti che sono serviti quale spunto per un'opera di narrativa o per un saggio, non è per nulla nuovo e lo stesso Manzoni se ne è servito per la costruzione dei Promessi Sposi. Voglio subito chiarire che non intendo assolutamente porre un irriverente paragone con "quel tal Sandro", ma tengo a sottolineare che i miei "scartafacci", benché anch'essi "dilavati e graffiati", sono assolutamente veri e tangibili. Tutto ciò che ho sviluppato nella cronaca degli avvenimenti trova conferma in quelle carte. E non è stato facile ricostruire il tutto, sia a causa del disordine in cui si trovava il materiale, che per le difficoltà insite nella interpretazione di scritti spesso intrisi di un linguaggio vetero-notarile per me assolutamente sconosciuto. Non riuscivo, inoltre, a trovare il cosiddetto "bandolo della matassa"; a comprendere, cioè, cosa cementasse quelle carte, apparentemente slegate fra loro, sia in termini di tempo che di persone coinvolte.

Un'altra difficoltà - non trascurabile - derivava dall'identificazione esatta dei personaggi coinvolti nella vicenda. I loro nomi, per lo più riportati traducendo le dichiarazioni verbali espresse agli scrivani in forma dialettale, variavano da documento a documento, trasformando - ad esempio - Mazzia in Mozia, Mattazzoglio in Mattasoglio, Bello in Belli, ecc. Se si considera che i cognomi originali delle famiglie più antiche della Valle non sono più di una cinquantina e che, con il passare degli anni, molti sono stati modificati a causa di varie trascrizioni anagrafiche, non sarebbe stato improbabile che il Mazzia del caso non fosse il Mozia riportato nel documento in esame. La stessa cosa capitava per i nomi di battesimo. Giò Battista poteva, ad esempio, diventare Giovanni Emilio, e sin qui passi, ma Antonio poteva diventare Giuseppe; semplicemente perchè quelle persone potevano aver ricevuto alla nascita due o più nomi di battesimo ed averne utilizzato uno solo, e non sempre quello, al momento della stipula di un determinato atto. Ma, alla fine, credo di essere riuscito a superare tutte queste difficoltà ed a ricostruire l'intera storia. Ciò che, in particolare, ha suscitato il mio più vivo interesse è stato un curioso memoriale della prima delle mie quattro donne, una tal Maria Domenica, vissuta a cavallo fra il XVII e il IX secolo. La mimoria, che ha affascinato anche il mio amico Umberto Bonapace, primo sostenitore della opportunità di ricostruire l'intera storia di quella casa, così recita testualmente:

1803 li 18 Aprile La mente del pietro Giuseppe Demarchi di Molia ora Abitante e locale in Camporoso dalli Quari di Campertognio.
Io Maria Domenicha Molie del detto Demarchi Chiamata nel suo testamento tutrice erogatrice proprio nel suo piede ora si trova ed asistente al Sig.r Don Pietro Belli di Mollia ora Capellano della Capelania dalli Quari di Campertognio.
Come avendo chiamato di quel tanto che voleva per il suo incomodo ed il medemo Don Belli Mi rispose che non voleva niente.
Ed io ho fatto la mimoria. di quel tanto che li ho dato per donativo per sodisfare la mia obligazione come dice che non vole niente.
Prima. Circa la mità di maggio sono andata A Biella caricare rubbi 3 sale con qualche bagatele di merce è tutto per il porto.
Piu il mese di setembre siamo andati tra due sul alpe del campo a prendere un vitello è condurlo sino alli Quari.
Piu partita da Casa sino alla comune del borgo Sessia è la comunene di cellio e la comune di agniona per cercarli delle bovine per caricare lalpe del campo avendo butato tre giorni.
Piu sono andata aprendere le detto bovine al tempo per caricare lalpe.
Piu Partita da casa sino vocha di varallo a caricare una staja di vino biancho in Casa del Sig.r Giuseppe Giacobini notajo.
Piu Altra volta siamo andati tra due caricati di mascarpa e buttiro dalli Quari sino a varallo e nel ritorno abiamo caricato mezo sacho di meliga rossa per lanimale.
Piu Altra volta venuta da varallo carica di castagne bianche portate alla molia.
Piu Altra volta venuta da varallo caricha di pasta e carne frescha portate alla molia.
Piu li ho dato una motta di buttiro frescho.
Piu altra volta altra motta di buttiro frescho.
Piu altra dato due formagij di capra grossi vechij Circa di peso libre tre onze piu o meno.
Piu in due volte dui persutti di animale.
Piu Quando abiamo ricevuto listrumento del Sig.r Giuseppe Duberti Ciurusicho li ho pagato pranso in casa del Sig.r Batista erba in campertognio.
Piu Altra volta quando è venuto in compagnia di me per fare linventaro della mia robba di casa pagato pranso in casa della domenica matteja dalli quari.
Piu per dato numero quaranta quatro Ceste di letame.
Piu per averli afittato un giardino con averli dato anche il lettame per ingrassarlo.
Piu Averli numero trenta due fassetti di legne osia fassine nel boscho delle mie Cugniate al molino di molia.
Piu Volte dato della fruta alla molia.
Piu Altra volta dato una sterna alla molia.
Piu Volte dato dei ucelli alla molia.
Piu Dato il mio Genere giovanni una pipa per fumare di qualche valore.
Piu dato per mano di mio genare una marmota grassa di ottuno alla molia.
Piu dato due bottelie di vino imboteliato della valle di osta.
Piu li ho dato per quattro anni numero dodeci formagini di Capra grassi che formano numero quaranta otto nel corso di questi quatro anni.
Piu per averli fatto una giornata a sapare alli Quari.
Piu Molte volte portato Cariche di fieno dalli quari alla molia.
Più per averli dato numero dodeci Capretti grassi uno per anno.
Piu per aver partita da casa per andare a borbaniere a comperarli lanimale e condurlo a casa.
Piu volte dato diverse quere di rane.
Piu volte dato dalle castagne per cosare nella cassa osia per brusatarle.
Piu volte anche dato delle trifole del paese.
Piu per averli dato il ferro che fanno le ostie io mi costa libre 18 milano.
Piu dato in tre volte carne di vacha.
E Questo è quel tanto che li ho dato per la Mia obligazione come diceva che non voleva Niente della sua pena e incomodo.
Io Domenicha Vedova Demarchi Per non sapere scrivere ho fatto scrivare di un mio Amicho è mi ha fatto il piacere.

E così, sulla scia di questo vivace acquarello di vita e di costume, è stata faticosamente ricostruita l'intera storia. Come ha giustamente sottolineato lo stesso Umberto Bonapace nella sua preziosa premessa al volume, si tratta di una storia con la esse minuscola, limitata ad una valle rimasta per secoli dimenticata da Dio e dagli uomini, in una dimensione a sé stante, e solo di recente inserita nel circuito consumistico delle vacanze di massa. Una valle che trova la sua sublimazione geografica a 4.633 metri d'altezza, sulla punta Dufour del Monte Rosa, in quello scenario denso di eccezionale misticismo che è stato definito come "la più bella cattedrale del mondo"; ma anche una zona di montagna che ha dato i natali ad artisti quali Tanzio da Varallo e Gaudenzio Ferrari. Un piccolo mondo di fatiche e di sofferenze legato alla poca terra disponibile, sconquassata da slavine e da frane, ma ricoperta di un manto vegetale che ne fa, a sua volta, la "valle più verde d'Italia".

La narrazione si dipana in un arco di tempo che parte dagli inizi della Rivoluzione francese e giunge sino a una cinquantina d'anni fa, con il susseguirsi di quattro generazioni di montanari, rappresentati principalmente da quattro donne - per lo più analfabete - che hanno vissuto nella stessa casa fra mille vicissitudini, ma con grande coraggio e con la ferma determinazione di accrescere il loro piccolo patrimonio e di non perdere la dignità di persone libere ed indipendenti. In tutto ciò si inseriscono, portandovi il corollario di vicende di più ampio respiro, i fatti storici conseguenti alla dominazione francese e alla costituzione delle Repubbliche Cispadana e Cisalpina. Eventi che, per un certo periodo, hanno dato luogo a una vera e propria spaccatura geo-politica della valle fra la Francia e l'Italia, lungo il corso del fiume Sesia. Ancora pochi anni fa si sentiva curiosamente dire dai vecchi montanari "vado in Francia", quando intendevano superare il ponte sul Sesia per condurre le mandrie a pascolare sul versante occidentale della valle. Le vicende più propriamente storiche sono state riportate in forma sintetica, essendo mia intenzione utilizzarle solo come semplice cornice allo svolgimento di fatti che, pur essendo di interesse molto più circoscritto, avevano una loro particolare valenza di tipo ambientale e sociale. E così ne è nato un pezzo di "storia povera", ma solo apparentemente limitato all'area in cui si è sviluppata. Più in generale, voglio considerarlo - come detto - un divertissement , che ci ricollega alle nostre radici più genuine, senza tempo e senza dimensione geografica, ma che troppo spesso siamo costretti a trascurare, presi come siamo dalle incombenze del vivere quotidiano.