Strumenti e servizi per l'internazionalizzazione della PMI

Intervento pubblicato su i "Quaderni" dell'Associazione Italiana per il Commercio Mondiale, n. 3/94

cod.: QU.94.03.MKT.0

Vorrei portare il mio pur modesto contributo alla formulazione delle ipotesi per un seminario su: "Gli strumenti per l'internazionalizzazione delle medie e piccole imprese", cominciando da una piccola provocazione riferita alle frasi introduttive della "presentazione" di questo Quaderno. Che "il discutere accanitamente attorno agli strumenti dell'intervento pubblico appartenga ormai alla prassi consuetudinaria" e che "pochi possano credere realmente in una rapida e profonda revisione delle normative esistenti in Italia" suonano come espressioni di eccessiva rassegnazione e di definitiva sconfitta. Le normative - laddove necessario - possono essere riviste e, tutto sommato, una maggiore determinazione ed incisività delle forze "più attive" potrebbero consentire di giungere, in tempi ragionevolmente brevi, a qualche risultato concreto.

In questo spirito, parlando di strumenti per l'internazionalizzazione delle PMI, vorrei accentuare il tema dei "servizi" che detti strumenti possono o debbono adeguatamente promuovere; facendo riferimento all'esperienza di un costante contatto con la domanda espressa dalle imprese; considerata, non solo come individuazione della tipologia dei servizi stessi, ma anche attraverso le modalità di fruizione. Al riguardo, occorre - a mio avviso - premettere una più realistica analisi su cosa si vuole intendere per (i) internazionalizzazione, per (ii) piccole e medie imprese e, infine, per (iii) fornitura di servizi.

1 - In un Paese sostanzialmente trasformatore come il nostro, l'internazionaliz zazione dell'impresa è stata troppo a lungo interpretata prevalentemente come pura "capacità di esportare" i beni, senza tenere nel debito conto che una significativa componente del loro costo di produzione di pende anche dalla "capacità" del nostro sistema di importare, alle condizioni le più vantag giose possibili, le materie prime e i semilavorati necessari alla trasformazione stessa. Da ciò scaturisce che, ogniqualvolta si parla di internazionalizzazione, si scivoli inevitabilmente sul tema dell'export, discutendo "accanitamente" sugli strumenti e sui servizi che possano direttamente favorire la promozione e la realizzazione delle sole vendite. Tutto ciò fa anche parte di quella "cultura" che ha creato nel nostro Paese strumenti (si pensi, ad esempio, alle legge 227) e strutture (ad esempio, l'ICE) per troppo tempo rivolti allo sviluppo prevalente (se non in taluni casi esclusivo) delle esportazioni.

Ma non basta. In un contesto generale nel quale acquista sempre più rilevanza la globalizzazione dei mercati, l'internazionalizzazione dell'impresa significa anche un ampliamento della sua presenza attraverso ac cordi di cooperazione transnazionale (cessioni di know-how, co-produzioni, joint-ventures e simili) o l'accettazione di forme più complesse di scambio - quali, ad esempio, il countertrade - che spesso accorpano in sé, e in varia misura, l'import, l'export, la triangolazione commerciale o finanziaria (caso anche del debt-equity swap) e la partecipazione in iniziative societarie all'estero. Attività, queste ultime, che - contrariamente a quanto comunemente ritenuto - non riguardano solo imprese di media o di grande dimensione, ma che possono anche essere praticate dall'imprenditore medio-piccolo.

2 - In merito alla dimensione delle imprese, occorre avere il coraggio di uscire dalla generica - e talvolta addirittura pretestuosa ("uno, nessuno e centomila") - definizione di "piccola e media im presa", per distinguere fra quelle unità che non possono utilizzare strumenti e servizi all'internazionalizzazione (in quanto ne mancano i presupposti di base) e quelle che - effettivamente ed auspica bilmente - possono trarne un beneficio. Fra queste ultime vi sono poi quelle aziende che già possiedono una specifica "vocazione", o che dispongono di una esperienza, estera e quelle che, pur non avendo ancora tali requisiti, dimostrano di possedere caratteristiche tali da rendere proficua un'assistenza specifica per utilizzare gli strumenti disponibili.

Vorrei fare alcuni esempi. Vi sono talune imprese che, nonostante tutto, "pensano" ancora ai mercati esteri solo in termini di possibilità di smercio di impreviste ed inopportune giacenze ec cezionali di magazzino e che sono decise a rientrare nei loro tradizionali confini provinciali o nazionali una volta superate le vicissitudini contingenti. Ve ne sono altre che non dispongono di merceologie o di strutture adeguate ad affrontare i mercati esteri e che non intendono modificare mentalità e strategie ormai saldamente radicate in loro. Altre, infine, che sottintendono l'intervento pubblico quale forma di vero e proprio assistenzialismo, sollecitando strumenti e servizi che mantengano forzatamente in vita re altà talvolta prive di residua valenza economico-produttiva.

Per contro, vi sono realtà - anche di piccola dimensione - che, per particolare specializzazione merceologica e/o per capacità imprenditoriale, sono vocazio nalmente proiettate verso l'estero e che necessitano solo di quei sostegni strumentali e consulenziali atti a compensare talune comprensibili carenze strutturali interne. Infine, vi sono aziende "che non sanno ancora" di possedere caratteristiche tali da potersi confrontare con successo sui mercati internazionali e che necessitano degli sti moli sufficienti a farle emergere.

Quando si parla di strumenti e di servizi all'internazionalizzazione della PMI, si deve allora ne cessariamente distinguere fra imprese ed imprese, evitando di mettere una bici cletta a disposizione di chi già ne possiede una, o di chi è purtroppo privo delle gambe. A quest'ultimo potrà servire meglio una carrozzella, che dovrà essere eventualmente fornita dagli enti assistenziali preposti.

3 - Circa la domanda di servizi che viene posta dalle imprese, vorrei sottolineare i risultati di una specifica ricerca, commissionata poco più di un anno fa dal Centro Estero delle C.C. Lombarde e realizzata - in collaborazione anche con l'Associazione Nazionale Commercio Estero - attraverso due questionari inviati a circa 30.000 PMI lombarde.

Nel primo si chiedeva di quali servizi necessitassero per l'internazionalizzazione della propria attività, mentre con il secondo questionario si invitavano le imprese a rivolgere alle Trading Company richieste d'intervento su specifiche necessità operative contingenti. Ci si sarebbe aspettata una risposta quantitativamente significativa sul primo questionario e certamente minore sul secondo, anche se qualitativamente meglio definita. Invece il risultato è stato alquanto sorprendente. Hanno risposto più di 3.000 imprese e la quasi totalità di esse hanno ritornato anche il secondo que stionario, non chiedendo un intervento su specifiche operazioni, bensì ripetendo quasi all'unisono la richiesta: "aiutatemi a vendere al più presto" (spesso accompagnata dalla postilla: "... senza farvi pagare"). Si è trattato, in so stanza, di un "grido di dolore" che dimostrava: (i) la necessità di ricevere concreti interventi sul breve termine, a scapito di progetti di sviluppo a medio-lungo ter mine; (ii) l'insoddisfazione delle imprese verso quelle offerte di servizi (talvolta inspiegabilmente definiti "reali") che vengono spesso recepite come pure teoriz zazioni, alquanto distanti dalle effettive necessità e dal linguaggio corrente dell'imprenditore; (iii) la palese carenza di una specifica cultura di marketing in ternazionale. Motivazioni che si possono facilmente giustificare con la dimensione di quelle particolari aziende e con la necessità del signor Brambilla di dover stac care alla fine del mese gli assegni per pagare gli stipendi dei suoi dipendenti e le fatture dei fornitori, di provvedere a riparare o sostituire i macchinari inefficienti, di ottemperare alle innumerevoli richieste imposte dalle normative vigenti, ecc. Ecco che, allora, la domanda di aiuto si concretizza - ad esempio - nel bisogno che qualcuno procuri (possibilmente free of charge) dei validi agenti o rappresentanti all'estero, in grado di raccogliere al più presto cospicui e vantaggiosi ordini di vendita.

Sembrerebbe altresì curioso notare come, in un contesto istituzionale in cui ope rano una pluralità di enti dichiaratamente strutturati per fornire "servizi" alle PMI, permanga in queste ultime una così ampia domanda di assistenza di tipo "elementare" e una così palese indisponibilità verso il pagamento di consulenze specialistiche. In effetti, si è creata, nel tempo e in taluni ambienti, la convinzione (favorita anche da una certa forma di ostentato "garantismo pubblico") che tutto debba essere fornito a tutti; alimentando - per contro - il pretesto che "ciò che è gratuito, vale poco o niente".

L'offerta di servizi all'internazionalizzazione esistente sul mercato si indirizza, in linea generale, lungo tre grandi filoni: (i) quella generata da strutture di matrice pubblica, (ii) quella di tipo associativo o semi-pubblico e (iii) quella con caratteri stiche privatistiche. Il tutto, in una pluralità di enti che spesso "dichiarano" di for nire assistenza a 360 gradi, pur non disponendo sempre delle strutture né delle professionalità in grado di rispondere alle effettive domande delle imprese. Domande che, come si è visto, sono a loro volta spesso imprecise e talvolta addi rittura poco razionali.

Il comune imprenditore è letteralmente frastornato dall'offerta di assistenza, dall'eccesso di "informazioni" disponibili, da inviti a convegni, seminari, corsi, partecipazione a missioni, ecc. Momenti d'incontro in cui spesso gli intervenuti "parlano" delle PMI con un linguaggio che non è di queste ultime. E, ad un certo punto l'imprenditore medio o piccolo è portato inevitabil mente a "fare di tutte le erbe un fascio", assumendo un atteggiamento alquanto scettico nei confronti dell'intero "sistema". Non capisce, ad esempio, perché enti che magari appartengono alla stessa matrice, e che operano sulla stessa piazza, dichia rino di fornire analoghi servizi.

Uno dei problemi che - a mio avviso - motivano questo stato di insoddisfazione ri siede, come più volte accennato, anche nella "differenza di linguaggio" (alcuni preferiscono definirla "culturale") spesso esistente fra l'offerta di servizi e la domanda della PMI. Il signor Brambilla usa un suo particolare "linguaggio", nato nel contesto imprenditoriale in cui opera e fatto di cose semplici e concrete, avulse dall'approccio - spesso troppo teorico - espresso da persone che dispongono di una indubbia preparazione accade mica o nozionistica, ma spesso distante da quell'esperienza che nasce e che si costruisce "sul campo", operando quotidianamente nel commercio internazionale. Valgano, a questo proposito, alcune indicazioni. Appare, ad esempio, poco credibile chi insista nello spie gare il contenuto di talune provvidenze regionali, nazionali, comunitarie o trans nazionali, allorquando non ponga le necessarie riserve sulle effettive risorse che con sentano o meno di accedere - in quello specifico momento - agli interventi previsti; o sulle obiettive difficoltà procedurali insite nell'ottenimento dei benefici indicati nelle norme stesse. Ancora, è altrettanto poco credibile colui che si offre di for nire consulenza operativa all'interscambio quando dimostra di non conoscere la differenza fra un CIF e un FOB, fra un credito documentario "confermato" e uno "non confer mato" o, al limite, fra un pagherò e una cambiale-tratta. Un altro esempio riguarda la partecipazione alle gare di appalto o di fornitura originate o assistite da enti di sviluppo nazionali o internazionali. Spesso vengono diramate all'impresa infor mazioni su bandi di gara che sono stati emessi con la richiesta di presentare tas sativamente le relative offerte entro 15-30 giorni. L'imprenditore sa ormai benis simo che: (i) quando il bando di gara viene pubblicato, gran parte dei "giochi" (pur intesi in senso buono) sono già fatti e la sua probabilità di successo è certamente ridotta; (ii) manca materialmente il tempo necessario a chiedere ed ottenere le specifiche tecniche previste dal bando, tradurle, esaminarle e valutarle, nonché predisporre l'offerta e inoltrarla in tempo utile a destinazione.

L'imprenditore, anche se piccolo, queste differenze "di linguaggio" le avverte istin tivamente e sono spesso sufficienti per creare in lui una, seppur soggettiva, valu tazione sull'interlocutore del caso.

In sostanza, l'offerta di servizi viene troppo spesso intesa dagli enti eroganti come "puro trasferimento di informazioni" e non come vera e propria "assistenza ope rativa" all'impresa. E, d'altro canto, non è sempre compito di questi enti surrogare funzioni tipicamente aziendaliste.

Da un'altra recente indagine, condotta presso le PMI lombarde e piemontesi, è emersa anche l'esigenza di queste ultime di essere "accompagnate", non solo nella ricerca di nuovi mercati (ad esempio, attraverso la partecipazione alle principali manifestazioni espositive estere), ma anche nel conseguente follow-up negoziale e operativo.

L'informazione ha fatto negli ultimi anni passi da gigante, utilizzando tecnologie informatiche e di telecomunicazione estremamente avanzate, ma ciò ha anche determinato un'ulteriore divaricazione delle punte della forbice fra ciò che è disponibile e ciò che l'impresa è in grado di percepire e di utilizzare. La "formazione" non ha, purtroppo, accompagnato di pari passo "l'informazione". E così, la differenza di "linguaggio" si sta vieppiù accentuando, staccando i vagoni di coda - che continuano il loro viaggio a velocità ridotta - rispetto alla locomotiva che prosegue imperterrita la sua corsa verso quel "deserto dei Tartari" di buzzatiana memoria.

Milano, 7 settembre 1994