Serve la promozione

Articolo pubblicato su "Sistema Italia" n.2 del 15 gennaio 1994

cod.: SIS.94.02.MKT.0

Riesce alquanto curioso osservare come il nostro Paese, che ospita con una certa frequenza e generosità delegazioni straniere desiderose di promuovere investimenti italiani nei loro mercati, si sia dimostrato - a sua volta - piuttosto restio a sollecitare investimenti produttivi esteri in Italia. Qualcuno potrebbe far rilevare che sarebbe forse illogico, o addirittura irriguardoso, per quella che veniva sino a poco tempo fa definita una delle prime potenze economiche mondiali, stimolare, in via istituzionale, gli imprenditori stranieri a creare nuove industrie o a stipulare accordi di joint-venture sul nostro territorio. Ma, allora, come si spiega che Paesi altrettanto sviluppati - o forse più del nostro - lo fanno da anni, senza alcuna riserva ma, anzi, con precise strategie e metodologie di lavoro? E non sarebbe del tutto assurdo ritenere che le cautele verso una promozione istituzionale dell'invest in Italy siano state suggerite dal timore di causare un danno all'imprenditorialità nazionale, o di favorire l'ingresso di troppo agguerrite multinazionali straniere. Un'altra ipotesi potrebbe riferirsi alla eventuale convinzione, peraltro da meglio dimostrare, che il nostro Paese non sia sufficientemente "ricettivo" o, quanto meno, "conveniente" agli occhi dell'investitore straniero. Sotto questo profilo, gli argomenti di riflessione e di autocritica potrebbero essere molteplici, ma non è certo che - fatto il lungo inventario delle "cose che non vanno" - il nostro Paese non possa disporre di elementi positivi, capaci di stimolare l'interesse degli imprenditori stranieri. Qualunque possa essere la motivazione di tutto ciò, resta comunque il fatto che le installazioni di imprese estere in Italia - nonostante tutto alquanto numerose - sono state sinora per lo più il frutto di iniziative maturate a livello bilaterale fra le singole imprese/gruppi e certamente non conseguenti a piani di sviluppo programmati e indirizzati verso specifici settori o aree di particolare convenienza strategica. Anche i pochi tentativi avviati a livello di singola regione hanno avuto caratteristiche per lo più episodiche o sono sorti quali iniziative di partenariat nel quadro dei piani di sviluppo sostenuti dalla Comunità Europea (programmi Interprise, o simili). Per contro, si parla in continuazione della urgente necessità di creare diversificazioni produttive per le aziende in difficoltà, di salvaguardia dei livelli occupazionali e di strategie alternative per superare la crisi congiunturale in atto. Un case-study degno di esame, e a noi molto vicino geograficamente, economicamente e culturalmente, riguarda la Francia; un Paese che da tempo persegue con metodo, e con strutture di promozione adeguate, l'obiettivo di attrarre investimenti produttivi stranieri nelle diverse realtà regionali, dipartimentali o comunali. Insediamenti che vengono ben indirizzati, con incentivi opportunamente differenziati, verso le aree/settori di maggior interesse per l'economia particolare o generale del Paese. E, soprattutto, che vengono discretamente "pilotati", attraverso un sistema di promozione attento a non creare motivi di turbamento nel delicato equilibrio delle realtà produttive esistenti. Così, ad esempio, qualsiasi straniero è libero - nel rispetto delle normative vigenti - di creare una nuova società nel Paese transalpino, dove e come vuole; ma se desidera collocare una specifica attività in un'area/settore ritenuti di particolare significato per il Paese, Regione, Dipartimento o Comune, ecco che allora gli si offrono particolari vantaggi che non potrebbe ottenere diversamente. Incentivi che si concretizzano nell'offerta di immobili a condizioni preferenziali, di mutui agevolati, di alleggerimenti fiscali, di "contratti di formazione" del personale particolarmente favorevoli, di pépinières attrezzate per la fase di avvio dell'attività, di un'assistenza professionale precisa ed attenta. Non una sorta di "Cassa del Mezzogiorno" di triste memoria, bensì una incentivazione concreta, mirata alla realizzazione di attività che creino nuovi posti di lavoro e che colmino gli squilibrî strutturali esistenti. Ma, ci si potrebbe ancora chiedere, perché i nostri cugini d'oltralpe favoriscono sino a questo punto l'ingresso di capitali e di imprenditoria straniera? La risposta non é difficile. Perché, in questo modo, sono in grado di effettuare loro stessi, e per tempo, le scelte che più si adattano al modello di sviluppo sperato, ponendo un freno naturale ai condizionamenti che potrebbero invece giungere dall'esterno di fronte a un cedimento (leggi: svendita) strutturale del sistema o di una sua parte. Scelte che riguardano i partners/Paesi, le aree e, come detto, gli specifici settori produttivi. E l'esempio francese non é unico nel contesto internazionale, anche se si distingue per le sue caratteristiche di pragmatismo e organizzative, peraltro velate da una crescente concorrenzialità fra le stesse diverse Regioni del Paese, che "fanno a gara" per primeggiare nell'offerta degli incentivi e nei risultati ottenuti. D'altro canto, l'Europa delle Regioni avanza a rapidi passi e tutti ormai abbiamo compreso che, prima o poi, installare un'unità produttiva a Barcellona, a Liegi o in qualsiasi altra località della Comunità sarà molto simile, almeno dal punto di vista geo-politico, a quanto capitava, sul finire della prima metà dell'800, a un'imprenditore di Biella o di Cantù che decideva di creare una fabbrica a Macerata o a Trapani. Oggi, come allora, le differenze non sono più condizionate dal permanere delle barriere di confine, bensì soltanto dal diverso grado di convenienza esistente nelle varie aree. Tornando ai giorni nostri, si rileva come il sistema Italia (a livello nazionale, regionale, provinciale o comunale) non abbia ancora sufficientemente valutato le possibilità e i vantaggi insiti in una precisa strategia promozionale dell'invest in Italy e rischia, così, di arrivarvi buon ultimo, accontentandosi di raccogliere le briciole. Certamente la sola attività di promozione non basterebbe, se non fosse accompagnata da una serie di concreti appeals (maggiore certezza normativa, snellimenti burocratici, rafforzamento delle infrastrutture, incentivi allo sviluppo produttivo, ecc.) in grado di migliorare quella "ricettività" e quella "convenienza" cui si faceva cenno più sopra.

11 novembre 1993