Compensazione per le Pmi

Articolo pubblicato su "Sistema Italia" n. 32-33 del 3 settembre 1994

cod.: SIS.94.32.COM.0

Agli inizi degli anni '80, sotto l'effetto delle alterne vicende petrolifere succedutesi dal 1973 in poi e della crisi finanziaria che aveva pesantemente colpito i mercati internazionali, si temeva da più parti che il multilateralismo negli scambi avesse vita breve e che il baratto prendesse il sopravvento - seppure sotto forme più sofisticate di transazioni compensative - riportando indietro di qualche millennio la storia degli scambi.

Il comune operatore cominciò, allora, a prendere dimestichezza con nuovi termini tecnici, quali: countertrade, offset, buy-back, parallel deal, switch, swap, escrow accounts, ecc., mentre anche i Paesi più in difficoltà si illudevano di poter risolvere i loro problemi offrendo in compensazione i prodotti più svariati. Nel frattempo, qualcuno - più saggiamente - sostenne che il baratto non avrebbe potuto sconfiggere la moneta, in quanto la moneta era stata proprio creata per sconfiggere il baratto.

Superata la fase critica, e in un certo senso più euforica, il countertrade è stato incanalato in una dimensione più ragionevole e più concreta, di cui ne è chiara testimonianza la panoramica mondiale contenuta in questo stesso numero di "Sistema Italia".

Dall'esame delle varie situazioni-Paese, emergono infatti alcuni interessanti elementi di riflessione. In primo luogo, sono ormai pochi i Paesi che impongono il regolameno compensativo come condizione sine qua non per acquistare prodotti dall'estero e, parallelamente, sono altrettanto pochi quelli che hanno mantenuto in vigore precise normative in materia di countertrade.

In molti mercati la compensazione rimane pressochè allo stato di pura enunciazione teorica, in quanto non esistono sufficienti disponibiltà di prodotti realmente "compensabili", o sono previste complesse pratiche burocratiche che ne rendono difficile la realizzazione.

Un secondo aspetto riguarda la tipologia e la dimensione dei singoli scambi. Ma, a questo punto, è forse opportuno introdurre una importante considerazione. Quando si parla di countertrade in termini di iniziative che possono interessare l'operatore medio o medio piccolo, occorre fare astrazione da tutte quelle transazioni che, come si suol dire, "volano troppo alto" sulla testa degli operatori stessi. Gli accordi intergovernativi in materia di rifornimenti energetici, il countertrade applicato alle grandi opere civili e le compensazioni (offset) riguardanti i sistemi di difesa o gli armamenti in genere, sono tutte forme di interscambio compensato che ubbidiscono più a strategie di tipo politico, o a meccanismi messi in atto da importanti imprese internazionali, che non a normali prassi commerciali di tipo corrente. In altri termini, si tratta di operazioni che poco hanno a che fare con l'imprenditore che vuole vendere un qualsiasi macchinario, impianto o bene di consumo, e che non può farsi pagare se non con una compensazione in prodotti esteri. Se, quindi, nell'ottica della PMI escludiamo anche quel tipo di maxi-operazioni, vediamo come il countertrade sia uno strumento tuttora praticato e praticabile anche per la media e per la piccola impresa, ma con criteri certamente più selettivi di quelli che avevano caratterizzato i momenti di maggior entusiasmo. In sostanza, più che di compensazione occorre ora parlare di cooperazione, laddove i due interlocutori principali - il venditore del cosiddetto "bene primario" e il suo cliente estero - cercano di realizzare l'obiettivo del loro incontro con strumenti negoziali che superino le difficoltà contingenti, originate da una carenza di liquidità valutaria, dalla scarsa appetibilità del prodotto compensativo, dalla difficoltà di acquisizione di nuovi mercati, ecc.

E, non a caso, i mercati che si dimostrano più attivi nel portare a termine questo tipo di operazioni sono la Cina ed alcuni Paesi dell'ex Comecon. Più che imporre tout court uno scambio compensativo a regolamento delle loro importazioni, gli operatori di quei Paesi chiedono che si collabori attivamente con loro, fornendo i beni di cui necessitano ed aiutandoli a ripagarli, attraverso il riacquisto dei prodotti finali (buy-back), l'assorbimento di prodotti che non sono in grado di vendere nei Paesi ad economia di mercato consolidata, o - in molti casi - gestendo in comune le nuove iniziative che loro stessi intendono avviare (joint-venture).

E', come detto, una proposta di cooperazione internazionale basata su ragioni ben più comprensibili e concrete di quelle che, negli anni '80, avevano spinto - ad esempio - le Filippine di Ferdinando Marcos ad offrire in compensazione quantitativi inesistenti di zucchero per ripagare la costruzione di faraonici palazzi destinati soprattutto a tramandare nel tempo l'immagine di quel personaggio.

Per contro, occorre rilevare che in talune aree dell'ex blocco comunista la frantumazione - e in molti casi la totale scomparsa - di un rigido meccanismo centralistico e pianificato che per decenni aveva più o meno regolato i flussi produttivi e commerciali, coinvolgendo l'intero "sistema", impone ora alla nuova imprenditoria locale la necessità di operare con le sole proprie forze, dibattendosi in una miriade di problemi che certamente non agevolano la conclusione delle transazioni commerciali.

Chi opera abitualmente con questi Paesi é testimone di una lunga serie di difficoltà incontrate lungo il cammino: dalle differenze "culturali" fra i vari interlocutori alle incertezze circa l'effettiva disponibilità e qualità dei prodotti offerti in contropartita; dalla insicurezza delle norme esistenti alle carenze nei sistemi infrastrutturali (comunicazioni, trasporti, ecc.).

La compensazione continua a non essere "uno sport per dilettanti" ed il ricorso agli specialisti del settore consente, in molti casi, di limitare i rischi e di non subire i contraccolpi di quella che potrebbe apparire come una semplice chiave di volta per l'ampliamento di taluni mercati.

Milano, 25 luglio 1994