Multinazionali e piccole e medie imprese: il contributo alla crescita
Convegno Assolombarda, Milano, 28 ottobre 1996

Come creare un'efficace politica di attrazione

Cod.: ASS.96.XX.MKT.1

Ritengo opportuno, innanzi tutto, spaccare in due il titolo del tema che mi è stato proposto, distinguendo fra la

(i) definizione di una politica e la conseguente creazione di una
(ii) metodologia operativa che attui tali politica per il conseguimento degli obiettivi attesi.

Si tratta di una precisazione che si rende necessaria trovandoci di fronte a un Paese che, pur registrando volumi d'investimento estero produttivo di un certo interesse, ha trascurato per lungo tempo di definire una sua "politica"; lasciando completamente all'iniziativa privata il compito di effettuare scelte del tutto autonome, secondo criteri di convenienza strettamente individuale. "Definire una politica" non dovrebbe comunque significare "imbrigliare", o comunque limitare, l'iniziativa privata; bensì favorirla con strumenti che ne integrino e ne esaltino l'operatività e l'efficacia.

Altri Paesi, altrettanto o forse ancor più industrializzati del nostro, hanno avuto l'accortezza di partire molto tempo prima di noi e se ciò fornisce loro un vantaggio non indifferente, potrebbe comunque consentire "agli ultimi arrivati", di trarre vantaggio dalle esperienze dei primi e, soprattutto, di evitare di incappare in incidenti di percorso, peraltro facilmente individuabili.

Sulle politiche e sulle azioni di attrazione degli investimenti esteri attuate dai Paesi più significativi esiste ormai da tempo un'abbondante letteratura, comprendente, fra gli altri, i rapporti realizzati sistematicamente dal CNEL con la collaborazione di RP di Torino. L'ombrello, quindi, esiste e non sarebbe più il caso di inventarlo ex-novo, ma semplicemente di adattarlo alle specifiche esigenze della nostra realtà economica.

Agli inizi del 1993, con un'azione certamente coraggiosa, l'allora Ministro del commercio estero Baratta era riuscito a far destinare 30 miliardi del bilancio statale in favore della promozione degli investimenti esteri in Italia .

Si era trattato di una cifra modesta ma pur sempre significativa, almeno per avviare un'iniziativa da tempo attesa, in quanto il nostro Paese, come detto, aveva da sempre brillato per la sua totale assenza nell'attrazione di nuovi insediamenti produttivi. Non è certamente questa la sede per ricercare le eventuali "cause" di tale comportamento assenteista, ma considerate appunto le esperienze da tempo maturate in altri Paesi, occorreva far sì che questa coraggiosa iniziativa italiana non si risolvesse in un semplice episodio sporadico e, soprattutto, che non venisse soffocata dalle ormai abituali sabbie mobili del nostro apparato politico-amministrativo.

Speranza, quest'ultima, rivelatasi presto del tutto illusoria.

Innanzi tutto, già la regolamentazione diramata per la destinazione e l'utilizzo dei fondi denunciava le contraddizioni e le superficialità dello schema di base, allorquando - ad esempio - limitava gli interventi ai soli insediamenti industriali e nei confronti delle sole cosiddette aree attrezzate.

Inoltre, non teneva conto del fatto che prima ancora di promuovere all'estero l'investimento nell'area x, situata nella regione y, occorre promuovere il "Paese Italia", dedicandovi le necessarie risorse e una struttura apposita. Sul modello, se non vogliamo andare troppo lontano, della DATAR francese, della quale abbiamo oggi qui con noi un qualificato esponente.

Ancora, non si può ragionevolmente pensare che di fronte alla richiesta di un investitore estero interessato all'insediamento di una catena di supermercati, di uno studio di ingegneria o di un interporto merci, e presentatosi ai promotori dell'area xy, questi ultimi debbano, loro malgrado, rispondere: «spiacenti; ma siamo autorizzati a promuovere solo le specifiche aree di cui disponiamo e, comunque, solo per destinazioni strettamente manifatturiere».

Così facendo, l'investitore estero se ne va da un'altra parte, dove forse trova interlocutori più disponibili. E' come se un concessionario di una casa automobilistica venisse messo in condizione di attuare le sua azioni commerciali con un solo modello di autovettura, magari con la carrozzeria di un solo colore.

Questa, indubbiamente, non può essere definita un'efficace politica.

Infine, la normativa italiana, mettendo in moto un meccanismo di selezione delle aree, nonché di aggiudicazione e di controllo dei fondi disponibili (in parte giustificato dalla circostanza che l'Italia era nel pieno di Tangentopoli), di tipo che non esito a definire bizantino, ha di fatto stroncato sul nascere molte delle attese che si erano create sul progetto e sui suoi sviluppi.

Una proficua politica di attrazione degli investimenti esteri destinati ad attività produttive comporta la messa in atto di alcune metodologie ormai collaudate da tempo e che, con le necessarie varianti, non si discostano molto da quelle che una qualsiasi azienda attua per "lanciare sul mercato" una sua linea di prodotto. Definito il prodotto, occorre vestirlo con un adeguato packaging e, quindi, farlo conoscere al "mercato" con un'efficace azione di marketing strategico ed operativo.

Confezionare il prodotto significa, nella fattispecie, anche corredarlo di tutte quelle facilitazioni/incentivi che possano impreziosirlo in senso concreto, non limitandosi ad enunciare un'arida lista di provvedimenti agevolativi, bensì indirizzando l'investitore verso ciò che gli può essere effettivamente offerto (tenuto conto della sua particolare specificità) ed assistendolo nell'utilizzo di tali benefici.

Ma per fare tutto ciò occorre anche disporre di strutture professionalmente preparate, sia nella fase promozionale che nelle successive azioni di accoglienza e di assistenza, nonché di risorse economiche e temporali adeguate. L'esperienza infatti insegna che, non considerando la pur sempre possibile casualità, il ritorno concreto di un'azione pubblica di promozione non può manifestarsi nel breve termine e, neppure, basandosi sull'improvvisazione.

Tornando alla legge Baratta, occorre ricordare che delle 26 richieste d'intervento presentate da altrettante "aree attrezzate" sparse su gran parte del territorio nazionale, solo 13 sono state giudicate eligible dalla Commissione appositamente costituita e, con questa prima decurtazione (cui si è aggiunta anche una seconda riduzione all'interno delle cifre di spesa previste dai singoli progetti approvati ), i 30 miliardi originariamente disponibili si sono ridotti a poco più di 8 , da essere tassativamente utilizzati entro il 31 dicembre 1995, senza alcuna certezza aprioristica di un possibile rifinanziamento o di una auspicabile proroga che dessero un minimo di continuità alle varie azioni promozionali. E' curioso notare come siano trascorsi più di 25 mesi fra la promulgazione della legge e l'assegnazione dei fondi, mentre è stato lasciato un termine inferiore a 12 mesi per attuare i programmi di promozione!

Per inciso, l'unica "proroga" successivamente concessa ha semplicemente fatto slittare al 31 dicembre 1996 la possibilità di utilizzo dei fondi assegnati ai soli progetti già approvati. E di eventuali "rifinanziamenti" non se ne sente più parlare; particolarmente a livello centrale.

Le normative emanate in merito all'utilizzo dei fondi e alla rendicontazione delle spese hanno anche fatto sì che si innescasse un complesso meccanismo amministrativo-burocratico che ha portato - in pratica - alla autoesclusione di alcuni soggetti beneficiari dei fondi, riducendo l'effettivo utilizzo dei 30 miliardi originari, o degli 8 assegnati, a forse poco più di 4-5 miliardi effettivi.

Si è trattato, a ben guardare, di un'altra occasione che dimostra come l'Esecutivo e il sottostante apparato istituzionale possano, nel bene o nel male e con provvedimenti formalmente ineccepibili, esercitare una "loro politica" che può anche stravolgere le finalità, altrettanto "politiche" espresse dal Legislatore.

Una cifra che, in definitiva, è stata usata centellinando le risorse e lottando contro il tempo, in iniziative di tipo piuttosto scoordinato e discontinuo gestite da una pluralità di enti e che hanno altresì costretto taluni soggetti a curare in modo forse eccessivo gli aspetti contabili-amministrativi relativi alla rendicontazione delle spese.

La differenza di circa 25 miliardi che si era resa così disponibile, anziché finire, come si suol dire "in fanteria", e cioé verso destinazioni che nulla hanno a che fare con l'attrazione di investimenti esteri, avrebbe potuto essere lasciata alle finalità originali della legge stessa, e si sarebbe rivelata più che sufficiente a rifinanziare per almeno un paio d'anni ancora i progetti in corso, nonché a costituire e rendere operativa quella cabina di regia centrale che avrebbe potuto indirizzare le singole aree attrezzate (e talvolta anche le relative strutture di supporto regionali o locali) verso una razionalizzazione e una armonizzazione dei loro interventi

Invece, la mancanza di un tale strumento ha consentito che ciascun soggetto operativo attuasse con criteri prettamente soggettivi il concetto di promozione, disperdendo le già scarse risorse disponibili in iniziative che in taluni casi hanno lasciato ben poca traccia dietro di sé.

Nell'immaginario collettivo resta comunque ancora la convinzione che siano stati utilizzati per questo progetto 30 miliardi di lire.

Se la legge Baratta ha comunque avuto il grande merito di fare da "apripista" su un tema di così rilevante importanza, l'individualismo che caratterizza il nostro Paese ha successivamente favorito la nascita, qua e là, di altre strutture di promozione e di sviluppo (Consorzi, Poli, ecc., destinatari anche di altri fondi, comunitari, regionali o locali), che sono salite sul palco con propri strumenti, suonando ciascuna una propria melodia e senza che un direttore d'orchestra potesse armonizzarli in base ad un comune spartito.

La tanto auspicata "cabina" sembra comunque ancora ben di là da venire , mentre - a causa della crisi in atto - si moltiplicano a dismisura le disponibilità di aree dismesse, in via di dismissione o da riconvertire, con palesi ed inevitabili conseguenze anche in termini occupazionali. Senza dimenticare che allo stato attuale non risulta essere disponibile una mappatura attendibile e concretamente utilizzabile di tali aree.

Chi vi parla ha avuto modo, in questi ultimi anni, di maturare una significativa esperienza nell'azione "pubblica" di attrazione degli investimenti produttivi, gestendo la promozione in Italia di una importante realtà regionale francese , i cui responsabili hanno dimostrato di possedere una politica, una metodologia, nonché le necessarie conseguenti risorse; che vengono impiegate con la costante attenzione ai risultati.

Da queste esperienze non è difficile ricavare una sintesi di ciò che serve per creare un'efficace politica di attrazione, e cioé:

€ un preciso orientamento politico-strategico basato, anche e forse soprattutto, su una precisa conoscenza dei meccanismi che governano questo tipo di iniziative;
€ la messa in funzione di un sistema pubblico che operi armonicamente verso obiettivi comuni, sinergizzandosi con le iniziative di natura privatistica che già autonomamente svolgono azioni similari;
€ la consapevolezza che i risultati "a breve" possono giungere solo dalla sporadicità e dalla casualità, mentre quelli "a medio-lungo termine" si ottengono con la determinazione, con la sistemicità e con la costanza delle azioni;
€ il superamento degli ostacoli, talvolta anche di tipo solo psicologico , che si frappongono alla promozione e all'insediamento di nuove realtà produttive, siano esse industriali, commerciali o nel campo dei servizi.

Tutto ciò lascia comunque ancora un margine di speranza (disponibilità dei bilanci permettendo) per una revisione in senso più pragmatico delle iniziative da essere attuate in questo delicato comparto.

Nonostante le prospettive di un ulteriore rafforzamento della nostra moneta (che, da un lato, possono rendere meno interessanti gli investimenti esteri rispetto a un recente passato e, per contro, possono rivitalizzare gli investimenti italiani all'estero), il nostro Paese continua a presentare indubbie caratteristiche di attrazione (il mercato, le infrastrutture produttive, la collocazione geo-economica, gli aspetti ambientali, ecc.) che, se ben dirette e promosse, possono ancora far conseguire interessanti risultati.

Note:

- D.L. 25.3.1993, n. 78, convertito nella legge del 20.5.1993, n. 156
- Istituita da Mincomes con D.M. 16.3.1994. E' solo il caso di sottolineare che uno dei 13 progetti approvati dalla Commissione era stato predisposto anche con il contributo fornito dall'estensore della presente e che già in tale documento venivano chiaramente suggeriti i termini (auspicabili) di una seria azione di promozione degli investimenti esteri.
- L'accoglimento è stato basato su percentuali varianti dal 60 al 70% del totale proposto.
- Per l'esattezza: 8.434.526.850 lire, come evidenziato, a conclusione dei lavori, nel D.M. di Mincomes (Ministro Giorgio Bernini) del 16.12.1994
- Non è il caso qui di ricordare, ad esempio, le interminabili vicende connesse al tema della "Riforma dell'ICE" e del sistema di promozione allo sviluppo internazionale delle attività imprenditoriali italiane.
- Si tratta della Regione Toulouse-Midi Pyrénées, per la quale opera - a livello di coordinamento locale, di organizzazione e di monitoraggio della rete estera - l'Ente Regionale Midi Pyrénées Expansion.
- L'accanimento del dibattito politico, e la conseguente grancassa giornalistica, tendono spesso, seppure involontariamente, a scoraggiare gli investitori stranieri, dipingendo costantemente un Paese ad elevato grado di "rischio".
- A ciò si aggiungono ancora alcuni residui di quella discutibile convinzione che faceva ritenere dannoso qualsiasi nuovo insediamento produttivo straniero, visto come "pericoloso concorrente" dell'industria nazionale.