Seminari ADAPT

Milano, 8 gennaio 1998

cod.: ADA.98.XX.MKT.O

Ricerca di nuovi mercati esteri, penetrazione e consolidamento della presenza commerciale per imprese di piccola o di media dimensione operanti in settori diversi da quelli dei beni strumentali, della componentistica industriale o dei prodotti di largo consumo.

Alcune considerazioni preliminari

Il tema dell'internazionalizzazione delle imprese minori, intesa sotto il profilo delle esportazioni, è stato ed è oggetto di una pluralità di studi e di ricerche che hanno ormai pressoché sviscerato l'intera materia, fornendo spesso talune "ricette" o auspicando soluzioni che, tuttavia, non sempre trovano un adeguato riscontro nella realtà operativa delle imprese stesse.

Per quanto riguarda, in particolare, le imprese impegnate in produzioni diverse da quelle dei beni strumentali, della componentistica industriale o dei prodotti di largo consumo, e che sono spesso caratterizzate da una forte componente di variabilità, dovuta anche a fattori legati alla cultura e alle tradizioni locali, ai "gusti" e alle "mode", nonché a una forte concorrenza dei Paesi emergenti, il problema si pone in termini ancora più complessi.

Tali imprese, già per loro stessa natura, dispongono di una struttura che non sempre può adeguarsi alle esigenze di attuazione di un vero e proprio marketing internazionale, sia esso inteso sotto il profilo puramente strategico che sotto quello operativo, ma ciò non ostante, la loro esigenza di internazionalizzazione rimane elevata ed occorre quindi individuare quegli strumenti che - nel rispetto dei vincoli dimensionali e merceologici sopra accennati - possano fornire una risposta soddisfacente.

Dagli studi e dalle ricerche cui si è fatto cenno più sopra, è emerso un elemento comune che caratterizza in questo tipo di imprese l'inizio della loro "apertura" verso un mercato sempre più globale o, per meglio dire, l'inizio della loro attività di esportazione: la partecipazione a mostre e fiere di livello internazionale.

Una partecipazione che tuttavia, in parecchi casi, mostra alcuni punti di debolezza, allorquando il "successo" è acquisito in forma prevalentemente passiva (l'occasionalità del visitatore straniero che "compera", che ordina i prodotti o che si offre di rappresentarli) senza che vi sia stata, o che vi sia, a monte e/o a valle, un'attività preordinata e sistemica di promozione e di sviluppo. In buona sostanza, in questi casi i prodotti "vengono comprati dall'estero" anziché "essere venduti all'estero".

E' pur vero che il risultato si esprime sempre sotto forma di "vendite" e, quindi, di "esportazioni", ma in assenza di una forma "attiva" di promozione e di consolidamento del mercato estero, tale risultato corre il rischio di assumere l'aspetto di una "casualità", troppo esposta alle future e sempre possibili libere scelte del compratore.

Un secondo elemento comune che emerge dalle ricerche di cui sopra, consiste nella partecipazione di molte PMI a missioni commerciali all'estero, organizzate da strutture pubbliche o associative e finalizzate all'esportazione dei prodotti nazionali. Anche in questo campo si sono riscontrati vari casi di successo, ma anche qualche delusione, soprattutto quando non è stato assicurato, dagli stessi organizzatori della missione o dalle imprese partecipanti, un adeguato follow-up dei più significativi contatti stabiliti con le potenziali controparti estere.

Ben diverso è il caso di missioni organizzate o partecipate da taluni Consorzi Export, soprattutto di tipo monosettoriale, che - per loro stessa natura - possono assistere le imprese in tutte le esigenze del pre o del post missione.

E' opportuno qui ritornare sul concetto della capacità dell'impresa di dare un adeguato seguito alla pluralità dei contatti che si vengono a creare nel corso delle manifestazioni espositive o delle missioni all'estero. Non è infatti infrequente il caso che al termine di tali eventi l'imprenditore si ritrovi fra le mani un plico di biglietti da visita di cui non sappia più che farne, sia per il modesto significato che gli stessi apparentemente rappresentano e sia per la "mancanza di tempo" che solitamente assilla l'operatore stesso. E' evidente che non tutti i contatti meritino necessariamente un seguito, ma è altrettanto vero che "nel mucchio" potrebbe esserci qualche opportunità sulla cui effettiva valenza sarebbe opportuno dedicare un minimo di attenzione.

Da queste pur sommarie considerazioni preliminari emergono alcuni spunti di riflessione:

- La partecipazione alle mostre e fiere internazionali, nonché alle missioni all'estero, può essere considerata "una buona base di partenza" e "una opportuna forma di continuità per il mantenimento dell'immagine", senza tuttavia assicurare, di per sé stessa, una forma stabile di presenza sui mercati d'interesse.
- L'internazionalizzazione (allorquando conveniente e/o possibile per l'impresa, in funzione di una serie di valutazioni anche di tipo soggettivo che tengano conto della dimensione aziendale, del tipo di prodotto, della capacità produttiva e innovativa, ecc.) dovrebbe essere percepita in termini di strategia di sviluppo, e non soltanto in veste di "opportunità occasionale".
- Per attuare una strategia di sviluppo dei mercati internazionali occorre percorrere un iter che passa necessariamente attraverso:
€€l'analisi del mercato;
€€l'identificazione delle possibili forme di presenza;
€€la predisposizione degli strumenti di comunicazione, promozione e pubblicità;
€€il controllo sistemico dei risultati e l'attuazione di eventuali misure correttive.

L'analisi del mercato

Capita talvolta che la presenza di un'impresa e dei suoi prodotti in un mercato estero derivi da un evento, per così dire, casuale, quale la visita un compratore straniero allo stand, la risposta a un'inattesa richiesta giunta dall'estero, il "passaparola" di un'azienda con cui si è in rapporti d'affari, l'opportunità offerta da una pubblicazione giunta in azienda o "scaricata" da Internet, ecc. Si tratta, in ogni caso, di sollecitazioni che possono risultare utili, ma che non garantiscono alcuna forma di continuità se non sono seguite da specifiche azioni di consolidamento che possano derivare solo da un esame più accurato del Paese in questione e delle sue potenzialità di sviluppo.

La particolare tipologia di prodotto qui considerata dovrebbe comportare un'analisi del mercato in cui si intenderebbe operare, e che valuti (l'elenco non è comunque esaustivo):

€ la consistenza quantitativa (popolazione, sua composizione e suo tasso di crescita) e qualitativa (livello di sviluppo, capacità di reddito e di spesa, usi e costumi, ecc.) del target finale cui ci si intende rivolgere;
€ la struttura della produzione (concorrenza interna), delle importazioni (concorrenza straniera) e della distribuzione (esistenza di centrali o di particolari gruppi d'acquisto, canali e modalità di distribuzione, caratteristiche e consistenza dei punti di vendita, ecc.);
€ gli usi e le normative riguardanti l'importazione (eventuali licenze, dazi, dogane, ecc.);
€ le legislazioni vigenti per la tutela di marchi e di brevetti, per i rapporti con gli agenti e i rappresentanti, per la trasferibilità delle valute, per il recupero dei crediti, ecc.;
€ l'eventuale possibilità di operare in joint-venture con strutture locali per la produzione in loco dei beni o di parti di essi.

Tale analisi potrà essere effettuata utilizzando risorse proprie dell'impresa (facendo ricorso all'ampio materiale informativo disponibile o facilmente reperibile tramite l'ICE, il Sistema Camerale, le banche-dati, ecc.), oppure affidando l'incarico a strutture specialistiche.

Identificazione delle possibili forme di presenza

Sulla base di quanto emerso dall'analisi precedente, potrà determinarsi quale forma di presenza possa essere più conveniente per l'impresa, in funzione anche della quota di mercato che ci si potrebbe attendere di acquisire.

Fra le varie forme di presenza, diretta o indiretta, potrebbero essere considerate:

€ la creazione di una propria filiale e/o la presenza in strutture espositive di tipo stabile (possibilmente dotate di un adeguato servizio di vendita e di assistenza post-vendita);
€ l'individuazione di uno o più importatori/distributori, con o senza deposito;
€ la ricerca di agenti o di rappresentanti (plurimandatari o monomandatari);
€ la partecipazione a un Consorzio con altre imprese interessate allo stesso mercato e aventi merceologie complementari;
€ la stipula di accordi di commercializzazione con strutture locali di trading, con centrali o gruppi d'acquisto, con buyer, ecc.;
€ altre possibili forme di presenza, suggerite dalle particolari caratteristiche del mercato in esame.

L'individuazione dell'eventuale partner (agente, rappresentante, trading company, ecc.) deve tener conto - fra l'altro - dell'effettivo interesse che lo stesso potrà concretamente mostrare di fronte al "prodotto" che gli viene offerto. Ad esempio, l'affidamento di un incarico a un agente monomandatario non avrebbe molto senso se il "prodotto" non avesse una consistenza quantitativa tale da giustificare l'esistenza di una tale figura. Lo stesso problema potrebbe sorgere nel caso delle trading company, la cui complessa struttura spesso con consente loro di "gestire" prodotti che considerano "marginali".

La ricerca di tali soggetti può essere attuata con varie modalità e ricorrendo a diverse forme di assistenza. Attraverso i servizi ottenuti da talune strutture pubbliche o associative, italiane o straniere, è possibile reperire liste di nominativi potenzialmente idonei, così come si possono ottenere risposte interessate a seguito di apposite inserzioni pubblicate su testate estere di settore. In tutti questi casi, tuttavia, è l'impresa stessa che deve provvedere con i propri mezzi all'analisi e alla selezione dei candidati, dedicandovi non poche risorse. Un'altra soluzione - che in ultima analisi potrebbe anche rivelarsi meno dispendiosa della precedente - consiste nell'affidare l'incarico a strutture di ricerca specialistica, direttamente collegate con corrispondenti/professionisti residenti nel mercato estero e che, operando con modalità simili a quelle usate dagli head hunters, provvedono alla ricerca dei candidati e alla presentazione all'azienda di una "rosa" di nominativi pre-selezionati. A questo punto, sarà l'impresa stessa ad esprimere la scelta finale.

Predisposizione degli strumenti di comunicazione, pubblicità e promozione

L'approntamento di adeguati strumenti (già di per sé stessi utili per la sola partecipazione delle imprese a mostre o fiere internazionali) costituisce un elemento fondamentale per la comunicazione, per la pubblicità e per la promozione del prodotto.

Tali strumenti dovranno essere "tarati" sulle caratteristiche del mercato, non dando per scontato che lo stesso tipo di dépliant, o di altro strumento comunicazionale (packaging incluso), possa venire utilizzato con identico risultato - ad esempio - negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia.

Non è infatti soltanto un problema di "lingua", ma anche di "abitudini" o di "modi di lettura" dei differenti target cui ci si intende rivolgere.

L'impiego di eventuali strumenti informatici, quali i CDRom, i video-cataloghi, Internet, ecc. (che si ritiene siano molto significativi nella gamma merceologica qui considerata) dovrà essere particolarmente curato, considerati anche il loro rapido processo di obsolescenza e le loro costanti necessità di aggiornamento.

C'è una tendenza alquanto diffusa nelle PMI di produrre in proprio quanto più possibile degli strumenti comunicazionali ritenuti utili ai fini dello sviluppo degli affari. Si tratta talvolta di un errore, in quanto possono così venire realizzati materiali di tipo palesemente "artigianale" che forniscono una modesta immagine dell'azienda e dei suoi prodotti. Affidarsi invece a strutture specialistiche opportunamente selezionate, se da un lato costituisce un indubbio aggravio di costi, dall'altro garantisce una più immediata aderenza alle abitudini e alle esigenze di un target che non necessariamente rispecchia le abitudini e le esigenze della clientela più tradizionale.

Controllo sistemico dei risultati e attuazione di eventuali misure correttive

L'andamento degli affari su un mercato estero può essere facilmente controllato in presenza di una struttura facente direttamente capo all'azienda, mentre invece richiede un'attenzione particolare allorquando si sia fatto ricorso a strutture esterne o, comunque, dotate di una propria autonomia.

E' chiaro che affidando a terzi l'intera "gestione" di quello specifico mercato, solo questi ultimi ne conoscono a fondo le caratteristiche e le tendenze, con la conseguenza che se non instaura con loro un "dialogo" sistemico, l'impresa corre il rischio di non percepire in tempo le possibili variazioni del mercato e di non poter porre in atto le necessarie azioni conseguenti.

L'esempio più significativo viene dall'esperienza giapponese. Le imprese manifatturiere del Sol Levante hanno attuato per un certo periodo di tempo una strategia export che prevedeva il loro intervento "nella sola attività di produzione" e che trasferiva su strutture di trading indipendenti (le cosiddette Sogo Shosha) il compito di "commercializzare" i prodotti sui mercati esteri. L'impresa produceva esattamente ciò che la trading richiedeva loro (e che, evidentemente, conveniva di più alla trading stessa), non avendo alcuna percezione di quanto i mercati in realtà avrebbero potuto assorbire in una visione più ampia e più prospettica della domanda. Dagli anni '80 in poi anche il Giappone ha gradualmente abbandonato questo tipo di strategia e molte imprese manifatturiere attuano ora forme più dirette di controllo, assumendosi in proprio la gestione dei mercati e/o affidando alle Sogo Shosha funzioni di puro supporto operativo.