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Fragile come il vetro

breve racconto di Lalla Ponka (Nadia Modica)


I vetri dei finestrini dell'auto erano appannati. Piovigginava appena, quel lento rumore era l'unico conciliante.

Mara finì di sistemarsi la biancheria, per ultimo s'infilò il collant. Accese una sigaretta che saturò di fumo il piccolo abitacolo. Nel buio ad ogni boccata la brace incandescente le illuminava per un breve momento il profilo della mandibola, mentre il resto del viso rimaneva completamente in ombra

"Piaciuto?", disse Giacomo seduto al posto di guida.

"Abbastanza...", rispose quasi con un sospiro, "però in auto è un casino, sbatti ovunque, ho le ginocchia rotte."

"Non posso permettermi altro. Soldi ne ho sì e no per la benzina."

"Portami a casa, questo posto mi deprime."

"Subito? Aspettiamo un momento, parliamo, non so nulla di te, so appena il tuo nome."

"E' tardi parliamo un'altra volta, domani mattina debbo alzarmi presto."

"Dai, solo cinque minuti, finisci la sigaretta."

"Che lagna sei! La sigaretta è finita possiamo andare."

Il rumore dell'accensione per un momento sovrastò quello della pioggia.

Giacomo uscì lentamente dal parcheggio buio riprendendo la strada del ritorno.

Tornava dove? Verso casa dentro il letto di Luisa che dormiva almeno da due ore, che non lo aspettava più, verso i suoi figli.

Giacomo avrebbe compiuto trentotto anni in aprile. Era disoccupato, aveva chiuso con il mondo e l'unica cosa che gli riusciva era di rimediarsi una o due scopate la settimana.

"Che vai cercando?", gli dicevano gli amici del bar, "scopi sempre con una diversa, sei un fortunato, un furbo tu, con quell'aria da bisognoso; fatti almeno pagare!" E ridevano dandogli gran pacche sulla schiena e lasciandoli pagato il caffè che egli non consumava.

Un fortunato, un furbo, un idiota, un imbecille, una nullità, un fallito! Solo il pene gli sembrava affezionato. Rise forte a quel pensiero. Mara si girò verso di lui. La luce dei lampioni sulla strada la rischiarava ad intermittenza, il suo viso era stanco e imbronciato, il trucco che qualche ora prima la rendeva desiderabile se ne stava quasi aggrappato negli angoli della bocca e degli occhi.

"Me lo aveva detto Sonia che eri scemo ma che scopavi bene. Le dirò che è vero sei scemo e scopi da cani... ferma sono arrivata..."

Giacomo frenò bruscamente l'auto quasi nel centro della strada. Due fari e un secco colpo di clacson lo superarono.

"Esci vattene", disse Giacomo tra i denti, "e salutami quella troia di Sonia."

Un tonfo dello sportello dell'auto lo avvisò che Mara, scopata numero due della settimana, era uscita definitivamente dalla sua vita.

**

La periferia in quell'ora della notte era un luogo dove forse poter vivere. Parcheggiò sotto casa, ma rimase dentro l'auto. Il freddo cominciò ad entrargli nelle ossa.

Non aveva sonno. Poteva andare a letto quando gli pareva e alzarsi tardi, valeva ancora la pena di fare due passi, andare a vedere se c'era qualcuno al bar, scambiare due chiacchiere, perché no, raccontare com'era andata quella sera.

Com'era andata quella sera? Era forse successo qualche cosa quella sera? I giorni passati? Un mese prima?

Si rendeva conto che lo stavano utilizzando, se lo passavano d'amica in amica per sfamare provvisoriamente la loro fame e lui, a quel richiamo, ogni volta rispondeva. Forse l'illusione di provare, di trovare per un momento un interesse altrui verso la sua inutile carcassa lo portava ad accettare quelle brevi seduzioni.

Ogni volta il copione era come fosse già scritto dallo stesso sceneggiatore senza fantasia. Incontro, appuntamento, scopata, addio.

Per un istante si divertiva, era piacevole sfilare le mutandine, scendere con la mano verso quell'umido calore, poi penetrarvi ansimante, ogni volta la prima volta poi ...

Poi nulla. Il ritorno all'indietro fuori lontano, alla prossima.

Camminò per ore sui marciapiedi, difendendosi dalla lenta pioggia con il cappuccio del suo vecchio piumino divenuto ormai l'unico indumento caldo che possedeva.

Scantonò alla larga dal bar ancora aperto, non voleva lo vedessero, l'avrebbero chiamato, sarebbe stata la lunga e solita serie di battute, di pacche sulle spalle.

Si spinse nel vasto scorticato prato che il Comune chiamava Parco Interno Est, nel buio s'intravedevano carte e sacchetti di plastica schiacciati sulla terra risoluta nel non voler accogliere quella sozzura. Le sue scarpe s'impantanarono nel fango, solo allora si rese conto di volere tornare a casa, nascondere ogni traccia della sua nottata, tornare ad essere il silenzioso inquilino di quei quattro muri. Desiderava tornare puro.

Avrebbe rivisto il viso triste di Luisa, cercato in lei qualche traccia della sua passata bellezza. I bambini gli sarebbero saltati al collo. Luisa li avrebbe richiamati vicino a sé, non poteva toccarli lui i suoi figli, non n'era degno. Quante volte era ritornata a casa dai suoi genitori portandoseli via, poi era tornata. Era sicuro che rientrando quella notte non avrebbe trovato nessuno nell'oscurità della casa. Luisa che stava a fare con lui, per quel magro sussidio di disoccupazione? Aspettando tempi nuovi e migliori?

Ormai il loro amore era passato, finito, anche lui era certo di non amarla più, la presenza di Luisa era un peso enorme, quello della colpa che doveva trasportarsi ovunque. Nulla ormai li legava, forse Luisa sapeva dei suoi continui tradimenti e la cosa non la toccava, fuggiva via da lui perché non c'entrava nulla con quei fatti.

Salì all'ottavo piano al piccolo appartamento. Accese la luce in corridoio, non avvertì il solito odore di cucina e di bucato. Entrò nella camera dei figli, i due letti erano perfettamente rifatti. In cucina si sedette su una sedia, i gomiti appoggiati al tavolo, dalla finestra vide sorgere l'alba. Riuscì a meravigliarsi di come fosse luminosa dopo quella notte di pioggia sottile.

**

La radio sul comodino trasmetteva il terzo atto di Tosca: "Io dè sospiri..." Giacomo accarezzò lungamente le labbra di Lucia, vi pose sopra un bacio, sembrava che lei dormisse la coprì con il lenzuolo.

"Ti piace l'opera?", Lucia girandosi verso di lui, guardandolo fisso negli occhi.

"Sì, mi emoziona sono un poeta... sono fragile come il vetro, scrivo versi quando l'angoscia mi assale", tentò di scherzare Giacomo.

"Che fai nella vita?"

"Sono disoccupato e artista, ho fatto tanti mestieri, sono capace di fare tutto e nulla. Mia moglie se n'è andata portandosi via i bambini, mi ha lasciato tutto il resto compresi i mobili."

"Cosa farai senza di lei? Senza i tuoi figli?", continuò Lucia richiudendo gli occhi.

"Nulla, aspetto che qualche cosa muti la mia vita. Cerco disperatamente uno scopo per vivere, forse il grande amore... ", rise delle sue parole scuotendo la testa.

Passò del tempo nel quale non si dissero altro, immersi ognuno nei propri pensieri. Lucia poi si alzò e cominciò a rivestirsi.

"Ci rivedremo?", disse Giacomo ancora steso sul letto.

"Non so, forse, ti richiamo io... ora debbo andare. Hai bisogno di qualche cosa? Posso fare nulla?"

Così dicendo aprì il portafogli e ne trasse una banconota di grosso taglio che appoggiò vicino alla radio. Uscì silenziosamente senza salutarlo.

Giacomo si girò su un fianco e pianse. Ascoltò le ultime battute dell'opera.

La vicenda di Mario e Tosca era giunta ormai fatalmente al suo epilogo, nulla avrebbe impedito la fine della loro passione, amore incompiuto la morte lo avrebbe reso perenne, infinito. Giacomo ormai questo lo sapeva gli sarebbe piaciuto vivere anche per solo un secondo di passione per poi morirne, quella banconota rappresentava invece il contrario di quello che da una vita stava cercando.

Un vento fresco entrò dalla finestra semi accostata, le tende si mossero danzando lentamente. A Giacomo parvero mani bianche che lo chiamassero.

Quell'invito era dolce suadente, le mani avevano una voce morbida, un alito che gli accarezzava il suo corpo nudo.

Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra, l'aprì del tutto, guardò otto piani più sotto.

Dopo un attimo volava leggero.




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