Nell'anno di grazia 1397

Chiedendo scusa a messer Giovanni Boccaccio

Nota: La parte "in stile" del testo è stata redatta prendendo qua e là a prestito da Il Decamerone (ed. Barion, Milano, 1924) termini e modi di dire del Boccaccio. Il racconto è stato quindi interamente inventato dall'Autore che lo ha composto elettronicamente con il sistema del "taglia e incolla". Gian Cesare Marchesi

Appressandosi il sole e l'aurora già di vermiglia cominciata, messer Guidobaldo Bracciantini, giovane e valoroso cavaliere per virtù e nobiltà di sangue ragguardevole assai, ajutato dal fedele scudiere Sgarbino e da magnifico animo mosso, pose piede sulla staffa, montò a cavallo e si accinse a prendere la via di occidente, che infra di boschi e selve porta infino nei pressi del contado di Molanzia.

Ivi, in una ricca dimora circondata da un prato di minutissima erba e da un giardino di rosaj bianchi e vermigli composto, e tutta dattorno murata, risiedeva una gentil fanciulla, detta per nome Lucia, di bellezza ornata e di costumi quanto alcun'altra dalla natura dotata, e sua promessa sposa, figlia di messer Odoardo degli Esposti, ricco e leal mercatante, e di madonna Concetta.

Cavalcando dunque contentissimo lungo la via verso la sua amata, il giovin signore vide traverso il bosco d'una parte uscir conigli, d'altra parte correr lepri e alcuni cerbiatti andar pascendo, e udì uccelli cantare, ciascuno a suo diletto.

«Appresso la femina», pensava messer Guidobaldo, «l'uomo è il più nobile animale che frà mortali è stato creato da Dio, e frà gli uomini io non dubito essere il più fortunato, inverocché godo de' favori di madamigella Lucia, la qual, per spezial grazia divina, possiede le più compiute virtù che donna dee avere, per ciò che ella è giovine assai, bella del corpo, sa lavorar di seta e simili cose, costumatissima, savia e discreta molto».

La potenzia di quei pensieri fu tale che il valente giovane non s'avvide d'un grosso ramo d'albore che, come posto in guato, da una quercia pendea e che violentemente lo colpì nel bel mezzo della fronte, disarcionandolo e facendolo per terra ruzzolare.

 

«Porca vacca, che botta!», urlò allora Guidobaldo - Balduccio per gli amici - massaggiandosi la fronte tutta acciaccata. «E mo', adesso con questo bel bozzo in testa cosa gli racconto alla Lucia? Lei non crederà alla storia del ramo e, come al solito, ricomincerà a menarla con la faccenda della Beatrice e, addio fichi!».

«Ancora una volta», mi dirà, «te la sei fatta e sei stato sorpreso da quel cornuto del Giulio che ti ha legnato a dovere. Ma tutto ciò ti sta bene, così imparerai a crescere. Chissà poi cosa ci trovi di bello in quella puttanella ... Non ti sei mai accorto che non è affatto bionda ma solo tinta, che è anche un poco strabica e che si è fatta rifare le tette non so bene da chi e non so bene con cosa? Ma tu, stronzo come al solito, ci riprovi sempre. E poi vieni da me, come se niente fosse, raccontandomi un casino di balle».

Ripresosi lentamente dal colpo in testa e rassegnato al suo destino, il giovane si rialzò ancora tutto imbrattato di terra e di sterpi bagnati, s'infilò due dita fra i denti e con un acuto fischio richiamò il fedele cavallo che, nel frattempo, si era tranquillamente piazzato nel bel mezzo di una piccola radura, assaporandone l'erba ancora fresca di rugiada. Dopo di che, in assenza del suo scudiero e, quindi, non senza difficoltà, Guidobaldo risalì in sella e riprese il suo percorso verso Molanzia, prestando ora maggiore attenzione ai rami bassi degli alberi.

 

Era da tempo il contado di Molanzia la più dilettevole parte del regno, piena di giardini e di fontane di marmo bianchissimo e con meravigliosi intagli, di orrévoli e belli casamenti, d'uomini ricchi e valenti e di leggiadre donne di laudevol costume, sì che chi per ventura vi andò, vinto dalla bellezza del luogo, andar via non vi volle mai e per sempre ivi intese dimorarvi.

Messer Odoardo degli Esposti, giunto di Lombardia e d'alto legnaggio veggendosi nato, ivi conobbe madamigella Concetta de' Ligabuoi e senza indugio la beltade e la sagacità della donna comprese, traendola subitamente in sposa. Il valente uomo ingravidò l'onestissima moglie ed ebbero tosto in figlia la diletta Lucia; la quale trepida ora attendea l'arrivo del suo amato Guidobaldo.

La giovane, che d'amoroso disìo ardeva, veggendol venire e levatagli incontro, senza niuno indugio gli si gittò prestamente nelle braccia e dopo che amorosamente basciato l'ebbe, guardollo e così cominciò a parlare:

«Messer Guidobaldo, che voi m'amiate mi può essere molto caro, et io debbo amar voi et amerovvi ancor di più....», fece una pausa e poscia che vide sì gran bozzo, proseguì:

 

«...ma cosa cazzo ti sei fatto in testa? Ti è spuntato un gnocco che sembra un corno e sei tutto sozzo. E' mai possibile che tu non riesca mai a montare a cavallo senza farti buttare giù? Quando imparerai a stare bene in sella come fanno tutti i cavalieri che si rispettano? E io che ti aspettavo tutto intero, guarda qui come ti trovo. Mio caro, o sei un gran sfigato o sei proprio una frana!».

 

Niente restava più avanti a dire e Guidobaldo, sappiendo che la grazia e l'amor d'una donna si debbon poter acquistare, quasi si disperava e seco medesimo consigliato, postole celatamente in mano un bellissimo anello, la basciò; con gran piacer di lei.

Ricónfortata così l'amata, il giovan signore disse:

«Perché tu fosti così crudele, avendo il miglior uomo, né mutolo né sordo, che fosse nella tua contrada colmo d'amorosi sensi? Deh, dunque, chi se' tu che questo mi fai?».

Costei, udendo ciò, pigliatolo per mano e guatando per l'orto, essendo ancora il sole alto a mezzo vespro, menollo seco a giacere in un capannetto e quivi Guidobaldo Bracciantini, giovane e valoroso cavaliere, quel fece che ella volle e per la qual cosa egli sommamente era venuto.

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