Antiquariato e dintorni

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

Sapessi quante cose avrei da raccontarti dall'alto dei miei primi cent'anni anni di onorato servizio, prestati in qualità di armadio di legno massiccio!

Premetto che nonostante abbia dato in locazione gratuita per molto tempo buona parte di me stesso ad alcune famiglie di tarli che, per inciso, me ne hanno combinato di tutti i colori, sono uno di quelli - come si suol dire - "ancora di una volta". Tagliato, piallato, incollato, levigato e lucidato tutto a mano, e con indubbia perizia, da un discendente di un certo San Giuseppe, che per costruirmi aveva anche usato una materia prima di ottima qualità, proveniente da un noce sicuramente ben cresciuto e ancor meglio stagionato. Figurati che per tenere bene insieme alcuni pezzi, si era fatto dare da certi suoi amici una colla che era stata fatta - così mi sembra di aver sentito dire - con dei pesci più o meno secchi. Quel tipo di collante andava sciolto a puntino prima di essere spalmato e mentre il pentolino che lo conteneva si scaldava sul coperchio della stufa, quel matto del mio costruttore - pensa un po' - si beveva qualche sorsetto dello stesso alcool che doveva servirgli per lucidarmi. Si rendeva conto che si trattava di un veleno, ma lo beveva lo stesso. Temo quindi che il tizio non sia vissuto a lungo.

Quando sono venuto alla luce, la mia prima sistemazione è stata nella casa di due giovani sposi. Anzi - a dire il vero - è stata lei, la sposina, che mi ha fatto entrare con tutti gli onori in quella casa, dopo di avermi amorevolmente riempito con tele di lino e di cotone, tagliate, orlate e ricamate con maestria, nonché con alcuni abiti nuovi di zecca. Che sensazione avevo provato in quei giorni! Quelle lenzuola, quelle federe, quegli asciugamani e quegli abiti odoravano di freschezza e di petali di rosa e sembravano ansiosi di svolgere i loro compiti, accompagnandosi con i momenti di felicità di quella giovane coppia. Ti assicuro che la sera - e per buona parte della notte - quei due non la smettevano mai di agitarsi e di divertirsi. Io nel frattempo me ne stavo là, buono buono, ad ascoltare i loro sospiri, i loro gemiti e le loro risa, non potendo neppure girarmi dall'altra parte quando mi sembrava di essere forse un poco indiscreto.

Poi in quella casa sono arrivati, quasi a getto continuo, dei veri e propri diavoletti. Erano dei bimbetti tanto carini, con quegli occhioni sbarazzini e con quelle manine sempre impiastricciate di pappe e di marmellate, ma sapessi quante me ne hanno fatte! Entravano dentro di me anche in due o tre per volta, buttavano all'aria tutto quello che io custodivo con cura e si divertivano a non rispondere quando la donna di cui ti parlavo prima, disperata, li cercava. Una volta, uno di loro ha estratto completamente uno dei miei cassetti, ci ha messo dentro un cuscino e pretendeva di farne il letto del suo cane. E ti risparmio il resto delle altre loro marachelle. Ti posso solo dire che a causa di quelle mani sempre sporche e di qualche spruzzetto di pipì del cane, avevo quasi perduto il mio colore originale. Comunque sono stati bei tempi, che ricordo sempre con una certa nostalgia.

Circa una trentina d'anni dopo, quando ormai un paio delle mie cerniere cominciavano a cigolare in modo alquanto sinistro e la chiave che mi consentiva di chiudermi in me stesso si era irrimediabilmente perduta, sono stato trasferito in un'altra casa. Qualche giorno prima avevo casualmente sentito dire che ero diventato troppo piccolo e troppo vecchio, e che non potevo più servire. La cosa mi era sembrata piuttosto strana, in quanto io mi sentivo ancora molto giovane e non mi pareva di essere dimagrito o di essermi in qualche modo ristretto. Forse si trattava di un semplice capriccio dei miei padroni che, a quanto mi sembrava di aver capito, si erano arricchiti parecchio e volevano spendere una buona parte dei loro quattrini rifacendo di sana pianta quasi tutta la casa.

Il fatto è che mi hanno caricato su un carretto tirato da un cavallo e mi hanno fatto entrare in un'altra casa, per la verità non molto distante dalla prima o, almeno, così mi è parso dai pochi sobbalzi che sono stato costretto a sopportare.

In questa nuova dimora c'era un vedovo ormai alquanto anziano, cui tenevano compagnia tre o quattro gatti che spesso venivano a dormire sopra di me, una montagna di libri e altre cianfrusaglie che non sto qui a descriverti. Si era ormai perso da tempo il profumo dei petali di rosa ed ora al mio interno si sentiva costantemente un puzzo pestilenziale di sigaro che emanava dagli abiti di quel tizio, mescolato ad altri sgradevoli odori che non sono mai stato in grado di identificare esattamente. Ti assicuro che ci ho messo parecchio tempo per abituarmi a tutto ciò.

Quell'uomo aveva anche una particolare avversione nei miei confronti, perchè un brutto giorno l'ho visto avvicinarsi con alcuni chiodi, un martello, dei pezzi di legno e uno sguardo che non mi piaceva per niente. Infatti, senza dirmi nulla, mi ha conficcato dentro una decina di quei chiodi, ha fissato delle specie di mensole e vi ha appoggiato sopra una brutta asse, grezza e un tantinello sporca, sulla quale ha quindi depositato due o tre cappelli, ancora più unti e sporchi.

Mentre me ne stavo là in quella casa, deve anche essere successo qualcosa di grosso all'esterno. Di notte, soprattutto e per un certo periodo, si è sentito risuonare l'ululato di alcune sirene (certamente non quelle usate per chiamare gli operai al lavoro) e il rombo di una torma di velivoli. Poi, di quando in quando, un violento boato scuoteva l'aria. Fortunatamente a me non è successo niente, ma ho provato la grande paura di finire sotto un cumulo di macerie o incenerito assieme a tutti i libri e alle altre masserizie.

Comunque il mio padrone era per me una vera disgrazia. Ogni tanto gli veniva voglia di maltrattarmi con altri chiodi e altri pezzi di legno ed io ho dovuto portare una gran pazienza per diversi anni sino a quando, un bel giorno, sono entrati in quella casa due tizi alquanto nerboruti, con una vistosa croce rossa stampata sulla schiena. Zitti zitti, e nonostante i suoi continui brontolii, si sono finalmente portati via il vecchio.

Di lui non ho più saputo nulla, anche perché sono rimasto a lungo solo in quella casa, con quei libri, quegli abiti e quei cappelli che puzzavano sempre di più. Sembrava che nessuno s'interessasse ormai più a me, finchè un giorno sono arrivate tre o quattro donne che, facendo un gran chiasso e - mi è parso - litigando anche animatamente fra di loro, hanno gettato via gran parte delle cianfrusaglie, spartendosi e portandosi via il rimanente. Ti assicuro che è stato uno spettacolo alquanto squallido e deprimente. Quasi quasi sentivo compassione per il vecchio abitante.

La mia nuova dimora è stata la casa di campagna di un non meglio identificato nipote. Ti dirò che nel complesso non me la sono passata poi tanto male. Il clima del posto era buono, anche se d'inverno faceva piuttosto freddo (più ancora di me ne soffrivano i miei inquilini, i soliti tarli), e avevo tanto tempo a mia disposizione per starmene in pace. I nuovi padroni arrivavano saltuariamente, stavano con me per una o due notti e poi se ne tornavano da dove erano venuti. Comunque, ogni volta che venivano, riponevano al mio interno qualche abito o qualche altro oggetto portati dalla città e che - a quanto mi era parso di capire - ormai non servivano loro più di tanto. Per il resto, in quella casa ho trascorso un'esistenza piuttosto amorfa, senza alcuna nota particolare.

Ma un brutto giorno è risaltata fuori la storia del "troppo piccolo" e del "non ci può più servire". Ancora una volta è stata la donna a sollevare il caso e così, con il consenso del marito, ma senza che nessuno avesse chiesto anche il mio parere, mi sono ritrovato nuovamente in viaggio per un'ignota destinazione, sistemato alla bell'e meglio sul cassone di un autocarro rumoroso e alquanto sgangherato.

Sai dove sono finito? Niente po' po' di meno che nel magazzino di un robivecchi, che si da' le arie di essere un noto antiquario. Me ne sono stato là per qualche mese fra anticaglie di ogni genere, fino a quando il mio nuovo padrone mi ha smontato tutto quanto, spruzzato e siringato con una strana sostanza puzzolente (che, fortunatamente, ha fatto sloggiare per sempre i miei inquilini) e raschiato con un aggeggio elettrico che faceva un rumore che non ti dico. La cosa è andata avanti in questo modo per alcuni giorni, finché, in un momento di pausa, degnandomi finalmente di un poco d'attenzione, il tizio mi ha detto: «Ancora qualche rifinitura e vedrai che ti faccio diventare come nuovo. Così ti potrò vendere a qualche amatore per non meno di dieci milioni di lire!».

Ti assicuro che questa è stata la prima volta, in vita mia, che qualcuno mi ha rivolto direttamente la parola e, anche per via dell'emozione, non ho capito bene a cosa si riferisse quell'uomo quando parlava di "amatori". Ma tant'è: ormai sono sin troppo ben vaccinato e quando il mio caro robivecchi mi avrà rimesso in sesto a dovere - o come dice lui, "a regola d'arte" - sarò pronto per qualsiasi nuova avventura. Spero solo che sia con persone per bene e che mi lascino in pace per qualche altro centinaio d'anni.

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