Il brigante della valle

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

L'Angelina era rimasta come impietrita trovandosi di fronte proprio lui, Pietro Bangher, l'inafferrabile fuorilegge che ormai da anni scorazzava in lungo e in largo per tutta la Valsesia, sbeffeggiando i carabinieri che lo ricercavano, razziando casolari, baite e botteghe, molestando tutte le donne che gli capitavano a tiro ed attaccando briga, anche a colpi di coltello, con chi cercava di contrastarlo.

La giovane gli aveva aperto la porta credendo che si trattasse del Giovanni Camossi, suo marito, partito col mulo dal loro casolare all'Alpe Meggiana tre ore prima, quasi al tramonto, per portare giù in paese le "tome" fresche, la ricotta e i pani di burro da vendere.

Non sarebbe stata la prima volta che il Giovanni, incassati i soldi, fosse rimasto a lungo a giocare e a sbevazzare con gli amici, spendendo quasi tutto quello che aveva in tasca per poi tornare in baita a notte fonda, ubriaco fradicio. Lei questo ormai lo sapeva da tempo e ci si era anche, purtroppo, abituata, così come si era rassegnata a soffocare in silenzio quelli che Don Marco, il curato, chiamava "cattivi pensieri" e che per lei rimanevano sempre e soltanto normali desideri d'affetto di una giovane sposa. Il Giovanni, sempre così premuroso con il suo mulo e con le sue vacche, non la guardava quasi più l'Angelina, se non per qualche amplesso veloce nelle sere in cui il maltempo o la troppa neve fresca non gli consentivano di scendere in paese a giocare a carte e a sbronzarsi. Una volta sola le era parso dolce e affettuoso, e fu nella tarda primavera del 1893 quando, non ancora sposati, si trovarono soli sull'Alpe del Campo al termine del raccolto del maggengo. Lui la condusse per mano nel fienile e la guardò prima a lungo, parlandole e sorridendole con tenerezza. Poi, piano piano, le tolse gli spilloni che le tenevano fermi i capelli, le sfilò il corpetto di velluto, le sollevò la lunga veste nera ed entrò in lei, lasciandola piacevolmente turbata.

Quella volta rimase incinta. In paese se ne parlò a lungo e Giovanni, alla fine, per mettere a tacere le chiacchiere, decise di sposarla. Ma la bambina che l'Angelina aveva in grembo morì appena dopo il parto e da allora la giovane donna non ebbe più altre gravidanze.

Suo marito ne ebbe molto a male perché, diceva nei pochi momenti in cui scambiava qualche parola con la moglie, «I figli sono una garanzia per il futuro e senza figli non si è nessuno».

Fu forse da allora che il Giovanni cominciò a bere più del solito, rimanendo a lungo fuori casa e lamentandosi continuamente di avere con sè una donna del tutto inutile. A lei erano rimasti il governo del bestiame, la raccolta della legna, del fieno e delle foglie di faggio per rifare il pagliericcio, la cura della casa e dell'orto. Una vita quindi faticosa e banale, ma non troppo diversa da quella di tante altre donne della valle.

Lassù, sull'alpe, non aveva conoscenze degne di essere chiamate amicizie: c'erano infatti, oltre alla sua, altre quattro o cinque baite alquanto distanti l'una dall'altra ed abitate da gente che aveva ben altro da fare che stringere rapporti d'amicizia con - si fa per dire - i vicini.

Pietro Bangher scostò con una manata decisa la donna dalla porta, entrò in casa e si guardò intorno con fare guardingo e silenzioso. Poi vide sul tavolo un piatto di polenta ancora fumante e un'assicella con del formaggio. Posò allora lo schioppo e lo zaino accanto alla parete di legno, si accomodò sulla panca, tolse dalla cintola un lungo coltello e prese a mangiare con voracità, sorseggiando di tanto in tanto del vino da una fiaschetta che aveva con sè.

La donna, ancora immobile accanto alla porta, lo guardava spaventata, con le mani che arrotolavano nervosamente i lembi del lungo grembiule azzurro. Il brigante intanto mangiava senza dire nulla. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo, osservava furtivo l'Angelina e quindi riprendeva il suo pasto.

Portava un cappellaccio floscio del tipo, chiamato da quelle parti "alla francese", e una giacca da cacciatore, sotto la quale si intravvedevano una cartucciera piena di pallottole e un altro lungo coltello ricurvo. Aveva ampi calzoni di velluto, sporchi e sdruciti, e un paio di stivali alti macchiati di fango e odoranti di sterco. I capelli, lunghi e vagamente rossicci, si fondevano in un tutt'uno con una barba ispida e incolta e con un paio di baffi spessi e unti. Sembrava non avere età, ma dimostrava il vigore e l'energia di chi è uso a un'esistenza dura e pericolosa.

«Tu sei l'Angelina del Giovanni Camossi, vero?», chiese a un certo punto, mentre con il risvolto della manica si puliva la bocca e i baffi ancora intrisi di polenta e di vino.

«Conosco bene il tuo uomo», aggiunse, con un sorriso malizioso.

«L'ho incontrato la prima volta che faceva ancora buio, lassù, appena sotto la cima del Sajunchè, mentre scendeva zitto zitto a valle con un bel camoscio sulle spalle. Gli ho detto di non segnalare la mia presenza ai carabinieri, perché altrimenti lo avrei a mia volta denunciato come bracconiere. E così ci siamo intesi subito. D'altro canto, anche lui sa bene che non ci metterei più di tanto a venire qui di notte a bruciare la casa, la stalla e il fienile. Ma adesso non parliamo più di lui che, comunque, per un po' di tempo ancora non si farà vedere. E non stare lì impalata come un baccalà, vieni qui e fammi sentire cos'hai di bello lì sotto".

L'Angelina non si mosse, mentre una vampata di rossore le coloriva il viso e le sue mani stringevano sempre più nervosamente i lembi della veste.

Il brigante allora si alzò, posò sul tavolo il suo cappellaccio, la cartucciera e il coltello e si avvicinò alla donna. Rimase davanti a lei per qualche istante osservandola per bene da capo ai piedi, poi le cinse un braccio attorno alla vita e l'attrasse a sè con decisione.

Mentre cercava di scansare con rapidi movimenti del capo il volto irsuto del Bangher, l'Angelina sentiva contro di sè il calore quasi animalesco di quell'uomo che la desiderava e che la stava ora dirigendo, quasi di peso, verso il grande letto nella camera accanto. Non avrebbe avuto senso per lei gridare, a quell'ora, isolati com'erano ai margini dell'alpe. Nè, d'altronde, avrebbe forse voluto chiedere aiuto, conoscendo la violenza di cui sarebbe stato capace quel brigante verso i malcapitati soccorritori.

«Lasciami, Bangher, lasciami», disse in un ultimo tentativo di difesa. «Non è giusto, non ti ho fatto niente io. Non farmi del male. Ti darò dell'altro formaggio e se non ti basta, prenditi pure il vitello appena nato, giù nella stalla. Ma non farmi del male".

L'uomo accennò un sorriso e aggiunse deciso: «Sei te che voglio adesso, non il tuo formaggio o il tuo vitello», mentre la stringeva ancora più a sé.

E così a poco a poco l'Angelina abbandonò ogni volontà di resistenza e lo lasciò fare. Lui la distese di peso sul letto, si resse in ginocchio quasi sopra di lei e le sfilò a poco a poco gli indumenti. Quindi a sua volta si spogliò velocemente dei suoi abiti, impregnati di muschio e di sudore, continuando ad ammirarla in un silenzio carico di attese.

Quella era la prima volta che l'Angelina si trovava tutta nuda davanti ad un uomo altrettanto nudo e ne era profondamente turbata. Il Giovanni, infatti, l'amore lo faceva vestito, sì e no togliendosi la giacca e le scarpe e sollevando la veste della moglie di quel tanto che potesse bastare alla bisogna.

Il brigante non era poi del tutto male agli occhi della giovane: non molto alto, ma con spalle larghe e robuste, un corpo asciutto e ben fatto, reso quasi marmoreo dal sole e dalla vita aspra e spericolata condotta girovagando sù e giù per boschi e vallate. Quell'appendice che la donna aveva sentito poco prima inturgidirsi contro il suo ventre mentre il Bangher l'abbracciava vicino alla porta di casa era ora lì davanti a lei, spavalda e maligna, e l'Angelina avrebbe potuto afferrarla e stringerla fra le mani per spremerne tutta la linfa. Ma non lo fece. Un poco per pudicizia, ma forse anche per timore che pure questa volta il suo ardente desiderio d'affetto rimanesse inappagato; così come lo lasciava suo marito al termine di quei suoi amplessi insipidi e fugaci.

«Con tutto questo ben di Dio sei proprio sprecata per quel buono a nulla del Giovanni», disse intanto il Bangher, mentre le sue mani percorrevano dolcemente in lungo e in largo il corpo disteso dell'Angelina, accarezzandolo come mai nessuno aveva fatto prima e rivelandole sensazioni prima di allora per lei sconosciute. Una sorta di fluido indefinibile scorreva ora nelle vene della donna e la faceva fremere tutta, in un'attesa sempre più impaziente.

Allora, l'Angelina chiuse gli occhi e cinse con le braccia il collo del Bangher, attirando l'uomo a sè, finché non lo sentì penetrarla tutta con forza, in un delirio di piacere. E le sembrò, per la prima volta, di non capire più nulla, di perdere il senso del luogo e del tempo. Gli affondò le unghie nella schiena e quasi inconsciamente lo mordicchiò un poco sul collo, sulle braccia muscolose e sui lobi delle orecchie. Fra baci, gemiti e sussurri senza fine.

Poi, pienamente appagati, si rivestirono senza fretta. L'Angelina, con le guance ancora arrossate per l'accaduto e per via della barba e dei baffi del brigante, rassettò il pagliericcio, raccolse il cappello, i coltelli e la cartucciera e glieli porse con un lieve sorriso.

«Tornerò, tornerò. Stai tranquilla Angelina e aspettami. Ma intanto tieni questo per mio ricordo.»

E così dicendo il brigante le mise fra le mani un piccolo oggetto, scovato sul fondo dello zaino e malamente avvolto in un fazzoletto vecchio e stropicciato.

«Guardalo dopo che me ne sarò andato e non farne parola con nessuno.»

Si rimise sulle spalle lo schioppo e lo zaino, diede un bacio sulla guancia dell'Angelina e scomparve, silenzioso come quando era arrivato, nel buio della sera.

La donna rimase qualche istante sulla porta tenendo fra le mani quel piccolo involto; infine lo svolse e vi trovò dentro un paio di orecchini d'oro che incastonavano due granati.

«Frutto di qualche ruberia a una ricca signora della valle, di quelle a cui non manca niente», pensò l'Angelina, «tranne di provare il piacere che mi ha fatto sentire questa sera il Bangher»

Rientrò quindi in casa, si riassettò i capelli e riprese le attività di sempre, mettendo della nuova polenta a cuocere sul fuoco del camino, nel caso in cui il suo Giovanni, rientrando a notte fonda, avesse avuto fame.

Nota:

Pietro Bangher nacque nel 1850 a Levico, nell'allora "Tirolo Cisalpino". Dopo varie scorrerie in Veneto e in Lombardia, si trasferì in Valsesia, dove continuò per alcuni anni a compiere una serie interminabile di misfatti. Catturato il 21 gennaio 1900, fu processato e rinchiuso nelle regie carceri di Castelfranco Emilia, di Fossano e, infine, di Pianosa. Dimesso dal carcere nel 1910, sembra che fosse ritornato in Valsesia; ma di lui, in realtà si persero completamente le tracce, sinché il municipio di Levico, nel 1933, non ne decretò la morte presunta (cfr.: Enzo Barbano, Bangher il bandito e altre storie, Idea Editrice srl, Borgosesia)

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