Filiali devozioni

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

Al numero 64 di Viale Edison, in una delle zone più "esclusive" di questa ridente città dell'entroterra tirrenico, esiste da una decina d'anni il condominio "Le tre magnolie". Si tratta di un vero gioiello dell'architettura residenziale, progettato dall'architetto svizzero Raoul M. Pestalozzi, al quale va anche il merito di aver ideato la grandiosa nuova metropolitana di Zagabria.

Il complesso condominiale è interamente immerso nel verde di un vasto parco secolare, nel quale spiccano, appunto, tre grandi alberi di magnolia, che in primavera si riempiono di stupendi fiori. Al centro del parco s'innalzano due edifici a pianta vagamente esagonale, alti ciascuno dieci piani, che contengono un totale di 120 lussuosi appartamenti, dotati di ogni confort moderno.

Nel sottosuolo dei palazzi sono stati ricavati ben tre piani di utilità varie.

Nel primo piano sotterraneo hanno sede i locali dell'autoclave, dell'impianto di riscaldamento, di condizionamento e di ventilazione, delle lavanderie d'uso comune, delle cantine, nonché un lungo corridoio che, passando sotto una parte del giardino, ad un certo punto risale in superficie, permettendo così di raggiungere agevolmente la piscina, il campo da tennis, il minigolf o il campo-giochi dei bimbi. Il tutto, senza dover calpestare gli ampi prati "all'inglese" che impreziosiscono l'intero complesso immobiliare.

Al secondo ed al terzo piano sotterraneo ci sono invece ampi corridoi, sui quali si affacciano le porte basculanti di 120 autorimesse private, 60 per ciascun sotterraneo; un'autorimessa per ciascun appartamento. Così come alcuni appartamenti sono più grandi di altri, così i box hanno diverse dimensioni, giungendo perfino a contenere agevolmente tre autovetture di media cilindrata ciascuno. Due rampe lastricate, seminascoste in superficie da alte siepi di sempreverde, permettono la discesa ai box e la risalita dei veicoli all'esterno. I tre piani sotterranei sono collegati con le sovrastanti abitazioni da ben sei ascensori - tre per ciascun palazzo - in modo da facilitare al massimo l'accesso ai "servizi comuni" ed al resto delle proprietà condominiali.

Chi ebbe l'opportunità di acquistare il proprio appartamento in quel condominio, non appena ultimato, fece senza dubbio un grosso affare, perché il prezzo di vendita era molto conveniente e l'impresa costruttrice aveva reso disponibile un mutuo bancario a tasso fisso agevolato, rimborsabile in 30 anni, che copriva quasi il 70 per cento del valore dell'immobile. Una vera manna dunque, per i primi fortunati condomini.

Ma, dopo 10 anni di tranquilla e felice coabitazione, successe un fatto nuovo, che scombussolò la vita dei residenti e che riempì per diverso tempo le pagine dei quotidiani e dei periodici nazionali.

Una mattina di alcuni mesi fa, mentre in città era stato dichiarato lo sciopero dei mezzi pubblici, il geometra Luca Martini, proprietario del box numero 47, situato al secondo piano sotterraneo, si accingeva eccezionalmente a prendere la sua auto per recarsi in ufficio, quando vide uno strano pannello affisso sulla porta del box numero 48, adiacente al suo. Si trattava di una specie di targa rettangolare in ottone, di circa 100x60 cm, che portava incisa una scritta dai caratteri ripassati con una vernice nera, e che così recitava:

In questo luogo di serena devozione
riposa finalmente in pace ciò che rimane del
Comandante Alfonso Luigi Maspes, duca di San Colombano,
miracolosamente riemerso e recuperato dai ghiacci
dell'Antartide dopo l'immane sciagura avvenuta nel 1928
che aveva causato la scomparsa
dell'intera spedizione scientifica da Lui guidata.
Il figlio, la nuora e i nipoti, affezionati, posero.

Leggendo e rileggendo più volte quella scritta, il geometra Martini rimase prima sconcertato e poi alquanto scosso, non credendo ai propri occhi e pensando che, sotto sotto, si trattasse di uno scherzo di qualche burlone. Ma la cura con la quale era stata compilata ed apposta quella targa non lasciava molte incertezze interpretative. Abitando in quel complesso immobiliare sin dall'inizio, lui sapeva che il box numero 48 apparteneva ai signori Maspes, una tranquilla famiglia che risiedeva in uno dei grandi appartamenti situati al sesto - o forse al quinto piano - del palazzo B. Martini non aveva mai visto nessuno usare quell'autorimessa, ma questo non significava nulla, in quanto - a sua volta - anche lui non usava spesso l'automobile, che gli serviva soltanto per qualche saltuaria gita fuori porta durante gli week-end, o per recarsi in Luglio con la famiglia sulla costa salentina, dove trascorrevano ormai da anni le vacanze estive nella loro seconda casa.

Perplesso ed incuriosito più che mai, il geometra risalì in auto la rampa che conduceva all'esterno e si fermò davanti alla guardiola del portiere, posta accanto al cancello che dava accesso all'intero complesso residenziale.

"Signor Paolo", chiese, "lei ne sa qualcosa di quella nuova grande targa che è stata fissata alla porta del box numero 48, quello proprio accanto al mio?".

Di fronte alla risposta negativa del portiere, Martini gli spiegò meglio di cosa si trattasse, lasciando a sua volta il malcapitato interlocutore nella sorpresa più assoluta.

"Non appena mi sarà possibile lasciare la guardiola, andrò di sotto a vedere e poi magari chiederò ai signori Maspes cos'è questa storia. Ma vedrà che si tratterà semplicemente di uno scherzo di cattivo gusto".

Il geometra non poteva aspettare il seguito e si avviò così verso l'ufficio, ma il custode - che non poteva smentire le caratteristiche connesse alla sua funzione istituzionale - parlò subito della vicenda con tutti coloro che nelle due ore successive transitarono a piedi davanti alla guardiola. Nessuno di loro ne sapeva niente e nessuno aveva ancora notato quella targa.

Poco prima di mezzogiorno, il custode ed alcuni condomini presero finalmente la decisione di andare a verificare di persona. Scesi che furono al secondo piano sotterraneo, ebbero la conferma di ciò che aveva visto il geometra Martini. La curiosità creata da quella lugubre targa divenne a quel punto generale.

Risaliti tutti quanti all'aperto e raggiunta di nuovo la guardiola, il solerte Paolo chiamò al citofono i signori Maspes, per chiedere lumi. Rispose la figlia più giovane, Anna Maria, che proprio quel giorno, a causa dello sciopero dei mezzi pubblici, aveva pensato bene di non recarsi a scuola, evitando così anche la temuta interrogazione di latino: "Come dice, signor Paolo? Éla targa? Éah, si, l'ha messa ier l'altro il mio pà, dopo che tutti quanti insieme abbiamo sistemato anche ciò che è rimasto del povero nonno. Ma se vuole sapere qualcosa di più, signor Paolo, deve chiedere a ma' o a pa', che ora sono fuori. Torneranno, credo, verso l'una, come al solito. Buon giorno."

Il citofono era stato messo in posizione "viva voce", per cui tutti i condomini presenti ascoltarono la risposta della giovane. E nuove più marcate espressioni di meraviglia si stamparono sui loro volti.

"Ma cosa dunque voleva dire la ragazza", chiese uno dei presenti, "quando ha affermato che 'anche' i resti del nonno stanno in quel box? Cosa diavolo c'è dunque là sotto, una vera e propria tomba di famiglia? Se così fosse, sarebbe veramente una cosa inaudita, a dir poco scandalosa, da denunciare subito alle Autorità".

"E ci mancava anche questa." Aggiunse una signora che era arrivata da poco. "Non bastava che in quei box si facesse già di tutto, dallo spaccio della droga agli incontri galanti che intrattengono fra loro i domestici e le domestiche ad ore arrivate dalle Filippine. Ci mancava proprio una tomba, ci mancava."

"Mah, io non credo ancora a tutta questa faccenda", azzardò allora il custode, "mi sembra tutto uno scherzo, macabro sinché vogliamo, ma nient'altro che uno stupido scherzo. Aspettiamo che tornino i signori Maspes e vedremo. Io sono talmente curioso di sapere come stanno veramente le cose che non chiuderò neppure la guardiola per l'intervallo. Mi faccio preparare un toast e una birra da mia moglie e rimango qui di vedetta. Non appena rientrano i Maspes li fermo e... poi vi farò sapere."

Era da poco suonata l'una all'orologio del campanile della vicina chiesa di Santo Spirito, quando il signor Antonio Maspes e signora giunsero davanti alla guardiola.

"Buon giorno, signor Paolo", disse con un mezzo sorriso la signora Maspes, "sapesse che confusione in tutta la città, a causa dello sciopero dei mezzi! Il centro è interamente bloccato e, come al solito, di vigili non se ne vede in giro nemmeno uno."

"Eh, si, capisco, signori, ma... mi vogliano scusare se mi permetto di porre loro una domandaÉ forse un po' imbarazzante."

"Dica, dica, signor Paolo. Se possiamo accontentarla...", rispose il signor Maspes.

"Dunque, il fatto è che... non saprei come dire... ma mi è stato detto da alcuni condomini che... sulla porta del vostro garage è comparsa una strana targa... Io non sono ancora sceso di sotto a controllare, ma... certamente si deve trattare di uno scherzo di qualche buontempone o di qualche stupida bravata. Ho anche chiesto alla vostra Anna Maria... ma lei mi ha detto di rivolgermi a voi."

Il signor Maspes assunse allora un'espressione del tutto compita e fornì senza alcun imbarazzo la sua spiegazione.

"Tutto vero, signor Paolo, tutto vero. Soltanto due mesi fa ci è giunta tramite il Ministero degli Esteri la notizia, ormai del tutto inattesa, che un gruppo di ricercatori britannici, che hanno una loro base scientifica nell'Antartide, avevano casualmente visto riaffiorare dai ghiacci i resti della spedizione che si era perduta da quelle parti nel lontano 1928, durante una sfortunata esplorazione organizzata da un gruppo di esploratori italiani. Fra quei pochi resti c'erano anche quelli appartenenti al babbo. Allora abbiamo fatto tutte le pratiche per il rimpatrio e, alla fine, siamo riusciti a ricongiungerli a quelli di mamma, deceduta ormai da trentacinque anni. Sapesse, signor Paolo, che gioia - ma al tempo stesso che tristezza - aver potuto finalmente recuperare, e dare una sistemazione consona, a ciò che è rimasto del mi' povero babbo. Poi, infine, tre giorni fa mi è stata consegnata la targa che avevo fatto incidere appositamente e che solo ora è stata notata sulla porta del nostro garage."

Il portiere, alquanto turbato e sconcertato, rimase per qualche attimo in silenzio, ma poi raccolse tutto il suo residuo coraggio e chiese:

"Ho capito, signor Maspes, ma... perché nel box? E poi... cosa dunque c'è d'altro là dentro? Non è per me che glielo chiedo... il box è vostro e potete farne l'uso che volete, ma sa... i condomini..."

"Ah, si, i condomini", rispose con tono molto pacato il signor Maspes. "I condomini possono stare del tutto tranquilli. E' stato fatto tutto per bene e potrà constatarlo anche lei stesso, quando lo vorrà. Non ci sono segreti per nessuno. Là sotto c'è, come le ho detto, ciò che è rimasto di mamma e di babbo, ma volendo c'è posto anche per il resto della famiglia. Quando sarà il momento, naturalmente. D'altro canto, non c'erano altri posti disponibili nel camposanto comunale e così... ci siamo dovuti arrangiare al meglio. Ma non è venuto poi tanto male. Anzi, se crede, dopo domani, domenica mattina, posso farle vedere il tutto. Lo dica, lo dica anche agli altri eventuali condomini interessati. Così si tranquillizzano."

Con un sorriso di circostanza il signore e la signora, anzi, il duca e la duchessa Maspes di San Colombano, salutarono il sempre più esterefatto Paolo e si avviarono con calma verso casa.

Dopo un paio di bicchierini di grappa veneta, provvidenzialmente portatigli da sua moglie e trangugiati in un attimo, il custode si riprese e cominciò a riflettere con più calma sull'intera vicenda. Poi, infine, si attaccò ai citofoni e fornì i dovuti chiarimenti a tutti quei condomini che avevano partecipato alla visita mattutina nel secondo piano del sotterraneo.

Ne scaturì un indescrivibile cocktail di reazioni: chi si mostrò turbato; chi ancora incredulo; chi, scandalizzato, propose di chiamare subito i Vigili Urbani, l'Ufficio d'Igiene e i Carabinieri; chi, appellandosi ai vari Codici, minacciò subito denunce e cause civili e penali; chi espresse all'istante seri propositi per un suo trasloco immediato in qualche altra residenza più tranquilla; chi salomonicamente propose di scaricare la patata bollente sull'amministratore del condominio; e chi, in modo quasi irrazionale, si fece delle sonore risate. Alla sera, non appena rientrato dall'ufficio, fu aggiornato sulla vicenda anche il geometra Martini. Tutti in ogni caso concordarono sul fatto di ritrovarsi la successiva domenica mattina per la visita a quello strano e inusuale cimitero privato.

Nei due giorni che precedettero la domenica, la notizia raggiunse un buon numero di altri condomini, suscitando reazioni e commenti di ogni genere. Tutte le persone unanimemente convennero sul fatto che nessuno avrebbe mai pensato che i signori Maspes - dei quali nessuno aveva mai avuto alcunché da dire sino ad allora, neppure nelle abituali e come sempre tumultuose assemblee condominiali - potessero aver commesso una cosa così sconvolgente ed alcuni non ebbero neppure il coraggio di scendere da soli al secondo piano sotterraneo per verificare l'effettiva presenza di quella famosa targa. Per un paio di giorni ben pochi residenti tolsero l'autovettura dal proprio box.

Domenica mattina, infine, di fronte a un gruppo alquanto folto di condomini assiepati nel corridoio antistante il garage numero 48, il signor Maspes sbloccò la serratura, aprì con garbo la porta basculante, accese la luce interna e tutti poterono così vedere il contenuto del locale.

Sulla parete di fondo, all'altezza di circa un metro e venti da terra, era stato costruito un ripiano in cemento armato, sul quale erano state a loro volta fissate, fra generosi separatori di malta, due file di quattro contenitori ciascuna. Si trattava proprio di oggetti simili a quei loculi prefabbricati abitualmente usati nei camposanti e che, una volta occupati dai loro ospiti, vengono sigillati con una sorta di coperchio che sostiene l'abituale lapide, corredata dalle immancabili fotografie ovali e dai soliti lumini elettrici. Tutto, dunque, apparentemente realizzato secondo le norme.

Nel vano sottostante il ripiano di cemento, trovava comodo spazio l'intero cofano anteriore dell'automobile del signor Maspes. Degli otto loculi presenti, soltanto due apparivano al momento occupati: quello del nonno e quello della nonna o, se vogliamo, di mamma e di babbo. Il resto del locale era stato tinteggiato a puntino di un color viola pallido, e lungo le pareti di destra e di sinistra brillavano le luci lattiginose di quattro piccole applique in ferro battuto, sormontate da altrettanti torciglioni di vetro smerigliato.

"Se volete, sposto la macchina", disse il signor Maspes, con l'evidente intenzione di rompere il ghiaccio che si era nel frattempo creato fra gli astanti, "così potete constatare meglio se le cose sono state fatte, o meno, a regola d'arte".

Ma non ci fu nessuna risposta, perché nel frattempo buona parte dei condomini si erano allontanati in tutta fretta e quei pochi che erano rimasti stavano ancora cercando di superare la sorpresa, facendo i dovuti scongiuri, più o meno evidenti.

Considerata ormai esaurita la principale curiosità dei presenti, il signor Maspes spense la luce, chiuse a chiave la porta basculante, rimase un attimo ancora in silenziosa riflessione davanti alla famosa targa e quindi, con un sospiro di mesta rassegnazione, si avviò verso l'uscita del sotterraneo, seguito a breve distanza dai pochi condomini rimasti.

Nessuno di loro era in grado in quel momento di porre altre domande o di esprimere alcuna considerazione, tanto era lo sbalordimento che li aveva colpiti. Tutti così rientrarono in silenzio nelle loro abitazioni, come al termine delle esequie di un caro congiunto.

Fu soltanto il giorno dopo che ebbe inizio la bagarre. Alle sette di sera, nel salotto di casa Martini, si riunirono l'amministratore del condominio e sette od otto condomini, per discutere a bocce ferme sulla vicenda e per decidere le eventuali necessarie iniziative da prendere.

"E' una cosa fuori dal mondo", esordì il condomino Bartolacelli, "una tomba di famiglia sotto le nostre case! Ed io che nel mio box, oltre alle automobili mia e di mia moglie, tengo le scorte di vino e qualche salame nostrano! Occorre segnalare urgentemente il fatto all'Ufficio d'Igiene del Comune, perché prenda i provvedimenti del caso."

Gli fece eco il geometra Martini: "E i possibili miasmi? i possibili miasmi dove li mettiamo? Secondo me quelli, i Maspes, sono dei pazzi e vanno denunciati al Tribunale."

Dopo una lunga e accalorata discussione, il dottor Rossi-Ferrini, amministratore, venne incaricato di compiere da subito i passi più idonei per far ritornare il box numero 48 alla sua originaria destinazione d'uso.

Il professionista non perse tempo e la mattina del giorno dopo era già all'opera. Deluso dalla Questura e dal locale comando dei Carabinieri, in quanto "...la vicenda non è di nostra stretta competenza, non ravvisandosi, allo stato, gli estremi di un reato contro la persona o contro il patrimonio", l'amministratore si rivolse al Segretario Comunale, il quale si limitò a confermargli che "...effettivamente qualche tempo fa il signor Maspes aveva chiesto che gli venisse concesso un loculo al Cimitero per dare degna sepoltura a ciò che era rimasto di suo padre, ma in quel momento non c'era la necessaria disponibilità e fummo costretti a suggerirgli di cercare in qualche altro Comune vicino".

Sentito un amico avvocato, l'amministratore presentò allora un esposto in piena regola al Presidente del Tribunale, chiedendo che venisse aperta un'inchiesta giudiziaria atta la stabilire le eventuali responsabilità e a trovare le più adeguate soluzioni.

Nel frattempo alcuni condomini pensarono bene di agire anche su un secondo fronte, quello dei media. Informarono le redazioni dei quotidiani e delle TV locali, che si affrettarono a spedire sul posto uno stuolo di giornalisti, di fotografi, di tele e di cine operatori, che in men che non si dica diffusero la notizia attraverso tutti i canali disponibili. Ne parlarono con toni velati di incredulità tutti i principali quotidiani nazionali, nonché El Pais, il Financial Times e l'altrettanto autorevole Le Monde. Arrivarono al civico 64 di Viale Edison altri giornalisti, fotografi e teleoperatori italiani e stranieri, che ripresero e intervistarono il custode Paolo e sua moglie, il geometra Martini, i signori Bartolacelli e l'ormai onnipresente dottor Rossi-Ferrini. Non fu loro possibile prendere contatto con i signori Maspes, in quanto tramite il loro citofono rispondevano che "...quello che avevamo da dire, l'abbiamo già detto. Ora è in corso un'inchiesta giudiziaria e noi abbiamo piena fiducia nella Magistratura."

Si levarono vibrate voci di protesta da parte dell'opposizione politica, che assunse subito le difese dei signori Maspes, prendendosela soprattutto con il Ministro degli Interni in carica, che "...in tre anni di malgoverno non ha ancora portato a soluzione il grave problema degli spazi cimiteriali, da tempo oggetto di critiche e di pressioni da parte dell'intera opinione pubblica". Già che c'era, l'opposizione chiese a gran voce le dimissioni del suddetto Ministro.

Modificando senza alcun preavviso i programmi già previsti in prima serata, la principale rete televisiva nazionale mandò in onda un concitato dibattito al quale parteciparono un sottosegretario del governo in carica, due esponenti politici dell'opposizione, il centravanti della squadra di calcio in testa al campionato, un paio di donne algerine neo-laureate all'Università per stranieri di Perugia, e la famosa soubrette Monique Franchini. Non ne uscì nulla di nuovo, se non un richiamo del conduttore a rispettare la libertà individuale, nel segno del progresso democratico, contro qualsiasi forma di revisionismo storico e culturale.

Alcuni giorni dopo, muniti di regolare mandato emesso e firmato dal Procuratore Capo del locale Tribunale, alcuni funzionari dell'Ufficio d'Igiene, e un paio di robusti muratori ciociari, diedero inizio all'ispezione all'interno del box, per verificarne il contenuto, per asportare quanto eventualmente necessario e per apporre, infine, i sigilli d'uso al tutto.

L'intero corridoio del secondo piano sotterraneo era affollato di condomini, di giornalisti e di curiosi venuti da ogni dove, e un provvidenziale nastro a strisce bianche e rosse delimitava a mala pena un esiguo spazio sul quale stazionavano il camioncino dei muratori, un furgone delle pompe funebri e un auto dei Vigili Urbani, con le luci lampeggianti azzurre ancora accese.

Il signor Maspes aveva di buon grado accettato di collaborare e non ci fu alcun bisogno di forzare la porta basculante del box numero 48, che fu aperta con la solita attenzione dal signor Maspes in persona, il quale provvide anche a far uscire la sua auto di quel tanto che bastava per poter accedere agevolmente ai loculi.

Su ordine del responsabile dell'Uffico d'Igiene, fu dato inizio al lavoro, con robusti e ben assestati colpi di mazzuolo impartiti a regola d'arte dai due muratori. Nel frattempo i cameramen avevano acceso tutte le luci per una corretta ripresa TV e i fotografi avevano armato gli otturatori delle loro fotocamere. Caduti che furono la lapide e il coperchio che chiudevano il loculo del Comandante Alfonso Luigi Maspes, duca di San Colombano, si presentò agli occhi dei presenti una realtà che fece esplodere nel corridoio, all'unisono, un grande "ohhh, uhhh", di sorpresa e di meraviglia.

All'interno del loculo apparvero infatti una lanterna a petrolio con il vetro infranto, una bussola arrugginita, un sestante, una grossa macchina fotografica a soffietto, un paio di guanti di pelle, delle racchette da neve e una cassetta di lamiera con la croce rossa del pronto-soccorso. In quel contenitore non c'era assolutamente altro.

In quello della nonna, anzi, di mamma, c'erano invece una coppia di aghi da maglia ancora infilati in una mezza manica di un completino azzurro per neonati, un pacco di lettere legate con un nastrino rosa, un buffo cappellino verde ornato di fiori finti, un ventaglio con le piume di struzzo e una grande fotografia incorniciata, che riproduceva mamma e babbo Maspes in un momento di relax vacanziero. Anche in questo secondo loculo, nonostante l'accurata ispezione del responsabile dell'Ufficio d'Igiene, non c'era proprio nient'altro.

"Adesso, signor Maspes, dovrà seguirci al comando e chiarirci per bene cos'è tutta questa faccenda", disse con tono fermo e visibilmente seccato, il comandante dei Vigili Urbani.

"Non credo, signore, che ci sia alcunché da spiegare. Anzi, siete voi che mi dovete delle scuse per aver violato, senza alcuna ragione plausibile e in modo assolutamente incivile, ciò che è rimasto di mamma e di babbo. Avevo ampiamente assicurato tutti quanti voi che tutto era regolare e che non c'era da preoccuparsi di alcunché. Avete voluto creare un caso inesistente e ora me ne fate pure una colpa? Presenterò ovviamente i miei reclami nelle sedi più opportune."

E così dicendo, il signor Antonio Maspes, duca di San Colombano, abbandonò tutto e tutti, avviandosi sconsolato verso l'uscita; ma, eseguendo un perentorio comando del loro superiore, fu raggiunto in tempo da un paio di compiti vigili urbani che lo presero senza troppi complimenti a braccetto e lo fecero accomodare nella loro auto, lasciando quindi con una gran sgommata quel corridoio sotterraneo, diretti al loro Comando centrale.

Una così sorprendente conclusione aveva lasciato di stucco le molte decine di persone assiepate nel corridoio di quel secondo piano sotterraneo. Dopo la brusca partenza della vettura dei Vigili Urbani, anche le troupe televisive e i fotografi raccolsero le loro apparecchiature e ordinatamente si diressero verso altre più accattivanti notizie. I condomini presenti, ancora sorpresi per quanto accaduto, smisero di allungare il collo per cercare di vedere meglio lo spettacolo, e i più curiosi fra loro ebbero modo di constatare più da vicino ciò che in realtà era stato così amorevolmente conservato in quei preziosi reliquari. Qualcuno, non sapendo cos'altro dire, si limitò a scuotere la testa, atteggiando le labbra a qualcosa di molto simile a un "maaah?!" Altri, avviatisi a piccoli gruppi lungo la rampa di risalita, azzardarono qualche commento, del tipo: "Eh... chi l'avrebbe mai detto?" - "Certo che... però, ci vuole proprio un bel coraggio!" - "Bene, possiamo dire di averla scampata bella!" - "Io l'avevo sempre detto che quel Maspes non mi aveva mai convinto del tutto."

Il custode Paolo, che ovviamente non si era perso nessun particolare, avendo assistito in prima fila a tutto lo svolgimento della vicenda, a quel punto tornò nella sua guardiola e per diversi giorni scrutò per benino tutte le persone che entravano nel complesso condominiale che stava sotto la sua professionale giurisdizione, per essere il primo a poter dare la notizia del rientro a casa del signor Maspes. Fu soltanto tre settimane dopo che dal cancello principale transitò, senza fare uso della sirena, un'ambulanza della Croce bianco-verde di Maria Bambina di Nazareth, diretta verso il palazzo B.

Nessuno fornì subito chiarimenti in merito, ma un paio di settimane più tardi al suo ritorno da scuola, la giovane Anna Maria Maspes fu discretamente interrogata dalla moglie del custode, e si seppe così che "...si, si, ora si è un po' rimesso. Certo che per lui è stata proprio una cosa da sballo. Al comando dei vigili l'hanno trattato di brutto e lui si era sentito male. Un dottore aveva subito detto che il mio pa' era andato tutto fuori di testa. Poi là, in quel brutto ospedale, assieme a tutti quei matti, hanno detto che gli era venuta la schi... la schizo...beh, cioè, qualcosa del genere. E' stata dura anche per noi, ma alla fine si è rimesso. Non vuole ancora uscire di casa e dice che tutti gli vogliono male, ma... non lo so ancora bene, cioè forse sabato prossimo... in vista del lungo ponte di Pasqua, andremo sulla costa salentina... cioè per qualche giorno di vacanza."

La notizia delle possibili tombe sotto casa, smise presto di essere tale. Altri scoop più recenti vennero ad occupare le pagine della cronaca giornalistica e l'opposizione parlamentare trovò nuovi pretesti per criticare il Governo e i vari Ministri in carica.

Non appena gli fu possibile, Antonio Maspes, duca di San Colombano, tolse la famosa targa di ottone dalla porta basculante e la sistemò più discretamente all'interno del box, sulla parete di destra, mantenendo un'esatta equidistanza dalle due applique in ferro battuto, sormontate da un torciglione di vetro, che fornivano la loro luce biancastra al locale, tinteggiato di un viola pallido.

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