La cicca

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

Si fa presto a dire "incontri inattesi": quando abiti in una moderna metropoli e pensi che la moltitudine umana che la abita, con tutte le sue originalità e le sue incongruenze ti abbia ormai sottratto qualsiasi possibilità di particolari sorprese, ecco che in quel momento ti può capitare l'imprevisto.

Stamani, mentre mi avviavo verso le scale che portano al mezzanino della Metropolitana, a seguito di un incontro del tutto imprevisto ho avuto la riconferma della crisi economica che stiamo attraversando. A darmi questa certezza non sono stati gli ormai ricorrenti annunci di "giovedì" o di "venerdì nero" della Borsa di New York o di Tokyo, bensì la visione di un uomo sulla settantina d'anni che compiva, appunto, un'azione che credevo ormai abbandonata da decenni.

Si trattava di una persona dall'aspetto normale, vestita in modo decente e senza alcunché di anomalo, a parte un vistoso buco del calzino all'altezza del tallone sinistro, che lasciava trasparire ad ogni passo il biancore della pelle. Ma un buco nella calza non vuole proprio significare nulla e può capitare a chiunque, inconsciamente, di andarsene in giro con una parte del tallone scoperto. Il signore in questione camminava con andatura sicura, sostenendo con una mano una di quelle borse di plastica dei supermercati, che sembrava contenere i normali acquisti della giornata.

Mi aveva incuriosito che tenesse costantemente lo sguardo rivolto a terra e che ogni due o tre passi si chinasse per prendere qualcosa di indefinito, che poi riponeva nella borsa di plastica. In un primo tempo avevo avuto l'impressione che stesse raccogliendo le monetine perse da qualche altro passante, ma dopo un istante di meraviglia compresi che si trattavaÉ di un raccoglitore di cicche.

Sì, proprio di cicche, o meglio, di mozziconi spenti di sigarette.

In effetti, la precisazione non è del tutto superflua, in quanto negli ultimi decenni il termine "cicca" ha subìto la terza trasformazione della sua lunga storia, essendo ormai comunemente usato per definire la gomma da masticare, o chewing-gum, o anche "cicca americana".

Tuttavia, all'origine, la cicca non era altro che la rimanenza, lunga all'incirca un paio di centimetri, di un normale sigaro toscano, che i nostri vecchi spegnevano con cura e che conservavano nelle tasche del panciotto, per poi infilarsela in bocca e masticarla con calma e a lungo, senza tuttavia mai deglutirla e, infine, sputarla. Solitamente quel rito aveva inizio dopo il pasto e con in bocca ancora il sapore dell'ultimo bicchiere di vino. Che gusto potessero ricavare nell'assaporare con tanto amore quel residuo puzzolente di tabacco, non mi è stato mai ben comprensibile, anche perché non ne ho mai fatto un'esperienza diretta, ma l'abitudine era alquanto diffusa ai diversi livelli sociali. Neppure le continue rimostranze di mia madre riuscivano a distogliere mio nonno dalla sua "ciccatina" quotidiana e quando lui mi prendeva sulle ginocchia per raccontarmi una favola o per ripetermi per l'ennesima volta le sue gesta eroiche nelle trincee del Carso, non sapevo come fare per evitare gli effluvi non proprio aromatici emanati dalla sua bocca.

Negli anni '40, al consumo del sigaro si contrappose, in modo sempre più diffuso, quello della sigaretta e di conseguenza sorse la professione - perché di questa talvolta si trattava - del raccoglitore di cicche, molto ben raccontata anche attraverso le immagini dei primi film del "neo-realismo italiano". La pesante situazione economica di quegli anni giustificava ogni attività di riciclaggio di quelle che oggigiorno sono pomposamente definite "le materie seconde" e il tabacco era proprio una di loro. Durante il periodo bellico, la disponibilità di materia prima si era talmente ridotta che venivano utilizzati al posto del tabacco i più svariati surrogati, compresa "la barba" delle pannocchie di mais; ma anche nell'immediato dopoguerra il costo delle sigarette, fornite dal Monopolio o acquistate di contrabbando, non era al livello di tutte le borse e molti accaniti fumatori s'industriavano come meglio potevano per soddisfare il loro vizio. C'erano quindi coloro che raccoglievano le cicche per sé stessi, ma anche quelli che ne facevano un vero e proprio commercio.

Il raccoglitore abituale aveva addirittura semi-industrializzato la sua attività, specializzandosi nel prelevarle dal suolo con l'uso di una sottile e lunga bacchetta, munita di un acuminato punteruolo, che gli risparmiava il disagio di doversi curvare ogni volta. Questa attività comportava la disponibilità di una buona vista e di un polso molto fermo, ma con un po' di esercizio i frutti di un simile lavoro si presentavano abbastanza consistenti. La maggior parte delle sigarette in circolazione non erano ancora dotate di filtro e i mozziconi contenevano almeno un paio di centimetri di tabacco, abbondantemente nicotinato. Si trattava quindi di un concentrato di veleni che oggi farebbe gridare ancor più allo scandalo i più accaniti sostenitori del "non-fumo", ma che a quei tempi non formava oggetto di particolari attenzioni salutiste. Oltre ai prodotti del Monopolio di Stato, c'erano le sigarette Liberty, Boston e Lucky Strike, portate in Italia dagli Americani, e che fornivano residui di tabacco biondo, "tipo Virginia": una vera prelibatezza per i più accaniti fumatori.

Era dunque sorto un fiorente commercio dei tabacchi recuperati dalle cicche, che erano riutilizzati per la confezione manuale di nuove sigarette prodotte con un sapiente movimento delle dita o con l'uso di speciali macchinette a stantuffo che favorivano l'avvolgimento del tabacco nelle apposite "cartine". Al termine di tutto ciò, una piccola leccatina sui lembi della sottile velina di carta sublimava la produzione di quell'oggetto del desiderio. Nessuno, come accennato più sopra, si preoccupava più di tanto dell'igiene e della possibilità di contrarre malattie polmonari, o simili. Si diceva anche che lo stesso Monopolio utilizzasse senza alcun problema il tabacco di recupero per produrre le sigarette e le miscele da pipa più economiche; ma occorre ammettere che su questo aspetto mancano a tutt'oggi conferme ufficiali.

Con il miglioramento delle condizioni generali di vita e con l'uso sempre più abituale di sigarette light e super light, decotinate, ultra sottili e in prevalenza dotate di filtro, il riutilizzo dei mozziconi sembrava essere diventato del tutto superfluo, anche perché le cicche di sigaretta che si possono notare disseminate ovunque sui marciapiedi, e in prossimità dei semafori stradali (quale occasione migliore di utilizzare i tempi morti del semaforo rosso per vuotare elegantemente in strada il portacenere della propria autovettura?), una volta eliminato il filtro, sono talmente ridotte da non contenere ormai che poche briciole di tabacco.

Da parecchi anni dunque non mi capitava più di imbattermi nei raccoglitori di cicche, mentre mi era tristemente nota l'immagine dei residui di gomme da masticare gettate sui marciapiedi, non raccolte da nessuno e lasciate in balia della prima scarpa che sfortunatamente le calpestava. Un altro genere di cicche, quindi, e anch'esse rappresentative di quel malcostume, ormai sempre più diffuso, di gettare per terra qualsiasi oggetto di scarto.

L'incontro con quell'uomo della Metropolitana mi ha quindi sorpreso e, al tempo stesso, mi ha fatto ritornare parecchio indietro nel tempo. Sorpreso ed anche incuriosito, in quanto la metodicità dei suoi gesti mostrava la non occasionalità di quella raccolta e una pratica da lui ormai ben consolidata. Non si trattava quindi di un povero diavolo tiranneggiato da una perfida moglie che gli negava i soldi necessari all'acquisto di normali sigarette; come neppure di un volontario di qualche associazione ecologica che si curava della eliminazione di qualsiasi residuo visibile del vizio del fumo; ma allo stesso tempo avevo certamente incrociato un fortunato individuo che evidentemente non soffriva di alcun dolore reumatico alla regione dorsale o lombo-sacrale e che poteva quindi chinare senza alcun ritegno la propria schiena, per raccogliere da terra quelle preziose cicche che altri suoi precedenti "colleghi" prelevavano con gli appositi bastoncini appuntiti.

Sceso nel mezzanino della Metropolitana, vidi che il mio uomo stava per iniziare una fase di raccolta ancora più sistematica e, quindi, decisi di osservarlo meglio. Per non fare eccessivamente notare la mia curiosità e per non correre il rischio di urtare la sua sensibilità, mi avvicinai all'edicola dei giornali, scegliendo con cura un periodico da acquistare, ma senza perdere di vista nemmeno per un attimo il raccoglitore di cicche.

Costui si era intanto avvicinato con decisione ad uno dei posacenere posti in prossimità dei tornelli d'entrata e, dopo di essersi infilato nella mano destra uno di quei guanti trasparenti di plastica in uso presso il reparto "frutta e verdura" dei supermercati alimentari, aveva cominciato a scegliere con cura i mozziconi da raccogliere, deponendoli quindi nel famoso sacchetto. L'azione si è ripetuta per tutti e dieci i posacenere della stazione. Ho apprezzato molto che svolgesse quel lavoro munito di guanti, anche se non mi quadrava più il fatto di averlo notato pochi istanti prima prendere le cicche da terra a mani nude.

Compresi, a quel punto, che stava ora attuando una metodologia di lavoro scientificamente perfetta, e che i mozziconi raccolti precedentemente lungo la strada non erano che un piccolo diversivo; tanto per non perdere nessuna occasione che gli potesse capitare. Ben diverso era, infatti, il risultato ottenuto attingendo ai posacenere della Metropolitana. Il divieto di fumare sui treni e lungo le banchine di sosta, benché spesso disatteso da taluni viaggiatori alquanto incivili, fa sì che la maggior parte dei fumatori gettino la propria sigaretta, magari accesa da poco, nei posacenere del mezzanino. Una vera manna, quindi, per coloro che vogliono fare incetta delle cicche! Basta ripulire con cura e nel momento giusto i posacenere di tre o quattro mezzanini della Metropolitana per riempire di cicche una grande borsa di plastica e realizzare così un ottimo risultato.

Ormai pienamente al corrente dell'attività svolta da quel signore, mi restava l'interrogativo del "perché" lui facesse quel lavoro e del "cosa" ne facesse dei famosi mozziconi. Sono rimasto per qualche istante nel dubbio se azzardarmi o meno a porgli quelle domande alle quali non avevo saputo dare io stesso una risposta, ma alla fine ho optato per il rispetto della privacy e mi sono astenuto da ogni possibile intervento. Non penso che quei mozziconi gli servissero per produrre in forma artigianale ed estemporanea una sorta di "estratto di tabacco" da utilizzare per combattere gli afidi delle piante che teneva sul balcone di casa; così come non penso che tutto quel tabacco lo potesse usare lui stesso per la fabbricazione delle antiche sigarette "fatte con la cartina". Forse ne faceva un uso commerciale per ricavarne qualche soldo. E chi può escludere che non ci fosse ancora qualche interesse di un qualsiasi Monopolio? Io ormai da tempo ho smesso di fumare, ma chi lo fa ancora e date le circostanze, dovrebbe riflettere su quest'ultimo punto, a prescindere da qualsiasi altra considerazione.

Mi è quindi rimasto un fondo di curiosità inappagata, al quale contrappongo la convinzione che sia stata l'attuale crisi economica a motivare le sue azioni. In ogni caso gli va il mio tacito ringraziamento per avermi fatto tornare indietro, per qualche istante, nel ricordo di tanti anni fa.

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