Le lamentazioni del giovane Vecchio

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

Con l'impietoso trascorrere del tempo mi sono reso conto sempre di più di quanto sia stata anomala la generazione alla quale, non certo per mio volere, appartengo. Infatti, i sessantenni di oggi hanno fatto ancora in tempo a prendersi dei sonori scapaccioni dai propri genitori ogniqualvolta non "facevano i bravi bambini", ed hanno ripreso a prenderli - questa volta fortunatamente in senso spesso solo figurato, ma ciò non ostante non meno doloroso, dai propri figli.

"Dici bene tu, forte di una differenza in tuo favore di sette o otto lustri, quando m'interrompi obiettando: "Adesso non fare del puro vittimismo e non atteggiarti a martire dei tuoi tempi"; ma, in realtà, che ne sai tu veramente?"

Rudolf Steiner, Maria Montessori e, non ultimo, Benjamin Spock, possono essere considerati i principali responsabili di questo cambiamento epocale nei rapporti intra-generazionali. Le loro predicazioni sulla assoluta non violenza fisica e verbale sui piccoli e gli insegnamenti pedagogici farciti di tanto - più che giusto - buonismo, hanno fatto sì che il bambino non potesse più essere intenzionalmente colpito neppure con un fiore, togliendo così - fra l'altro - questo privilegio alla donna, della quale da allora in poi non è più importato a nessuno di come venisse colpita.

Per quanto riguarda i piccoli, si è trattato quindi di un'ottima azione di tutela, che ha dato indubbiamente i suoi frutti, ma perché mai non si è fatto avanti nessun illustre pedagogo a difendere, a loro volta, anche i quanto meno paritetici diritti dei genitori? No, per questi ultimi non c'è stato scampo alcuno. Sono tutte e soltanto loro le responsabilità di aver inventato la bomba atomica, di aver introdotto il consumismo e di avere rovinato l'ambiente, di aver tentato in tutti i modi di migliorare lo stato sociale, di stressare i giovani con continui richiami a un non meglio definito "rispetto" delle cose e delle persone. Il trinomio Dio-Patria-Famiglia non è che lo stupido retaggio di generazioni forse preistoriche, le cui gesta non sono per nulla di stimolo per nuove leve ben più informatizzate, discotechizzate e, in ultima analisi, globalizzate. Dio, come già cantava Guccini sul finire degli anni '60, "è morto": ammazzato per la seconda volta dalla demagogia e dalla ipocrisia; della Patria ce ne ricordiamo soltanto quando la squadra nazionale arriva in semi-finale ai campionati mondiali di calcio; e la Famiglia, quella sì che sopravvive, ma soprattutto nella versione di due gay che si amano alla follia. Per il resto, ciarpame inutile, di stampo conservatore e reazionario.

"Smettila di andare in giro a deturpare i muri con lo spray e cerca di prenderti quel dannato diploma, così poi ti trovi un lavoro, ti sposi e te ne vai finalmente ad abitare per conto tuo".

"Ma che cazzo dici, pa', cosa dovrei ancora andare a fare in quella merda di scuola, da quegli stronzi di prof, per poi avere in mano un pezzo di carta che non vale neppure una sega e che mi lascerà per anni disoccupato a marcire fra i disoccupati e i tossici? E perché mai dovrei poi sposarmi? Per sentirmi per il resto della vita il fiato sul collo di una cretina che mi rompe le palle dicendomi: "alza i piedi che devo passare il battitappeto", o che mi costringe a lavare i vetri di casa mentre lei apparecchia la tavola? No, grazie, non ci sto. Se io e la mia ragazza vogliamo farci una gran bella scopata, la facciamo ugualmente, senza il sigillo ufficiale del prete o del sindaco. E se i vetri di casa sono sporchi, o viene mamma a pulirmeli - e sono cazzi suoi - o possono stare lì così come sono. A me non me ne frega proprio niente di niente. E poi, tutto sommato, dimmi la verità: non ti fa piacere che io stia ancora in casa con voi, anche se alla fine mi vedete ben poco?"

"E tu, mio caro amico dai sette o otto lustri in meno, non vuoi ammettere che tutto questo equivalga a una sonora razione di scapaccioni impartiti, a titolo del tutto gratuito ma senza alcuna misericordia, a noi poveri "antichi" genitori che, forse davvero, non capiamo più nulla o non abbiamo capito mai nulla?"

Secondo me le differenze di pensiero e di azione che esistono fra la nostra generazione e quella che ci segue (ma anche fra quest'ultima e l'altra ancora che, a sua volta, inevitabilmente la segue) sono ben più marcate di quanto non lo fossero quelle fra la nostra e la precedente. Per non andare ancora più indietro nel tempo. Più la tecnica, e ancor più in generale il progresso, hanno camminato a rapidi passi e più si sono evidenziate le differenze di vita e di pensiero fra padri e figli, e addirittura fra fratelli maggiori e minori.

Mio nonno aveva bisogno per vivere soltanto di un lavoro onesto, di un modesto alloggio arredato in modo ultra-spartano, di un cesso in comune con altri 20 o 30 suoi consimili e posto in bella evidenza in un angolo del cortile, di un abito "della festa" e di un qualcosa "di ben più andante" da indossare quando era al lavoro. In queste circostanze aveva messo al mondo una nidiata di figli. Fra lui e suo padre le differenze in questo senso non erano state poi così sostanziali. Forse era soltanto cambiata la forma del cesso, che da un semplice foro praticato su un basamento di cemento, si era già trasformato - qual prodigio di modernità - in una piastra di ghisa smaltata, "alla turca"; ovviamente senza alcuna serratura funzionante alla porta.

Già per mio padre le cose invece cambiarono, perché arrivarono alla portata di un più ampio pubblico: il telefono, la radio, la fotografia, il cinema, il grammofono, i cappelli di Borsalino, i bastoni da passeggio col pomo d'argento, e tante altre diavolerie pre-consumistiche. Poi, da buoni ultimi, il Mosquito, la Lambretta e - miracolo economico - la 600 con le portiere controvento. L'indice di natalità cominciò già da allora a decrescere in modo vistoso, ma parallelamente diminuì in misura maggiore quello della mortalità infantile e così nessuno pensò di analizzare meglio le cause di fondo del fenomeno. La statistica trilussiana del pollo aveva dunque colpito ancora.

Ma per la nostra generazione i mutamenti sono stati, ancora una volta, epocali.

Una delle amiche di mio figlio, giunta non senza una certa fatica fisica a 1800 metri di quota, in cima a una montagna, ha chiesto al custode della locale capanna-rifugio (quattro metri per quattro, con sei posti-letto a castello e una stufa a legna per riscaldarsi e per preparare qualcosa di caldo da mangiare), dove fosse "il bagno", in quanto le scappava la pipì o, non so bene, forse anche la pupù. Quando il malcapitato montanaro, gettato uno sguardo disperato al di là della piccola finestra, fra i verdi alpeggi e i cespugli di mirtilli e di rododendri, ha sgranato gli occhi dicendo fra un balbettio e l'altro:

"Scusa, come hai detto?", la giovane ha strabuzzato a sua volta gli occhi ribattendo:

"Ma come, cioè, non pretenderai mica che io vada a farla là, cioè in mezzo al prato, fra le torte delle mucche e i tafani!"

Potenza del consumismo! Ma chissà dove andrà a fare la pipì la figlia diciannovenne del custode di quella capanna-rifugio, che abita giù in città e che si sta laureando in neurochirurgia?

Tu mi potrai ancora una volta contestare l'eccessivo pessimismo del mio ragionamento e una certa esagerazione interpretativa della realtà che ci circonda. E a questo punto ti voglio dare il beneficio del dubbio, non essendo poi del tutto certo di avere tutte le ragioni e forse, come direbbe certamente mia figlia, nemmeno una. Ma, se così non fosse, cosa la autorizzerebbe ancora a definirmi uno scassa-palle?

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