La targa stradale

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

Riflettendo sulle mie vicende personali sono giunto alla conclusione che se non realizzerò rapidamente qualcosa di eccezionale, dopo la mia morte non potrò avere il piacere di vedere - si fa per dire - il mio nome impresso su un'insegna stradale della mia città.

E la cosa mi angustia parecchio.

L'essere giunto secondo alla gara dei cento metri piani ai Giochi della Gioventù del millenovecentosettantadue, o l'aver cenato l'altra sera, in compagnia di amici, a un tavolo vicino a quello dell'onorevole Rossetti, non sono motivi sufficienti per ottenere l'ambito riconoscimento.

Allora, cosa posso fare per conquistare la tanto desiderata fama?

Potrei, forse, scrivere un romanzo d'appendice strappalacrime o una raccolta di poesie ermetiche che un famoso editore, con l'interessata complicità di un altrettanto noto critico, osannerebbero sui più diffusi quotidiani, facendomi vincere un prestigioso premio letterario, con la possibilità di giungere sino al conseguimento del Nobel.

Potrei anche studiare a fondo il problema della cura del raffreddore, in modo da inventare finalmente un farmaco, un vaccino, o qualcosa di simile, che elimini completamente dalla faccia della terra quella fastidiosissima malattia.

Oppure, ancora, potrei brevettare una macchina che produce la non-luce, e costruire uno stabilimento che sforni in serie potenti lampade che gettino, ad esempio, un fascio di raggi neri nel bel mezzo di una piazza, in un assolato mezzogiorno di ferragosto.

Tutto ciò mi procurerebbe certamente la gloria necessaria per conquistare la stima e il riconoscimento imperituro dei miei concittadini e, forse, meriterei la targa sostitutiva di quella di via dei Tulipani (che non hanno mai inventato né scritto nulla, ma che sono stati provvisoriamente ricordati dall'amministrazione comunale in attesa della morte di un personaggio illustre) o di via Listz (che, pur essendo stato anch'egli un artista di grande fama, aveva purtroppo un cognome troppo difficile da riportare sugli indirizzi postali).

Ripensando però meglio alle mie possibilità di successo, ho stabilito che non sarei forse mai in grado di trovare il famoso editore e neppure il condiscendente critico letterario; che la cura del raffreddore susciterebbe, fra le altre, le ire dei sindacati dei lavoratori e che, infine, la fama dell'invenzione della luce nera mi verrebbe subito sottratta dalla già nota capacità dei nostri attuali uomini politici di gettare nel buio più assoluto spazi ben più ampi di quelli di una comune piazza cittadina.

Niente da fare, allora?

Devo continuare a vegetare nell'anonimato, in balia dei sorrisi disinteressati della mia portinaia (50.000 lire di mancia a Natale, a Pasqua e a Ferragosto); delle notizie e dei relativi commenti sacrosantemente imparziali dei telegiornalisti di fama; dei canonici quindici giorni di vacanze estive "tutto compreso" alla pensione Bellavista di Rimini?

Tutto ciò non mi basta più.

In tanti anni di non-gioco al Totocalcio, di non-gratta sui tagliandi gratta-e-vinci, di non-acquisto dei biglietti delle trecentonovanta lotterie nazionali, ho "vinto" la considerevole cifra di 434.750.000 di lire che, detratte le imposte del 34% sul reddito potenziale (I.R.P.), attualmente all'esame del Parlamento (nell'ambito della ventisettesima "manovrina" fiscale escogitata quest'anno per risanare i conti pubblici e mantenere il nostro Paese nei tanto discussi quanto incomprensibili "parametri di Maastricht"), mi lascerebbero il necessario per tentare in qualche modo di emergere e conquistare l'ambito riconoscimento dei posteri.

Ma i posteri, chi saranno mai costoro?

Il telegiornale di ieri sera ha annunciato che, secondo calcoli accurati, nell'anno 2015 il genere umano, beninteso vivente, avrà raggiunto la cifra di 14 miliardi di individui e che, qualche decennio dopo, si prevede la sua fine; con tutti gli abitanti del globo affogati in un enorme bagno di escrementi e di altri liquami non propriamente profumati. Sopra tutto questo sfacelo continuerà, per contro, a dominare il "grande fratello" di orwelliana memoria, che seguiterà a controllare con l'occhio vigile delle telecamere, e con l'immarcescibile rete telematica di Internet, l'involuzione del genere umano.

Nel contempo, un acceso dibattito andato in onda in "seconda serata", ha messo in risalto le preoccupazioni derivanti dalla "crescita negativa" della nostra popolazione; con l'invito finale, rivolto alle giovani coppie da un eminente porporato, di praticare nel matrimonio un coito sano, senza preservativi, pillole antifecondative o altre simili diavolerie. Il ritorno alle pratiche "naturali" consentirebbe, almeno, di preservare per qualche anno ancora quella nostra antica stirpe di santi, di eroi e di navigatori, che ha sinora fornito (aggiungo io) il materiale per una sempre più accesa concorrenza al mio desiderio di apparire immortalato nella segnaletica cittadina.

Se così stanno le cose, facendo qualche calcolo in più dovrei concludere che tutti i miei sforzi per conquistarmi la targa stradale necessiterebbero di un'aggiunta: il cambiamento del mio nome, per renderlo leggibile ed interpretabile a quei residuali esseri umani che, fra 20 o 30 anni, abiteranno nella mia città. Saranno essi Senegalesi, Cinesi, Papuasici o Brasiliani? Quale lingua parleranno e quali segni alfabetici sapranno interpretare?

Infine, dovrei proporre e fare approvare sin d'ora una nuova legge che imponga l'affissione delle targhe stradali a un'altezza minima dal terreno di 12 metri, in modo che esse possano auspicabilmente superare il livello dei prossimi liquami, e restare visibili agli sconosciuti "posteri" che verranno dopo la prevista estinzione del genere umano.

Tutto ciò mi ha comunque procurato un'insopportabile emicrania che ora mi costringe, mio malgrado, a rinunciare temporaneamente ai miei sogni di gloria. Assumerò quindi un analgesico e cercherò di prendere sonno, pensando di farmi rimboccare le coperte dalla super siliconata conduttrice del varietà del secondo canale: Va là, che vai bene!

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