Misteri dell'economia

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

Giuro che non ci capisco più niente; eppure quando me lo avevano spiegato mi sembrava tutto così semplice e chiaro!

Qualche tempo fa era stato detto che occorreva mandare a casa in pre-pensionamento i lavoratori più o meno anziani per far posto ai giovani; mentre ora si dice che la gente deve stare al proprio posto di lavoro fino a quando si regge in piedi, per poter così continuare a versare contributi pensionistici e far risparmiare costosi ratei di quiescenza allo Stato. Nel contempo, qualcun altro acutamente sostiene che bisogna ridurre la disoccupazione creando nuove possibilità d'impiego. E per assumere nuove persone si pensa di far lavorare qualche ora o qualche giorno in meno coloro che una occupazione già ce l'hanno. Credo di non aver capito bene, ma transeat.

Il valore della nostra moneta s'indebolisce e se c'è al Governo un certo colore, la colpa è solo sua. Tutti ne sono convinti. Subentra un altro colore, la lira continua a scendere e la colpa non è più di nessuno, se non del solito Spirito Santo. Gioiscono a quel punto gli esportatori, che così possono vendere di più all'estero, ma nel contempo entrano in crisi gli importatori e i commercianti che tuttavia, quando possono, aumentano i prezzi al pubblico di quei prodotti, che guarda caso, non entrano più nel cosiddetto "paniere" utilizzato, con la dovuta attenzione, per il calcolo dell'indice d'inflazione. Il signor Rossi e la sua gentile signora vedono aumentare costantemente la loro spesa al supermercato, ma la parola rasserenante del Principe annuncia con compiacenza la costante riduzione del costo della vita, facendo finta di non sapere che se alcuni prezzi veramente scendono è anche perché i consumi calano. Così le industrie non producono e i nuovi posti di lavoro non si creano; anzi. Temo di continuare a non capire bene il concetto.

Soltanto qualche decennio fa illustri cattedratici e illuminati uomini politici sostenevano l'assoluta necessità che molti settori cosiddetti strategici, quali l'energia elettrica, le ferrovie, gli impianti chimici o siderurgici, le telecomunicazioni, le banche, ecc., venissero nazionalizzati. E così fu fatto, sostenendo che i denari rimborsati dallo Stato ai privati sarebbero stati certamente utilizzati da questi ultimi per sviluppare nuove e più interessanti attività economiche. Ora, gli illustri cattedratici e gli illuminati uomini politici sostengono l'indispensabile necessità di privatizzare proprio quei settori che prima erano stati nazionalizzati. Così lo Stato incasserebbe i quattrini necessari per tappare le larghe e continue falle del suo bilancio-colabrodo. Saranno anche i flussi e i riflussi della storia e della politica, ma ho l'impressione di non aver capito interamente.

Si dice che si deve ridurre la spesa pubblica eliminando gli sprechi. Benissimo. Però non possono essere modernizzate le Poste, le Ferrovie, la Sanità, la Difesa, le Amministrazioni pubbliche, ecc., perché altrimenti decine di migliaia di persone andrebbero ad aumentare il numero dei disoccupati e, conseguentemente, il fabbisogno della cassa integrazione. Non possono neppure essere eliminati taluni Enti inutili, in quanto verrebbe indebolita la potente lobby che li tiene in vita. Così continuano a sopravvivere i sussidi per i reduci di Adua, e per i loro discendenti, e si conducono approfondite ricerche sul volo delle farfalle policrome che rallegrano le foreste amazoniche. Quindi, con inciuci o pastrocchi vari, si inventano nuove manovre, manovrine, imposte e tasse varie, anticipi e anticipi degli anticipi, la cui pur discutibile riscossione giustifica anche la tenuta in vita di quell'efficiente apparato burocratico, nato da un incestuoso connubio piemontese-borbonico, di cui si vorrebbe ridurre la spesa. Continuo a non capire.

Ricevo un invito per assistere a un prestigioso convegno che tratta di questo o di quell'altro ed ascolto estasiato una decina di eminenti oratori che declamano erudite tesi economiche e propinano infallibili ricette. Tutto, dunque, sembra semplice e chiaro e la riunione termina con un convinto scroscio di applausi e con un ricco buffet. Passa un giorno, passa un altro, e un nuovo convegno presenta altri eminenti oratori che sfornano, più o meno, le stesse tesi e le stesse ricette, buffet compreso. Passa un anno, passa un altro, e la storia si ripete. All'infinito. Mi chiedo che senso pratico abbia tutto ciò, ma mi scoppia la testa e non sono in grado di darmi una risposta. Anche la tesi della indispensabile dialettica e del necessario pluralismo democratico non mi convincono ormai più di tanto.

Sarà l'effetto del deperimento sistematico ed ormai purtroppo irreversibile delle mie cellule cerebrali?

I redattori delle più importanti pagine economiche e delle news-letter di fonte pubblica annunciano quasi ogni giorno l'esistenza di piani, di programmi o di iniziative che, "finalmente", porranno termine a questa o a quella disfunzione. Con il corredo di centinaia o di migliaia di miliardi provenienti in lire, in euro, in dollari o in marchi, da questa o da quella fonte; comunitaria, nazionale, regionale, comunale o non si sa bene cosa. Cifre di cui il cassintegrato di Barletta o il pastore dell'alta Val Pusteria non conoscono forse bene la composizione e la consistenza numerica. Tutto sistemato, dunque? Manco per idea; perché poi di quelle iniziative e dei relativi fondi non ne parlerà più nessuno e, tanto meno, nessuno si preoccuperà di sapere cosa in realtà ne sia stato. L'informazione ha spesso una funzione usa-e-getta identica a quella dei fazzoletti di carta. Per fortuna ora è spuntato Internet che darà una mano a risolvere i problemi. Ma, forse, anche in questo caso non ho compreso bene la situazione.

Una volta ho sentito dire che le idee sono come le mutande: si cambiano tutti i giorni; e qualcun altro, infine, sostiene che le teorie economiche hanno più o meno lo stesso valore delle lotterie: non si saprà mai bene chi le ha vinte, ma si sa che le ha certamente perse il solito Pantalone, cioé uno, nessuno e centomila.

Su questo punto credo, finalmente, di aver capito qualcosa anch'io. Infatti, lo sviluppo della nostra economia pubblica sembra concretamente basarsi proprio sulle entrate del lotto, delle lotterie, del gratta e vinci, del totocalcio, del totogol, del totip, del supertotoquesto e del supertotoquello, del totonero e del totobianco. Con beneplacito della premiata ditta Brambilla, di Ambrogio Brambilla & C. snc., che fatica a tirare avanti, stretta nella morsa di trecentomila incomprensibili normative.

Ben vengano, dunque, i gran premi automobilistici e le relative sponsorizzazioni; le gare di sci e i relativi eroi; i festival musicali e le relative supermaggiorate; gli stadi e i relativi ultrà.

"Avanti signori, c'é posto: più gente entra e più bestie si vedono!"

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