Avviso ai naviganti

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

Colpito nell'orgoglio da uno stuolo di illustri amici che per mesi mi hanno rivolto con sufficienza e palese commiserazione la domanda: «Ma come, tu che usi da anni il computer non navighi ancora in Internet e non sei collegato con la posta elettronica?», ho fatto il grande passo e mi sono rivolto a un fornitore di quel servizio: ad una di quelle organizzazioni che vengono comunemente definite "provider".

Internet, come ormai tutti sanno, è una rete telematica a cui si può accedere con il proprio personal computer e che, utilizzando le normali linee telefoniche, raggiunge ogni angolo del globo dove siano presenti un apparecchio telefonico e un altro individuo che abbia voglia di trascorrere la maggior parte del suo tempo davanti a una tastiera e uno schermo. E fin qui, niente di nuovo.

Gli amici di cui sopra mi avevano sempre detto un gran bene di Internet, attraverso il quale si possono ricevere e trasmettere messaggi spendendo molto meno di quanto abitualmente addebitano le Poste o la società dei telefoni; si possono consultare i volumi delle biblioteche dislocate anche nei più sperduti villaggi della Papuasia; si conoscono le previsioni del tempo prima ancora che le comunichi il solito telegiornale; si possono acquistare i nuovi abiti invernali, le vernici per la cancellata, l'olio d'oliva per condire l'insalata; ci si può sollazzare facendo del sesso virtuale, ecc. Insomma, qualcosa di cui non si può assolutamente fare a meno. "Internarmi", o meglio, navigare in Internet era quindi per me un dovere primario; esattamente come lo era stato anni fa quando, vincendo una iniziale riluttanza, acquistai il mio primo televisore o il mio primo telefono cellulare. Il sentirsi diversi può infatti creare uno stato di angoscia e di frustrazione che presto o tardi porta a un vero internamento in una casa di cura per malattie mentali.

Non che sia particolarmente scettico nei confronti dei prodigi della tecnica, ma sono sempre stato piuttosto refrattario all'idea di dover accettare supinamente i condizionamenti di tutto ciò che viene proposto sotto forma di un consumismo di massa del tipo "usa e getta". Ma Internet, stando alla concezione corrente, è decisamente un'altra cosa, che libera l'individuo dalla limitatezza dell'ambiente in cui vive per aprirgli le porte di un mondo sempre più a portata di mano, anzi di linea telefonica.

«Sai», mi diceva Giulio qualche mese fa, «ieri mi sono collegato con mia figlia che sta a Chicago e abbiamo dialogato via computer per circa mezz'ora, con il costo di una comunicazione telefonica urbana». E allora anch'io, pur non avendo alcuna figlia che abita a Chicago, mi sono deciso a fare il grande passo e ad immettermi nella "rete delle reti".

Ho preso quindi contatto con un provider, che mi ha fornito una cartella contenente tutto il necessario per il famoso collegamento: programmi, istruzioni per l'uso e bollettino postale per l'immancabile pagamento dell'abbonamento ma, tranne il bollettino, tutto il resto era scritto in inglese.

A questo punto sono cominciati i guai, in quanto, pur avendo una certa dimestichezza con i computer e con la lingua d'oltre Manica, mi sono trovato in difficoltà nel cercare di comprendere il significato di una pletora di sigle e di terminologie che sembravano indispensabili per attivare il collegamento e che con l'idioma di Shakespeare avevano veramente poco da spartire.

I cosiddetti manuali, forniti a corredo dei programmi, presuppongono che il lettore abbia conseguito almeno tre lauree: una in elettronica con specializzazione in informatica, una in lingue antiche e moderne con specializzazione in criptografia, la terza, infine, in psicologia e in psichiatria, per poter entrare nella testa degli estensori dei manuali stessi e cercare di capire cosa in realtà volessero intendere con le loro spiegazioni. Vi sono pagine intere dedicate a insegnare come si fa ad inserire una banalissima spina nella presa di corrente e non viene speso neppure un rigo per rendere intelligibili al volgo termini astrusi ed ermetici quali, ad esempio, URL, RTC, ETP, LOGIN o SOCKS. Inoltre, vi sono manuali che guidano l'utente quasi per mano, aiutandolo a districarsi nei meandri del programma che il malcapitato sta cercando di installare sul suo computer, ma succede talvolta che tali istruzioni si riferiscano a una versione precedente del programma, con il risultato che compaiono sullo schermo strani avvisi di errore che rendono vana qualsiasi azione successiva.

Occorre anche considerare che la maggior parte dei computer e dei programmi in uso oggi giorno sono stati progettati da cervelli appartenenti alla specie antropologica statunitense che come noto è dotata di un suo particolare senso dell'umorismo. Se il malcapitato utente latino commette un qualsiasi involontario errore manovrando impropriamente i cosiddetti hardware o gli altrettanto cosiddetti software, sul video del suo computer compaiono scritte forse intenzionalmente spiritose, ma che nella tradizione e nella cultura più o meno umanistica (e da molti ormai giudicata retrograda) dell'homo italicus, suonano spesso come dei veri e propri insulti.

Il mio tentativo di mettermi "in rete" è iniziato un sabato mattina ed è proseguito per quasi tutta la giornata, provando e riprovando ad interpretare il linguaggio criptico del manuale e del programma di connessione fornitimi dal provider. Forte della mia cocciutaggine, ho ripreso i tentativi il giorno dopo, ottenendo immancabilmente i soliti avvisi di errore, seguiti dalla repentina interruzione del collegamento telefonico.

Avvalendomi del suggerimento indicato nel manuale, dove si diceva: «In caso di difficoltà contattare il provider», il lunedì successivo ho inviato per fax una richiesta di aiuto ed ho ricevuto in risposta un messaggio che più o meno suggeriva: «Se il collegamento s'interrompe improvvisamente, la causa potrebbe essere dovuta a un difetto o a un sovraccarico della rete telefonica. Provi a ricollegarsi e a ripetere tutte le operazioni». Come se a questa soluzione non ci fossi già arrivato da solo!

Ho speso tutto il tempo libero della settimana nella vana speranza di superare gli scogli e, alla fine, dopo aver tentato varie volte di raggiungerlo superando l'abituale intasamento delle sue linee telefoniche, sono riuscito a parlare al telefono con un tecnico del mio caro provider.

Spiegatogli il problema, il signore in questione mi ha brillantemente illuminato, asserendo che: «Il nostro programma funziona, ma probabilmente è il suo modem che non risponde o che non è stato "settato" nella maniera giusta. Provi a rivedere il "settaggio" seguendo le istruzioni dell'apposito manuale».

Ero convinto di aver "settato", o meglio, installato l'apparecchiatura in modo corretto ma, per scrupolo e per evitare ulteriori emicranie nell'interpretazione di quell'altro manuale, ho deciso di andare oltre il suggerimento del provider e di far intervenire lo stesso fornitore del mio modem per una verifica dell'apparecchiatura. Il giorno dopo un suo tecnico è giunto a casa mia e ha provato e riprovato a stabilire il tanto ambìto collegamento, dedicandogli un paio d'ore senza alcun risultato tangibile. Dopo una manciata di secondi di funzionamento il collegamento telefonico s'interrompeva bruscamente senza alcuna apparente ragione.

«Il suo modem funzionava e funziona benissimo e probabilmente il difetto dipende solo dal suo provider», ha concluso l'esperto che, prima di lasciarmi, ha avuto una felice intuizione: «voglio tentare con il mio provider, perché sa, a casa mia sono collegato anch'io con Internet e dopo alcune incazzature iniziali vi navigo ormai da tempo senza alcun problema».

Detto e fatto, tutto si è messo quasi miracolosamente a funzionare a puntino.

«Cambi il provider e vedrà che non avrà più problemi. Comunque si tranquillizzi: lei non è il solo ad avere avuto difficoltà con questi benedetti provider, con i programmi o con le linee telefoniche del nostro Paese», ha concluso alla fine il tecnico in questione, lasciandomi una nota spese di duecentomila lire, beninteso più iva.

Dopo circa dieci giorni di tentativi malriusciti e con l'aiuto competente del signore di cui sopra, ho avuto finalmente la soddisfazione di vedere comparire sul monitor del mio computer l'immagine rassicurante della "rete delle reti". D'ora in poi potrò forse navigare anch'io in questo fantastico mondo, percorrere le autostrade telematiche, collegarmi con la biblioteca della Papuasia, leggere i messaggi in cinese degli studenti di una scuola di Pechino, consultare i programmi del Teatro Verdi, tentare di vendere la mia raccolta di francobolli di San Marino e conoscere l'indirizzo dei negozi statunitensi che forniscono detersivi per lavastoviglie. Per almeno due mesi non conoscerò l'ammontare della prossima bolletta telefonica; poi si vedrà. E quando incontrerò la prima persona che mi parlerà ancora di Internet, se non si tratterà di un plurilaureato in discipline tecnico-scientifiche o di un ragazzino di quindici anni, le chiederò: «Ma, scusi, lei ci naviga abitualmente senza problemi o ne parla solo per sentito dire?».

Ho comunque vinto la mia battaglia, potendo ora spaziare anch'io nell'infinito ... e "il naufragar m'è dolce in questo mare!"

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