Le radici contadine

(Racconto di Gian Cesare Marchesi)

La fascia appenninica dell'Oltrepo Pavese, compresa fra i torrenti Versa e Coppa, è un'area geografica che potrebbe definirsi politicamente lombarda, storicamente piemontese, climaticamente ligure e culturalmente emiliana.

Una terra quindi di frontiera, in cui coesistono rocche e castelli medioevali accanto a stuoli di "seconde case", antichi boschi trasformati in vigneti nel '700 e in gran parte ritornati boschi ai giorni nostri, pozzi e fontanili ormai rinsecchiti e colline che franano ad ogni violento temporale. Un suolo argilloso e fertile, sul quale convivono la vite e il frumento, l'abete e la palma, il castagno e il rosmarino, il cinghiale e la volpe.

Quei luoghi mi ricordano alcuni momenti della mia infanzia, con quel contadino incurvato dagli anni e dalle fatiche, seduto su una sedia sgangherata fuori dell'uscio di casa, che mi raccontava di quando da giovane aveva la forza di sollevare un carro finito nel fossato, o aveva il coraggio di mangiare lui solo un'intera testa di maiale. Il vecchio Barbisón era ancora in grado di distinguere con estrema facilità l'annata di produzione di un qualsiasi vino della zona, nonché il particolare vigneto da cui aveva tratto origine. Si esprimeva prevalentemente in dialetto e andava fiero, oltre che dei lunghi baffi bianchi girati all'insù, del possesso dei suoi unici tre libri che aveva letto e riletto più volte, mandandone a mente interi brani: La mano del defunto di Alessandro Dumas, La portatrice di pane di Saverio Di Montepin e, naturalmente, I promessi sposi.

Quando nelle già fredde serate di fine autunno una fitta nebbia saliva dalla pianura sino sul culmine delle colline, avvolgendo ogni cosa in un'atmosfera quasi irreale, s'incontravano per strada uomini intabarrati che parevano fantasmi, e donne che camminavano frettolose, strette nei loro larghi scialli di lana grigia.

La domenica mattina tutti si recavano alla chiesa parrocchiale. Le donne chiacchierando fra loro e gli uomini, alcuni passi più indietro, dissertando di politica, del vino novello, dell'acquedotto promesso dal Comune e non ancora costruito, dei figli che avevano fatto carriera in città. Giunti sul sagrato, le donne si ponevano un velo sulla testa ed entravano in chiesa per assistere alla Messa, mentre gli uomini se ne stavano fuori, chi seduto sul muretto di pietra e chi in piedi, continuando i loro discorsi. Poi, quando risuonava lo scampanellio dell'Angelus, si toglievano i cappelli per un attimo di religioso silenzio e se li rimettevano subito dopo, riprendendo a "ragionare" fra loro. Da quelle parti, "ragionare" è sempre stato un verbo per soli uomini, "chiacchierare", l'equivalente per le donne.

La vite, l'uva e il vino sono stati per più di due secoli la linfa vitale che ha alimentato la sopravvivenza di quelle genti. Piccoli appezzamenti di terreno impervi e tramandati di padre in figlio, danno tuttora origine a vini eccezionali, quali il Buttafuoco, il Sangue di Giuda o il Barbacarlo. E la vendemmia costituiva il primo e più importante traguardo delle fatiche di un intero anno di duro lavoro. Uomini e donne, accomunati da un'unica speranza e da continui timori, consultavano le previsioni del Barbanera e scrutavano le nuvole che si delineavano in lontananza, alle prime propaggini delle Alpi, per anticipare le possibili variazioni delle condizioni meteorologiche e per decidere quale sarebbe stato il momento più opportuno per l'inizio della raccolta delle uve. Giunto il fatidico momento, le ceste colme di grappoli venivano trasportate usando una specie di bastone ricurvo, il basi, posto a bilanciere sulla spalla. Quindi, le uve venivano gettate nella navassa di legno ed alla sera, non ancora del tutto distrutti dalla fatica, uomini e donne davano inizio alla pigiatura.

Non ricordo che vi sia mai stata una vendemmia pienamente soddisfacente per tutti. C'era sempre chi si lamentava dello scarso o dell'eccessivo raccolto, «Tutto rovinato dalla siccità, acini rinsecchiti.», oppure, «Troppa uva, piena d'acqua e con scarsa gradazione alcoolica»; della grandine, della peronospora che stava ritornando a danneggiare le viti o della pioggia inopportuna che aveva fatto ammuffire le punte dei grappoli. Ma, per contro e tranne nei casi di annate veramente infauste, non ricordo vi sia mai stato qualcuno che non avesse vantato la bontà del vino prodotto da quelle stesse uve.

Un'altra fonte di sopravvivenza per le famiglie dei contadini più poveri era costituita dal lavoro nelle risaie della sottostante pianura. Quando giungeva la stagione "dei risi", schiere di donne si trasferivano "nella bassa" e ritornavano a casa dopo alcune settimane, stanche, affette da dolori reumatici e talvolta, per le più giovani, con un'incipiente gravidanza, frutto di fugaci amori nati fra le erbe infestanti e gli stuoli di zanzare delle risaie.

I tempi sono dovunque rapidamente cambiati; i tetti delle case sono irti di antenne televisive; le aie sono diventate capaci parcheggi per le automobili; nelle cantine le antiche botti di quercia hanno lasciato il posto a luccicanti contenitori di acciaio inossidabile e le vecchie bottiglie di vetro soffiato, scure, pesanti e diseguali fra loro, sono state sostituite da recipienti più leggeri e trasparenti, arricchiti da etichette multicolori con la scritta DOC. Ma molte cose sono rimaste tipicamente legate a quella antica terra ed alle sue vecchie usanze.

Per talune persone originarie del luogo, ad esempio, il genere umano si divide in tre classi ben distinte: i noss, i milanés e i tarón.

I primi sono tutti coloro che possiedono una qualsiasi radice locale, naturale o acquisita, indipendentemente da dove abitino, da cosa facciano e da come vivano. Fra questi vi possono essere anche degli Altoatesini, dei Senegalesi, dei Calabresi, dei Bulgari e degli Spagnoli. Tutti uguali fra loro, purché coltivino bene la terra e sappiano potare le viti, siano in grado di costruire un muro o di riparare un rubinetto e, in altri termini, si siano integrati con l'ambiente circostante.

I milanés sono invece tutti quei "vandali" che compaiono la domenica mattina a bordo di auto grandi o piccole - anche se con targhe di Verona, Genova o Cuneo - per accamparsi ai bordi dei campi, disseminando dove capita piatti di plastica e bottiglie o lattine vuote; che rubano l'uva matura dai filari; che infestano l'aria di suoni e di odori nefasti e che scompaiono la sera trasmigrando verso destinazioni sconosciute.

I tarón sono tutti gli altri, non importa se originari di Bressanone, di New York, di Brazzaville o di Foggia che, secondo un giudizio locale inappellabile, non hanno voglia di lavorare, dimostrano superbia o eccessiva prosopopea e che non sono, in sostanza, degni di alcuna fiducia. E questa netta separazione dell'umanità non ammette alcuna alternativa: Tizio è così, Caio è cosà, e tanto basta.

Anche il rapporto fra l'uomo e la donna denota ancora l'antico spirito del luogo. Nella famiglia contadina è la donna che dirige la casa e che in pratica "comanda". Ma è l'uomo che ufficialmente gestisce il tutto. E' solo lui che parla d'affari con "gli altri", che riporta "agli altri" le decisioni più importanti, che viene consultato "dagli altri" per qualsiasi cosa. Che rappresenta in sostanza l'intera famiglia. La donna in queste circostanze è come se non esistesse. Ed è sempre l'uomo che la domenica, terminati i pasti, esce subito di casa per recarsi al bar del paese a "ragionare" con gli amici; mentre la donna può limitarsi a fare visita alle vicine o ad ospitarle, per chiacchierare con loro del più e del meno, cioè "di cose di donne".

Il benessere giunto negli ultimi decenni ha accentuato una già naturale predisposizione all'esibizionismo. Non è più tanto la sola qualità del vino prodotto ad autoelevare l'orgoglio del singolo, quanto il possesso di un qualsiasi indumento rigorosamente "firmato" o di qualche prodotto industriale che costituisca uno status symbol, come il telefono cellulare, un apparecchio televisivo in ogni locale e l'antenna parabolica sul tetto di casa, l'utilitaria con le gomme sportive e lo spoiler posteriore, e così via. Non a caso, gli indici di ascolto dei più noti serial televisivi raggiungono in quelle zone i livelli più elevati.

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