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Il valore dell'amicizia e dell’Auto Mutuo Aiuto

L’amicizia è stata oggetto nei secoli di un’abbondante letteratura, che ha descritto in modo ampio le sue caratteristiche e i suoi valori. Nel mio piccolo, considero un vero amico colui – o colei – a cui non è necessario che io chieda nulla e che non mi chiede nulla, ben consapevoli entrambi che in caso di bisogno l’aiuto viene donato – o ricevuto - in forma quasi automatica, nella massima spontaneità, senza che debba rispondere ad una specifica richiesta. Dopo la disgrazia che mi ha colpito, ho potuto definire meglio il valore dell’amicizia, osservando tristemente la scomparsa di persone che ritenevo “amiche” e – nel contempo – rallegrandomi per l’inattesa comparsa di veri amici che mai più mi sarei aspettato di trovare.

Non appena mi ero messo alla tastiera del mio computer per fissare questi pensieri, che da qualche tempo mi frullavano in testa, mi era venuto in mente quel passo delle Scritture dove si dice: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra"
(Vangelo secondo Giovanni, 8, 7-8) e mi ero chiesto quale diritto ho io di giudicare certi comportamenti dei miei simili, quando io stesso posso aver agito in passato, nei confronti del mio prossimo - magari inconsciamente e comunque senza una precisa intenzione - in quello stesso modo che oggi mi sento di criticare?

Ma veniamo al punto. Poco più di una anno fa un'improvvisa malattia si è portata via mia moglie, con la quale avevo condiviso gioie e dolori per più di quarant'anni. Un dolore affettivo tremendo, che si accompagna ad una mia precaria condizione di salute che si trascina ormai da qualche anno. In un certo senso, avrei avuto diritto a una decisa precedenza nel passaggio all’Aldilà rispetto a mia moglie, ma il destino ha deciso diversamente ed eccomi qui a "gestire" come meglio posso sia il dolore affettivo che quello fisico. Un dolore fisico che, fra l’altro, ha tolto molto della mia mobilità, costringendomi per lo più a rimanere confinato in casa fra mille ricordi, accompagnato spesso da una buona dose di solitudine.

In queste circostanze, ho dovuto rivedere molte delle mie precedenti considerazioni sui valori dell'amicizia, sui legami con i parenti anche più stretti e sui rapporti di conoscenza che via via si instaurano con i vicini di casa.

Un giorno, mentre mia moglie stava soffrendo in un letto d'ospedale, mi capitò di entrare in un supermercato per acquistare alcuni generi alimentari. Casualmente vi incontrai una signora che abita nel mio stesso condominio, qualche piano al di sotto del mio, e che sapevo aveva sempre avuto un ottimo rapporto di "amicizia" con mia moglie. Si davano da tempo del "tu" e quando si ritrovavano in occasione delle riunioni assembleari (erano state per diversi anni "consigliere" del condominio) o in altre più casuali circostanze, non mancavano di "fare quattro chiacchiere parlando del più e del meno". Ebbene, incontrandola al supermercato, quella signora mi chiese quale malattia avesse realmente mia moglie e, dopo di avere sentito la risposta, mi disse: "E sì, mi dispiace. Si tratta purtroppo di una malattia che non perdona. Si figuri che anche mio fratello è stato ricoverato un paio d'anni fa per una malattia uguale e nonostante le cure, dopo pochi mesi è mancato. Le faccia comunque i miei auguri e, se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa, lei sa dove abito". Si è trattato di una semplice gaffe, di una ancora più semplice ignoranza di fondo o di qualcos'altro che in questo momento mi riesce difficile definire? Eppure non mi risultava che quella signora fosse particolarmente insensibile e neppure del tutto ignorante.

Quando vi fu il funerale di mia moglie, tutto il vicinato si sentì in dovere di partecipare alla cerimonia; l'amministratore del condominio fece giungere per tempo una corona di fiori; il libro delle firme posto in portineria si riempì rapidamente di testimonianze di cordoglio e non ebbi modo di contare le strette di mano e le parole di circostanza che accompagnavano quei momenti di dolore. "Se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa, non si faccia alcuno scrupolo, lei sa dove abito".

Dopo di che il tutto finì nel più classico dimenticatoio, salvo rispettare le formalità di rito incontrando casualmente qualcuno dei vicini in ascensore o nell'ingresso della casa: "Bella giornata oggi, se non piove, vero? E lei come sta? Sa, spesso penso a lei. Come deve essere triste rimanere soli! Ma se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa, lei sa dove trovarmi". Esauriti i convenevoli, sistemata in qualche modo la propria coscienza, e chiusa la porta di casa, tutto rientra nella routine quotidiana. Tuttavia quelle stesse persone la domenica mattina si mettono l'abito della festa e non mancano mai di assistere devotamente alla Santa Messa, di comunicarsi, e di ascoltare pure un sermone che magari parla di carità cristiana e di tante altre belle cose insegnateci dai Testi Sacri
(es.: Vangelo secondo Matteo, 25, 35-40).

Nessuna di quelle persone ha capito (o fa finta di non aver capito) che chi ha subito una perdita dolorosa non ha bisogno di bussare alla porta del vicino per chiedere un paio di cucchiai di zucchero per il caffè o un rametto di rosmarino per l’arrosto, "Sa, non ho fatto in tempo ad andare al negozio per comprarli e mi servono proprio ora", ma in certi momenti di particolare tristezza ha la necessità di sentire la vicinanza di qualcuno, di avere il conforto di una parola. Tutti prodotti che non si possono comprare al supermercato.

Ma la cosa più sconvolgente che mi è capitata durante la lunga malattia di mia moglie, è stata una lettera che ho trovato nella casella della posta e che mi era stata scritta da una vicina di casa, della classica “porta accanto”. Eravamo quasi nel pieno dell'estate e si stavano approssimando per la maggior parte delle persone le tanto agognate vacanze ai mari o ai monti. In quei giorni mia moglie era stata nuovamente ricoverata in ospedale, dopo alcuni mesi di degenza in casa, per un secondo intervento chirurgico che si è poi rivelato purtroppo inutile. L'autore di quello scritto non solo non si è mai sentito in dovere di andare a trovare mia moglie in ospedale, ma neppure di venire a visitare la malata mentre se ne stava a letto fra mille sofferenze.

Quella lettera recitava testualmente:

Come si potrebbe definire il comportamento della persona che ha redatto quello scritto? Timidezza? Eccesso di riservatezza? Mancanza di sensibilità? Ignoranza? Timore di prendere contatto con una realtà di dolore certamente non gradevole? Pura ipocrisia? Non sta a me trovare una risposta adeguata, che forse uno psicologo può più facilmente definire.

Di fronte a una simile attestazione di amicizia e di carità cristiana, non ho potuto comunque fare a meno di rispondere se non con l’assurdità (perché, date le circostanze, di questo soltanto si tratta) di un’altra lettera, dicendo:

Non credo che la destinataria della mia risposta abbia colto per intero lo spirito alquanto sarcastico che avevo voluto esprimere, ma tant’è.

Tutto bene, quindi, e… amici come prima. Al funerale, firma sul registro e commosse strette di mano.

Ci lasciamo poi cogliere da un sentimento misto di amarezza e di collera quando leggiamo sul giornale che in un appartamento nella centrale via Tal dei Tali era morta ormai da un paio di settimane una persona anziana, che da tempo viveva sola. I vicini avevano chiamato i vigili del fuoco perché da sotto l’uscio di quell’appartamento esalava un fetore ormai insopportabile. Più che altro era stato il disturbo di quella puzza ad allarmare quelle distinte e care persone.

Ho detto all’inizio di essermi posto il problema dell’essere o meno senza peccato e, quindi, di avere o meno il diritto di scagliare la prima pietra. In effetti, quale comportamento posso avere avuto io, quando la salute fisica di tutta la mia famiglia era splendida, nei confronti di qualche altra persona che stava soffrendo in silenzio? A ben pensarci, anch’io posso essermi comportato in modo altrettanto distaccato, quasi che il dolore altrui fosse qualcosa che non mi poteva appartenere, neppure in termini di una semplice offerta di conforto. Di queste possibili omissioni avverto ora un certo rimorso.

Se il comportamento dei vicini è stato ed è di un certo tipo (la grande città, il quartiere o il condominio, a differenza di quanto succedeva un tempo nei piccoli borghi, nei cortili delle “case di ringhiera”, ecc., portano ad un progressivo isolamento degli individui che chiudendo la porta di casa chiudono fuori il resto del mondo, forse senza neppure accorgersi che nello stesso tempo il resto del mondo chiude dentro loro) altre situazioni in un certo senso inspiegabili, hanno visto come protagonisti alcune persone che, al di là del rapporto anagrafico di parentela più o meno a me vicina, non si discostano molto da quanto più sopra descritto in merito al comportamento dei vicini di casa.

Superato il momento emotivo della dipartita della persona a me cara, del suo funerale, delle condoglianze e delle altre formalità d’uso, il rapporto di parentela-amicizia ha assunto un aspetto simile a quello di una cambiale in scadenza, che va puntualmente onorata per non dover subire conseguenze forse sgradevoli. In questa circostanza, il telefono assume un ruolo di primaria importanza. Capita così che periodicamente squilli il suono di quell’aggeggio e che io senta dall’altro capo della linea una voce nota che mi dice: “Ciao, volevo sapere come stai. Sai, in questo periodo ho molti impegni, il lavoro, la scuola e tanto altro ancora che non mi lascia mai un poco di tempo libero, ma non appena mi sarà possibile verrò a trovarti. Nel frattempo, per qualsiasi cosa tu avessi bisogno, non farti alcuno scrupolo, chiamami”. E così, mentre la scadenza di quella cambiale è stata onorata, si ripresenta il solito ritornello del “se hai bisogno chiamami”. La coscienza è stata messa a tacere e si potrà segnare con calma sul proprio immaginario calendario la data della prossima telefonata in scadenza.

Per quelle persone il problema di fondo ha un’origine comune, che si può riassumere nella considerazione che forse non hanno mai sperimentato su di loro – e per loro fortuna – una situazione “Che intender non la può chi non la prova”, come declamava il Sommo Poeta. Ovviamente, l’augurio è che ciò non debba mai capitar loro.

Ma, come ho anticipato in premessa, a lato delle sorprese negative, ho potuto riscontrare la presenza di un controbilanciamento che mi ha aperto gli occhi su una ben diversa realtà. Persone che tutt’al più potevo “prima” considerare come delle semplici “conoscenze” si sono rivelate dei veri e propri amici disinteressati, così come altre persone – per lo più colpite come me di recente da gravi lutti – mi hanno offerto e donato un’assistenza ed un conforto che costituiscono qualcosa di estremamente prezioso.

Loro non dicono: “Se hai bisogno di qualcosa, fammelo sapere”, ma quando mi telefonano chiedono più semplicemente:“Come stai? Sei solo oggi? Ti va bene se ti vengo a trovare, magari nel primo pomeriggio, per fare quattro chiacchiere?” Ecco in cosa consiste e in come si può esprimere la vera solidarietà e, se vogliamo, la vera amicizia. Loro non vengono con in mano il rametto di rosmarino o un piccolo cartoccio di zucchero, bensì portano qualcosa di ben più prezioso: una compagnia che aiuta a combattere la solitudine, a vincere lo sconforto, a guardare avanti. Tutto ciò perché avvertono nel loro intimo il bisogno di fare qualcosa che, anche se soddisfa in primo luogo loro stessi (in ultima analisi c’è sempre una qual forma di egoismo-opportunismo in ogni comportamento umano), rende partecipi i destinatari di una sensazione di affetto e di partecipazione che non ha prezzo.

Ma chi sono, in definitiva queste persone? Possono essere delle semplici conoscenze delle quali si erano magari perse col tempo le tracce, dei vecchi compagni di scuola o dei colleghi di lavoro che, avendo saputo della situazione venutasi a creare, hanno deciso di rendersi utili in qualche modo, senza nulla chiedere e senza che nessuno chiedesse loro qualcosa.

Nella mia recente esperienza, alcune di queste persone sono comparse sulla scena in modo del tutto inatteso, quali partecipanti ai gruppi di Auto Mutuo Aiuto, nell’ambito delle persone colpite da un lutto. Come avevo accennato in precedenza, riprendendo un famoso verso dantesco, queste ultime persone hanno provato su loro stessi il vero significato del dolore affettivo e della solitudine, traendone uno stimolo per cercare di combattere, a beneficio loro e di altri loro consimili, le sottili e subdole conseguenze di una situazione che, se non sufficientemente contrastata, potrebbe portare in molti casi ad una vera e propria patologia depressiva. Ne abbiamo avuto una triste dimostrazione durante l’eccezionale ondata di caldo verificatasi non soltanto in Italia durante l’estate 2003, nella quale si sono contati a migliaia gli anziani (spesso si trattava di vedovi o di vedove), abbandonati a sé stessi e deceduti nella più totale solitudine. Forse per molti di loro quella morte ha rappresentato una sorte di liberazione da un peso diventato ormai insostenibile.

Tornando al punto delle nuove conoscenze, si tratta di individui che, indipendentemente dalla loro posizione sociale, culturale, religiosa o politica, “sentono” dunque il problema sulla loro stessa pelle e ritengono di poterlo condividere con altre persone in senso costruttivo, con l’obiettivo primario di rendersi utili, agli altri e a loro stessi. Una modalità di “aiuto” che si esprime quindi sotto forma di assoluto volontariato (“auto”) ma che consegue una finalità anche di reciprocità o, se vogliamo, di coincidenza d’interessi (“mutuo”).

Da tutto questo possono nascere delle vere e proprie amicizie, che rispondono appieno a quelle caratteristiche che avevo espresso all’inizio di questa riflessione e che qui mi piace riprendere: “amici ai quali non si deve chiedere nulla e che non ti chiedono nulla, ma che nel momento del bisogno ‘sanno darti’ o che ‘sanno di poter ricevere da te’ tutto ciò che necessita”.

Non posso che essere grato a questi nuovi veri amici e, sono certo, ne è loro grata anche mia moglie, il cui spirito avverto costantemente vicino a me, in una sorta di simbiosi che travalica la realtà delle cose terrene e che non può in alcun modo essere scalfita.

Milano, Novembre 2003



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