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"Uno scolaro nell'ERBA"

Prefazione

I quotidiani hanno più volte ricordato che, nonostante le intenzioni dichiarate negli ultimi anni dai vari Governi, sopravvivono ancora in Italia circa 500 Enti ormai giudicati "inutili". Si tratterebbe di strutture che hanno da tempo esaurito i loro compiti istituzionali o che - peggio ancora - hanno ampiamente dimostrato di non averne mai avuti di realmente concreti.
Mi permetto di dubitare sulla corretta consistenza di tale numero, che quasi certamente peccherebbe per difetto laddove si volesse definire "l'utilità" di un Ente non soltanto in base alle finalità nominalmente indicate nel suo Statuto, bensì anche in funzione della percezione che il contribuente potrebbe avere dei servizi resi a quella collettività che - in ultima analisi - lo mantiene.
Sempre che il giudizio del contribuente possa avere qualche significato.
Il limite che separa l'utile dal parzialmente utile o dall'inutile è tuttavia alquanto incerto e la sua determinazione non sfugge al pericolo di un'eccessiva soggettività, pur in presenza dell'accertata buona fede del giudicante. Se il nero è universalmente nero e il bianco è universalmente bianco, non è detto che si trovino sempre pareri altrettanto concordi su particolari sfumature di colore che neppure due sofisticati spettrometri riescono a valutare allo stesso modo.
Il mio amico
Franco Lechi, ad esempio, mi ha parlato a lungo delle sue esperienze in un Ente che per molti anni ha fatto parlare di sé sui media più accreditati, e di queste esperienze mi ha dato una versione certamente influenzata da un'accentuata soggettività di valutazione.
Non sta comunque a me giudicarlo, mentre sono stimolato a riportare il più fedelmente possibile quelle porzioni di racconto che hanno attirato la mia attenzione e che si sono maggiormente soffermate nella mia memoria.
Spero di non aver tralasciato nulla.

L'Autore

Dai racconti di Franco Lechi

Capitolo 1

La memoria umana

Quand'ero bambino, mia madre insisteva nel farmi mangiare il pesce che, a suo dire: «.. contiene fosforo e ti fa bene, perché aiuta a rinforzare la memoria». Consumai quindi molto pesce ed anche se non riuscii mai, neppure lontanamente, di rassomigliare a Pico della Mirandola, crescendo mi accorsi che la memoria può anche diventare controproducente, se viene utilizzata per ricordare avvenimenti, dichiarazioni o promesse che "non devono" rimanere a lungo nella mente, né di chi li ha originati né, tanto meno, di chi ne é stato volontario o involontario testimone.
Il problema si è ora parzialmente e fortunatamente risolto con l'impiego dei calcolatori elettronici: ciò che non viene considerato importante non lo si inserisce nell'elaboratore e la nostra mente é così autorizzata a dimenticarlo rapidamente. Tutto quello che si vuole invece conservare nel tempo lo si affida alla capacità mnemonica del computer e, poco tempo dopo, i maghi dell'elettronica costruiranno certamente nuovi marchingegni che avranno la capacità di rendere inutilizzabili quelli precedenti, nonché le loro ormai superate "memorie". Queste apparacchiature, fortunatamente, non sanno ancora apprezzare la cucina a base di pesce e la loro fame di miglioramenti tecnologici consente, in pratica e con un po' di pazienza, una forzata ed opportuna cancellazione dei loro e dei nostri ricordi. L'umanità ne ricava un grande ed indiscutibile vantaggio.
Purtroppo, invece, chi é rimasto ancorato alle antiche abitudini, oppure, forse a causa dell'eccessiva dimensione delle proprie dita, trova una certa difficoltà di digitazione sulle tastiere ergonomiche, é letteralmente spacciato ed é condannato a dover ricordare, beninteso a modo suo, anche ciò che "il resto di noi" ha da tempo cancellato.
Tutto ciò é ampiamente dimostrabile. Basti pensare per un istante agli slogan programmatici esposti sui manifesti elettorali. Per farsi rieleggere, Tizio elenca i successi riportati dalla compagine governativa di cui ha fatto parte sino ad ieri, affermando che
«... ha fatto questo e quest'altro» e che «... ha permesso di conseguire questo e quest'altro positivo risultato». Il tutto ad imperitura memoria. Poi, magari, il personaggio in questione viene rieletto e la nuova amministrazione, di cui lui stesso fa parte, si trova impantanata in una serie infinita di problemi, non certamente nati all'atto del suo insediamento. Basta allora affermare che la colpa viene dall'esterno, o dalle opposizioni, o dai sindacati, o dalle forze del "potere occulto". La "stampa", che ormai da tempo lavora principalmente con l'uso di sofisticati strumenti informatici, dimentica presto ciò che aveva calorosamente osannato solo pochi mesi prima, presa nel vortice di altri avvenimenti che "fanno notizia".
La stessa cosa, più o meno, succede in campo economico. I quotidiani riportano con titoli cubitali la notizia di importanti mega-contratti stipulati da una certa azienda con questo o quel Paese estero. Un roseo futuro per l'imprenditore e per i suoi dipendenti é così assicurato. Trascorre solo qualche mese e, purtroppo, l'azienda entra in crisi, sommersa da debiti stratosferici; rischia il fallimento e mette sul lastrico gran parte dei lavoratori. I quotidiani danno grande risalto alla marcia dei cassintegrati, sostengono a gran voce il dovere del Governo di intervenire per salvare i livelli occupazionali, fanno propria la critica sulle colpe dei vertici di quell'azienda
"...che non hanno diversificato per tempo la produzione", propugnando, a seconda del caso o del momento, la necessità di nazionalizzare o di privatizzare, non solo la specifica impresa, bensì l'intero settore. E, immancabilmente, intervengono nel dibattito i più illuminati economisti del momento, che in affollati dibattiti televisivi fronteggiano arditamente sul campo agguerrite casalinghe e compunti pensionati, circondati, per l'occasione, dai migliori nomi dello spettacolo. Degli "importanti successi" riportati dall'azienda in questione solo qualche mese prima; se ne sono perse le tracce.

***

Sul finire del 1944 una copia della Domenica del Corriere costava due lire: lo stesso denaro che noi ragazzi ricavavamo raccogliendo e rivendendo qualche manciata di quei bossoli di metallo, ancora intrisi dell'odore della polvere da sparo, scaricati in gran numero dagli aerei inglesi che quotidianamente venivano a mitragliare e a bombardare la nostra città. Allora, scolaro delle elementari, seguivo le lezioni per metà in un'aula rimasta miracolosamente in piedi e, per l'altra metà, nei rifugi antiaerei approntati alla bell'e meglio nei sotterranei della scuola. Ricordo in particolare quei tempi quando mi capita ancora di rivedere la scritta "U.S." ("uscita di soccorso", n.d.a.), dipinta con la vernice nera su fondo bianco al di sopra delle finestre delle cantine di qualche vecchio fabbricato cittadino.
Quelli della guerra erano stati momenti duri anche per chi, troppo giovane per indossare i panni del Regio Esercito, di quello "repubblichino" o della Resistenza, era rimasto fra le mura domestiche. Ci vollero molta pazienza e molti sacrifici per superare quei lunghi mesi, ma in molti "scolari del '44" è rimasto indelebilmente impresso il ricordo della fame e degli stenti di allora.
La Ricostruzione, prima, e il boom economico, poi, riportarono un certo benessere nel Paese; i nuovi studenti crebbero senza dover conoscere il sinistro suono delle sirene dell'allarme aereo, mentre le strade furono più o meno gioiosamente invase dai fumi e dai rumori delle automobili. Chi, dagli anni '60 in poi, talvolta si soffermava a ricordare i tempi del pane nero, delle tessere annonarie, degli abiti rivoltati, degli sfollati, delle AM-lire, nonché del sapore del cioccolato portato dagli Alleati, era semplicemente ritenuto patetico e, come tale, messo al bando da una società ormai pienamente immersa nel consumismo di massa e nell'idolatria del successo.
Fra gli scolari del '44 vi fu anche chi fece rapidamente strada nella politica attiva, chi divenne magnate dell'industria o del commercio, chi conquistò il suo "posto al sole" in altri settori o chi riuscì a comperarsi la casa, l'automobile e il televisore con il lavoro nei campi, nelle fabbriche o nei servizi del terziario. Quasi tutti felici, quindi, ed orgogliosi di aver contribuito, secondo quanto propinavano incessantemente i media più vicini al Palazzo, a farci conquistare una delle prime posizioni nella graduatoria dei Paesi più industrializzati del mondo. L'antico stimolo della "fame" si trasformò in quello per la "fama" e molti cercarono uno spazio in cui esprimere il meglio di sé stessi e riscuotere la propria dose di applausi. Chi non riuscì ad accaparrarsi null'altro di meglio, si accontentò delle sedute condominiali, magari assumendo per una sola serata l'ambita veste di Presidente e tuonando improperi nei confronti della proprietaria del piano di sopra che
«...sbatte i tappeti in ore non ammesse dal Regolamento e ... il cui cane fa la pipì nell'ascensore». Il "presidenzialismo" divenne per molti un modo di vita e chi fra questi non poté mai conquistare, almeno per una volta, una poltrona, si sentì terribilmente frustrato ed irrealizzato.
Qualche tempo dopo, la posizione di prestigio del Paese si deteriorò, facendoci perdere la pool position internazionale e retrocedendoci in "serie B" o in "serie C", a seconda degli umori del momento delle forze politiche di opposizione e dei media che le assecondavano. Vennero quindi alla luce ruberie e malversazioni, caddero vecchi idoli e ne sorsero dei nuovi. La fraseologia corrente adottò a piene mani le parole "corruzione", "concussione", "informazione di garanzia", "rito abbreviato" ed altre simili locuzioni forensi.
Ma l'uomo della strada continuò, come prima, a non capirci nulla, ascoltando, in uno stato sempre più confusionale, le dotte spiegazioni degli esperti e degli economisti di grido e sentendosi molto coinvolto nelle sensazioni di compiacimento, o di rammarico, trasmesse dalle giornaliste televisive in base alle loro personali collocazioni politiche. Sensazioni che, per il signore in questione, alla fine si riconducevano tutte all'ancestrale e comune matrice "dell'essere stato a lungo preso in giro".

***

D'altro canto, per gli scolari del '44 la "presa in giro" era cominciata in ancor tenera età e molti di loro lo scoprirono anche quando, ad esempio, nella primavera del 1945 apparve nelle edicole il numero 1, anno 1°, della Domenica degli Italiani. La didascalia della tavola di copertina annunciava che: «Continuano alla Corte straordinaria d'Assise di Milano i processi contro i criminali fascisti».
Guarda caso, il precedente numero, che mostrava ancora la vecchia testata della
Domenica del Corriere, appartenente allo stesso editore e che era uscito soltanto il 15 aprile dello stesso anno, apriva con una pagina illustrata da R. Albertarelli così commentata:«Soldati dell'esercito repubblicano sul fronte del Baltico: durante una violenta azione in una piazzaforte della Prussia orientale, un reparto nebbiogeni del Battaglione Mussolini, dopo aver assolto il compito della propria specialità, partecipa con le armi in pugno ai furiosi combattimenti che infliggono gravi perdite alle formazioni bolsceviche».
Gli scolari di allora erano stati presi in giro a lungo dalla Radio, dai giornalisti più fedeli ai dettami del Ministero della Cultura Popolare, da molte maestre "di regime", dai testi scolastici e da tutti coloro che fino a pochi giorni prima avevano sostenuto con grande convinzione che
«.. occorre resistere ancora per poco tempo, certi come siamo della imminente, immancabile vittoria».
Dalla sera alla mattina le cose erano decisamente e fortunatamente cambiate e ci si poteva adeguare ai nuovi tempi, rimboccandosi le maniche per ricostruire, tutti assieme, la Nazione.

***

La generazione degli scolari del '44 ha anche vissuto due altri momenti particolari: quello in cui prendevano gli sculaccioni dagli amati genitori e quello in cui li hanno presi, per fortuna e in generale solo metaforicamente, dagli amatissimi figli. Nati e cresciuti in un ambiente ancora permeato da un forte perbenismo di maniera, che idolatrava quel trinomio "Dio, Patria e Famiglia" tutelato da 8 milioni di baionette (che forse non sapevano bene dove inastarsi perché non c'erano sufficienti moschetti), si sono trovati in gran numero, nel periodo della loro prima maturità, a doversi dare un gran da fare per costruire qualcosa, per formarsi a loro volta una famiglia, per assicurarsi un posto decente nella rincorsa al successo e per poter sostituire l'automobile ogni tre o quattro anni.
Molti dei loro figli, procreati ed allevati nel periodo del boom economico con l'impegno solenne di non far loro mancare nulla e di non lasciar loro subire le stesse difficoltà di cui
"... siamo stati vittime nell'infanzia", hanno raggiunto la maturità senza le necessarie difese immunologiche contro le avversità della vita quotidiana. Trovatisi, infatti, in età ancora giovanile, a cavalcare una rombante e pluri-accessoriata bicilindro giapponese regalatagli dal "vecchio" (contro il parere della sua consorte, che se ne stava in ansia ogni volta che "il ragazzo" usciva di casa, ma che - per contro - elargiva di nascosto i denari per acquistare la benzina e il resto), i figli degli scolari del '44 sono stati facili vittime di un eccesso di protezionismo, di consumismo, di tolleranza, nonché di una perversa e sistematica speculazione ideologica in voga dagli anni '60 in poi, che li hanno indeboliti sul piano dell'immaginazione e della concretezza.
Ma l'illusione della vita facile, del denaro sempre disponibile, nonché la convinzione di dover combattere solo la battaglia contro i soprusi della dittatura militare cilena o contro i bombardamenti americani in Vietnam, hanno cominciato a vacillare quando anche il tanto bistrattato papà è stato colpito dalla cassa integrazione "a zero ore" e la mamma ha cominciato a ridurre le sue elargizioni sottobanco. In realtà, quelle carenze del sistema, urlate a squarciagola dai giovani sessantottini (ma nelle quali pur tuttavia sguazzavano anche loro, attingendovi le risorse necessarie per le quotidiane contestazioni) erano ben poca cosa di fronte alla vera crisi del sistema, costruita giorno per giorno da un insieme di insipienze, di malversazioni e di bugie che hanno portato il Paese ad avere un debito pubblico espresso in cifre chilometriche e un impressionante numero di disoccupati o di sottooccupati.

***

Il "rimboccarsi le maniche" ha prodotto innegabili frutti, ma ha anche consentito il sorgere di una serie di iniziative dai contorni non sempre facilmente definibili e comprensibili. Gli scandali degli ultimi anni hanno coinvolto una pluralità di persone, enti o istituzioni, e l'ansia di rinnovamento che ne é derivata ha generato un bisogno di "pulizia" che ha assunto l'aspetto di una vera e propria rivoluzione, anche di tipo culturale. Un cambiamento che, nei sogni del comune cittadino, avrebbe dovuto rivedere criticamente anche gran parte dell'assetto istituzionale, con la revisione, fra l'altro, di tutta quella pletora di strutture pressoché inutili che hanno contribuito a creare una sorta di "paese dei balocchi" di collodiana memoria.

E in questa situazione non si ritrovano solo enti ormai ampiamente superati dai tempi come, ad esempio, l'Associazione dei reduci di Adua. Esistono infatti altre istituzioni, dalle finalità più o meno apparentemente encomiabili, che nel loro complesso costituiscono una fitta rete di interessi, di ambizioni e di alleanze, difficilmente comprensibili per il comune cittadino. Sarà a causa della innata fantasia dei popoli mediterranei, o forse per la necessità di assegnare una qualsiasi poltrona a un amico in difficoltà - magari per ricambiare un favore o, talvolta, semplicemente per toglierselo d'intorno con eleganza - ma l'universo degli enti privati, para-pubblici o pubblici, presenta uno spettro talmente ampio da impedire qualsiasi forma di ordinata catalogazione.
Basti pensare, ad esempio, agli enti che si occupano di studi e di ricerche di carattere economico: se ne contano svariate decine e molti di loro vivono, o sopravvivono, essenzialmente a carico di Pantalone.
D'altro canto, combinando opportunamente fra loro i termini: istituto, ente, centro, laboratorio, ricerca, studio, analisi, congiuntura, economia, nazionale, europeo, internazionale, e i loro numerosi derivati, si può già ricavare un numero elevato di denominazioni di altrettante possibili autorevoli istituzioni. Chi si diletta in enigmistica può sbizzarrirsi a lungo come vuole. Potrebbero così, ad esempio, coesistere al tempo stesso: un
Istituto per lo studio della congiuntura internazionale, un Laboratorio per le ricerche economiche congiunturali, un Centro di analisi economica europea, un Istituto nazionale di studi economici europei, un Ente nazionale per le analisi economiche, e molti altri simili.
Cosa poi facciano realmente o, quanto meno, quali possano essere le differenze che ne giustifichino l'esistenza, riesce più difficile comprenderlo. Ma molti di essi esistono ed hanno un loro Statuto, un loro Organo rappresentativo e, immancabilmente, un loro Presidente. Ogni tanto pubblicano un volume contenente i risultati di una dotta e complessa ricerca che porta la firma di alcuni prestigiosi luminari e che fornisce lo spunto per un convegno, al quale intervengono i responsabili delle principali associazioni imprenditoriali, i vertici di due o tre importanti istituti bancari, il rettore dell'ateneo, il famoso prelato e il comandante delle locali forze dell'ordine. Il ministro Tal dei Tali, dispiaciutissimo, invia un telegramma con cui si fa ampiamente scusare per l'imprevista assenza. Non mancano, invece, i giornalisti delle più importanti testate del settore, i fotografi e due o tre indaffarati operatori televisivi All'ingresso, un paio di avvenenti hostess offrono mazzi di fiori alle gentili signore.
Ci sono, ma si fa finta di non accorgersene, i soliti due o tre pseudo-giornalisti, fedelissimi dei convegni, che entrano in sala giusto in tempo per partecipare al previsto rinfresco. Nel complesso, il pubblico, anche se non troppo numeroso (la maggior parte degli invitati, fatto il loro regolare atto di presenza iniziale, se ne sono andati alla chetichella dopo il tradizionale ed atteso coffee-break), alla fine applaude e, quindi, se ne va anch'esso, portando con sé la copia di un libro che non verrà mai letto da nessuno, ma che farà bella mostra di sé sullo scaffale delle librerie di "coloro che contano". L'importante è comunque poter dire:
"c'ero anch'io" e, dalla parte dell'ente organizzatore: "c'era anche lui". Presidenzialismo e presenzialismo: un binomio dunque quasi perfetto che sembra caratterizzare l'esistenza di una così ampia pluralità di strutture, e di molti dei personaggi che le circondano.
D'altro canto, sorge quasi spontaneo il parallelo con quei piccoli paesi di campagna dove, in un contesto di poche decine di abitanti, svettano i campanili di due o più chiese, poste a qualche centinaio di passi di distanza l'una dall'altra e, naturalmente, appartenenti alla stessa confessione religiosa. Sarà stata la sola fede a far sorgere diversi luoghi di culto o intervennero altre motivazioni di carattere più squisitamente campanilistico? Si tratta di una domanda, alla quale é difficile rispondere. Ma, al di là del problema delle chiese di paese, l'esistenza di più enti apparentemente identici verrebbe giustificata dal bisogno di salvaguardare quel pluralismo rappresentativo che starebbe alla base della nostra democrazia partecipativa.

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