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"Uno scolaro nell'ERBA"

Capitolo 2

Il Consiglio di Gestione dell'E.R.B.A.

 

La riunione era stata convocata per il giovedì successivo alle ore 19 in quanto, d'abitudine, ogni primo giovedì del mese il Presidente e i Consiglieri si sentivano obbligati a dedicare l'intera serata - ed eventualmente anche parte della notte - alle delibere dell'ente, senza dover sacrificare le normali incombenze che li assillavano nel corso della giornata. Ciascuno di loro, infatti, aveva altri impegni personali: chi era occupato in libere attività professionali, chi era a capo di aziende, chi svolgeva attività sindacali o più propriamente politiche e chi, infine, pur non avendo null'altro di veramente impegnativo da fare, preferiva far credere di averlo.
L'ormai settantenne Consigliere Andrea Manzonini, ad esempio, era un operaio metalmeccanico già da vari anni in pensione ed aveva ottenuto quel seggio in Consiglio in quanto non aveva praticamente più nulla d'importante di cui occuparsi. La sua presenza attiva nel partito che lo aveva a suo tempo candidato poteva essere di solo intralcio per molti altri suoi compagni, più giovani e più dinamici di lui. Affidandogli un incarico, esternamente ritenuto prestigioso, gli era stata lasciata l'illusione di servire ancora a qualcosa e, in più, era stata "salvata la faccia" nei confronti di quella parte della "base" che si sentiva in debito verso una persona che, tutto sommato, aveva dedicato molti anni della sua vita alla "causa". In ogni caso, c'era la certezza che nel suo nuovo ruolo Manzonini non avrebbe arrecato alcun danno, quanto meno agli interessi del partito stesso.
L'avviso di convocazione della riunione, firmato dal Presidente Tagliarami e corredato dall'ordine del giorno dei lavori, era stato inviato con il telegramma di rito a tutti i Consiglieri: Altenberg, Bianchi, Ciocchini, Esposito, Manzonini e, non ultimo, a me, il Consigliere Lechi. Ai destinatari sarebbe poi stata fatta recapitare, come d'abitudine e con tre giorni di anticipo, la completa documentazione cartacea relativa agli argomenti in discussione.

Il Presidente, Riccardo G. Tagliarami, era "figlio d'arte" di un affermato esponente politico resosi famoso nei primi anni della Repubblica per aver duramente ostacolato in sede pre-elettorale le forze cosiddette "trinariciute" che si ispiravano ai più ortodossi principi marxisti-leninisti. Si era laureato a pieni voti in scienze politiche in un noto ateneo di fede cattolica, aveva aggiunto al titolo accademico un prestigioso master estero ed aveva rapidamente accumulato cariche su cariche, sino al momento di uno scivolone politico generale che lo aveva relegato, per un certo periodo, a svolgere incarichi alquanto marginali. Qualche tempo dopo, passata la buriana e risollevatasi l'intera sua corrente politica, gli era stata graziosamente affidata l'ambita poltrona di Presidente dell'E.R.B.A., l'Ente per le Ricerche nella Biotecnologia Agro-alimentare.
Appassionato velista e supporter-finanziatore di una squadra di pallacanestro femminile, possedeva anche la dote di una fine dialettica, che si trasformava in una possente ed entusiasmante foga oratoria ogniqualvolta gli si offriva lo spazio di un palcoscenico da cui fosse possibile ottenere scrosci di applausi e adeguati spazi televisivi. Avendo acquisito la sua specializzazione in un prestigioso college anglosassone e seguendo la moda statunitense, teneva molto al suo secondo nome di battesimo, quel banalissimo Giovanni che aveva opportunamente recuperato dal suo certificato di battesimo e che si era affrettato a sintetizzare in una pur semplice "G", per poterla inserire nel biglietto da visita fra il primo nome, Riccardo - col quale veniva abitualmente chiamato - ed il cognome.
Un misto, dunque, di cultura e di vanità, di volontà e di ambizione; che costituivano gli ingredienti essenziali per il successo in una società consumistica ed affamata di protagonismo.
Curava sempre un'eleganza raffinata, fatta di abiti religiosamente scuri e di accessori ricercati, senza mai alcun cedimento neppure nei confronti del più costoso dei casual che - seppure a malincuore - tollerava, tutt'al più, e solo al sabato, nei suoi giovani assistenti. La sua dialettica, infarcita di terminologie anglosassoni che non disdegnavano il condimento occasionale di motti latini, era sempre puntuale, precisa e convincente. Il suo ufficio era spazioso e l'ospite che vi entrava, dopo aver faticosamente superato la barriera posta dalle attente segretarie e dalle porte accuratamente insonorizzate, doveva scoprire il Presidente seduto alla scrivania in fondo al locale, immerso nella profonda analisi di un solo documento. Per suo stesso dire, infatti, «il capo che mostra di avere una scrivania invasa dalle pratiche, dà l'impressione di essere un burocrate accentratore, privo della capacità di organizzare funzionalmente i propri collaboratori».
Teneva molto alla puntualità "degli altri", mentre si concedeva talvolta piccoli ritardi personali, dovuti ad improrogabili impegni improvvisi o ad imprevedibili chiamate telefoniche "... da quelli della Capitale". Nelle giornate in cui era presente presso la sede dell'E.R.B.A., arrivava in ufficio al mattino presto - quando stava andando via il personale dell'impresa delle pulizie - e se ne allontanava a sera inoltrata, accompagnato dal suo autista personale, che aveva anche il compito di spengere le luci e di inserire il dispositivo d'allarme. Il lavoro lo occupava intensamente e se nell'intervallo del pranzo non era impegnato in colazioni di lavoro con qualche personaggio importante, alle 12,30 in punto si faceva portare nel suo ufficio un semplice sfilatino al prosciutto, accompagnato da mezza bottiglia di acqua minerale «... per favore, badi bene, non gassata!» e da un caffè decaffeinato. Sobrietà ed efficienza costituivano gli aspetti più salienti della sua presenza all'interno dell'Ente. Ma il Presidente aveva anche un indiscutibile carisma che gli consentiva di ottenere la disponibilità più ampia dei suoi collaboratori.

I compiti istituzionali dell'E.R.B.A., limitati al solo sviluppo delle ricerche nella biotecnologia applicata al settore agro-alimentare, gli stavano decisamente stretti e il Presidente non perdeva alcuna occasione per cercare di convincere l'interlocutore del momento sugli stretti legami esistenti fra lo sviluppo delle biotecnologie e la ricerca in senso lato, conglobandovi le analisi sulla macro e sulla micro economia, sull'informatica e la robotica, sulla genetica e la chirurgia plastica, sul recupero delle materie seconde e la produzione di energia eolica, sulla dinamica infrastrutturale e sull'assistenza ai Paesi in via di sviluppo. Un interesse, quindi, ad ampio respiro, che legittimava l'istituto da lui presieduto a spaziare in un contesto estremamente diversificato e con le iniziative più disparate. Il tutto, beninteso, utilizzando risorse finanziarie messe a disposizione da fonti di natura pubblica e con la più ampia indifferenza di fronte ad eventuali sovrapposizioni o duplicazioni di funzioni nei confronti delle attività di altre più o meno analoghe strutture.
L'E.R.B.A., infatti, era uno di quegli enti costituiti nella fase più effervescente del boom economico, per porre il Paese alla pari con le più dinamiche ed avanzate unità di ricerca scientifica e tecnologica esistenti nelle altre aree industrializzate del globo e godeva di congrui contributi ottenuti da varie fonti, nazionali e sovranazionali. La sua gestione doveva necessariamente far capo, in ultima analisi, alla matrice pubblica, e tener conto di una adeguata rappresentatività delle varie componenti culturali, economiche, sindacali e politiche, esistenti nel variegato universo della nostra ancor giovane democrazia.

I membri del Consiglio di Gestione - il massimo organo deliberativo dell'istituto - erano quindi espressione rappresentativa di tali componenti e si sentivano altamente onorati di ricoprire gli incarichi loro affidati, anche se il tempo impiegato nello svolgimento della mansione veniva ripagato con gettoni di presenza, sufficienti a mala pena a coprire le spese di viaggio e corrisposti con sei o sette mesi di ritardo, al netto delle ritenute fiscali di legge. In realtà, la famigerata "lottizzazione" politica aveva riguardato anche l'E.R.B.A. e le nomine dei Consiglieri erano state opportunamente ed equamente distribuite fra gli amici, e gli amici degli amici, dei massimi esponenti del potere allora in carica.
In sostanza, si rifletteva nel Consiglio lo stesso equilibrio di forze già esistente in altri enti, aventi più o meno la stessa matrice e non ancora toccati da alcun fermento rinnovativo. Ciò che distingueva fra loro le diverse unità e le relative "rappresentanze" era solo la dimensione d'immagine: più l'ente era ritenuto importante e più i nomi erano noti, come pure la loro rilevanza politica.
I Consiglieri dell'E.R.B.A. non avevano in realtà un peso molto evidente, in quanto la stessa immagine dell'istituto aveva una valenza ristretta, frenata com'era dalle limitazioni dei suoi stessi obiettivi istituzionali. Anche per questo il Presidente cercava costantemente di allargare gli orizzonti e gli spazi operativi dell'ente.
Un Consigliere, l'ingegner Günther Altenberg - che doveva il suo nome decisamente germanico all'origine sudtirolese, o altoatesina che dir si voglia - aveva dietro di sé una lunga esperienza nel settore delle ricerche scientifiche, potendosi quindi considerare il solo vero tecnico dell'intero gruppo. La sua nomina era avvenuta a seguito di una precisa indicazione del suo partito politico, che lo aveva candidato, non tanto per i suoi trascorsi professionali - senza dubbio degni di ogni rispetto - quanto per ricompensarlo di taluni favori, concessi quando l'ingegnere era a capo dell'ufficio acquisti di una importante azienda che, per inciso, fu successivamente trascinata nel vortice dei famigerati "fondi neri".
Un altro Consigliere, Luigi Bianchi, rappresentava una figura storica della Resistenza e, come tale, gli competeva un seggio, formalmente attribuitogli da un'associazione di ex-partigiani, più o meno legata anche agli interessi del settore delle costruzioni civili. Si trattava di una persona gioviale e tranquilla che da giovane, Alpino della Julia, aveva subito anche le terribili disavventure della ritirata di Russia per poi dedicarsi, a conflitto finito, a una sua particolare attività artigianale che nulla aveva a che fare con la biotecnologia e, tanto meno, con le sue ricerche.
Il perito industriale Bruno Ciocchini era invece proprietario di una piccola fabbrica di macchinari tessili della bassa bresciana. Un personaggio eclettico e sanguigno, il classico self-made-man, sempre attento a non lasciarsi scappare nessuna opportunità di fare buoni affari, purché tangibili e di ritorno immediato. Si diceva che fosse un impenitente donnaiolo ed era sempre pronto a commentare pesantemente la comparsa di una qualsiasi rappresentante del gentil sesso nel suo spazio visivo. La sua preparazione culturale lasciava talvolta a desiderare e dalle sue espressioni scappavano spesso veri e propri insulti all'uso corretto del congiuntivo e del condizionale. Non si era mai capito bene da che parte fosse giunto il suggerimento per la sua nomina e neppure quali motivazioni o, per dir meglio, quali interessi lo avessero realmente spinto ad accettare la carica. Comunque, veniva considerato il rappresentante del settore della piccola e della media industria.
L'avvocato Pier Luca Esposito era invece il portavoce del mondo sindacale, del quale rappresentava in un certo senso gli interessi. Laureato in legge e senza con ciò esercitare la professione forense (ma l'appellativo di "avvocato" non lo rifiutava mai), era dotato - più o meno come il Presidente - di un'ottima dialettica e della capacità di adattarsi con immediatezza alle situazioni del momento, sfruttando opportunamente tutte le occasioni che gli si presentavano per far sentire la sua voce e per intervenire su qualsiasi argomento - anche di natura squisitamente scientifica - senza mostrare alcuna estraneità nei confronti di tematiche a lui completamente sconosciute. Era il più giovane o, se vogliamo, il meno anziano del gruppo e si diceva - senza che se ne fosse mai potuto appurare la veridicità - che godesse di particolari simpatie ed attenzioni da parte delle segretarie e delle altre collaboratrici dell'E.R.B.A. D'altro canto, la sua origine chiaramente partenopea e la sua stessa formazione culturale lo portavano a fare un uso sempre attento delle parole, con una naturale teatralità espressiva che poteva suscitare attenzione e simpatia. Non mi fu mai chiaro come e da dove potesse ricavare le sue entrate, che certamente erano comunque sufficienti a fargli condurre un tenore di vita di tutto rispetto. La sua automobile, una Porsche grigio-metallizzato di modello recente, era spesso parcheggiata nel cortile interno dell'E.R.B.A. e suscitava un certo interesse da parte dei più giovani collaboratori che, talvolta, mi era capitato di vedere gironzolarle intorno con curiosità e ammirazione.
Io, infine, il Consigliere Franco Lechi, ero uno degli scolari del '44, capitato, più per caso che non per mia volontà od ambizione, in quell'eterogeneo consesso di menti e di esperienze.

Ero stato invitato ad unirmi agli altri compagni di viaggio da un amico, che un giorno mi aveva detto: «Considerato che hai del tempo disponibile, e data la tua lunga esperienza di lavoro in varie aziende, te la sentiresti di far parte del Consiglio di Gestione di un prestigioso organismo che si occupa di ricerche molto importanti nel campo agro-alimentare? Mi faresti anche un vero piacere, perché io, al momento, ho già troppi incarichi e questo non lo posso proprio assumere. D'altro canto di te mi fido e sono certo che svolgerai un buon lavoro, se non altro portandovi il tuo contributo di concretezza e di esperienza. L'impegno, ti assicuro, non è eccessivo e non è richiesta una specializzazione particolare, in quanto gli aspetti puramente tecnici e scientifici vengono gestiti dalla struttura stessa dell'ente. In ogni caso vedrai che, come al solito, te la caverai molto bene». Lì per lì ero rimasto alquanto perplesso, perché era risaputo che a quel tempo la "lottizzazione" era già imperante e che, per quanto mi riguardava, non avendo mai mostrato particolari simpatie per questo o per quel partito politico, non potevo certamente essere un candidato di bandiera. Inoltre, le mie conoscenze nel campo scientifico erano del tutto inesistenti e per conoscere, seppure superficialmente, il significato del termine "biotecnologia" dovetti consultare un'enciclopedia. Cercai a lungo di schermirmi, ma il mio amico insistette, prendendomi dal lato della mia maggior debolezza: l'inguaribile curiosità. E fu così che, anche con una certa dose di incoscienza, ma alquanto motivato dal desiderio di conoscere un mondo per me sino a quel momento completamente estraneo, accettai l'incarico.
Entrai quindi a far parte del Consiglio di Gestione dell'E.R.B.A., portandomi appresso la mia ignoranza, le mie curiosità, le mie esperienze e le mie abitudini professionali; ma, inevitabilmente, anche ciò che più mi si era attaccato strettamente addosso sin dall'infanzia: il latente ricordo degli stenti di allora e di altre tristi vicende familiari piombatemi addosso poco dopo.

***

Mi trovai così improvvisamente proiettato in un mondo in cui la mia curiosità poteva trovare un'inesauribile fonte d'interesse.
Una delle prime cose che mi colpirono fu l'eccesso di deferenza e di riverenza di cui fui immediatamente circondato da parte del personale dell'ente. Essendo stato costretto da giovane - anche a seguito dei disagi di cui sopra - ad interrompere gli studi universitari per trovarmi rapidamente un qualsiasi lavoro, non conseguii alcuna laurea e non potei quindi fregiarmi dell'ormai indispensabile titolo di "dottore". Mi rimase, infatti, povero e solo, uno striminzito diploma di geometra. Questa lacuna mi creò un tale complesso d'inferiorità che non presi più cibo per oltre dieci anni, passando quindi direttamente all'Inferno, dove rosolai fra le fiamme del rimpianto e della disperazione per altri venti o trent'anni.
Celie a parte, la mancanza di un titolo accademico non mi preoccupò mai più di tanto, tollerando a mala pena che la portinaia del mio stabile, soprattutto per assicurarsi il mantenimento dell'ormai tradizionale mancia natalizia, mi riverisse con il titolo di "dottore" ogni qualvolta transitavo davanti alla sua guardiola. Entrato nell'empireo del Consiglio di Gestione dell'E.R.B.A. - nonostante i miei ingenui tentativi iniziali di rettifica - mi venne inesorabilmente attribuita una sorta di laurea ad honorem che mi accompagnava ad ogni seppur casuale incontro con gli impiegati, i dirigenti e tutto il restante popolo di zelanti collaboratori. La corrispondenza dell'Ente, che mi giungeva quasi quotidianamente a casa in dosi massicce, non tralasciava mai di indicare: "Al signor dottor Franco Lechi"; e ciò rafforzò, fra l'altro, nella mia attenta portinaia la convinzione che la sua perseveranza nell'attribuirmi quel titolo accademico avrebbe potuto portare ad un interessante aumento della famosa mancia natalizia.
La seconda cosa che mi sorprese fu la serie di telefonate con cui cominciai ad essere bersagliato da parte dei dipendenti dell'istituto. C'era chi mi raggiungeva telefonicamente a casa alla sera per perorare la causa di un aumento della sua retribuzione o per sollecitarmi a dirimere una controversia sull'attribuzione dei suoi compiti operativi; chi si preoccupava di informarmi circa presunte violazioni commesse da suoi colleghi rispetto alle regole interne dell'istituto; chi mi forniva suggerimenti sul comportamento che avrei dovuto assumere in merito a talune delibere, ecc. Scoprii così che molti di questi personaggi - alquanto diversi da quelli che avevo conosciuto operando per molti anni in aziende private - avevano, come Giano, un aspetto bifronte e utilizzavano facilmente il sorriso e la gentilezza al fine di aggraziarsi i favori di un Consigliere. E, magari, poter meglio tirare qualche sottile stoccata a un collega. Lo stesso collega che, a sua volta e con altrettanti sorrisi e gentilezze, avrebbe tentato - a sua volta e non appena possibile - di comportarsi allo stesso modo nei loro confronti.
Dopo i primi momenti di perplessità, compresi che tutto ciò faceva parte di un particolare modus vivendi e decisi di adottare una tattica difensiva di tipo tradizionale, rispondendo con belle parole che non dicevano assolutamente nulla di concreto e che avrebbero lasciato le cose esattamente al loro punto di partenza.
Ma tutto ciò non esaurì l'elenco delle mie iniziali scoperte. Infatti mi resi presto conto, ad esempio, che tutto ciò che avevo precedentemente appreso sul come si redigono le proposte o si presentano i risultati delle attività svolte, poteva essere gettato tranquillamente alle ortiche, avendo la possibilità di utilizzare un particolare stile letterario alternativo che, comunque, impreziosisce qualsiasi relazione scritta. Le regole sono, peraltro, concettualmente semplici: innanzi tutto si deve usare un linguaggio arzigogolato e, possibilmente, di difficile comprensione. In questo modo si disorienta immediatamente il lettore, che si convince di essere lui a non aver capito nulla di fronte a tanta scienza. Quindi, si deve assolutamente evitare di citare esempi concreti, fatti reali, cifre o elementi che possano prestare il fianco a verifiche o a indesiderabili commenti di merito. Devono essere impiegate con meticolosa attenzione quelle espressioni "buone per tutte le stagioni" che vanno per la maggiore, senza omettere la citazione dei termini "sinergia", "efficienza" (non disgiunta da "efficacia"), "strategia", "integrazione sistemica" e simili. Si deve sempre menzionare "il Capo" e, infine, si deve ingigantire il lavoro svolto e magnificare quello ancora da fare, mettendo anche in risalto il proprio nome, affinché il lettore si renda conto dell'insostituibilità e della preziosità del ruolo dell'autore.

***

Rimanendo ancora nella fase iniziale delle mie esperienze presso l'E.R.B.A., ricordo che mi assillò per qualche tempo la speranza che le stranezze da me rilevate fossero confinate alla sola particolare conformazione dell'ente stesso. Dovetti ricredermi presto, in quanto la mia graduale conoscenza, diretta od indiretta, di altre realtà similari, mi convinse che di E.R.B.A. non ce n'era solo una e che forse erano stati soltanto la mia ingenuità e il mio precedente disinteresse per questo genere di strutture a farmi credere il contrario. Anche se le specificità dichiarate erano, o potevano essere, apparentemente differenti, la sostanza era spesso identica.
L'E.R.B.A., infatti, non era altro che una particella infinitesimale di quel particolare mondo in cui gravitano una pluralità di pianeti, grandi e piccoli, nati e cresciuti non in virtù di un disegno organicamente stabilito o di un bisogno concretamente accertato, bensì in funzione della possibilità di dare spazio a talune persone e di utilizzare in qualche modo le risorse messe a disposizione dal sistema nel suo insieme. E anche gli stessi comportamenti degli abitanti di quei pianeti facevano parte di una "galassia" a sé stante, molto distante dalla vita dell'imprenditore, costantemente alle prese con i propri guai quotidiani, o con quella dell'operaio metalmeccanico minacciato di "cassa integrazione".
D'altro canto ricordo che un giorno, viaggiando in uno scompartimento di seconda classe sulla linea Torino-Venezia, ebbi come compagni di viaggio due distinti signori che iniziarono a dissertare su argomenti del loro lavoro. Non ci misi molto a capire che si trattava di due funzionari dell'ufficio delle imposte; ma quello che più mi sorprese fu il tipo di linguaggio che usavano, farcito com'era di termini e di espressioni di stampo burocratico e ministeriale. La lingua parlata doveva certamente essere l'italiano, ma la fraseologia usata era per me di difficile comprensione; quasi appartenesse ad un altro idioma. Si trattava, infatti, del più puro "burocratese": un particolare linguaggio che io pensavo si potesse esprimere soltanto nella forma scritta, così come avevo a suo tempo ritenuto che altri idiomi, quali il "politichese" e il "computerese" fossero usati prevalentemente in forma discorsiva. Ma mi resi conto che nel nostro Paese, a differenziare il modo di parlare, non esistono solo il Nord ed il Sud, l'operaio e il docente universitario, la monaca e la spogliarellista di cabaret, bensì anche il differente ambiente di lavoro in cui una persona cresce ed invecchia. Evidentemente ogni
enclave ha scavato e consolidato nel tempo una propria nicchia in cui si rifugia volentieri, come nel grembo materno, trovandovi protezione e conforto.

***

Le mie precedenti esperienze professionali si erano formate esclusivamente nel settore privato, godendone i benefici ma anche subendone gli inevitabili rischi. Partendo dalla cosiddetta "gavetta" avevo faticosamente fatto carriera, ma avevo anche sperimentato sulla mia pelle la disperazione di alcuni licenziamenti subiti per riduzione di personale ed avevo vissuto, con talune assurde ripercussioni, i momenti traumatici conseguenti a sconcertanti ispezioni tributarie, ufficialmente risoltesi, alla fine, con banali e modeste ammende.
Sempre per motivi di lavoro avevo trascorso parecchio tempo all'estero, in Paesi ricchi e in altri più poveri, dove avevo conosciuto un'umanità variegata e, per certi versi, affascinante. Avevo vissuto i drammi di cruenti colpi di stato in Nicaragua e in Liberia; avevo visto la disperazione delle favelas brasiliane e lo sfavillio delle luci dei grattacieli di New York e di Tokyo; avevo udito i mille suoni delle foreste equatoriali ed avevo sentito sul volto il vento gelido degli inverni del Nord Europa. Insomma, ne avevo visto e provate letteralmente di tutti i colori ed avevo accumulato una serie di esperienze che non mi avrebbero più dovuto far meravigliare di nulla. Ma non avevo ancora sperimentato la realtà interna delle istituzioni di casa nostra e questa mia lacuna conoscitiva poteva finalmente trovare una soluzione, seppure parziale e ben delimitata, con l'incarico affidatomi nell'E.R.B.A.
Commisi certamente vari errori di valutazione, pensando di poter mettere a frutto le esperienze e gli schemi appresi nelle precedenti attività lavorative e mi resi presto conto che quel "contributo di concretezza e di esperienza" indicatomi a suo tempo dal mio amico, avrebbe dovuto essere opportunamente adattato e assoggettato a quelle complesse "regole del gioco" che governano il funzionamento e la stessa ragione d'essere di talune strutture di matrice non propriamente privatistica.

***

Il mio rapporto con le istituzioni pubbliche o para-pubbliche era sempre stato per lo più di natura passiva, limitato cioè all'adempimento delle non semplici incombenze imposte al comune cittadino dalle innumerevoli e farraginose normative di volta in volta vigenti. Ad esempio, la scadenza primaverile della dichiarazione dei redditi mi riproponeva sistematicamente un'emicrania notevole, non fornendomi, fra l'altro, una spiegazione plausibile sul perché, essendo stato chiamato fin dalla nascita Franco, dovessi precisare sul modulo regolamentare di essere di sesso maschile. Non mi risulta, fra l'altro, che a tutt'oggi esistano differenti trattamenti fiscali a seconda che si sia maschi o femmine; ma non si sa mai: può darsi che il Ministro delle Finanze stia seriamente pensando come rimediare a questa grave lacuna! Oppure, ancora, perché dovevo ripetere all'infinito le mie generalità, il mio codice fiscale o il possesso di cavalli da corsa (chissà perché non veniva chiesto se possedevo anche una coppia di cani San Bernardo, il cui costo di mantenimento é forse pari a quello di un cavallo) ed altre simili amenità su cui, peraltro, sono già stati versati fiumi d'inchiostro. Avevo fatto, come tutti, le mie code agli uffici dell'anagrafe per ottenere i soliti certificati di nascita, di stato di famiglia, di sana e robusta costituzione fisica, ecc., necessari ad altri uffici che, a loro volta, avrebbero dovuto rilasciarmi ulteriori attestati e che, in mancanza della dovuta serie di certificati comunali, avrebbero potuto ignorare la mia esistenza, anche se tale realtà era già ampiamente comprovata da numerose testimonianze. Avevo pazientemente compilato a mano assurdi moduli di versamento sui conti correnti postali, ripetendo per tre o quattro volte le stesse cose, quando avevo visto ormai da vari anni le pur modeste PT elvetiche operare con semplici foglietti che consentivano al beneficiario di ricevere l'accredito in tempi estremamente ridotti.
Fui costretto per alcuni anni a condurre un'estenuante lotta epistolare con gli uffici esattoriali dell'ente radiotelevisivo nazionale che pretendevano il pagamento di un secondo canone di abbonamento soltanto perché il rivenditore che mi aveva fornito un nuovo apparecchio televisivo a colori aveva erroneamente segnalato il mio nome con una "c" di troppo. Avevo fatto ripetutamente rilevare, inviando le prescritte lettere raccomandate con ricevuta di ritorno, che al mio indirizzo non esisteva alcun "Franco Lecchi" e che l'utente Lechi aveva regolarmente corrisposto a suo tempo la tassa richiesta. Ma, probabilmente, i funzionari competenti non sapevano come fare a convincere i loro computer dell'evidente errore in cui erano, seppur involontariamente, caduti.
Dentro di me avevo spesso attribuito molte delle apparenti disfunzioni del sistema ad una forma di consapevole "pubblica solidarietà", che permetteva a molti individui di vantare un'occupazione e di non trovarsi costretti ad ingrossare la già folta schiera dei disoccupati o dei cassintegrati. Pensavo, infatti, che se fosse stata a suo tempo attuata un'immissione massiccia negli uffici di nuove tecnologie informatiche e di procedure operative di tipo privatistico - che avrebbero ottimizzato e sveltito i servizi - i quadri in soprannumero avrebbero avuto qualche difficoltà a rimanere al loro posto. Le apparenti disfunzioni, quindi, potevano essere considerate forzatamente necessarie, e ogni speranza o tentativo di modifica sarebbe risultato, oltre che irrimediabilmente utopistico, del tutto controproducente. D'altro canto, sintantoché il meccanismo poteva restare in piedi, tanto meglio per tutti.
Ma questi erano soltanto pensieri oziosi di un modesto e comune "uomo della strada", completamente ignorante dei ben più complessi meccanismi macro e micro economici, nonché sociali, che reggono o che reggevano, più o meno bene, l'intero sistema.

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