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"Uno scolaro nell'ERBA"

Capitolo 7

L'intervallo

Dopo cena feci in tempo a vedere l'ultimo telegiornale della sera, che mi fornì i sedativi necessari per garantirmi un sonno tranquillo. L'avvenente telegiornalista di turno, compenetrata nel suo ruolo di portatrice di notizie funeste, aveva infatti "aperto" il notiziario anticipando i principali titoli di testa del giorno: «Occupazione: ancora tagli per 3.500 lavoratori. Sì alla riforma della sanità: le dichiarazioni del Ministro. Scuola: crescono le aule ma mancano i professori. Esteri: l'O.N.U. non ci sta più, minacce di pesanti ritorsioni sulla Turchia». E, infine, la notizia più attesa della giornata: «Beretta non passa più alla Dinamo di Mosca».

Con la ripresa delle normali attività, dopo la pausa estiva, le città si erano nuovamente riempite di tanta gente abbronzata e la bilancia valutaria del Paese aveva ricevuto una boccata d'ossigeno per gli introiti ricavati dall'afflusso dei turisti stranieri. Ma erano anche riemersi nella loro globalità i problemi di fondo della nostra economia. Molte aziende dovevano fare seriamente i conti con una domanda interna che ormai da mesi segnava un calo costante, causato anche dall'ultimo pesante drenaggio fiscale e dalla tanto osannata riduzione del tasso d'inflazione. Si trattava, come avevano spiegato alcuni illustri economisti, di una manovra appositamente programmata; tuttavia nel frattempo le principali fabbriche avevano annunciato pesanti riduzioni del personale e i sindacati erano subito insorti, sostenendo a gran voce che «il posto di lavoro e le pensioni non si toccano».
Da parte mia non avevo mai capito nulla di economia e forse a causa di questa grave lacuna non riuscivo a comprendere come mai talune affermazioni dogmatiche degli economisti sembrassero, per l'uomo della strada, in netto contrasto con altri autorevoli dogmi di segno nettamente contrario, espressi dagli stessi o da altri sempre autorevoli personaggi. Ad esempio, non mi era chiaro come si potessero effettuare pesanti tagli sulla spesa pubblica, salvaguardando nel contempo il quadro occupazionale generale.
Ma il fatto era in sé stesso molto più semplice: la coperta era troppo corta e troppo stretta e, anche se tirata in su o in giù, di qua o di là, lasciava sempre scoperta una parte del corpo.
Le dichiarazioni del Ministro portavano, invece, qualche spiraglio di serenità sul fronte dell'assistenza sanitaria. Era stato infatti deciso di riformare l'intero sistema ambulatoriale e ospedaliero, tagliando una serie di "rami secchi" ed accentrando parecchie funzioni precedentemente disseminate in una pluralità di mini-strutture provinciali e comunali. Il tutto, al fine di garantire al cittadino un efficace servizio di assistenza medico-ospedaliera e mutualistica in genere. Comunque, era sorto immediatamente un altro problema, che la suddetta giornalista non aveva mancato di riprendere, accentuando, per l'occasione, il suo già abituale tono funereo. I dipendenti delle strutture locali, destinate secondo le dichiarazioni del Ministro a perdere gran parte del loro potere, erano infatti immediatamente insorti, facendo presente che si correva il rischio di mettere sul lastrico una schiera di lavoratori e - in aggiunta a ciò - che non si sarebbe più potuta garantire
«la necessaria funzionalità ed accuratezza dei servizi».
Quindi, ancora una volta, ricominciava il travaglio della coperta corta e stretta, fra chi tirava in un senso e chi tirava nell'altro.
Più o meno la stessa situazione veniva ripresa nella successiva notizia, quella relativa ai problemi del sistema scolastico nazionale. Il forte calo demografico verificatosi negli ultimi decenni aveva prodotto i suoi effetti anche sull'organizzazione scolastica. C'era ormai un'esuberanza di aule, principalmente destinate all'istruzione primaria, ma soprattutto si trattava di ricollocare altrove un certo numero di insegnanti che non erano più strettamente necessari. Il tutto sarebbe tornato comodo nel contesto del programma di riduzione della spesa pubblica, ma suscitò subito la reazione dei sindacati dei docenti, preoccupati di un possibile taglio negli organici.
La giornalista televisiva, sensibile anche ai problemi occupazionali del settore dell'istruzione, si premurò quindi di anticipare che, sebbene gli alunni fossero in netto calo numerico, mancavano ancora molti insegnanti, necessari a suo dire per garantire un'assistenza personalizzata a tutti gli studenti portatori di handicap. In sostanza, si sarebbero potute ridurre le aule, ma guai al cielo se fossero stati toccati gli organici; anzi.

Proseguendo sulla scia delle notizie giunte in redazione durante la giornata, i telespettatori vennero quindi informati che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, riunitosi per la ventisettesima volta al fine di decidere sull'annoso e controverso problema delle minoranze curde oggetto di persecuzione da parte dei Turchi, degli Iracheni, dei Siriani e degli Iraniani, aveva votato all'unanimità una risoluzione che ribadiva la necessità di attuare un'azione comune di rappresaglia nei confronti dei Paesi maggiormente responsabili dei gravi fatti di sangue successi nel corso delle ultime tre settimane. In particolare, veniva decretato il boicottaggio delle importazioni di filati e di tessuti di cotone dalla Turchia, al fine di dissuaderla dal proseguire nelle azioni di "pulizia etnica" nei confronti delle popolazioni curde di confine.
Si trattava di una risoluzione che, pur approvata all'unanimità, aveva diviso a lungo le parti che si erano riunite intorno al tavolo rotondo del palazzo dell'O.N.U. Gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna (che se non erro e per pura coincidenza sono forti produttori di filati e di tessuti di cotone. N.d.a.
) spingevano da tempo per una decisione rapida circa l'applicazione delle suddette sanzioni, mentre gli altri Membri e particolarmente i rappresentanti dell'integralismo islamico, forse meno interessati al problema del cotone, sostenevano a spada tratta la necessità che si organizzasse e si inviasse in quell'area una forza militare comune per fermare, una volta per tutte, le milizie turche.
In chiusura di trasmissione arrivò, infine, la conferma del mancato trasferimento del centravanti Mario Beretta alla squadra moscovita. E gli animi dei telespettatori finalmente si distesero, nel conforto di sapere che "la punta d'oro" del calcio nazionale sarebbe rimasta con noi, almeno per tutta la durata del prossimo campionato. Il volto della telegiornalista era diventato a questo punto più sereno, e quasi partecipe della gioia dei tifosi per lo scampato pericolo.

***

Devo confessare che fra le varie passioni che più o meno coinvolgono gli esseri umani, quella del gioco del calcio mi ha sempre lasciato del tutto indifferente. Credo di essere uno dei pochi che in vita sua non si sia mai recato in uno stadio per assistere a una partita di calcio e, come tale, un individuo che ha soprattutto dovuto subire la compassione e la totale ghettizzazione anche da parte del suo parrucchiere.
Già il recarmi nel suo locale per il taglio dei capelli aveva sempre costituito per me una sorta di latente punizione "a scadenza", ma ciò divenne addirittura drammatico dal momento in cui, posto di fronte alla fatidica domanda:
«e lei a che squadra tiene?», dovetti ammettere, a denti stretti e cercando più o meno di schermirmi, di non aver alcuna preferenza, né alcuna competenza in materia. D'altro canto, ritenni conveniente non cercare di barare, anche perché mi ero reso conto di trovarmi in un ambiente dove le bugie avrebbero avuto le gambe molto corte, dotato com'era di quotidiani e di riviste sportive e arricchito di alcune bandiere a strisce colorate nere e azzurre, o forse gialle e rosse. Ricordo che in quella circostanza il mio parrucchiere rimase per qualche attimo con le forbici sospese nelle mani, incredulo e incapace di qualsiasi movimento, mentre vidi i volti dei clienti in attesa del loro turno sollevarsi all'improvviso dalla lettura di pur interessanti riviste "per soli uomini" per osservare chi fosse quel povero diavolo, o forse quell'extraterrestre, che era giunto fra loro completamente digiuno del "verbo".
Successivamente non cercai nemmeno di cambiare parrucchiere, in quanto sbirciando all'interno di altri "saloni", vidi altre strisce bianche e nere, rosse e nere, o dei più variegati colori, che mi indicavano chiaramente l'inutilità di ogni mio eventuale tentativo di "dribblare in corner". Mi rassegnai, quindi, al mio destino, continuando a rimanere relegato nel ghetto dei "non sportivi" e restando fedele al mio parrucchiere che, non ostante tutto e dimostrando grande correttezza professionale, mi ha sempre tagliato bene i capelli.
Eppure, mi ero da tempo reso conto di quanto sarebbe stato utile lasciarmi coinvolgere dal tifo per questa o per quell'altra squadra: avrei infatti potuto disporre di una riserva di competenze che avrebbero reso meno imbarazzanti non solo le attese dal parrucchiere, ma anche i più casuali incontri in ascensore con il vicino di casa, o le pause del caffè con i colleghi dell'E.R.B.A.

***

A causa di tutte queste limitazioni, a cui purtroppo si aggiungono - come già spiegato - il complesso d'inferiorità per la mancata laurea e una naturale scarsa dialettica, gravemente penalizzanti sul piano dell'immagine personale e della considerazione dell'establishment che conta, non mi riuscì mai facile inserirmi a pieno titolo nei salotti ovattati della borghesia-bene della città. Anche le mie esperienze nell'E.R.B.A. stavano sviluppandosi in un modo certamente anomalo, facendomi talvolta sentire come il Calimero della situazione.
Non mi riusciva infatti facile comprendere come fosse possibile, per un ente che si sarebbe dovuto occupare di sole ricerche scientifiche, e in un contesto generale afflitto dai quotidiani problemi dell'occupazione, della sanità, del traffico, della scuola, dei bambini curdi e, perché no, della squadra nazionale di football, dedicare tutto quel tempo a discutere sul
«depauperamento nel modo di intendere la politica» e sulle possibili evoluzioni o involuzioni dei rapporti, «aventi una valenza anche in termini culturali», con la nuova amministrazione comunale. Allo scolaro del '44 queste cose non entravano proprio nella testa.

Ne avevo anche discusso alcune settimane prima con il collega Altenberg, durante una delle solite attese prima dell'inizio di una riunione del Consiglio di Gestione, e - se ben ricordo - la conversazione era andata più o meno nel modo seguente: «Trovo sempre un certo disagio», gli confessai, «a seguire attentamente e fino in fondo le disquisizioni cultural-politico-filosofiche che troppo spesso vengono introdotte nei lavori del nostro Consiglio. E, come avrai notato, intervengo raramente nel dibattito, facendo così anche la figura di "quello che è sceso dai duemila metri con la piena" e che non è in grado di sostenere una conversazione di elevato contenuto dialettico. In realtà, credo proprio di non esserne capace, preferendo considerare, col tempo e nei modi strettamente necessari, la fattibilità o meno delle azioni concrete sulle quali siamo chiamati ad esprimere la nostra opinione in seno al Consiglio».
«Vedi, caro Lechi», mi rispose amabilmente il collega, «vi sono due aspetti particolari dei quali devi pur tener conto. Il primo riguarda la persona del nostro Presidente. Si tratta, come avrai certamente avuto modo di notare, di un uomo dotato di una forte ambizione e di una ampia cultura e, come tale, desideroso di apparire sempre in primo piano. Per lui, le decisioni sui vari punti all'ordine del giorno sono spesso già date per scontate e rappresentano un puro atto formale che diventa addirittura marginale rispetto al desiderio, o se vuoi al bisogno, di farne oggetto di ulteriore riflessione nel quadro di un suo disegno politico a più ampio respiro. Lui, l'avrai capito, punta sempre più in alto e certamente non si accontenta di svolgere le sole funzioni, peraltro ben delimitate e ristrette, che gli sono offerte dal nostro ente. Inoltre», proseguì Altenberg affrontando il secondo aspetto, «così vanno le cose in questo tipo di istituzioni. Ti confesso che all'inizio del mio mandato, provenendo anch'io da un contesto sostanzialmente privatistico, avvertii un certo disagio. Poi, gradualmente mi ci abituai, rendendomi conto che le cose concrete si possono fare anche qui, pur corredandole di un contorno apparentemente inconsistente e dispersivo. L'importante, a mio avviso, è di giocare bene il nostro ruolo, facendo in modo che non si ecceda troppo nella forma, a scapito della sostanza. E, per tornare al nostro Presidente, bisogna dargli atto del fatto che ci stia a sentire, e che quando si accorge che talune delibere non sono poi così pacifiche o scontate come poteva forse credere, fa in modo che le stesse non passino o, quanto meno, che vengano ridimensionate su basi più accettabili».
«Ma, in definitiva», intervenni, non del tutto convinto, «stiamo impiegando quattrini e risorse che, forse, potrebbero essere spesi più proficuamente, dal nostro stesso ente o da qualcun altro, realizzando cose ancora più concrete. In più», aggiunsi, «mi sembra che talune iniziative non siano altro che duplicati di più o meno analoghe esperienze sviluppate da altri enti. In questo caso, perché non si cerca di utilizzare l'esistente, eventualmente solo migliorandolo?».
«Qui, allora», mi interruppe il collega, «mostri una forma di utopia, o se mi consenti di ingenuità, che mi meraviglia in un uomo come te, che non è più un ragazzino e che ha girato il mondo in lungo e in largo. Ma tu veramente credi che sia possibile far sì che ciò che è stato fatto da "A" possa essere ripreso ed utilizzato da "B" senza che quest'ultimo si astenga dal dichiarare di "aver fatto tutto lui"?. O, ancora, senza che "A" non intervenga per affermare che "B" ha copiato o, al limite, guastato il tutto?. E' anche una questione di immagine o, se vuoi, di gelosia, che non consente di condividere le diverse esperienze, lasciando inalterati i rispettivi meriti. Così, invece, ciascuno esalta le proprie azioni, ignorando, o fingendo di ignorare, le realizzazioni degli altri, anche se similari o, magari, addirittura identiche. E non è il caso che ti citi casi specifici. Tieni presente che in molti altri enti vi sono quasi certamente altri Tagliarami, ed altri Consigli di Gestione, con i relativi Consiglieri e con più o meno analoghe finalità ed ambizioni».
La conversazione si fermò a questo punto, in quanto - anche quella sera - stava per aver inizio una importante riunione ed io rimasi ancora più perplesso di prima, con un crescente istinto di "piantare lì tutto" e ritirarmi nei campi a coltivare patate, beninteso utilizzando i metodi tradizionali, senza l'impiego di moderne biotecnologie elaborate da prestigiosi enti di ricerca.

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