R A C C O N T I

LUIGI FEDERICO SIONIS

 

 

LA LEGGENDA DELLA SUORA SENZA TESTA

Ricostruzione romanzata

(Vera nella leggenda ma ricostruita con fantasia)

 

 

 

     Maria Maddalena Llorient era una giovine (allora si chiamavano così) erede di una nobile famiglia  arrivata nell’isola di Sardegna durante la dominazione Aragonese. Gli avi della gentile e sicuramente vergine (come usava allora) Maria Maddalena rimasero solidi anche durante la dittatura Sabauda. Viveva, a metà del XVIII secolo, nella patrizia casa all’interno del Castello, l’antico e nobiliare castrum, ormai destinato a diventare rifugio di nobili squattrinati sottomessi alla crescente nuova e potente società mercantile e affaristica.

     Maddalena, che le cronache romanzate vogliono bella, con l’avvenenza nascosta fra crinoline e rossori verginali, viveva tra casa e chiesa sicura che se non fosse arrivato un ricco nobile nubendo, sempre più rari, sarebbe finita in convento. Sicuramente cuciva e ricamava i lini, cioè il suo corredo, sempre più anemica e clorotica per la pena della prigionia familiare e per la conseguente psicosi anoressica.

     Ma il ricco e nobile nubendo non arrivò perché il malvagio destino, materializzò l’ambìto nubendo nel giovine figlio del ricchissimo commerciante di carni che forniva di succulente bistecche sia l’isola che il cosiddetto continente, come veniva chiamata la penisola. Il rifiuto paterno fu categorico: il nobile sangue della casata, i cui ascendenti avevano combattuto per la Cristianità, non poteva essere contaminato dal sangue di un volgare beccaio. I lini finirono nella cassapanca nuziale e il destino chiuse la vicenda.  Maria Maddalena prese i voti, in Cattedrale, dopo un breve noviziato. Non finì in clausura ma suora della Carità, perché la nobile famiglia spagnola dichiarava a gran voce legami di parentela con il fondatore dell’Ordine, attraverso un ramo cadetto francese. L’Ordine si occupava di carità in tutte le sue forme, compresi gli ospedali.

     La nobile Maria Maddalena, sposa della chiesa, rinunciando al mondo, assunse il nome di Teresa perché gli Iberici non rinunciano alle proprie origini e perché, forse, un ramo cadetto legava la famiglia alla Santa di Spagna.

     Gli ospedali dell’epoca erano dei veri e propri lazzaretti non perché durante le epidemie di peste si occupassero di appestati ma perché anche nei periodi di tregua, concessi all’Umanità dalla peste, facevano più morti che durante l’epidemia.

     Alla fine del XVIII e per almeno un altro secolo, l’ospedale cittadino era nei pressi di un portico dedicato a Sant’Antonio, non si sa quale, ed era relegato in poche anguste stanze.

     Racconta la leggenda popolare, invero nota in gran parte ad ospedalieri, che la povera Teresa, al secolo Maria Maddalena, fosse torturata da Satana con patimenti morali e materiali, ovvero carnali. Non visioni spirituali di eterei cieli e cherubiniche trombe annunzianti la Gloria, ma provocanti visioni di carnali amplessi che procuravano profondi turbamenti nel virginale animo della “ohi noi“ misera che, per volere della nobile schiatta, aveva dedicato la sua anima alla Chiesa, di malavoglia, rinunciando al prestante giovine, figlio di macellaio sì, ma ricco e ben nutrito.

     A questo punto la storia diventa leggenda e non si riesce a scindere le due cose e cioè dove la leggenda diventi storia. Di certo si sa che era impossibile che le suore avvicinassero maschi e l’unico che aveva consuetudini con la consorelle era predi Congiu, un semplice secolare, che celebrava, confessava, consigliava, consolava non solo le suore ma anche i malati  ai quali dava anche il viatico dell’estrema Unzione. Certo che girava anche qualche paziente e non sappiamo come fosse composto il corpo sanitario, essendo le infermiere suore.

     (Predi Congiu è subito assolto in quanto, per età, non può calarsi nei panni peccaminosi di un seduttore di vergini consorelle. Ad ogni buon conto chi sia stato non è importante anche se potete pensare che possa essere stato il malefico Satana, magari travestito da prete, forse nei panni del povero predi Congiu.)

     La leggenda racconta che, una notte, una terrorizzata sorella trova la povera Teresa in un lago di sangue. La superiora si accorge subito che lo scandalo è alle porte e quindi, per il bene dell’ordine, allontana le consorelle giovani e, con il supporto morale e tecnico delle anziane, constata che la povera Teresa, ormai anemizzata e agonizzante, ha partorito un feto morto.

     Per tenere testa ad una simile incresciosa situazione ed evitare che lo scandalo diventi di pubblico dominio, c’è bisogno di una guida di grande esperienza perché meno persone sanno più blindato è il segreto. E la superiora, si pensa, che non fosse sprovveduta se riuscì a nascondere tutto e nulla si sarebbe saputo se il diavolo, ahi, non ci avesse messo la coda.

    Carattere e forza dovevano essere pane quotidiano per la reverendissima madre che mostrò, nella gestione delle fasi successive, altre doti sicuramente apprese nell’ambito familiare di una Sardegna, a quei tempi, chiusa e orgogliosa delle sue tradizioni, al punto tale che,  affinché non si riconoscesse il misfatto, la venerabilissima madre, adottò la soluzione in uso nei suoi paesi dell’interno dell’isola.

     L’Isola alla fine del XVIII secolo era sotto il dominio dei Savoia.

     L’isola dei Savoia era, senza dubbio alcuno, il peggior Regno d’Europa. Forse i Sardi un po’ del loro ce lo misero, ma i Savoia risposero alle ribellioni con impiccagioni e fucilazioni.

      Ma ovunque miseria e ribellione.

     Una delle forme di ribellione alla miseria fu il banditismo, rimasto poi endemico fino alla metà del XX secolo.

     Alle bande i Savoia rispondevano con altri sardi inquadrati come regolari e nei conflitti a fuoco morivano sia guardie che banditi.

     Ma il bandito morto, per onore familiare, non doveva essere riconosciuto e perciò, prima di depositarlo fuori da una chiesa, i suoi commilitoni gli tagliavano la testa.

      Non erano tempi né di impronte digitali né di D.N.A.

      La testa veniva consegnata ai familiari per comunicarne la morte.

     Tutto questo cosa c’entra con la povera suor Teresa? La madre superiora, sicuramente edotta dell’usanza appresa chi sa in quale occasione, staccata la testa alla povera peccatrice, aiutata dalle anziane consorelle, depositò il corpo nella vicina chiesa e non si seppe più niente.

     Ma il diavolo, già responsabile delle tremende tentazioni, agitando la coda ci mette di suo per propagandare ai mortali la sua potenza.

     Sia nel convento delle suore che nell’ospedale lazzaretto, in piena notte, sbattono porte e finestre chiuse accuratamente. Le converse, cioè le suore laiche che sfacchinano in cucina senza il premio divino, e le novizie cominciano a pensare che un’anima in pena si aggiri per i meandri delle strette corsie ospedaliere e tra i dormitori. Sua maestà il diavolo, conscio del suo alto potere persuasivo, insinua nella mente delle povere converse e novizie il dubbio. Ma non è tutto.

     In quell’epoca le donne che dovevano partorire rimanevano a casa assistite da donne chiamate maestre di parto, in gran parte ignoranti dell’arte e divenute esperte per loro esperienze personali perfezionate su altre partorienti. Le donne, morire per morire, preferivano casa.

     Alcune finivano, però, in ospedale dove qualcuno cercava, con alterna fortuna, di evitare il peggio.

     La prima donna che vide fu subito definita affetta da “pazzia gravidica”.  Ma il diavolo insiste, finché una suora, una notte, vede, inequivocabilmente, una suora incorporea con al posto della testa il copricapo tricorno delle suore della carità, che si aggira tra le corsie e i dormitori.

     La madre superiora fila veloce al confessionale di predi Congiu che ascolta, consola e assolve da ogni peccato, compreso il vilipendio del cadavere che non è contemplato dai codici canonici e forse neanche da quelli del Regno.

     Ma il diavolo insiste. Alcune converse terrorizzate fuggono preferendo la fame familiare agli spiriti, e così il popolino conosce che tra le mura ospedaliere si aggira una suora senza testa dove ci sono partorienti e puerpere.

     Per oltre cento anni la suora senza testa vaga, la notte, per espiare il suo peccato, tra le corsie dell’ostetricia del vecchio ospedale del portico Sant’Antonio. Poi, all’inizio del XX secolo l’ospedale lazzaretto viene abbandonato per uno nuovo architettonicamente e funzionalmente bellissimo. Dal XIX al XX secolo la medicina compie passi giganteschi e le popolazioni di tutta Europa capiscono il valore della salute e la funzione degli ospedali.

     Anche le eredi delle suore del vecchio ospedale hanno nuovi alloggi e nuovi dormitori, situati a piano terra con una scala interna che conduce ai reparti. La scala interna si interrompe, però, nel nuovo reparto di ostetricia e, per passare agli altri reparti, bisogna percorrere una lunga e ampia corsia che conduce alla porta principale e poi ad un luminoso andito comune dove si aprono le porte degli altri reparti

     Fu proprio la scala che una notte della fine degli anni 70 (del 900, si intende)  svelò ai dubbiosi  che la leggenda è verità.

     La storia era, sempre, stata riferita come favola, in fondo tutte le storie di fantasmi vengono prese con le molle e chi tra il personale più anziano riferiva di aver visto nella scala la suora senza testa veniva ritenuto narratore di storielle destinate a spaventare i creduloni paurosi. Una vecchia infermiera  giurava su qualsiasi cosa, anche sulle ossa della madre, di aver visto la monaca.

     Però anche chi non giura, se riferisce ciò che ha visto, non è detto che non dica la verità.

     Quella notte una tempesta di vento e acqua faceva tremare anche gli spessi muri del solido ospedale, mentre i lampi illuminavano anditi e corsie al buio perché il nubifragio faceva saltare, ad intermittenza, la luce.

     Un colpo di vento fece sbattere violentemente la porta tra le scale e la corsia e, per la durata di alcuni secondi, lunghissimi, a distanza di circa due metri, chiarissima, passò la figura, monodimensionale, della suora senza testa.

      Tornò la luce e coloro che avevano visto chiaramente, terrorizzati, si rinchiusero nei bagni, tra vomiti e scariche diarroiche perché la paura genera violente scosse di adrenalina che, tra le tante conseguenze, ha anche quella di stimolare l’intestino.

     Chi vide  chiese il trasferimento ad altro reparto, mentre chi non c’era liquidò il tutto con “le solite balle”.  Qualcuno la vide, in una torrida notte d’estate, sul cornicione di un palazzo.

     Fu l’ultima volta che apparve.

     Oggi non si sa più nulla della povera monaca decapitata che, espiata la sua colpa e concesse le attenuanti, sarà, sicuramente, stata assolta e mondata da ogni colpa.