ACCESSORI

Il vastissimo campo degli accessori fotografici ci impone una drastica selezione per evitare inutili e noiose descrizioni di oggetti spesso molto specifici. Per questa ragione prenderemo in considerazione solo ciò che effettivamente può essere considerato di uso generale e comunque presente nella normale attrezzatura di ogni fotoamatore.

Il primo che prenderemo in considerazione è il FLASH.

 

Il flash

 

Oggi esistono pellicole ultrarapide che consentono di fotografare anche con la normale luce artificiale delle nostre case, però i tempi d'esposizione usabili possono risultare ugualmente troppo lunghi per avere la certezza di ottenere immagini perfettamente nitide. Si finisce quasi sempre, inoltre, con l'adottare diaframmi molto aperti per guadagnare in bevità del tempo di posa, con conseguente riduzione della profondità di campo.

Con le invertibili a colori (non potendo agire con correzzioni di dominanti in fase di stampa), poi, bisogna anche tener conto della temperatura cromatica della sorgente luminosa.

Quindi, anche se si ritiene che sovente la luce del flash distrugga l'atmosfera autentica di una immagine, si finisce con l'usarla a causa della sua grande utilità e, a volte, indispensabilità.

In passato il flash era costituito da vere e proprie lampadine con filamento di magnesio che producevano un'intenso lampo di luce proprio bruciando velocemente questo filamento; ne derivava la necessità di sostituire la lampadina dopo ogni scatto e, di conseguenza una scarsa praticità.

Oggi vengono prodotti flash elettronici che offrono la possibilità di un elevatissimo numero di scatti senza la necessità di sostituire la lampada e nemmeno effettuare operazioni di manutenzione. Il loro costo varia enormemente a seconda delle caratteristiche più o meno professionali, è comunque possibile trovarne a prezzi decisamente abordabili.

 

Flash elettronici

 

Se si eccettuano i grossi modelli da studio, sono apparecchi portatili, in genere abbastanza leggeri e di dimensioni contenute (anche tascabili). Sono alimentati da pile o accumulatori ed emettono un lampo brevissimo, che in alcuni tipi può essere di durata variabile, arrivando anche a 1/50000 di secondo. Come già accennato, diversamente dalle lampadine, che emettono un unico lampo, i flash elettronici possono emettere decine di migliaia di lampi prima di esaurirsi.

Il loro funzionamento dev'essere perfettamente sincronizzato con quello dell'otturatore della fotocamera, alla quale possono essere collegati in due modi: con apposito cavetto elettrico o, se tanto la fotocamera quanto il lampeggiatore ne sono provvisti, mediante il cosiddetto 'contatto caldo'.

Con questo secondo sistema è sufficiente inserire il flash sulla fotocamera per mezzo dell'apposito attacco a slitta perchè si stabiliscano i contatti elettrici necessari al funzionamento e alla sincronizzazione. Affinchè quest'ultima si realizzi completamente è però necessario, con certi tipi di otturatore, non usare tempi più rapidi di quello per essi indicato appunto come 'tempo di sincronizzazione'. In particolare, gli otturatori a tendina montati sulle reflex 35 mm. non consentono l'impiego del flash con tempi più brevi di 1/125 o 1/60 di secondo. La causa è la velocità di scorrimento delle tendine che, per tempi molto veloci, risulta essere inadeguata per scoprire totalmente l'intero fotogramma prima che la seconda tendina lo ricopra. Il risultato dell'adozione di tempi di posa inferiori a quello indicato come 'tempo di sincronismo' è l'ottenimento di fotografie metà nere e metà perfettamente nitide, appunto perchè al momento del lampo la seconda tendina avrà già ricoperto parte del fotogramma.

Gli otturatori centrali consentono invece l'uso del flash con tutti i tempi d'esposizione disponibili, questo perchè c'è sempre una frazione di secondo in cui l'otturatore è completamente aperto.

Anche se si è costretti a usare tempi relativamente lunghi come il sessantesimo di secondo, l'esposizione in luce lampo avviene in tempi brevissimi, perchè non è data dal tempo di apertura dell'otturatore, ma dalla durata del lampo. Il tempo regolato dall'otturatore ha invece importanza per le riprese in luce mista, dove parte della luminosità deriva direttamente dall'ambiente.

Il tempo di sincronizzazione viene solitamente distinto dagli altri sulla ghiera dei tempi mediante indicazioni di diverso colore o con l'aggiunta di un simboletto autoesplicativo.

 

Il numero guida

 

Anche per i flash, come per tutto ciò che riguarda la luce e la sua misura, bisogna ricorrere a delle scale di valori che esprimano in modo corretto le intensità in gioco.

Indicato con la sigla GN (o NG), il numero guida indica praticamente la potenza delle lampadine o dei lampeggiatori elettronici e da esso è facilmente ricavabile il diaframma da usare in rapporto alla distanza intercorrente tra fonte luminosa e soggetto da fotografare. Ribadiamo il fatto che, nell'uso dei flash, solo il diaframma ha influenza, dato che la durata dell'esposizione coincide con quella del lampo indipendentemente dal valore dei tempi impostato, e quindi non è più valido il discorso fatto sulle coppie tempi-diaframmi.

In commercio esistono due importanti categorie di flash elettronici: quelli automatici e quelli manuali.

 

Flash automatici

 

Con i flash elettronici automatici non è richiesto alcun calcolo; un'apposita fotocellula montata sul flash determina la potenza di emissione del lampo. Con questo tipo di flash l'unica regolazione da effettuare è l'impostazione del diaframma, indicato dal costruttore in base alla sensibilità della pelliola adottata, sarà poi la luce riflessa dal soggetto, e captata dalla fotocellula, a regolare la durata del lampo.

I modelli più economici consentono un solo valore per il diaframma, altri invece danno la possibilità di scelta fra due o più valori diversi di apertura, in modo da consentire un intervento anche sulla profondità di campo.

Proprio per il metodo di regolazione della potenza, legato alla quantità di luce riflessa dal soggetto, questi flash soffrono degli stessi problemi incontrati nell'ambito della misurazione in luce riflessa, cioè: sottoesposizione di soggetti chiari e sovraesposizione di soggetti scuri. In questi casi può essere utile aprire il diaframma (o chiudere a seconda delle necessità) in modo da compensare il divario fra lettura esposimetrica del flash e realtà.

 

Flash manuali

 

L'utilizzo dei flash manuali impone, invece, l'effetuazione di alcuni calcoli, del resto molto facilitati dall'uso di tabelle o regoli solitamente presenti sui lampeggiatori.

Per determinare il diaframma da impostare occorre dividere il numero guida, rapportato alla sensibilità della pellicola, per la distanza in metri del soggetto dal flash: il quoziente indica l'apertura del diaframma da utilizzare.

Per esempio, se il numero guida fosse 18 e la distanza lampeggiatore-soggetto di 3 metri, si dovrebbe usare il diaframma 5,6 (infatti, 18:3=6, e, non essendovi sulla scala dei diaframmi il valore f/6, si approssima al più vicino).

Questi apparecchi sono di scarsa praticità ma consentono un'esatta determinazione dell'esposizione, al prezzo di alcuni noiosi calcoli. Bisogna però fare anche attenzione alla capacità riflettente delle pareti, o di superfici molto estese eventualmente presenti, in quanto parte della luce che andrà ad illuminare il soggetto verrà anche, per riflessione, da questi ultimi.

Nell'uso dei flash è comunque importante rendersi conto di un concetto fondamentale e cioè che la quantità di luce fornita da un flash diminuisce con il quadrato della distanza. In altre parole (vedi figura 23), raddoppiando la distanza soggetto-lampeggiatore l'intensità luminosa diventa quattro volte inferiore; per questo motivo è facile comprendere l'assoluta inutilità del suo impiego per illuminare soggetti distanti più di 8-10 metri dal flash.

L'uso del flash è, senza alcun dubbio, impegnativo e per molti aspetti incerto. Il solo fatto di non poter verificare la presenza di eventuali riflessi o vaste zone d'ombra comporta molti rischi dal punto di vista della riuscita finale. Risultati particolarmente sgradevoli si ottengono nei primi piani utilizzando il flash molto vicino alla fotocamera; questa disposizione fa sì che la luce del lampo si rifletta sulla retina del soggetto fotografato facendo comparire dei bruttissimi pallini rossi al posto delle pupille. Altre volte può accadere che oggetti molto vicini ricevano troppa luce creando macchie bianche fastidiose, ecc.. Degli ottimi risultati si possono invece ottenere utilizzando due o più flash, oppure, facendo riprese in luce mista sfruttando la luce ambiente e il lampo flash.

Sia l'uso di vari flash contemporaneamente che la ripresa in luce mista, necessitano di uno studio abbastanza puntiglioso della scena inquadrata e dell'illuminazione complessiva. L'esperienza derivata da un buon numero di prove è, senza alcun dubbio, una valida maestra per questo genere di fotografia, anche se la consapevolezza tecnica di ciò che si sta facendo è indispensabile per non incappare in una serie infinita di esperimenti disastrosi.

 

Il treppiede

 

Il treppiede, o cavalletto, è un altro accessorio importantissimo nella pratica fotografica e, purtroppo, scarsamente utilizzato.

E' l'accessorio specifico contro il rischio di ottenere immagini mosse. Consente di usare tempi d'esposizione molto lunghi (ovviamente con soggetti fermi) e dovrebbe sempre essere impiegato in condizioni di luce scarsa, nella macrofotografia e con teleobiettivi molto spinti.

Un treppiede, per essere efficiente, deve anzitutto essere solido, la qual cosa non significa che debba essere troppo pesante. Oggi ne vengono realizzati in leghe di alluminio, di peso contenuto e trasportabili senza troppo fastidio. Hanno gambe retrattili a cannocchiale ma è consigliabile l'acquisto di modelli non troppo accorciabili, in quanto l'elevato numero di elementi compromette la stabilità complessiva dell'accessorio.

I modelli più comodi dispongono anche di una colonna centrale estraibile, alla quale è collegata la piastrina di fissaggio della fotocamera. Un dispositivo a snodo, che viene realizzato in diversi modelli, permette il corretto orientamento della fotocamera e il solido fissaggio nella posizione desiderata. Il tipo di testa a snodo più pratico è quello a tre movimenti che consente di inclinare la fotocamera in ogni direzione senza spostare il treppiede.

 

Scatto flessibile

 

Praticamente abbinato al treppiede è lo scatto flessibile. Questo semplicissimo accessorio è costituito da una guaina flessibile in cui scorre un cavetto metallico in grado di azionare l'otturatore. Per il suo utilizzo è sufficiente avvitare la parte terminale sul pulsante dell'otturatore (tutte le fotocamere reflex sono provviste dell'apposita filettatura) e azionare il pulsante.

La comodità che ne deriva è dovuta alla possibilità di scattare senza toccare l'apparecchio in modo da non introdurre delle vibrazioni che comprometterebbero la nitidezza dell'immagine, specialmente nel caso di pose lunghe.

 

La Camera Oscura

Oggi si intende per 'camera oscura' il luogo ove si possono manipolare con sicurezza i materiali fotografici sensibili alla luce.

Abbiamo detto 'oggi' perchè la C.O. in effetti non è un'invenzione recente, ne tantomeno strettamente legata alla fotografia. Leonardo da Vinci aveva già eseguito una serie di studi approfonditi sulla 'camera obscura'. Si trattava allora di una camera, fissa o portatile, completamente buia, che aveva su una delle pareti un piccolissimo foro attraverso il quale passavano i raggi della luce riflessa dal paesaggio antistante e lo riproducevano capovolto sulla parete di fronte.

Un operatore, all'interno della camera stessa, poteva quindi tracciarne i contorni con estrema precisione su un qualsiasi pezzo di carta opportunamente posizionato. Praticamente si trattava della 'camera fotografica' a foro stenopeico che ormai conosciamo benissimo.

Ora, se osserviamo attentamente il disegno della camera obscura, possiamo notare che generalmente una figura esterna di certe dimensioni, ne genera una interna decisamente più piccola. Se però ribaltiamo il ragionamento ed immaginiamo che sia la figura interna ad emettere luce, ecco che, sempre passando attraverso il foro stenopeico, fuori su un piano da stabilirsi a piacere, si formerà un'immagine capovolta ed ingrandita.

Questo è il principio dell'ingranditore fotografico, che altro non è che una macchina fotografica funzionante al contrario.

Prendendo quindi una pellicola già impressionata e sviluppata e ponendola nell'ingranditore acceso, verrà proiettata fuori sul piano focale un'immagine più grande, e se sul suddetto piano posizioniamo un'altra pellicola, di tipo e dimensioni adatte (CARTA FOTOGRAFICA), potremo registrare definitivamente la nuova immagine.

Naturalmente l'ambiente circostante dovrabbe essere 'oscuro' in modo che nessun'altra luce vada ad influenzare la pellicola posta ul piano dell'ingranditore.

L'operatore che però trovasse a posizionare la suddetta pellicola in condizioni di buio assoluto, si troverebbe certamente in difficoltà, ecco quindi l'invenzione della pellicola 'ortocromatica'. Questa non è sensibile alla luce rossa e di conseguenza è manipolabile con estrema sicurezza in qualsiasi ambiente illuminato da lampade che emettono luce rigorosamente rossa.

 

Le carte da stampa

 

Le 'carte' sono, come abbiamo già detto, pellicole ortocromatiche e si possono dividere in due grandi categorie: BARITATE e POLITENATE.

La differenza sostanziale fra l'una e l'altra è nel supporto, che nelle prime è essenzialmente cartaceo, mentre nelle seconde è di materiale 'plastico'. Per tale motivo le politenate assorbono pochissimo liquido e di conseguenza asciugano velocemente e non danno luogo a fenomeni di accartocciamento. Le baritate invece vanno essicate con apposita attrezzatura e sono più delicate da manipolare, però hanno una resa tonale decisamente migliore.

Entrambe sono disponibili in vari formati e con diverso tipo di superficie, abbiamo infatti:

MATT superficie opaca

SEMIMATT semiopaca

PERLA brillante

GLOSSY lucida

MILLEPUNTI simile al retino tipografico

 

Infine, ma cosa molto importante, le 'carte' sono disponibili in varie gradazioni di contrasto. Con ciò è possibile, con carte diverse, ottenere dal medesimo fotogramma immagini di diverso contrasto e quindi anche di diverso significato. Possiamo passare da un cotrasto minimo (zero), cioè con estesissima gradazione di grigi, ad un contrasto massimo (generalmente 5) preaticamente privo di toni intermedi (solo bianchi e neri).

Questo significa che anche in fase di stampa possiamo manipolare il risultato personalizzandolo.

 

Sviluppo del negativo e delle carte

 

Ci sono in commercio vari tipi di 'rivelatori' ma sostanzialmente tutti funzionano allo stesso modo, sia che si tratti di sviluppo per pellicole negative, o che si tratti di sviluppo per carte fotografiche. Il 'negativo', essendo una pellicola sensibile a tutte le gradazioni cromatiche di luce, va sviluppato in un apposito contenitore a prova di luce, le carte invece essendo ortocromatiche vengono sviluppate 'a vista' in ambiente illuminato da luce rossa. Questo permette di controllare il procedere dello sviluppo e, se è il caso, arrestarlo preventivamente.

Sia lo sviluppo delle carte che quello dei negativi avviene con la medesima procedura, ovvero in entrambi i casi abbiamo un primo bagno rivelatore che riduce gli alogenuri d'argento, ossidati dalla luce, in argento metallico, vi è poi un bagno intermedio di 'arresto' che ferma l'azione dello sviluppo e provvede ad un lavaggio della pellicola seguito infine dal bagno di 'fissaggio' che toglie dalla pellicola tutti gli alogenuri d'argento rimasti puri, in quanto non colpiti dalla luce, rendendo così il materiale fotograico stabile e vedibile alla luce solare.

Il risultato visivo per i negativi è però diametralmente opposto a quello delle carte.

Immaginiamo di fotgrafare un quadro metà bianco e metà nero, la pellicola in macchina riceverà una certa quanità di luce dalla parte bianca e nulla dalla parte nera. Il fotogramma corrispondente avrà quindi una parte decisamente ossidata mentre l'altra sarà ancora 'vergine' e quindi ancora ricoperta di alogenuri d'argento 'puri'. Introducendo la pellicola nello sviluppo, la parte ossidata, per reazione, si 'ridurrà' in argento metallico, mentre l'altra rimarrà inalterata (e ancora sensibile alla luce). Passando poi al bagno di fissaggio l'argento metallico rimarrà così com'è (nero o con sfumature grige in rapporto alla luce ricevuta in fase di ripresa), mentre gli alogenuri 'puri' veranno disciolti lasciando solo il supporto che è trasparente.

 

A questo punto il negativo è pronto. Abbiamo rappresentato il quadro in pellicola che, per essere precisi, appare nera in corrispondeza della parte di quadro bianca, mentre risulta trasparente nella zona corrispondente al quadro nero.

 

 

Il 'negativo' posizionato nell'ingrandiore acceso produrrà sulla carta sensibile (che è bianca) una forte radiazione nel settore trasparente del negativo (che corrisponde al nero del quadro) e nulla nell'altro settore, perchè la luce dell'ingranditore viene assorbita dalla parte scura del negativo. La parte irradiata, per lo stesso principio visto nelle pellicole negative, a sviluppo e fissaggio completati risulterà nera mentre l'altra sarà rimasta del colore originale della carta.