L'APPARECCHIO FOTOGRAFICO

In questa prima lezione ci è sembrato utile partire con una panoramica sugli apparecchi fotografici in commercio. Non è nostra intenzione analizzare nei minimi particolari ogni tipo di fotocamera disponibile sul mercato, anche perchè non avrebbe senso nei limiti di questo corso; il nostro obiettivo è quello di individuarne le principali categorie sottolineando pregi, difetti e normale campo di utilizzo.

E' opinione molto diffusa che le macchine fotografiche si dividano in due grandi categorie, e cioè in 'quelle che fanno tutto da sole' e in 'quelle che non ci si capisce niente'. Sebbene questa suddivisione abbia dei fondamenti molto pratici non è senza dubbio la migliore. In realtà è prassi comune distinguere le fotocamere in relazione al formato della pellicola utilizzata e al metodo d'inquadratura.

Per chiarire meglio il concetto, ed entrare subito nel vivo della questione, consideriamo in primo luogo il formato della pellicola.

Tutti sanno che per realizzare una fotografia bisogna impressionare il negativo, svilupparlo e, eventualmente, stamparne una o più copie. Tralasciamo per ora la descrizione di ogni singola fase del processo appena accennato per dedicarci all'analisi del negativo.

In questo primo approccio ci occuperemo solo del supporto fisico; in altre parole vedremo solamente di che cosa è fatta e che dimensioni ha la pellicola che viene introdotta nella macchina fotografica, rimandando ad un successivo capitolo l'analisi delle caratteristiche tecniche più propriamente fotografiche.

    

I Formati delle pellicole

Per soddisfare il mercato i produttori di pellicole e quelli di apparecchi fotografici si sono adeguati ad alcuni standard in modo da fornire pellicole compatibili con le varie macchine fotografiche in commercio e vice versa. In pratica questo si concretizza nel fatto che se ci dovessimo rivolgere ad un rivenditore di materiale fotografico egli sarebbe in grado di fornirci delle pellicole aventi delle dimensioni ben precise e in contenitori specifici. Queste caratteristiche dimensionali delle pellicole vanno sotto il nome di 'formato della pellicola'.

In commercio sono presenti, fondamentalmente:

- il formato 110

- il formato 126

- il formato 120/220

- il formato 135 (o 35 mm)

- pellicole piane di varie dimensioni

per negativi o diapositive sia in bianco e nero che a colori.

Per quanto riguarda la differenza fra negativo e diapositiva ce ne occuperemo in un capitolo successivo; per ora consideriamo solamente il suo aspetto esterno.

Sarà capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di recarsi nel negozio di un fotografo con lo scopo di acquistare una pellicola per effettuare delle fotografie. La prima domanda che normalmente ci viene posta in questi casi è se vogliamo una pellicola per fotografie a colori o in bianco e nero, successivamente ci viene chiesto per quante pose e, alla fine, se è il caso che ce la inserisca in macchina.

In realtà potremmo essere più esigenti, non tanto sul fatto che ci carichi la macchina ed eventualmente la regoli, ma bensì sulle caratteristiche della pellicola. In commercio esistono infatti svariati tipi di pellicola che si distinguono per il formato (come abbiamo visto nell'elenco precedente), per la sensibilità (cioè la rapidità di 'registrare' le immagini), per l'utilizzo (stampa o proiezione) e per le caratteristiche cromatiche (bianco e nero o colore).

Fra tutte queste caratteristiche l'unica su cui non abbiamo possibilità di scelta è il formato, cioè le dimensioni della pellicola. Ogni apparecchio fotografico supporta un unico formato; non importa se per fotografie a colori o in bianco e nero, se per diapositiva o negativi, ciò che conta è che in una macchina costruita per il formato 110 non è possibile inserire pellicole di formato diverso dal 110 e così per tutti i formati e per tutte le macchine fotografiche. Questo perchè tutte le pellicole sono formate da una striscia di materiale sintetico molto flessibile e resistente sul quale vengono depositati dei sottilissimi strati di materiale fotosensibile, diversi a seconda dell'utilizzo al quale saranno destinate quelle pellicole, per negativi o diapositive a colori o in bianco e nero.

In pratica la parte più voluminosa della pellicola, la striscia di materiale sintetico, è sempre quella; mentre ciò che cambia è lo strato di materiale fotosensibile, chiamato comunemente emulsione, che però ha uno spessore trascurabile.

A questo punto sorge spontaneo chiedersi che vantaggio possa derivare da una pellicola più o meno grande. In effetti una logica del risparmio ci porterebbe a credere che le pellicole più piccole siano le migliori, ma ciò non è vero nel caso della qualità, anzi è vero l'esatto opposto. Per capirne le ragioni dobbiamo considerare che, una volta impressionato, il negativo dovra essere sviluppato e successivamente stampato su carta. E' anche evidente che una stampa con le stesse dimensioni del negativo non sarebbe certo soddisfacente perchè troppo piccola; sarà così necessario provvedere ad un ingrandimento del negativo per raggiungere delle dimensioni accettabili.

Il problema stà proprio nell'ingrandimento; infatti, insieme all'immagine, vengono ingranditi anche i suoi difetti dove, in questo caso, per difetti si intendono quelli derivanti da una scarsa qualità degli obiettivi e della pellicola. Non solo; l'emulsione è costituita da microscopici granellini di sostanze che reagiscono alla luce; benchè questi abbiano dimensioni ridottissime, una volta ingranditi diventano visibili e degradano la qualità complessiva dell'immagine in proporzione all'ingrandimento.

Non ci resta che evidenziare il vantaggio di possedere dei negativi di dimensioni tali da limitare al massimo l'ingrandimento, in modo da ridurre il più possibile questi inconvenienti e ottenere così immagini qualitativamente migliori.

Approfondiremo meglio questi concetti nel capitolo dedicato alle pellicole, per ora limitiamoci ad una breve carrellata sui vari formati in commercio.

Il Formato 110

Le pellicole in formato 110 sono le più piccole attualmente sul mercato. I singoli fotogrammi si presentano come dei rettangoli di 13x17 mm. e la striscia completa di pellicola ha una lunghezza tale da permettere l'impressione di 12 o 24 fotogrammi. Sebbene alla nascita furono realizzate sia per fotografie a colori che in bianco e nero, attualmente vengono commercializzate (per motivi di convenienza economica e domanda del mercato) solo quelle per negativi a colori.

 

Il successo ottenuto da questo tipo di pellicola è dovuto principalmente alla notevole praticità dei caricatori, al loro facile inserimento nell'apparecchio fotografico (è impossibile introdurlo in modo errato) e al basso costo delle fotocamere che utilizzano questo formato.

In contrasto con questi vantaggi c'é da segnalare una qualità piuttosto scarsa delle fotografie realizzate; sia per il basso livello qualitativo degli obiettivi montati su queste macchine fotografiche, sia per le dimensioni estremamente ridotte del negativo che impediscono la realizzazione di ingrandimenti accettabili superiori alle normali stampe 10x13 cm.

In Fig. 1 è visibile una rappresentazione dall'alto e dal retro del caricatore, mentre in Fig. 2 si possono vedere i singoli fotogrammi come appaiono sulla pellicola una volta sviluppata.

I caricatori del formato 110 sono in materiale plastico di colore nero e, data la loro particolare realizzazione, le operazioni di caricamento e prelievo dalla macchina fotografica possono essere eseguite anche in presenza di luce. Non è necessaria alcuna manovra di riavvolgimento della pellicola quando è terminata, ciò che conta è scattare tutte le pose previste e non aprire il dorso dell'apparecchio fotografico prima di aver esaurito l'intera pellicola.

Il Formato 126

Per il formato 126 valgono le osservazioni fatte in precedenza per il formato 110; a ciò è doveroso aggiungere che, avendo il fotogramma delle dimensioni maggiori (28x28 mm.), la qualità delle stampe è decisamente migliore che non quella ottenibile in formato 110.

Resta comunque il fatto che i produttori di macchine fotografiche non commercializzano apparecchi di elevata qualità che supportano questo tipo di pellicola. Per questo motivo il loro utilizzo è confinato alla tipica 'foto di gruppo' per l'album dei ricordi.

In Fig. 3 e 4 è possibile vedere il caricatore e la pellicola nel formato 126.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Formato 120/220

Di qualità decisamente elevata, le pellicole in formato 120/220 vengono utilizzate quasi esclusivamente in campo professionale. La cura minuziosa, necessaria nella manipolazione di queste pellicole, e il loro elevato costo di esercizio ne fanno un prodotto soffisticato e inadatto all'uso hobbistico. Sempre per i motivi accennati, le apparecchiature fotografiche che utilizzano questi formati raggiungono qualità eccellenti e, purtroppo, costi proibitivi.

Aggiungiamo solamente che in questi formati si possono realizzare fotogrammi aventi dimensioni 6x6 cm., oppure 4,5x6 cm., oppure, ancora, 6x7 cm.. L'unica differenza fra i due formati (120 e 220) consiste nel fatto che la pellicola 220 è lunga il doppio della pellicola 120, per cui dispone di spazio a sufficienza per un numero doppio di fotogrammi.

Il Formato 135

E' senza alcun dubbio il più diffuso sia in campo amatoriale che professionale. La varietà di apparecchi fotografici che utilizzano questo formato è vastissima e la qualità dei prodotti è, in molti casi, ottima.

Il formato 135, conosciuto anche come 35 mm. o 24x36, è costituito da una pellicola alta 35 mm. con delle perforazioni, per il trascinamento, sia sul lato superiore che in quello inferiore. I singoli fotogrammi hanno le dimensioni di 24x36 mm. ed ogni pellicola ne contiene, normalmente, 20 o 36.

I caricatori sono dei cilindretti di metallo con una fessura longitudinale a tenuta di luce, dalla quale esce la pellicola.

Il caricamento in macchina non è particolarmente complicato e lo si può eseguire in presenza di luce, ma deve essere fatto con un pò di cura per evitare il danneggiamento della pellicola e, caso abbastanza frequente, il mancato agganciamento di questa.

Al termine delle esposizioni il rotolo di pellicola deve essere riavvolto nel caricatore ed è assolutamente da evitare l'apertura dell'apparecchio fotografico prima che questa operazione sia terminata; pena la perdita delle fotografie già scattate. A questo proposito bisogna ricordare che le pellicole in commercio hanno la capacità di registrare le immagini in brevissimi istanti di tempo; tanto per rendere l'idea basti dire che in una giornata soleggiata ogni scatto fotografico ha una durata approssimativa di 1/250 di secondo; da ciò è comprensibile quanto sia dannoso aprire il dorso della macchina, esponendo così la pellicola alla luce diretta, anche per brevissimo tempo o debolissima luce.

Potrà sembrare noioso e inutile continuare a ripetere queste raccomandazioni ma capiterà a tutti, prima o poi, di avere la macchina inceppata o la sensazione che la pellicola non sia agganciata correttamente; in questi casi la tentazione di aprire per vedere cosa è successo è fortissima ma non bisogna dimenticare che, se ciò non fosse vero e alcune fotgrafie fossero state scattate correttamente, tutto il lavoro fatto in precedenza andrebbe perduto, per cui, se proprio fossimo nella necessità di dover aprire la macchina prima di aver riavvolto il rullino, facciamolo al buio più completo e affidiamoci ai nostri sensi e all'immaginazione.

In Fig. 5 è visibile una pellicola in formato 135. In questo caso, come per il formato 120/220, non è stato necessario disegnare lo spaccato del contenitore poichè la pellicola esce direttamente da questo e si avvolge su di un rocchetto all'interno della macchina fotografica; da quì la necessità di riavvolgerlo alla fine nel caricatore.

Le Pellicole Piane

Un accenno a questi formati lo diamo solo per 'dovere di cronaca', questo perchè il loro campo di applicazione è di livello altamente professionale.

Pellicole di questo tipo vengono montate su di un supporto rigido perfettamente piano e hanno formati rettangolari con lati di lunghezza superiore ai 9 cm.

E' comprensibile come negativi di queste dimensioni possano fornire standard qualitativi di livello ineguagliabile, ma anche notevoli difficoltà operative e costi molto elevati.

Le apparecchiature fotografiche che utilizzano questi formati vengono denominate 'fotocamere a banco ottico' e, nonostante il meccanismo di esposizione della pellicola si fondi sugli stessi principi delle macchine fotografiche comuni, le operazioni di messa a punto dell'apparecchiatura richiedono competenze specifiche ed una notevole esperienza.

Concludiamo questa breve panoramica sulle pellicole per passare alla descrizione delle fotocamere.

Le Fotocamere moderne

L'aver iniziato la trattazione partendo dai formati delle pellicole ci permette di fare una prima suddivisione sulle fotocamere, alcune categorie di macchine fotografiche si identificano infatti nel formato di pellicola che utilizzano; a questo gruppo appartengono le fotocamere in formato 110 e 126.

Fotocamere in formato 110 e 126

Sono apparecchi semplicissimi, leggeri (praticamente tutti in materiale plastico) e di ridotte dimensioni. Nella maggior parte dei casi non permettono alcuna regolazione e, se ne offrono, sono regolazioni molto limitate e scarsamnte utili. Proprio per queste caratteristiche hanno avuto un particolare successo nella nutrita schiera dei patiti della 'foto-ricordo'.

Come già accennato in precedenza sottolineiamo ancora una volta che la qualità delle immagini ottenibili da questi apparecchi è molto bassa e, inoltre, i costi di sviluppo e stampa delle fotografie sono uguali, se non superiori, a quelli di apparecchi qualitativamente migliori.

Non faremo ulteriori approfondimenti in merito a queste fotocamere, anche perchè, data la loro semplicità, non resta molto da dire. Rimane comunque il fatto che le regole di esposizione e misurazione della luce, che vedremo in seguito, sono valide anche per questi apparecchi; purtroppo, una volta constatata la presenza di luce scarsa o molto forte (notturni o controluce), con queste macchine fotografiche non resta che rinunciare allo scatto della fotografia.

Fotocamere in formato 120/220 e 135

Sebbene questi formati caratterizzino due categorie ben distinte di macchine fotografiche, è utile analizzarle parallelamante in modo da sviluppare dei concetti generali validi comunque, indipendentemente dal formato di pellicola utilizzato.

Una prima, doverosa considerazione è che le offerte disponibili in questa fascia di mercato, sia dal punto di vista delle attrezzature che da quello del materiale di consumo (pellicole e materiale fotosensibile in genere), soddisfano praticamente ogni tipo di domanda sia in capo amatoriale che professionale.

In questo ambito lo sforzo di progettazione e ricerca ha raggiunto il massimo rapporto di compromesso fra praticità e qualità fornendo apparecchi versatili con caratteristiche qualitative elevate. Non solo, il livello dei prezzi varia notevolmente, partendo da costi 'abordabili' fino ad arrivare a cifre con svariati zeri.

Purtroppo, specie nel caso degli obiettivi e meno in quello dei corpi macchina, è valida la regola che un maggior costo è legato ad una migliore qualità; sottolineiamo, comunque, che questo discorso è valido più per gli obiettivi che non per le macchine fotografiche infatti, con l'introduzione massiccia dell'elettronica, si finisce con l'acquistare costosissimi congegni computerizzati praticamente inutili, a fronte di considerevoli risparmi sull'acquisto di obiettivi qualitativamente migliori.

Non ci stancheremo mai di ribadire che la qualità di un'immagine è legata quasi esclusivamente alla qualità dell'obiettivo e alle capacità espressive del fotografo e, in modo trascurabile, alle caratteristiche del corpo macchina. Da ciò il consiglio di acquistare macchine semplici e robuste corredate da validi obiettivi.

Abbiamo spesso parlato di obiettivi come se questi costituissero un qualche cosa di separato dal resto dell'apparecchiatura fotografica. In effetti ciò che caratterizza buona parte delle macchine fotografiche che stiamo considerando è la possibilità di sostituire in ogni istante l'obiettivo in modo tale da permetterci una scelta il più appropriata possibile ad ogni scatto. L'estrema facilità di sostituzione dell'obiettivo è dovuta alla presenza di innesti, fra obiettivo e corpo macchina, del tipo 'a baionetta' o, in rarissimi casi, 'a vite'.

Negli innesti a baionetta è sufficiente appoggiare l'obiettivo al corpo macchina nella posizione indicata da appositi segni presenti su entrambi gli oggetti e poi ruotare l'obiettivo di circa un quarto di giro fino a sentire lo scatto di agganciamento. Il più grosso svantaggio di queste macchine è che, sebbene siano tutti innesti a baionetta, non esiste un unico tipo di innesto uguale per tutte le marche di fotocamere, per cui si è costretti ad acquistare solo gli obiettivi della stessa marca della macchina fotografica oppure rivolgersi a costruttori di obiettivi con innesto 'universale'. Questi obiettivi 'universali' in realtà sono anch'essi costruiti ad hoc per ogni apparecchio fotografico; l'unica differenza è che lo stesso obiettivo, con le stesse caratteristiche ottiche, viene commercializzato in molte versioni, una per ogni tipo d'innesto presente sul mercato.

Le macchine fotografiche che utilizzano innesti 'a vite' sono praticamente in via d'estinzione e per le poche rimaste esistono in commercio un buon numero di ghiere adattatrici che, una volta avvitate sul corpo macchina al posto dell'obiettivo, permettono il montaggio di obiettivi con innesto a baionetta.

Sulle caratteristiche ottiche dei vari obiettivi torneremo in un capitolo riservato unicamente a questo problema. Non a tutti, comunque, potrebbe essere chiaro il vantaggio di sostituire l'obiettivo (chiamato anche 'ottica'). Senza entrare nei dettagli, sui quali torneremo in seguito, consideriamo un'esperienza comune come l'utilizzo di un binocolo. Nella vita quotidiana noi tutti siamo abituati a vedere il mondo che ci circonda attraverso uno dei nostri cinque sensi e cioè quello della vista. In alcuni casi, purtroppo, nasce la necessità di ricorrere all'utilizzo di occhiali o lenti, ma il tutto per riportarci a condizioni visive definite 'normali' che ci permettono di valutare correttamente dimensioni e distanze, tutti approssimativamente allo stesso modo.

D'altra parte possono insorgere delle situazioni in cui la vista, definita normale, non è sufficiente ed allora ricorriamo all'uso del binocolo. Il mondo, visto attraverso un binocolo, ci appare diverso; non solo tutto sembra più grande, ma anche la prospettiva cambia e, di conseguenza, il senso di distanza. Tutto ciò appare più evidente se capovolgiamo il binocolo; in questo caso tutto appare distante e piccolo.

Senza dilungarci troppo diciamo che anche per le macchine fotografiche accade la stessa cosa. In altre parole anche in fotografia esistono obiettivi definiti 'normali', altri chiamati 'teleobiettivi' (che svolgono la funzione del binocolo), ed altri chiamati 'grandangolari' (che danno l'effetto del binocolo preso al contrario).

Disponendo di macchine con la possibilità di montare simili obiettivi aumentano, senza alcun dubbio, le potenzialità espressive del fotografo, ma sorge un grosso problema: una volta deciso di utilizzare un teleobiettivo piuttosto che un grandangolare, come sarà l'immagine impressa sulla pellicola.

Per dare una risposta a questo problema i costruttori di apparecchi fotografici hanno inventato la macchina fotografica denominata 'REFLEX'.

Le Macchine Reflex

Come avevamo accennato all'inizio di questo capitolo, le macchine fotografiche possono essere suddivise in categorie a seconda del formato della pellicola utilizzata e per il metodo d'inquadratura del soggetto fotografato.

Reflex è il particolare sistema di specchi ed elementi ottici utilizzati in alcune fotocamere per permettere al fotografo di vedere attraverso l'obiettivo ciò che verrà fotografato. In questo modo, qualsiasi obiettivo sia montato sulla macchina, siamo in grado di vedere tutto e solo quello che verrà fotografato; proprio perchè il mirino è costituito dall'obiettivo stesso.

Esistono fotocamere reflex sia per il formato 135 che per il 120/220, anche se normalmente si parla di reflex riferendosi a quelle in formato 135.

Per capire come ciò sia possibile facciamo riferimento alla figura seguente.

Questo schema rappresenta la sezione di una classica macchina reflex del formato 135. Il fascio di luce A, che costituisce l'immagine inquadrata, attraversa il gruppo di lenti dell'obiettivo e si riflette su di uno spechio B posto davanti alla pellicola. Questo specchio proietta l'immagine su di un vetrino smerigliato C, dopo una serie di riflessioni all'interno di un prisma ottico D, l'immagine è visibile dall'oculare E.

La descrizione, molto sommaria, prende in considerazione unicamente il percorso compiuto dal fascio di luce che costituisce l'immagine inquadrata, trascurando l'effetto dei ribaltamenti e delle riflessioni che questo fascio subisce nel suo tragitto. Ciò che conta è che nell'oculare noi vediamo l'immagine corretta, senza ribaltamenti orizzontali o verticali come accade in altri tipi di mirini.

Molti avranno sentito parlare del fatto che un'immagine, passando attraverso una lente, viene ribaltata (ciò che è in alto finisce in basso e ciò che era a destra viene proiettato a sinistra); il perchè di questo è spiegato da complicate leggi fisiche alle quali non faremo nemmeno accenno, resta comunque il fatto che tutto ciò avviene realmente e il tortuoso percorso che abbiamo visto compiere all'interno della fotocamera è necessario per riportare l'immagine nella sua rappresentazione più consueta. Può accadere, infatti, di trovarsi in situazioni strane, apparentemente incomprensibili, in cui ciò che in realtà si trova a destra ci appare, guardando nel mirino, a sinistra. Questo inconveniente si verifica in quelle fotocamere (in genere reflex o biottiche) con mirino a pozzetto, sulle quali torneremo in seguito parlando delle fotocamere biottiche.

A questo punto resta da capire come possa, lo stesso fascio di luce che vediamo attraverso l'oculare, impressionare anche la pellicola posta dietro lo specchietto.

La soluzione è banalmente semplice, anche se meccanicamente molto complessa: nel momento dello scatto lo specchietto viene ribaltato velocemente verso l'alto, consentendo alla luce, entrante dall'obbiettivo, di colpire la pellicola; al termine dell'esposizione lo specchietto ritorna automaticamente nella sua posizione originale. La figura 7 mostra lo stato della macchina al momento dello scatto.

Come si può vedere, una volta ribaltato lo spechio B, il fascio di luce A segue un percorso rettilineo e impressiona direttamente la pellicola F.

Progenitrici delle reflex sono le fotocamere 'biottiche'.

 

 

 

Le Fotocamere Biottiche

 

Sono praticamente scomparse dalla scena fotografica con l'arrivo delle macchine reflex, ma molti di noi le ricorderanno per la loro forma particolare e la presenza di due obiettivi.

In genere non offrono la possibilità di sostituire l'obiettivo ma permettono il montaggio di aggiuntivi ottici (lenti supplementari, ecc.) che conferiscono all'obiettivo caratteristiche particolari.

Il formato utilizzato da queste fotocamere è il 120/220 e i singoli fotogrammi ottenibili hanno le dimensioni di 6x6 cm.

Non sono molto versatili e soffrono di alcuni inconvenienti come l'errore di parallasse, che vedremo successivamente, e il ribaltamento dell'immagine.

La scena inquadrata è visibile guardando la fotocamera dal lato superiore ed osservandola proiettata su di un vetrino smerigliato, all'interno di una specie di 'pozzetto' (da quì il nome che caratterizza questo tipo di mirino). L'inconveniente maggiore dei mirini a pozzetto è il ribaltamento dell'immagine sull'asse verticale. In pratica l'immagine appare rovesciata solo in un senso; ciò che in realtà è a destra lo si vede a sinistra, e vice versa. Per questo motivo non è molto facile il suo utilizzo per fotografie di soggetti in movimento; in questi casi infatti la macchina si muove in senso opposto a quello dell'oggetto visibile sul vetrino.

In ogni caso le fotografie ottenute con queste macchine fotografiche non presentano alcun effetto di ribaltamento, anche perchè l'obbiettivo utilizzato per impressionare la pellicola non è lo stesso che forma l'immagine nel mirino.

In figura 8 si può osservare la vista di lato e frontale di queste fotocamere, dove appaiono evidenti i due obiettivi sovrapposti.

L'obiettivo inferiore proietta direttamente sulla pellicola mentre quello superiore, di caratteristiche identiche all'altro, serve per l'inquadratura.

L'immagine ripresa da questo secondo obiettivo viene riflessa da uno specchietto, proprio come avviene nelle fotocamere reflex, ma l'assenza del pentaprisma fa sì che non sia possibile corregere interamente l'inversione provocata dall'obiettivo.

Come accennato in precedenza esiste un secondo incoveniente: l'errore di parallasse.

L'errore di parallasse non è tipico delle fotocamere biottiche ma è comune a tutti i tipi di fotocamere che hanno mirini con asse ottico differente da quello dell'obiettivo di ripresa. Praticamente le uniche macchine che non soffrono di questo problema sono le reflex.

Per comprendere meglio il significato di quanto detto consideriamo che per asse ottico s'intende quella particolare retta (unica per ogni sistema ottico) che, passando attraverso il sistema ottico, non subisce alcuna deviazione. La figura 9 può essere d'aiuto al nostro discorso.

Come si può osservare, l'asse ottico passa per il centro del sistema ottico e viene proiettato perpendicolarmente al piano della lente. Qualsiasi altro punto, ad esempio il punto (a), subisce un ribaltamento rispetto all'asse ottico e viene proiettato in un punto non più perpendicolare al piano della lente (vedi per il punto a il punto a' e per b il punto b'). Da ciò è intuibile come sia possibile identificare l'asse ottico come quella retta ideale passante per il centro del sistema ottico e il centro dell'immagine inquadrata.

L'esempio riportato si riferisce ad una lente, ma quanto detto è valido per qualsiasi sistema ottico, indipendentemente dal fatto che sia composto da una o più lenti. Per questo motivo ogni obiettivo ed ogni mirino possiedono un proprio asse ottico.

A questo punto possiamo affermare che due sistemi ottici inquadrano la stessa scena solo se il loro asse ottico coincide; ma questo può avvenire solo nel caso in cui i due sistemi vengano posti uno di seguito all'altro, come mostra la figura 10, o, più correttamente, se l'asse ottico di ogni lente che costituisce l'insieme coincide con quello principale.

Nell'illustrazione sono rappresentate solo due lenti, ma il discorso è valido per un qualsiasi numero di lenti o gruppi di lenti.

Se gli assi ottici non coincidono la scena inquadrata non sarà la stessa, verificandosi la situazione di figura 11.

Generalizzando, possiamo rappresentare la situazione che si verifica in conseguenza di una differente posizione degli assi ottici fra mirino e obiettivo. Come si può notare in figura 12 esistono zone inquadrate dal mirino che non appariranno nella fotografia e zone apparentemente non inquadrate che, viceversa, saranno visibili.

 

L'effetto è tanto più marcato quanto più il soggetto inquadrato è vicino alla macchina da presa. Le apparecchiature che presentano l'errore di parallasse sono appunto le biottiche e quelle con mirino 'galileiano'. In ogni caso sono presenti dei riferimenti, visibili guardando nel mirino, che aiutano il fotografo nel realizzare l'inquadratura migliore.

Il mirino galileiano, a cui abbiamo accennato, è generalmente costituito da due piccole lenti alloggiate in una finestrella posta al di sopra dell'obiettivo, normalmente è molto nitido e luminoso ma inadatto a fotocamere che consentono la sostituzione dell'obiettivo di ripresa; questo perchè il mirino manterrebbe le sue caratteristiche ottiche indipendentemente dall'obiettivo montato impedendo all'operatore di valutare l'esatto campo di ripresa. E', invece, tipico delle cosidette 'compatte', proprio per la sua semplicità e per il fatto che queste fotocamere non consentono la sostituzione delle ottiche..

Le 'compatte'

 

Queste fotocamere utilizzano il formato 135, sono corredate di obiettivi con ottime caratteristiche e per la loro praticità d'uso, e la qualità delle immagini, sono vivamente consigliate a chi vuol fare buone fotografie senza troppo impegno. In genere sono totalmente automatiche ma presentano alcuni accorgimenti che ne permettono l'uso anche in condizioni particolarmente difficili, come ad esempio nei controluce. Per il loro utilizzo non è necessario possedere delle competenze specifiche in campo fotografico e, per questo motivo, sono un compagno ideale in tutte le occasioni; d'altra parte, data la loro qualità generalmente elevata, possono offrire parecchie soddisfazioni anche a fotoamatori particolarmente esigenti.

Quale scegliere ?

 

Dopo questa breve carrellata sui formati delle pellicole e le classi di fotocamere, viene spontaneo chiedersi quali possano essere le scelte migliori per dotarsi di una atrezzatura valida e utile.

Come prima cosa è importante sottolineare che, come spesso accade, non esiste qualche cosa di universalmente migliore e tutto dipenderà dal tipo di fotografia che si vuol realizzare. Il problema fondamentale è che il principiante non è ancora in grado di dire quale genere fotografico lo attrae di più, e quindi è alla ricerca di un apparecchio estremamente versatile che le consenta un'ampia gamma di utilizzo.

Queste semplici considerazioni ci suggeriscono una serie di criteri, di carattere generale, utili nell'operare una prima scelta. In prima analisi possiamo constatare che il mercato attualmente più ricco di materiale, e quindi potenzialmente più versatile, è quello delle macchine fotografiche in formato 135. In questa fascia possiamo trovare dai semplicissimi apparecchi totalmente automatici e privi di regolazioni a soffisticate macchine professionali di elevatissima qualità.

La scelta di una fotocamera in formato 110 o 126 è attualmente da scartare; questo perchè l'indubbia semplicità di utilizzo e il loro ingombro ridotto sono stati soppiantati dall'avvento delle 'compatte' che, a parità di maneggevolezza e praticità, offrono risultati decisamente superiori.

Per quanto riguarda i formati superiori, 120/220 e pellicole piane, ribadiamo che il loro utilizzo è, in pratica, esclusivamente di tipo professionale e non riteniamo di doverne fornire descrizioni più dettagliate.

Appare così evidente che una scelta senza dubbio indovinata sia quella di una fotocamera da 35 mm. (formato 135 o, il che è lo stesso, 24x36). Non è così facile però decidere quale: in questa fascia infatti troviamo le 'compatte' e le 'reflex'; non solo, l'offerta è vastissima sia in termini di spesa che di caratteristiche tecniche, non resta così che elencare una serie di priorità che devono essere prese in considerazione per non incappare in un acquisto deludente. La scelta fra compatta e reflex è la più vincolante e perciò deve essere il frutto di un'analisi obiettiva sul reale impegno che vogliamo dedicare alla fotografia. Non vi è alcun dubbio che le fotocamere reflex siano tecnicamente molto più valide delle cugine 'compatte'; non solo, il campo di utilizzo delle reflex è vastissimo; ciò nonostante bisogna considerare che l'acquisto di una reflex, perchè lo si possa considerare sensato, deve essere accompagnato dall'acquisto di almeno tre obiettivi (grandangolo, normale e tele) e alcuni accessori (flash, cavalletto, ecc.) per cui l'impegno economico, anche se diluito nel tempo, va ben oltre il semplice costo della fotocamera. A tutto ciò va aggiunto che macchina, obiettivi e accessori raggiungono mediamente un peso di 4 o 5 Kg. (se non di più) e l'ingombro non è certo irrilevante. Dal canto loro le compatte vantano una eccezionale praticità d'uso e una qualità non indifferente; tutto ciò a svantaggio di una considerevole limitazione nelle 'capacità espressive' dovuta alla mancanza di regolazioni efficaci e all'impossibilità di cambiare ottica.

Sebbene l'ago della bilancia penda decisamente in favore delle reflex, non ci sentiamo di scartare l'idea dell'acquisto di una compatta, sia per il considerevole risparmio in termini economici, sia perchè una compatta, anche dopo l'acquisto di una reflex, può sempre tornare utile.

L'Obiettivo

 

Tutte le distinzioni fatte in precedenza a riguardo dei vari tipi di fotocamere, mettono in risalto le notevoli differenze che esistono fra le diverse 'filosofie' di progetto esistenti in campo fotografico. In realtà tutto ciò è molto meno complicato di quanto sembri; infatti, tutti gli apparecchi fotografici, dal più semplice 'giocattolino' al soffisticato 'banco ottico', si basano sulle stesse proprietà fisiche della luce e dei corpi trasparenti (nel nostro caso le lenti) e sono suddividibili in alcune parti, più o meno complesse a seconda della macchina fotografica, praticamente identiche nelle caratteristiche e nelle funzioni svolte.

Per comprendere meglio questo concetto operiamo una prima grande scomposizione che è applicabile ad ogni apparecchio di qualsiasi marca e tipo esistente sul mercato.

Consideriamo la macchina fotografica come un qualche cosa formato esclusivamente da:

- obiettivo

- diaframma

- otturatore

- piano pellicola.

Queste quattro parti sono individuabili in ogni fotocamera e costituiscono gli elementi fondamantali per la realizzazione di una fotografia. A ciò possiamo aggiungere tutto il sistema di visione che ci permette di inquadrare il soggetto da fotografare (in altre parole il mirino) del quale abbiamo già parlato e che, come abbiamo visto, può essere costitutito da due semplici lenti (mirino galileiano) oppure da un complesso sistema di specchi e pentaprismi (sistema reflex). Di questo e dei meccanismi di trascinamento della pellicola, a cui non abbiamo ancora accennato ma che sono indispensabili in una macchina fotografica, ci occuperemo in seguito; per ora ci sembra opportuno soffermarci sulle quattro sezioni elencate e vederne la funzione svolta e il funzionamento.

Inizieremo la nostra descrizione dall'obiettivo.

Più volte, nel corso della trattazione, ci è capitato di parlare di obiettivi grandangolari, normali, teleobiettivi, gruppi ottici, ecc., è venuto il momento di descrivere con maggior dettaglio a cosa ci riferiamo quando parliamo di questi oggetti.

Per sistema ottico si intende un oggetto fisico, o un gruppo di oggetti, che, per la propria forma, disposizione e proprietà fisiche è in grado di provocare delle alterazioni al normale comportameno dei raggi luminosi.

La definizione appena data è di carattere molto generale e può apparire in un certo senso difficile; ma se letta attentamente ci offre un valido punto di partenza per individuare meglio il problema. Come possiamo constatare nella definizione viene posto l'accento sulla capacità di modificare il normale comportamneto dei raggi luminosi; è quindi ovvio partire con l'analisi del comportamento normale della luce.

La luce, dal punto di vista fisico, è una radiazione elettromagnetica; che cosa significhi realmente questa affermazione non è essenziale; ci basti sapere che una radiazione elettromagnetica, per i nostri scopi, è paragonabile ad un suono. L'analogia appena introdotta è molto utile non tanto perchè tutti sappiamo realmente che cosa sia un suono, ma in quanto tutti conosciamo alcuni suoi effetti caratteristici. Come prima cosa possiamo osservare che, come il suono, anche la luce ha una intensità, può essere forte o debole, e questa sua intensità è misurabile (con strumenti opportuni); in realtà questa prima osservazione può apparire banale e la sua analogia con il suono sembrerebbe inutile; ma considerando attentamente la questione ci accorgiamo che, ad esempio, una stanza vuota di per sé non produce alcun suono e se noi ci trovassimo nella stanza dovremmo metterci ad urlare per udire qualche cosa, in pratica dovrà esserci una 'sorgente' sonora. Anche la luce, come il suono ha delle proprie sorgenti (ad esempio il sole), ma facciamo un passo avanti: supponiamo di essere all'interno della stanza senza saperlo e senza avere la possibilità di guardare ciò che ci circonda (supponiamo cioè di essere immersi nel buio più completo), finchè stiamo zitti non ci rendiamo assolutamente conto di ciò che ci circonda ma appena proviamo a parlare abbiamo subito la sensazione di essere all'interno di un qualche cosa di chiuso; non solo, se continuiamo a parlare mentre ci avviciniamo ad una parete ci appare chiara la sensazione che ci stiamo approssimando ad un ostacolo e le stesse sensazioni le abbiamo anche se non siamo noi a parlare ma è un'altoparlante anch'essa all'interno della stanza. Tutto ciò è espeienza comune e deriva dal fatto che il suono rimbalza contro le pareti e ritorna al nostro orecchio con dei ritardi e delle interferenze dovute alle collisioni con le pareti (nel caso di brevi tragitti si parla di riverbero, per percorsi più lunghi si avverte l'eco). Per quanto riguarda la luce il discorso è analogo: esistono delle sorgenti (sole, lampadine, fuochi, ecc.) che emettono luce la quale, nel suo propagarsi, urta contro gli oggwtti che incontra e viene riflessa. I ritardi e le deviazioni subite dai vari raggi luminosi permettono al nostro occhio di ricostruire il mondo circostante, prorpio come l'orecchio, in modo meno soffisticato e preciso, fa con i suoni.

Non è semplice farsi un'idea esatta di come le due cose possano assomigliarsi; i due sensi (vista e udito) appaiono e sono così diferenti che il sostenere la loro uguaglianza può sembrare assurdo. Ribadiamo che la somiglianza è puramente concettuale e limitata agli scopi della nostra trattazione.

L'obiettivo fotografico, formato da un certo numero di lenti con forma e disposizione opportuna, compie le stesse funzioni che compie il cristallino posto nel nostro occhio: devia i raggi luminosi che lo colpiscono in modo da formare un'immagine esatta di ciò che le sta di fronte. Come tutto ciò sia possibile non è particolarmente difficile compenderlo se analizziamo il fenomeno per gradi. Inizieremo con il semplificare le cose immaginando ciò che potrebbe avvenire in una macchina fotografica se al posto dell'obiettivo ci fosse semplicemente un buco.

In realtà non inventiamo niente di nuovo perchè macchine fotografiche così fatte esistono e, anzi, furono le prime; vengono comunemente chiamate a 'foro stenopeico', proprio dal nome dato a questo particolare obiettivo costituito semplicemente da un buco. Ora non bisogna pensare ad un buco qualsiasi ma, per funzionare correttamente, questo deve avere delle dimensioni molto ridotte, dell'ordine dei decimi di millimetro, in modo da consentire il passaggio di un sottilissimo fascio di luce.

Cerchiamo di capire ciò che avviene aiutandoci con la figura seguente:

se consideriamo solo il punto in cui il raggio di sole colpisce la superficie dell'oggetto A vediamo che questo sottilissimo fascio di luce si scompone in tanti piccolissimi raggi luminosi riflessi dalla superficie stessa.

Il comportamento della luce quando incide una superficie è identico a quello di una bilia quando colpisce una sponda del biliardo; la sola differenza è che un fascio luminoso può essere paragonato ad un numero molto grande di bilie che, nel momento in cui colpiscono la superficie, interferiscono fra di loro e si disperdono. In realtà questo è quello che avviene sulla quasi totalità dei materiali; esistono infatti alcune superfici, che comunemente chiamiamo specchi, dove i fasci luminosi non interferiscono e la riflessione avviene proprio come una bilia che rimbalza contro una sponda.

A questo punto dobbiamo immaginare la superficie come formata da una infinità di punti adiacenti che si comportano come quello appena considerato; come è facile intuire il risultato sarà quello di una moltitudine di raggi luminosi che si dipartono dalla superficie lungo tutte le direzioni.

Non dimentichiamoci inoltre che la luce, come avevamo visto, può essere paragonata ad un suono e come una semplice nota suonata all'interno di una campana può diventare un rumore assordante, per via delle ripetute riflessioni contro le pareti, così un semplice raggio di sole può illuminare un'intera stanza, grazie alle riflessioni delle pareti che illuminano anche le zone in ombra.

Riconsideriamo ora il singolo punto colpito dal raggio di luce e, con l'ausilio della fig.14 vediamo cosa avviene nella camera a foro stenopeico.

come possiamo vedere, fra tutti i raggi riflessi dal singolo punto, uno solo passa attraverso il foro e va a colpire la parete opposta al buco all'interno della camera. E' intuitivo che quanto più piccolo è il buco tanto più piccolo sarà il punto luminoso corrispondente.

Consideriamo ora due punti distinti di un soggetto leggermente più complicato visibile in fig.15, e facciamo lo stesso per l'infinità di punti che compongono l'intero soggetto; otterremo così la sua immagine capovolta (come si può vedere in fig. 16).

Ribadiamo la necessità che il buco sia molto piccolo, altrimenti i singoli punti, derivanti dai fasci luminosi che lo attraversano, finirebbero con l'avere delle dimensioni rilevanti e, sovrapponendosi l'uno con l'altro, porterebbero confusione e notevole perdita di nitidezza.

Il grosso problema di queste apparecchiature è la scarsissima luce che forma l'immagine; se è vero che i migliori risultati si ottengono con fori stenopeici molto piccoli è anche vero che più piccolo è il buco e meno luce passa. L'immediata conseguenza è che il tempo necessario per impressionare la pellicola diventa smisuratamente lungo.

 

Questo ragionamento può sembrare strano; in genere si è convinti che per fare una fotografia sia necessaria una certa quantità di luce (normalmente quella di una giornata soleggiata); niente di più sbagliato. E' vero che al buio è impossibile fotografare, ma se vi è anche solo una debolissima luce si può comunque impressionare la pellicola adeguatamente a condizione di esporla per tempi molto lunghi.

L'esempio classico utilizzato per chiarire questo concetto è quello di paragonare una pellicola correttamente impressionata ad una vasca da bagno piena d'acqua. Per riempire la vasca possiamo operare in due modi: o aprire completamente il rubinetto per un periodo abbastanza breve (tanta luce per poco tempo), oppure tenere aperto per molto tempo un rubinetto appena socchiuso (poca luce per molto tempo). In entrambi i casi si ottiene lo stesso risultato; ciò porta ad affermare che anche con pochissima luce è possibile fotografare.

Nonostante questa rassicurante certezza è comunque auspicabile poter contare sulla maggior luce possibile, in modo da scattare fotografie con tempi brevissimi. Pretendere che una statua resti immobile per tutta la durata dell'esposizione è un gioco da ragazzi, anche se la posa dovesse durare delle ore; ma sperare di fotografare delle automobili in una gara di formula uno usando dei tempi di esposizione più lunghi di 1/125 di secondo è pura illusione.

L'unica alternativa per far passare più luce resta comunque quella di realizzare buchi più grandi ma, questa volta, corredati di lenti in grado di 'concentrare' i fasci luminosi.

Le tre caratteristiche principali di una lente sono: il diametro, la lunghezza focale e la modalità di deviazione dei raggi luminosi (lenti convergenti o divergenti). Esistono poi tutta una serie di altre caratteristiche, alcune delle quali verranno prese in considerazione nel corso di successivi approfondimenti.

Il diametro di una lente è importante perchè determina la sua 'luminosità'; in altre parole, più grande è una lente, maggiore sarà la luce che la attraversa. Questa caratteristica si scontra con le difficoltà tecnologiche di realizzare lenti molto grandi e virtualmente prive di difetti, o comunque di buona qualità.

La lunghezza focale e la divergenza, o convergenza, di una lente dipendono dalla particolare curvatura assunta dalle superfici della lente stessa. Non è di nostro interesse capire la relazione esistente fra questi parametri; punteremo invece la nostra attenzione sul comportamento dei raggi luminosi che passano fra due punti caratteristici di ogni lente, o sistema di lenti.

I due punti considerati sono: il centro della lente e il 'fuoco'. Per quanto riguarda il centro avevamo già visto, parlando di asse ottico di un sistema di lenti, che ogni raggio luminoso passante per esso non subisce alcuna deviazione ma prosegue nella sua traiettoria rettilinea. Il 'fuoco' di una lente è invece un punto virtuale, (caratterizzato mediante la sua distanza dalla lente espressa comunemente in millimetri) posto sull'asse ottico e al di fuori della lente, dove ogni raggio luminoso passante per esso viene deviato parallelamente all'asse ottico della lente stessa.

La figura 17 ci mostra i due raggi che si dipartono da un punto (a) e che, passando l'uno per il centro della lente e l'altro per il fuoco, si incontrano in un punto (a'); in un apparecchio fotografico quando il punto (a') appartiene al piano dove è posta la pellicola si dice che il punto (a) è a fuoco; di conseguenza tutti i punti che distano dalla lente tanto quanto (a) risultano a fuoco.

La distanza focale è caratteristica ed unica per ogni lente, o gruppo ottico e determina il rapporto d'ingrandimento fra scena inquadrata e immagine risultante.

Ritorneremo su questi concetti quando parleremo di angoli di ripresa e profondità di campo nel capitolo dedicato alla scelta delle ottiche ed effetti fotografici ottenibili negli accoppiamenti tempi/diaframmi; per ora è importante capire il vantaggio di aver introdotto le lenti al posto dei fori stenopeici.

 

Come prima cosa è possibile osservare che la luce passante è senza dubbio maggiore in una lente di grosso diametro piuttosto che in un piccolo forellinom non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che l'esempio abbia posto in evidenza i due casi estremi relativi ai raggi luminosi passanti per il centro e per il fuoco; in realtà tutta la superficie della lente è colpita dall'infinità di raggi che si dipartono dal punto (a), e ognuno di questi raggi subirà una deflessione opportuna in modo tale da convergere nel punto (a').

Secondariamente è intuibile il fatto che, oscurando parte della lente, sia possibile dosare la quantità di luce passante in modo da avere un obiettivo di luminosità variabile. Questa funzione è svolta dal 'diaframma'.

Il diaframma non è altro che un dispositivo costituito da una serie di lamelle metalliche che, mediante opportuni meccanismi, sono in grado di variare in modo continuo il diametro del fascio luminoso che passa attrverso l'obiettivo; per riprendere l'analogia fatta in precedenza possiamo paragonare il diaframma al rubinetto, la sua maggiore o minore apertura determina la quantità di luce (o acqua, per analogia) passante nell'unità di tempo.

L'ultimo elemento che ci resta da prendere in considerazione è l'otturatore. Questo dispositivo permette di regolare la durata della posa. Abbiamo già parlato del fatto che in presenza di poca luce è necessario fare delle pose molto lunghe, mentre per fotografare soggetti in movimento sono necessari dei tempi di esposizione brevissimi, l'otturatore ci permette di selezionare la durata dell'esposizione e, al momento dello scatto, consentire il passaggio della luce attraverso l'obiettivo per il tempo voluto.

Esistono fondamentalmente due tipi di otturatore:

- l'otturatore centrale, generalmente posto in prossimità del diaframma, o comunque fra le lenti dell'obiettivo, che svolge la sua funzione con un meccanismo simile a quello del diaframma, con l'unica differenza che l'otturatore si apre e si richiude completamente;

- l'otturatore a tendina, posto fra obiettivo e pellicola fotografica; nato con le reflex proprio per l'esigenza di utilizzare l'obiettivo anche come mirino, e quindi permettere alla luce un continuo passaggio attraverso l'obiettivo stesso e non solo per la durata dell'esposizione. La sua azione viene svolta, almeno nei modelli più tradizionali, da vere e proprie tendine nere che scoprono e ricoprono la pellicola da impressionare con movimenti rapidissimi.

La duplice possibilità di regolazione permessa dalla selezione dei tempi di posa e alla apertura del diaframma, consente tutta una serie di differenti soluzioni estetiche impossibili con apparecchi a foro stenopeico e tali da rendere necessaria un'analisi particolare alla quale dedicheremo il capitolo successivo.