TEMPI DIAFRAMMI ED ESPOSIZIONE

Riprendiamo il discorso sugli obiettivi cercando di puntualizzare gli effetti dovuti a differenti impostazioni della coppia tempo/diaframma.

Come già visto nel capitolo precedente l'obiettivo è costituito da lenti che, per le loro dimensioni e lunghezza focale, consentono il passaggio di una certa quantità di luce. Può però accadere che si voglia farne passare meno, le ragioni le capiremo presto, e per questo motivo in ogni obiettivo è situato un diaframma che ne permette la regolazione.

Messa 'a fuoco'

 

A differenza dei fori stenopeici, in cui non è possibile nessuna regolazione e le immagini riprese sono sempre 'a fuoco' qualsiasi sia la distanza, negli obiettivi costituiti da lenti è possibile mettere 'a fuoco' solo gli oggetti posti alla stessa distanza dall'obiettivo; questa distanza è anch'essa regolabile ma per ogni fotografia sarà unica.

 

 

 

 

La figura 18, già commentata nel precedente capitolo, ci schematizza come una lente riesca a concentrare il fascio di luce prodotto nel punto a in un altro punto a'. Se dovessimo in qualche modo allontanare il punto a dalla lente, il rispettivo a' si avvicinerebbe a questa; di conseguenza possiamo concludere che, in questa configurazione, tutti i punti che si trovano ad una distanza dalla lente pari a quella di a, verranno proiettati nei rispettivi punti ad una distanza dalla lente pari a quella di a'. Ora appare chiaro che se la pellicola fosse posta alla distanza di a' appariranno nitidi, su di essa, tutti quei punti distanti tanto quanto a. E i punti più vicini o più lontani ?

Nella figura 19 si vede chiaramente che, se la pellicola è posta in a', al punto a coinciderà il punto a'; ma al punto b, più vicino, sulla pellicola corrisponderà un bollino, tanto più grande quanto più è vicino o lontano b dalla lente. Il fatto che appaia un bollino e non due punti, come potrebbe sembrare dalla figura, è dovuto alla particolare schematizzazione che abbiamo adottato. Nel nostro disegno, infatti, abbiamo rappresentato solamente due degli infiniti raggi che si propagano da ogni punto e, inoltre, dobbiamo immaginare la situazione nello spazio tridimensionale e non piatto come è nel disegno.

Ora non resta che allargare il discorso a tutti gli infiniti punti che compongono un'immagine e prevederne il comportamento sulla pellicola. Il risultato sarà che l'unico piano nitido è quello passante per il punto a, mentre tutti i punti che non stanno su questo piano appariranno come bollini, peraltro sovrapposti gli uni agli altri per cui scarsamente nitidi, in altre parole 'sfocati'.

Profondità di campo

 

E' come se lo spazio fosse suddiviso in una moltitudine di fettine accostate l'una all'altra, e di tutte queste se ne fosse scelta una. E' anche evidente che le 'fettine' più vicine a quella 'a fuoco' saranno solo leggermente sfocate e questa sfocatura aumenterà gradualmente con la distanza dei vari piani da quello a fuoco; di conseguenza è intuibile il fatto che, sebbene ci sia un solo piano perfettamente nitido, in realtà si potrà osservare un'intera zona, nelle vicinanze di questo piano, in cui i punti verranno proiettati in bollini di dimensioni talmente piccole da apparire a loro volta dei punti, per cui apparentemente a fuoco. Questa zona viene comunemente denominata 'profondità di campo' e il bollino, confondibile con un punto, viene detto 'cerchio di confusione', proprio perchè è talmente piccolo che l'occhio umano lo confonde con un punto.

La reale profondità di campo di un obiettivo dipende da vari fattori quali la lunghezza focale, la qualità delle lenti, il tipo di trattamento al quale sono state sottoposte, ecc.; ma quello più importante, perchè direttamente modificabile dall'operatore, è l'apertura del diaframma.

Regolando il diaframma non si fa altro che restringere o allargare il diametro del foro in cui passa la luce; la prima conseguenza, come già osservato, è che chiudendo passa meno luce e viceversa ma, se consideriamo la luce passante come formata da un unico raggio, possiamo anche dire che restringendo il diaframma si rimpicciolisce il diametro del fascio di luce e, quindi, i bollini dovuti ai punti non a fuoco saranno più piccoli; la conseguenza immediata sarà che anche i punti più distanti daranno luogo a bollini talmente piccoli da rientrare nelle dimensioni del cerchio di confusione, in altre parole appariranno nitidi.

Riepilogando possiamo dire che ogni obiettivo è in grado di mettere a fuoco tutti gli oggetti posti ad una medesima distanza, variabile mediante un meccanismo che avvicina o allontana l'obiettivo dalla pellicola, ma le immagini proiettate sulla pellicola possono avere una profondità di campo differente a seconda dell'apertura del diaframma: a diaframmi piccoli corrisponderanno profondità di campo maggiori.

Dopo questa introduzione teorica è d'obbligo vedere come si possano effettuare queste regolazioni nella pratica.

Ci riferiremo essenzialmente alle macchine fotografiche di tipo 'reflex', per due semplici motivi:

- non tutte le macchine fotografiche 'non reflex' consentono queste regolazioni

- in tutte le macchine reflex le scale dei tempi, diaframmi e distanze sono uguali e, praticamente identici sono i meccanismi di regolazione.

Ghiera di messa a fuoco

 

La prima osservazione è sulla messa a fuoco; escludendo gli apparecchi 'autofocus', i quali regolano automaticamente la messa a fuoco sul soggetto inquadrato (che peraltro stanno invadendo il mercato...purtroppo...), in tutti gli apparecchi reflex la messa a fuoco viene effettuata ruotando in senso orario o antiorario l'apposita ghiera che circonda ogni obiettivo. I risultati di questa operazione, sempre per le macchine reflex, sono direttamente visibili sullo schermo smerigliato del mirino; in pratica si vede subito che cosa è a fuoco e quindi si può agire di conseguenza ruotando o meno la ghiera. L'azione svolta, come già accennato, è quella di allontanare o avvicinare l'obiettivo al piano pellicola e, oltre che vederne i risultati nel mirino è possibile leggere la distanza di messa a fuoco direttamente dai riferimenti stampati sulla ghiera stessa che riportano la distanza in 'metri' e in 'piedi'.

Ghiera dei diaframmi

 

Una seconda ghiera, posta sempre sull'obiettivo ma molto più piccola di quella per la messa a fuoco e quasi a contatto del corpo macchina, è quella per la regolazione dei diaframmi. Ruotandola si aumenta o diminuisce l'apertura del diaframma e, di conseguenza, si regola la profondità di campo.

I riferimenti riportati in corrispondenza delle varie apeture del diaframma possono sembrare a prima vista strani, infatti la scala adottata è la seguente: 1 - 1,4 - 2 - 2,8 - 4 - 5,6 - 8 - 11 - 16 - 22 - 32.

Diciamo subito che non tutti gli obiettivi la riportano in modo completo e può capitare che il valore più basso stampato sulla ghiera non sia proprio uno di questi ma un numero approssimativamente simile. Le ragioni sono dovute al fatto che questi numeri indicano il rapporto esistente fra la lunghezza focale dell'obiettivo e l'effettivo diametro di apertura del diaframma, per cui, il fatto che si possa arrivare ad aperture di 1 o 1,4 dipende esclusivamente dal diametro delle lenti utilizzate; maggiore è la lunghezza focale maggiore dovrà essere la dimensione delle lenti, per poter raggiungere aperture del rapporto di 1 o 1,4.

Rappresentando l'apertura del diaframma tramite un rapporto fra numeri, ci porta a considerare la scala in modo ribaltato. In pratica a valori alti (11 - 16 - 22 - 32, ecc.) corrisponderanno aperture sempre più piccole, infatti saranno 1/11, 1/16, 1/22 e 1/32 della lunghezza focale; mentre a valori bassi saranno associate aperture molto grandi, fino ad arrivare alla massima che corrisponderà al valore più basso presente sulla ghiera. Normalmente gli obiettivi più luminosi arrivano fino ad aperture dell'oridine dell'1,4 ma questo vale solo per le ottiche cosidette 'normali' (per le reflex 24x36 l'ottica normale è il 50 mm.), con obiettivi a focale più lunga si arriva in rarissimi casi ad aperture dell'ordine di f/2, f/2,8 (per difficoltà oggettive nel realizzare lenti sufficientemente grandi e qualitativamente apprezzabili) mentre per i teleobiettivi da 500 mm. si parla di aperture intorno ad f/4 nei casi migliori. Per sottolineare ancora una volta il carattere di rapporto da attribuire a questo dato, si usa esprimerne il valore come f/2, f/5,6, f/11, ecc.; dove 'f' sta appunto ad indicare la lunghezza focale. Il fatto che non vi sia una relazione lineare fra i valori successivi di questa scala è dovuto a considerazioni geometriche alle quali daremo solo un rapido accenno.

Una scala lineare, cioè con valori del tipo: 1 - 2 - 3 - 4 ecc., andrebbe bene se raddoppiando il diametro del diaframma raddoppiasse anche la sua apertura, cioè l'area del foro in cui passa la luce. Purtroppo non è così, raddoppiando il diametro di apertura l'area quadruplica e, quindi, se vogliamo raddoppiare l'area non dobbiamo moltiplicare per due il diametro del diaframma ma solo per 1,2. Tralasciamo ora il calcolo di tutti i valori dei rapporti ottenibili, ci basti sapere che fra un valore e il suo successivo vi è un raddoppio, o un dimezzamento, a seconda che si vada su valori più bassi o più alti.

Un ulteriore vantaggio derivante dall'utilizzo di questo sistema di misura è che i valori non dipendono dalle caratteristiche tecniche dell'obiettivo e quindi esprimono in modo univoco la quantità di luce passante; in altre parole, qualunque sia l'obiettivo utilizzato, se il diaframma viene regolato ad una apertura, ad esempio, di f/8 la quantità di luce sarà uguale a quella passante attraverso un qualsiasi altro obiettivo regolato ad f/8, indipendentemente da altri fattori quali la lunghezza focale dell'obiettivo o altro ancora.

Profondità di campo e diaframmi

 

L'esigenza di tutto ciò è conseguenza diretta della possibilità di regolare la profondità di campo mediante l'apertura del diaframma. Se volessimo aumentare la profondità di campo abbiamo visto che sarebbe sufficiente resringere il diaframma (passare a valori alti di f/, 8, 11, 16, ecc.), ma restringendo il foro la luce passante sarà minore e quindi si renderà necessario prolungare la durata della ripresa, per compensare la perdita di luminosità; proprio come si era ipotizzato nell'esempio della vasca da bagno.

L'esposizione

 

A questo punto entra in gioco il problema dell'esposizione con il quale toccheremo l'ultimo punto rimasto ancora in sospeso e cioè quello dei tempi di posa.

Abbiamo più volte parlato di corretta esposizione, coppia tempo/diaframma, tempi di posa, ecc. senza precisare in che modo sia possibile determinare con sicurezza questi valori.

Il problema della misurazione è piuttosto complesso e, in molti casi, viene risolto facendo ricorso all'esperienza. Esistono comunque delle tecniche molto valide che portano a risultati entusiasmanti, sempre che la loro applicazione venga fatta in modo rigoroso. Per i limiti del nostro corso ci occuperemo solo degli aspetti essenziali e non tratteremo queste tecniche; in ogni caso i fondamenti sui quali vengono basate sono particolarmente semplici, la complicazione deriva solo dalla moltitudine di situazioni diverse alle quali devono essere applicate.

Come prima cosa dobbiamo considerare il problema suddividendolo in due parti:

- sensibilità della pellicola

- luminosità della scena inquadrata.

Per quanto riguarda la sensibilità della pellicola rimandiamo gli approfondimenti ad un capitolo successivo; per le nostre considerazioni ipotizzeremo l'uso di pellicole con la stessa sensibilità; ricordiamo, a tal proposito, che per sensibilità di una pellicola s'intende la maggiore o minore velocità che questa ha nel registrare l'immagine quando viene esposta. Questa caratteristica viene attualmente espressa mediante un numero appartenente ad una scala di gradazioni adottata a livello internazionale; questa scala, denominata ISO, raggruppa due altre gradazioni utilizzate precedentemente nei paesi europei e in quelli americani, che erano rispettivamente la scala DIN e la ASA.

Per quanto riguarda la misurazione della luminosità della scena inquadrata, è utile ricordare ciò che avevamo visto nel capitolo precedente e, in particolare, le considerazioni fatte a proposito della luce e di come viene riflessa da qualsiasi oggetto esistente in natura.

Come ricorderemo si era visto che ogni oggetto, per essere visibile, deve essere illuminato, e il fatto che lo si possa distinguere da altri oggetti che lo circondano, a parte la sua forma e dimensione, dipende dalla maggiore o minore capacità di riflettere i raggi luminosi che lo colpiscono. Questo ci permette di riconoscere oggeti più chiari o più scuri, colorati o meno, ecc.. In questa prima considerazione troviamo già gli elementi sufficienti per descrivere le due principali modalità di misurazione della luce:

- misurazione in luce incidente

- misurazione in luce riflessa.

Sorge però un piccolo problema: con quale strumento si misura la luce?

L'esposimetro

 

In fotografia lo strumento utilizzato viene chiamato esposimetro. Questo apparecchio è costituito da una fotocellula, sensibile alla luce, collegata ad un circuito elettronico in grado di fornire l'intensità del valore misurato mediante una lancetta o, nei più moderni, attraverso un display numerico. In commercio se ne possono trovare svariati modelli, con caratteristiche più o meno interessanti e di diverse sensibilità. Resta comunque il fatto che anche gli esposimetri vengono realizzati per effettuare misurazioni in luce incidente o riflessa e, una volta regolata la sensibilità della pellicola caricata in macchina, devono essere utilizzati in modo opportuno per ricavarne delle misurazioni corrette, necessarie per regolare tempi e daframmi della nostra macchina fotografica.

Luce incidente

 

Per la misurazione in luce incidente l'esposimetro va posto davanti all'oggetto da fotografare e la fotocellula deve essere rivolta verso la macchina fotografica. In questo modo viene misurata la luce che effettivamente colpisce il soggetto da fotografare, sarà poi il maggiore o minore potere riflettente di quest'ultimo a determinare le varie tonalità di grigio (parliamo di tonalità di grigio perchè è comodo riferirsi a fotografie in bianco e nero, questo per non farci ingannare dal colore che potrebbe indurci in errori di valutazione della luminosità).

Appare evidente come questo sistema prenda in considerazione unicamente la fonte luminosa e non consideri ciò che effettivamente si fotograferà. Il fatto non costituirebbe un problema se tutte le scene inquadrate fossero illuminate da una unica sorgente di luce uniforme; ma quando non ci troviamo in queste condizioni, come si può fare?

Nel caso in cui volessimo fotografare scene in cui zone in ombra si accompagnano a zone molto illuminate, oppure si vogliano effettuare delle riprese dove anche la sorgente luminosa è compresa nel fotogramma (controluce, tramonti, ecc.), la difficoltà di trovare un unico valore di esposizione che ci possa dare i risultati voluti è un'impresa assai difficile.

Una possibilità è quella di effettuare la misurazione in luce riflessa.

Luce riflessa

 

Le misurazioni in luce riflessa vengono effettuate puntando l'esposimetro direttamente sulla scena da fotografare in modo tale da misurane la luminosità riflessa.

Il problema fondamentale a cui porre particolare attenzioni quando viene adottato questo metodo è l'eventuale compensazione che si deve fare se si stanno fotografando scene molto chiare o molto scure; attenzione, non più o meno luminose, ma bensì con predominanza di tonalità chiare o di tonalità scure.

Ritorneremo fra un attimo su questo concetto, ma non prima di aver spiegato il perchè sia così importante misurare in luce riflessa, se anche in questo modo è necessario apportare delle modifiche a ciò che viene segnalato dallo strumento.

La ragione per cui le misurazioni in luce riflessa godono di molta popolarità è dovuta al fatto che praticamente tutte le fotocamere oggi in commercio hanno, incorporato al loro interno, un piccolo esposimetro che, per il semplice fatto di essere solidale con la fotocamera e puntare sulla scena inquadrata, non può che effettuare misurazioni in luce riflessa. In ogni caso una delle tecniche più valide di misurazione dell'esposizione, teorizzata e messa in pratica da uno dei maggiori fotografi esistiti, Ansel Adams, fa uso esclusivamente di misure in luce riflessa; questa tecnica è nota con il nome di 'Sistema Zonale'.

Riprendiamo il discorso per cercare di capire che genere di compensazione bisogna effettuare e perchè.

In ogni misurazione in luce riflessa l'esposimetro ci dice quanta luce viene appunto riflessa dall'oggetto. A parità di luce incidente, cioè con la stessa sorgente di luce che illumina due oggetti diversi, la luce riflessa da questi ultimi sarà diversa se uno dei due è più scuro dell'altro; praticamente gli oggetti più scuri riflettono meno luce di quelli chiari. Fin quì non ci dovrebbero essere dubbi. Ma è ovvio anche che in una fotografia c'è una gamma di tonalità molto estesa, per cui una misurazione della luce riflessa conmplessivamente dalla scena sarà una media di tutti i valori di luminosità presenti nell'inquadratura.

Per questo semplice motivo tutti gli esposimetri utilizzabili per luce riflessa forniscono i dati relativi alla scena inquadrata, nell'ipotesi che le parti chiare compensino le scure e, complessivamente, si raggiunga un livello medio di luminosità; su queste ipotesi vengono tarati gli esposimetri che, di conseguenza, forniscono le indicazioni per un'esposizione 'media'.

Il concetto non è dei più semplici per cui cercheremo di darne una spiegazione meno astratta.

Grigio medio

 

I costruttori di esposimetri in luce riflessa, prima di immettere sul mercato le loro apparecchiature, le devono sottoporre ad una taratura iniziale, in modo tale da assicurare determinate prestazioni.

La taratura di cui parliamo consiste in questo: i circuiti elettronici di misurazione vengono regolati in modo tale che, avendo misurato la luce riflessa da un 'grigio medio', forniscano valori di esposizione tali da assicurare una fotografia della stessa tonalità di grigio.

Per 'grigio medio' si è stabilito, a livello internazionale, di adottare una superficie uniforme che riflette il 18% della luce che lo colpisce. La scelta di un tale valore è dovuta al fatto che, normalmente, si fotografano scene in cui la luminosità media è appunto il 18% della luminosità fornita dalla sorgente che la illumina, di conseguenza se stessimo per scattare una fotografia in una situazione 'normale' (cioè che riflette mediamente il 18% della luce incidente) potremmo fidarci dei dati forniti dall'esposimetro e scattare tranquillamente.

Il problema sorge quando la scena inquadrata non riflette più il 18% ma ne riflette di più o di meno; è il caso ad esempio di paesaggi innevati o di notturni.

In queste situazioni l'esposimetro, ovviamente, non può sapere se la scena riflette più o meno luce del 18% e quindi continua a fornire dati relativi alla situazione normale, e di conseguenza sbagliati. Il risultato è che se la scena riflette di più del 18% (paesaggi innevati, ampie superfici chiare, ecc.) i dati forniti dall'esposimetro porteranno ad una fotografia sottoesposta (per sottoesposta s'intende una fotografia che ha ricevuto una esposizione insufficiente per registrare correttamente la scena), si vedranno delle immense distese di neve grigia con cieli molto scuri; questo perchè, nella logica del grigio medio, anche la fotografia ottenuta dovrà riflettere mediamente il 18%, ma nel caso considerato tutto ciò non andrebbe bene.

Discorso diametralmente opposto per quanto riguarda la ripresa di scene prevalentemente scure. In questo caso l'esposimetro tenderà a sovraesporre fornendo così immagini più chiare di quanto non fossero nella realtà.

Di quanto debbano essere effettivamente compensate queste misure è difficile stabilirlo in modo chiaro, bisognerebbe appunto ricorrere a tecniche più soffisticate, come appunto il sistema zonale. In genere, dopo alcuni tentativi, si acquisisce sufficiente pratica per raggiungere risultati soddisfacenti.

Di norma, comunque, non si raggiungono mai delle sovra o sottoesposizioni che superino di due o quattro volte il valore origginale.

Resta sempre da pecisare quale sia la scala utilizzata per esprimere i valori di esposizione. In realtà esiste una scala che fornisce i valori di esposizione ma nella pratica non viene quasi mai utilizzata se non per indicare la sensibilità degli esposimetri. Normalmente si indica una coppia tempo/diaframma, dalla quale è possibile ricavare tutti gli altri possibili rapporti equivalenti.

Tempi di posa

 

Per quanto riguarda i diaframmi abbiamo già visto in precedenza come vengono indicati, mentre per i tempi diciamo subito che vengono misurati in frazioni di secondo. Sempre parlando di macchine reflex possiamo tranquillamente dire che tutte permettono tempi che vanno dal secondo fino al millesimo di secondo. In questa gamma i rapporti usati sono: 1 - 1/2 - 1/4 - 1/8 - 1/15 - 1/30 - 1/60 - 1/125 - 1/250 - 1/500 - 1/1000; come si può notare fra un valore ed il successivo il tempo viene dimezzato, così come avveniva per i diaframmi; questo ci permette di far corrispondere i tempi ai diaframmi, in altre parole la chiusura di un diaframma (per chiusura di un diaframma si intende la chiusura del diaframma di un valore, ad esempio da 5,6 ad 8) è equivalente al dimezzamento dei tempi (ad esempio da 1/125 a 1/250). In pratica per uno stesso valore d'illuminazione possiamo utilizzare diversi accoppiamenti di tempi e diaframmi; se, ad esempio, l'esposimetro ci indicasse una coppia f/5,6 - 1/125 avremo esposizioni equivalenti regolando su f/8 - 1/60, f/11 - 1/30, f/16 - 1/15, f/22 - 1/8, oppure f/4 - 1/250, f/2,8 - 1/500, f/2 - 1/1000.

Il vantaggio derivante dalla possibilità di regolazione dei tempi e dei diaframmi diventa ora evidente dandoci la possibilità di agire su uno dei due e compensare l'esposizione agendo sull'altro; come avevamo visto potremmo agire sui diaframmi per modificare la profondità di campo e compensare la luminosità aumentando o diminuendo il tempo di posa.

Prima di concludere questo capitolo facciamo solo un'ultima osservazione: per quanto riguarda i tempi i valori permessi sono solo quelli indicati nella scala, in altre parole non possiamo selezionare un tempo a metà fra 1/125 e 1/250; per i diaframmi il discorso è diverso, in questo caso la regolazione è continua e, sebbene le ghiere poste sugli obiettivi abbiano degli scatti in corrispondenza dei valori stampigliati, è possibile anche selezionare delle posizioni intermedie che corrispondano a 1/2 o 1/3 o rapporti diversi, questo per consentire regolazioni più precise.