IL CANTO DELLO STONATO
Non potendo, volendolo, cantare,
perché stonato maledettamente,
taccio, e nel tacere tengo
gli occhi e la bocca chiusi per sentire
meglio la gente, gli altri, mentre cantano
a tutta gola, loro sì intonati.
Ed è per me un’ossessione
che ogni volta che tento di cantare,
la gente mi rimprovera e zittisce.
Taccio, ma, mi dico, cosa vogliono?
Io non mi mortifico per loro,
ma anzi, quasi con rabbia, canto,
canto, anzi urlo per tacerli,
faccio rumore, stono, urlo e stono,
sfido la sofferenza delle orecchie,
le strazio come anch’io sono straziato
da ciò che non è canto ma silenzio,
vita, non morienza,
sogno-non sogno di un futuro angolo
di morte provvisoria in cui si apre
l’uscio che dà a Dio. E canto
le albe di sonno a tardo autunno
prima di addormentarmi a bocca aperta,
perché dormendo e sognando canti
canto di libertà a Dio e agli uomini,
canto espiando la mia colpa
di vivere e morire senza canto.
(aprile 2000)