Giacomo Manzoni di Chiosca

VENERDÌ SANTO

Si erge come un grido soffocato,
contorto e cavo verso il cielo nero
di nubi tempestose. I rami suoi
deformi, insanguinati nel tramonto,
invocano la luna e il suo chiarore.
Piange la sera lacrime di opale
sulla notte incombente. Veli d’ombra
si avvolgono sul tronco e sulle foglie
che stormiscono al vento. Si prepara
il più orrendo, efferato tradimento.
E fuggono i viventi, disperati,
come acefali mostri, come infanti
rubati dalle braccia della madre:
e la terra si fende, trema e scuote
all’annuncio tremendo: è Dio che muore.
È morta anche la pace degli ulivi;
le drupe asprigne non hanno più colore
nell’orribile nero che c’inghiotte.
E dopo mille anni e mille ancora,
ancora serbi il segno di quel giorno
nella corteccia ruvida e nei rami
che nodosi si alzano nel sole,
o ulivo del Getzemani, a implorare
per noi che siamo, un ultimo perdono.