GIULIANA RAFFAELLI BONASSI

IL TEMPO DEL PANE

Qui il settembre trasuda sentore d’autunno.

Le ombre precipitano dalle vette quando

il sole appena trasmigra dallo zenith

verso l’occaso: sono gli afrori del fieno

e della segale così pungenti da pizzicare

il sangue.

È il tempo del pane.

La sagra si dipana all’insegna

di un lavoro frenetico incrinato

di pause di canti e di lepido

narrare, quando il rito non impone

silenzi quasi monastici.

Le famiglie,

a turno, si susseguono

al forno comune.

Nel preparare l’infornata,

ogni nucleo la propria,

cinquanta o più pani rotondi,

secondo le bocche. Devon bastare

nell’arco di un anno. Benché

riposti, diventano duri

come pietre, ammorbiditi nel latte

e nel brodo risultano

gradevoli.

Il pane

caldo, quello nuovo, va dato

anche a chi è povero,

con gesto avvertito come dovere.

Come atto di giustizia

che, non soddisfatto, richiede

espiazione nell’eternità.