da L'Espresso 11.07.1999

L’illusione dell’Internet gratuita
Si moltiplicano i provider che concedono il collegamento gratis al web. Ma ciò allontana il momento in cui anche in Italia (e in Europa) si potrà abolire la Tut, la scandalosa tariffa a tempo che strangola lo sviluppo della rete
di Franco Carlini

Della via europea all’Internet a basso costo è stato scritto solo un gran bene. Sull’onda del successo dell’inglese Freeserve, molti altri operatori, un po’ telefonici e un po’ internettiani, vanno riproponendo lo stesso modello in tutta Europa: abbonamento gratuito e accesso illimitato alla rete. Tiscali in Italia, LibertySurf in Francia, Econophone in Svizzera, per citarne solo alcuni, si accontentano di fare pagare agli utenti gli scatti telefonici, e questo si traduce per gli abbonati in un risparmio attorno alle 200-300 mila lire (tale è il costo medio oggi in Italia di un abbonamento annuale per l’accesso Internet 24 ore su 24 presso un provider tradizionale).

Sembra il successo del ciclo virtuoso dell’Internet dove miracolosamente tutto sembra costare pochissimo o addirittura viene regalato: gratis la casella di posta, lo spazio web, il servizio di fax, e ora persino l’accesso telefonico.

Naturalmente c’è da alzare il cappello di fronte alla genialità di marketing degli inventori di questa formula. La quale è resa possibile dalla crescente liberalizzazione delle concorrenza telefonica in Europa, ma anche dai costi eccessivamente alti del passato. Le cose vanno dunque in questa maniera: un’azienda chiede e ottiene la concessione a operare come vettore telefonico alternativo. Naturalmente non ha una sua rete fissa che arrivi fin dentro le case degli abbonati e dunque si rivolge all’operatore telefonico ex monopolista (Telecom Italia, British Telecom, France Telecom...) e negozia con lei il diritto di passaggio: nel caso dell’italiana Tiscali, per esempio, ottiene che delle 127 lire più Iva di ogni scatto (che è il costo che l’abbonato Telecom paga comunque) una certa frazione (in media 21 lire) le venga riconosciuta o perché porta traffico a Telecom con i suoi abbonati o perché gli abbonati di Telecom vogliono raggiungere quelli di Telecom. Telecom ci guadagna un po’ di meno, ma viene ricompensata da un traffico aggiuntivo che diversamente non avrebbe raccolto. Tiscali incassa le 21 lire, paga le sue spese e verosimilmente glie ne restano circa 7 di guadagno. L’abbonato non ha da pagare nessun abbonamento all’Internet.

Tutto bene, allora? Sì, se non fosse per un aspetto: che questa interessante innovazione nei pacchetti di abbonamento rappresenta probabilmente la definitiva pietra tombale a ogni speranza di avere anche in Italia e in Europa delle “tariffe telefoniche piatte”. In gran parte dell’America, invece, esiste solo il canone mensile per le telefonate urbane (quelle a lunga distanza si pagano a parte, con un’altra società). E’ una scelta storica che ha prodotto due grandi vantaggi: per gli operatori telefonici la contabilità risulta molto più semplice, perché non hanno da conteggiare il tempo di connessione, ma soltanto il pagamento del canone mensile. Per gli utenti significa non dover tenere d’occhio il cronometro, perché pagano la stessa cifra indipendentemente dal consumo. Nel caso dell’Internet, questo modello ne incentiva un uso più intenso e anche questo banale motivo economico spiega probabilmente la sua grande diffusione della rete in quel paese. Quando America Online è passata dalla tariffa a tempo a quella piatta, il tempo medio di connessione giornaliera dei suoi abbonati è schizzato da 14 a 55 minuti. A sua volta un uso intenso della rete fa crescere tutte le attività economiche a essa collegate e rende per esempio il commercio elettronico una cosa seria e ben più che una semplice speranza.

L’obiezione italiana ed europea a questo modello è vivacissima, all’insegna del «non ne parliamo nemmeno». Gli operatori telefonici, i professori universitari e gli economisti sostengono che se la distanza nelle connessioni telefoniche è oramai del tutto ininfluente dal punto di vista dei costi, è invece ragionevole e giusto tassare il tempo di utilizzo, perché altrimenti si avrebbe un sovraccarico eccessivo delle reti telefoniche e i gestori telefonici dovrebbero sopportare spropositati costi di adeguamento delle loro reti. Non risulta tuttavia che negli Stati Uniti nessuna società telefonica sia fallita per questo motivo e anzi tutte le compagnie telefoniche regionali hanno un flusso di cassa molto ricco, che stanno utilizzando in acquisizioni e fusioni.

Il motivo vero è che né gli ex monopolisti, né gli operatori alternativi hanno alcuna intenzione di rinunciare a quel sovrappiù di guadagni. Quanto ai provider Internet italiani, sembrano preferire la gallina oggi (poco traffico, ma spese ridotte) alla prospettiva di una vera esplosione dell’Internet che li costringerebbe a investimenti pesanti. Sarà il caso di ricordare che la Tariffa Urbana a Tempo (Tut) è un’invenzione abbastanza recente e che in precedenza gli abbonati italiani pagavano un solo scatto per ogni telefonata urbana. Il monopolista ne ottenne l’introduzione grazie ai suoi ottimi rapporti con il potere politico, all’assenza di alternative e alla penosa motivazione che altrimenti le reti urbane sarebbero collassate: paradossalmente Stet e Sip vennero premiate con un introito supplementare per non avere fatto abbastanza investimenti.

Il ritardo europeo e italiano nell’economia Internet nasce soprattutto da qui e le soluzioni tipo Tiscali e Freeserve, anche se sembrano interessanti per gli abbonati che risparmiano qualcosa (diciamo mille lire al giorno) sono figlie di questa situazione ancora pesantemente monopolistica. Proprio quelle 21 lire di differenza che permettono a Tiscali di regalare l’abbonamento sono la dimostrazione di quanto le tariffe telefoniche siano gonfie, ben al di là del giusto profitto, e di come le reti telefoniche non siano affatto intasate.

Uno degli esiti possibili è che alla fine della partita, gli unici a poter offrire davvero tanta Internet gratuita saranno gli ex monopolisti, finanziando dei servizi in perdita pur di conquistare abbonati.

E’ una preoccupazione sentita anche dall’autorità di regolazione inglese, l’Oftel, che ha cominciato a occuparsi del problema, avviando nel febbraio scorso una sua indagine conoscitiva sul fenomeno dei cosidetti provider Internet virtuali (Visp) spinti da British Telecom; questi offrono sconti vistosi senza un adeguato investimento in infrastrutture tecnologiche.

Renato Soru, l’imprenditore sardo che ha inventato Tiscali dal nulla, sembra consapevole del problema: «Certo non è probabile che gli oneri per le chiamate locali scompaiano all’improvviso, ma cerchiamo di non essere ingenui», ha dichiarato al New York Times: «Come il mercato diventa più concorrenziale, i costi tenderanno a scendere e questo business, basato sulle tariffe di interconnessione non durerà all’infinito».

Resta da sperare che nel lungo periodo abbia ragione lui e che le tariffe scendano, anche se per ora l’Autorità italiana per le comunicazioni sta varando esattamente il provvedimento opposto e cioè un aumento del costo delle urbane. Internet può attendere e restare comunque un lusso.