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Telefoni / Il prezzo e' giusto?
Tariffe, ci stanno fregando Di Franco Carlini
da L'Espressoedit

È aumentato il canone. Scatta all'insù il prezzo delle telefonate urbane. Ma perché la liberalizzazione fa ancora salire le bollette? Tutti i segreti di un mondo che non vuole rassegnarsi alla concorrenza. A spese nostre.


Lo chiamano «riequilibrio tariffario». Ha un suono rassicurante, ma per i consumatori nasconde una fregatura. Significa che negli ultimi mesi, a una significativa diminuzione dei costi delle chiamate in teleselezione e internazionali dovuta al nuovo clima di concorrenza, è corrisposto un aumento del canone e ora, dal primo novembre, parte un nuovo sistema di conteggio della durata telefonica: non più a scatti, ma a secondi, da Tut a Tat.

La questione è rilevante, non solo per gli aumenti che colpiscono il portafoglio di chi telefona, ma per la tecnica con cui si decide la bolletta. Oggi in tutto il mondo il conteggio a tempo è sotto accusa, e infatti Giuliano Amato ha detto al "Corriere della Sera": «Ogni volta che vedo un aumento del prezzo delle telefonate in relazione al tempo di uso del telefono, mi domando quale ne sia il senso, perché ho imparato dagli esperti del settore che oggi la portata dei cavi è talmente elevata che forse siamo al punto che si potrebbe pagare solo il canone». Va qui precisato che Giuliano Amato non è l'ultimo navigatore Internet, egoisticamente affamato di collegamenti a basso prezzo, ma il ministro del Tesoro e dunque azionista di rilievo di Telecom Italia.

In risposta si è beccato una replica indispettita (sulle pagine del "Sole 24 ore") da parte del professor Carlo Maria Guerci, consulente di Telecom Italia. Anche Albacom, dinamica società con capitale British Telecom, ha difeso gli scatti, aurea legge delle telecom europee. E l'amministratore delegato di Omnitel, Vittorio Colao, ha ricordato che «gli italiani vogliono pagare per quello che consumano», come dimostra il successo delle carte telefoniche prepagate, che sono appunto senza canone.

Ma tutto ciò dimostra solo che il problema è serio e che la questione delle tariffe telefoniche è lì pronta a esplodere perché il sistema attuale non sta più in piedi, danneggia i consumatori e frena lo sviluppo dell'economia. Un'esagerazione? Vediamo.

Tut era meglio.

In realtà la scelta italiana È due volte pessima per il consumatore: aumenta il canone (arrivando a 18 mila lire al mese) e sale anche il costo del tempo, almeno per la gran parte delle chiamate. Infatti la manovra di passaggio da Tut a Tat, ovvero da scatti a secondi, solo formalmente si presenta neutra (la cosiddetta «invarianza della spesa complessiva della clientela»). In realtà è un appesantimento proprio nella fascia delle telefonate più frequenti, quelle che durano attorno ai tre minuti.

La tabella pubblicata qui a fianco è chiarissima: fino al 30 ottobre gli italiani pagano a Telecom Italia 127 lire più Iva per ogni scatto telefonico; con il vecchio sistema Tut, a seconda delle fasce orarie, quello che cambia è il ritmo degli scatti: uno ogni 220 secondi nelle fasce di punta (ore 8 - 18.30 dal lunedì al venerdì, più il sabato dalle 8 alle 13) e uno ogni 400 secondi nella fascia ridotta (la sera, il sabato pomeriggio e tutta la domenica).

Dal primo novembre entra in vigore la Tat, con modalità "Call Set Up". Significa che, come si apre la telefonata, partono subito 100 lire di zoccolo e che poi si pagano 30,6 lire per ogni minuto nella fascia di punta, ovvero 0,51 lire al secondo. Dopo i 15 minuti di conversazione, il costo del secondo scende a 0,46 lire, così favorendo le lunghe chiamate. Proprio questa tariffa è la migliore dimostrazione che non c'è un problema di reti intasate: se così fosse, occorrerebbe disincentivare i chiacchieroni, che invece vengono premiati. Ma il marchingegno, debitamente approvato dall'Autorità delle comunicazioni, è micidiale perché penalizza proprio le telefonate intermedie, che sono la maggioranza. Si risparmia solo fino a 53 secondi e dopo i 15 minuti, ma la grande maggioranza, che sta nel mezzo, spenderà di più. Se fino a ieri per la telefonata media di tre minuti pagavamo 127 lire, da questa settimana ne paghiamo 191,8: un aumento di 64,8 lire, pari al 51 per cento. È un'inflazione nascosta, che nessuno contabilizzerà se non il consumatore finale.

Perché abolire gli scatti

Al contrario il modello di altri paesi, dagli Stati Uniti a San Marino, è a tariffa piatta: si paga solo il canone per un numero illimitato di secondi di chiamate urbane. E questo è decisivo perché si sviluppi in fretta la rete Internet e con essa i nuovi posti di lavoro legati all'economia del digitale. Lo hanno capito quasi tutti e persino il presidente del Consiglio, per la prima volta in visita al salone milanese dell'informatica, ha depositato nei microfoni degli intervistatori dei sani propositi digitali. Che poi nella nuova finanziaria ci siano solo deboli tracce di tali buone intenzioni è come al solito un'altra delusione.

D'altra parte l'abolizione degli scatti sembra inevitabile e un giornale come l'"Economist" da anni svolge una campagna insistente spiegando che anche le società di telecomunicazione più riottose e monopoliste dovranno piegarsi a questa logica. Il fatto è che oramai chiamare per telefono Timbuctu nel Mali oppure Cesano Boscone alla periferia di Milano non fa alcuna differenza dal punto dei vista dei costi; se le telefonate a lunga distanza costano così tanto è solo per via dei cartelli tra gli Stati e degli accordi tra la aziende telefoniche che le tengono alte. La distanza telefonica non esiste più dal punto di vista delle grandi reti che coprono il mondo, efficientissimo groviglio di cavi sottomarini, satelliti e ponti radio. O meglio esiste solo come fatto contabile, una convenzione con cui le telecom ci fanno pagare il servizio, ma senza più rapporto con il costo reale che esse sostengono. Chiamatela pure posizione dominante. La conseguenza implicita di questo ragionamento era che se la distanza si annullava, tuttavia il tempo della connessione telefonica restava ancora un parametro valido per stabilire i prezzi: una sorta di pagamento al consumo, legato al fatto che, telefonando, si impegna una risorsa limitata, cioè la capacità delle reti di reggere il traffico.

Ma è ancora così? Giuliano Amato, e con lui molti moderni imprenditori delle telecomunicazioni, pensano di no, e sostengono che anche la variabile tempo dovrà presto sparire, ovvero che i secondi e i minuti stanno diventando insignificanti nella telefonia. Affermano che la portata delle reti telefoniche è oramai tale da reggere un traffico ben superiore; per conseguenza i prezzi possono solo scendere, se c'è mercato e concorrenza.

Varrà la pena di citare alcuni nomi per tutti, per capire la portata del fenomeno. Una è l'americana Qwest, che negli anni scorsi ha furiosamente cablato in fibra ottica tutta l'America. Oggi ha pressoché ultimato l'opera e rivende l'uso della rete (in gergo "la banda telefonica") a chi ne ha bisogno, in pratica un tanto al bit, come fossero granaglie. L'altra è Global Crossing, addirittura basata nelle Bermude: ha steso fibra un po' in tutti i fondali del mondo e ora si appresta a farlo anche nelle città europee. Infine un nome italiano, la Metroweb appena fondata da Silvio Scaglia, già amministratore delegato di Omnitel. In accordo con l'Aem milanese pensa di offrire servizi via cavo di telefonia e di Internet veloce alla vasta area milanese, provincia compresa: è un tipico esempio di operatore telefonico di nuova generazione.

Questa abbondanza si riversa in tariffe sempre più basse - almeno dove la concorrenza è libera di dispiegarsi. A cavallo dell'estate le chiamate a lunga distanza negli Stati Uniti sono cadute addirittura a 5 centesimi di dollaro al minuto (91 lire). In Italia invece una chiamata Roma-Milano costa 265,5 lire al minuto più Iva e anche usando la "Formula Vantaggio" di Telecom Italia e la fascia oraria ridotta, non si va sotto le 125.

Questo precipitare all'ingiù dei prezzi nei paesi guida si ripercuoterà inevitabilmente anche in quelli arretrati come il nostro e trascina con sé una conseguenza molto interessante: sta rendendo antieconomica anche per le aziende telefoniche la contabilizzazione delle singole telefonate. Carleton Fiorina, la manager chiamata alla guida di Hewlett Packard (80 milioni di dollari all'anno di stipendio) ha rivelato nel giugno scorso un'altra cifra sconvolgente: che i contratti telefonici con l'amministrazione federale americana erano basati dieci anni fa su un parametro di 13 centesimi al minuto; ora vengono stipulati sulla base di una frazione di centesimo di dollaro. Di rincalzo John Sidgmore, che guida UUnet Technologies, che controlla la più grande rete di cavi al mondo per il trasporto di dati digitali, ha spiegato che il costo del trasporto e dello smistamento delle telefonate incide solo per il 7 per cento, mentre la fatturazione addirittura per l'11. Tutto il resto sono spese generali, marketing e, naturalmente, profitti. Questo è il motivo per cui da tempo le chiamate urbane negli Stati Uniti sono a tariffa piatta (cioè si paga solo il canone): non per beneficenza, ma perché è meno costoso riscuotere il canone mensile che fatturare ogni chiamata, secondo per secondo. I dati sono coerenti con quanto anche in Italia si verifica per gli operatori di telefonia mobile, i quali si trovano con un margine operativo attorno al 65 per cento rispetto al fatturato e un utile netto, pagate le tasse e tutto il resto, del 20 per cento, una percentuale che pochissime altre attività (legali) garantiscono.

Ma il clima sta cambiando: se tre anni fa l'abolizione della Tut (ora peggiorata in Tat) appariva una rivendicazione estremista, oggi ha tutta la ragionevolezza di un'opzione economica razionale. La pensa così anche Maurizio Dècina, cattedratico di telecomunicazioni al Politecnico di Milano: «La strada più ragionevole è proporre ai clienti la possibilità di scelta: chi telefona poco preferirà continuare a pagare a tempo, autolimitandosi; mentre chi vuole usare molto Internet e i servizi telematici, sceglierà la formula con un canone più alto, ma traffico illimitato». In fondo si tratterebbe solo di accentuare in maniera più netta quella formula tariffaria che lo stesso Dècina contribuì a realizzare quando era consigliere di amministrazione di Telecom, prima della gestione Rossignolo.

Si chiama Formula Urbana e garantisce uno sconto del 50 per cento sugli scatti dopo il primo, in cambio di un canone aggiuntivo di 2.500 lire al mese. Il risparmio netto per chi navighi almeno un'ora al giorno si aggira attorno al 30 per cento. L'obiettivo è di non puntare soltanto sullo spontanea crescita dei telefonini, ma sulla rete come grande infrastruttura dell'economia. Tanto più che rete e cellulare vanno maritandosi.

Perché, se è stato facile creare le condizioni della concorrenza nei telefoni cellulari, i cui segnali viaggiano nell'aria e hanno bisogno soltanto di un'antenna che li raccolga, la forza degli ex monopolisti è comunque depositata in quei sottili fili di rame, il doppino, che dagli armadi di strada raggiungono le abitazioni. Chi controlla "l'ultimo miglio" domina il mercato residenziale, perché gli altri non hanno i soldi né il tempo per costruire una rete alternativa. In tutto il mondo, i governi e le autorità che regolano la concorrenza si trovano di fronte questo problema: unico modo perché le tariffe scendano sul serio. In Italia l'Autorità sulle Comunicazioni ha da tempo in calendario una decisione (che non arriva) per indicare le regole del gioco.

Il futuro possibile suona così: come già oggi avviene per le telefonate a lunga distanza, gli abbonati potranno scegliere a quale gestore affidare le telefonate cittadine: Telecom, Infostrada, Wind, Tiscali, Albacom o chiunque altro sul mercato. L'analogia è con le autostrade: se la Fiat ne costruisce una in concessione non può farci transitare solo le sue macchine, ma tutti devono poterci passare, pagando una tariffa equa, commisurata ai costi. Così va il mondo nel trasporto su gomma e così non succede invece, per ora, nel trasporto dei bit e della voce. n

(04.11.1999)