qrosso.gif (112 byte) DIRITTO DI DIFESA E TUTELA DELL'UTENTE DEI SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ: UN'EQUAZIONE ANCORA IRREALIZZATA
di Sergio Palmieri - Via Tito Angelini n. 41 - 80129 Napoli - tel. (081) 5789370.

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Pubblicato in Corriere Giuridico, 1997, 10, pp. 1140 ss.

TESTO INTEGRALE DELLE SENTENZE

qrossop.gif (102 byte) Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1997, n. 3686 - Pres. Nicastro - Est. Cocco - P.M. Marinelli (conf.) - Moretto c. Telecom s.p.a.

massima ufficiale
L'abbonamento telefonico è un contratto di adesione (art. 1341 c.c.) non ad uno schema negoziale predisposto dalla società concessionaria del servizio, bensì disciplinato dalla legge, che prevede il sistema delle tariffe a contatore nella rete telefonica per la contabilizzazione del traffico dell'utenza (art. 233 r.d. 645 del 1936) e poiché il contatore centrale è sottoposto a controlli e collaudi della pubblica amministrazione, si presume idoneo ad un'esatta contabilizzazione.

Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 18.10.1983 la S.I.P. (Società italiana per l'esercizio telefonico), premesso che era creditrice nei confronti di Moretto Elisabetta dell'importo di £. 9.339.300 relativo all'utenza telefonica intestata alla predetta, come risultava dall'estratto conto, e che ogni richiesta di pagamento non aveva dato esito, chiedeva ed otteneva dal Presidente del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi ingiunzione di pagamento per la predetta somma. Proponeva opposizione la Moretto, deducendo che la società opposta non aveva fornito la prova del credito e che, in ogni caso, essa opponente aveva versato quanto dovuto in ragione di £. 5.615.560 mediante versamento su conto corrente postale in data 9.11.1982. Con sentenza del 9.4.1991 il Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi accoglieva 1'opposizione, dichiarando non dovuta la somma recata in decreto. A seguito di gravame della S.I.P., con l'impugnata sentenza la corte di merito, in accoglimento dell'appello, riformava la sentenza di prime cure e confermava il decreto ingiuntivo opposto.
Ha proposto ricorso per cassazione. affidato ad un'unica censura Moretto Elisabetta; resiste con controricorso la Telecom Italia (già S.I.P.) s.p.a.

Motivi della decisione
Deducendo violazione dell'art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2709 e 2710 c.c., la ricorrente assume che erroneamente la corte di merito abbia ritenuto esaustiva la prova fornita dalla resistente mediante la produzione in giudizio dell'estratto conto e delle rilevazioni fotografiche mensili, autenticate da un notaio.

La censura è priva di fondamento. L'impugnata sentenza risulta correttamente ed esaustivamente motivata con la considerazione che l'adozione ex lege (R.D. 27.2.1936 n. 645) del sistema generalizzato delle tariffe a contatore nelle reti telefoniche è stata imposta alla società resistente con gli atti di concessione, in conformità delle prescrizioni stabilite nel piano regolatore telefonico nazionale approvato con D.M. 11.12.1957. Ne risulta che l'abbonamento telefonico nel nostro ordinamento un contratto d'adesione ad una specie negoziale regolata dalla legge, per cui il contatore centrale imposto dallo schema normativo ed accettato con 1a stipula del contratto d'utenza, costituisce un meccanismo probatorio assistito da una presunzione d idoneità all'esatta contabilizzazione del traffico, in ragione dei collaudi e dei controlli sullo stesso esercitati dalla pubblica amministrazione. Esattamente, pertanto, la corte di merito, non essendo stato dalla ricorrente contestato il regolare funzionamento delle apparecchiatura della Sip, ha ritenuto che con la produzione in giudizio dell'estratto conto relativo all'utenza nel periodo e delle rilevazioni fotografiche mensili del contatore centrale, autenticate da notaio, la società telefonica abbia assolto al suo onere probatorio.
Il ricorso non può, pertanto, che essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente alle spese, liquidate come in dispositivo.
P.t.m.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in £ 85.400, oltre £ 2.000.000 per onorari di difesa.
Così deciso in Camera di consiglio in Roma il 28 Novembre 1996.


Commento a Cass. n. 3686/1997
1. I territori metafisici dell'onere della prova

In una motivazione estremamente succinta - per la precisione, contenuta in appena trentasei righe - la Corte di cassazione ha ritenuto di poter adeguatamente chiarire le ragioni che stanno alla base di una decisione che avalla, di fatto, una lettura dell'art. 24 Cost. in chiave meramente programmatica ( ), quantomeno nei confronti dell'utente di un servizio pubblico (nella specie, quello telefonico).

Si potrebbe, invero, essere benevolmente portati a credere che i giudici di legittimità si siano preoccupati - in un sia pure intempestivo guizzo di equità - di contenere le spese del ricorrente, tenuto conto del maggiore aggravio degli oneri economici che una sentenza di numerose pagine comporta per la parte soccombente. Resta il fatto che la motivazione della sentenza costituisce pur sempre un indefettibile strumento di "controllo democratico sull'esercizio del potere giurisdizionale" ( ), sicché il cittadino meriterebbe forse maggiore considerazione, soprattutto quando si tratti di decidere su questioni che così direttamente e diffusamente lo coinvolgono, come quella che è oggetto del presente commento.

Prevedibili gli aspetti salienti della vicenda su cui si innesta la decisione in esame. Nel lontano 1982, un'abbonata al servizio di utenza telefonica, vistasi recapitare bollette d'importo sproporzionato rispetto al consumo effettivo, decide di adempiere solo parzialmente il debito risultante dagli estratti conto della società concessionaria (all'epoca, Sip). Quest'ultima chiede ed ottiene dal Presidente del Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi un decreto ingiuntivo nei confronti dell'utente, per il pagamento della differenza. Dopo alterne vicende (accoglimento dell'opposizione in primo grado; riforma della sentenza in appello, con l'integrale conferma del decreto opposto), la controversia viene portata all'esame dei giudici di legittimità, per la soluzione del seguente quesito di diritto: ai fini della prova del credito da utenza telefonica, costituisce un mezzo idoneo la semplice rilevazione degli scatti, effettuata dalla stessa società concessionaria del servizio, sulla base di un sistema meramente interno di contabilizzazione?

La risposta, inopinatamente affermativa, della Cassazione è incentrata sul rilievo secondo cui l'adozione del sistema delle tariffe a contatore non è riconducibile ad una libera scelta della società erogatrice, bensì ad un meccanismo legale, imposto tanto all'utente quanto allo stesso concessionario. Alla base di tale meccanismo sarebbe individuabile "una presunzione di idoneità all'esatta contabilizzazione del traffico", tenuto conto dei collaudi e dei controlli che la P.A. concedente ha facoltà di eseguire sugli impianti utilizzati dalla Sip. Peraltro, sottolinea la Corte, l'abbonamento telefonico costituisce un contratto di adesione, regolato dall'art. 1341 c.c.; con la conseguenza che, al momento della stipula del contratto, l'utente accetta l'intero schema normativo stabilito nel piano regolatore nazionale, approvato con d.m. 11 dicembre 1957, ivi compreso il sistema di contabilizzazione a contatore centrale, la cui validità non può quindi essere messa in discussione in un momento successivo a quello della conclusione del contratto, salva sempre la possibilità, per l'utente, di contestarne il regolare funzionamento.

L'inevitabile conclusione cui conduce il ragionamento riportato nella sentenza in epigrafe è che "esattamente... la corte di merito, non essendo stato dalla ricorrente contestato il regolare funzionamento delle apparecchiature della Sip, ha ritenuto che con la produzione in giudizio dell'estratto conto relativo all'utenza nel periodo e delle rilevazioni fotografiche mensili del contatore centrale, autenticate da notaio, la società telefonica abbia assolto al suo onere probatorio". Così, straordinariamente semplice è la soluzione.

È lecito, tuttavia, domandarsi cosa sarebbe accaduto se la ricorrente avesse diligentemente contestato la regolarità della contabilizzazione. La risposta, non fornita dai giudici di legittimità - anche perché non rientrante nel thema decidendum - è di immediata evidenza: l'utente avrebbe dovuto provare il cattivo funzionamento dei contatori centrali. L'ulteriore, prevedibile interrogativo circa le concrete possibilità, per un privato, di fornire una simile prova, appartiene alla sfera del metagiuridico, o per meglio dire, del metafisico.

È tuttavia proprio questo noumeno che vuol essere l'oggetto del presente commento. E non è chi non veda come una verifica dei coefficienti di legalità e di costituzionalità degli attuali standards di tutela del contraente debole nei confronti dei poteri privati ( ) debba necessariamente involgere serie riflessioni sulle soluzioni di volta in volta adottate dal legislatore e dalla stessa giurisprudenza.

2. Sip, un Leviathan ormai estinto?
A onor del vero, va osservato che dall'epoca cui si riferiscono i fatti di causa ad oggi i rapporti tra società dei telefoni ed utenti hanno subito una radicale metamorfosi. Ciò che costituisce il riflesso di un graduale rafforzamento, a livello sociale prima ancora che giuridico, della categoria degli utenti dei servizi di pubblica utilità, oggi dotata di un proprio, ben definito statuto normativo, la cui salvaguardia è peraltro affidata ad Authorities appositamente istituite con l'art. 2 della oramai nota legge 14 novembre 1995, n. 481 ( ).

Diverse le cause di questo mutato atteggiamento: dalla privatizzazione delle imprese erogatrici, con il contestuale accentuarsi del carattere imprenditoriale della gestione dei servizi di pubblica utilità, alla progressiva "moralizzazione" del diritto dei contratti, oggi fermamente improntato alla tutela del contraente debole ( ). E quanto inarrestabile sia questo processo, lo dimostra la frammentazione dell'unitarietà della materia contrattuale ( ), operata anche al livello della disciplina generale contenuta nel codice civile ( ); con la conseguenza che - sia pure con notevole ritardo rispetto agli altri paesi dell'Unione europea ( ) - la tutela del consumatore è entrata a pieno titolo anche nel "patrimonio genetico" del nostro ordinamento ( ).

In particolare, per quanto in questa sede rileva, la fatturazione del traffico telefonico è assistita da appositi tabulati - visionabili, a richiesta, dall'interessato - in cui sono riportati analiticamente i dati del traffico, comprensivi dei numeri chiamati dall'apparecchio dell'utente (con l'omissione delle ultime cifre) per le telefonate d'importo superiore ai quattro scatti, nonché del giorno e dell'ora, della destinazione, della durata e del costo di ciascuna telefonata. Viene in tal modo quantomeno soddisfatta l'esigenza, esplicitata dal legislatore all'art. 1 della richiamata legge sui servizi di pubblica utilità, di assicurare "un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi degli utenti e consumatori". Vero è che il problema del valore da attribuire alle indicazioni fornite dalla società rimane sostanzialmente inalterato. Appare tuttavia evidente come la sussistenza di dati specifici renda quantomeno meno evanescente la pretesa creditoria, oltre a testimoniare la disponibilità, da parte della Telecom, a procedere nella direzione di una più incisiva tutela dell'utente.

Ben diversa la situazione fino a qualche anno fa, quando le spiegazioni fornite dalla società concessionaria del servizio telefonico - essendo secretata ogni altra informazione - si limitavano alla mera indicazione del totale degli scatti, oltre alle scontate rassicurazioni dei funzionari - talvolta date per iscritto, ma più spesso verbalmente - circa il regolare funzionamento dei contatori centrali. Nel 1987, in particolare, Torino e Venezia risultavano essere le sole città italiane nelle quali era possibile ottenere dati più dettagliati, al pari degli altri paesi dell'area Cee; tuttavia, il costo del servizio (all'epoca, 35 lire per ciascuna chiamata) era tale da scoraggiarne qualunque forma di concreta utilizzazione ( ).

Disservizi e ritardi circa talune prestazioni accessorie - si pensi all'installazione, a volte effettuata ad anni di distanza dalla richiesta, di un "teletaxe" (o contatore di appartamento), peraltro ininfluente sotto il profilo probatorio ( ) - completavano un quadro a dir poco sconfortante, tenuto conto della non scarsa frequenza di errori nella contabilizzazione, ampiamente comprovata dalle numerose inchieste assurte agli onori della cronaca, come quella giudiziaria del novembre 1987, significativamente ricordata come la vicenda delle "bollette gonfiate" ( ). Ed appare di non poco momento il fatto che già allora l'interrogativo più incalzante, cui la magistratura inquirente fu chiamata a dare una risposta, riguardasse la conformità alle leggi vigenti della pretesa del pagamento di un servizio pubblico "anche quando il consumatore non è in grado di stabilire se la somma a lui richiesta corrisponde all'effettivo uso della sua utenza telefonica" ( ).

Parimenti eloquenti i dati dell'epoca circa il numero e l'oggetto dei reclami inoltrati alla società dei telefoni: delle centosettantamila lamentele annue, infatti, circa la metà riguardava la bolletta del telefono "ed in particolare le contestazioni sugli scatti addebitati" ( ). Una sia pur magra consolazione, per il cittadino comune, derivava dalla consapevolezza che le anomalie potevano colpire chiunque, come prova la bolletta di ottantacinque milioni e quattrocentosessantaduemila lire recapitata al capo della Squadra Mobile di Napoli, nel 1989 ( ).

Così, ad un'indagine comparativa tra le società che gestivano il servizio telefonico nell'area della Comunità europea - condotta, con riguardo a tutto il 1987, dal Bureau Européen des consommateurs (Beuc) - la Sip fu classificata tra le ultime per qualità dei servizi e per trasparenza delle fatturazioni. Non a caso, infatti, il punctum dolens delle critiche risultò essere la sostanziale impossibilità di contestazione delle bollette, a fronte della genericità della fatturazione e dell'inutilizzabilità ai fini probatori del contascatti domestico, da parte dell'utente. In altri termini - fu acutamente sottolineato - in caso di lite, "l'azienda è contemporaneamente dalla parte dell'accusato e del giudice" ( ).

3. Il c.d. sistema a contatore centrale nella normativa vigente e negli orientamenti giurisprudenziali
Se, dunque, la nuova gestione del servizio telefonico sembra garantire all'utente del futuro sonni tranquilli, non altrettanto dicasi per coloro i quali - e non sono pochi, considerata la durata del processo civile - sono ancora coinvolti in vertenze giudiziarie con l'attuale Telecom, in relazione a fatti avvenuti pressappoco sino alla fine degli anni ottanta. Tuttavia, ciò che preme ancora una volta di sottolineare è che l'aver introdotto un sistema di fatturazione più certo e trasparente, pur comportando un indubbio alleviamento della posizione dell'utente nei confronti della società erogatrice, non modifica significativamente lo squilibrio, sul piano probatorio, tra le parti del contratto di abbonamento telefonico.

Il problema principale, infatti, era e resta quello di stabilire se sia conforme alla legge un meccanismo probatorio del credito da utenza telefonica - esclusa peraltro la rilevanza delle bollette, secondo quanto la stessa giurisprudenza ha avuto modo di chiarire ( ) - basato unicamente sul riscontro degli scatti effettuati dall'abbonato mediante strumentazioni interne alla sede della società erogatrice, e se la stessa legge prevede che l'utente sia sufficientemente garantito dalla predisposizione dai controlli facoltativamente effettuati dalla P.A. concedente su tali impianti. Un'eventuale risposta affermativa a questo primo quesito apre la strada ad un ulteriore problema, quello, cioè, della compatibilità di un simile meccanismo con i principi costituzionali in tema di diritto di difesa e di diritto alla prova, che del primo costituisce un logico corollario ( ), tenuto conto della posizione della società concessionaria del servizio di utenza telefonica, la quale, com'è noto, opera in regime di monopolio ( ).

Sotto il primo profilo, occorre preliminarmente individuare le disposizioni normative che regolano il rapporto che lega l'utente alla società concessionaria, qualificato dalla giurisprudenza in termini di contratto per adesione, ed in particolare come contratto di somministrazione ad esecuzione continuata ( ), soggetto come tale alle norme di diritto privato.

Anteriormente all'approvazione del vigente codice postale e delle telecomunicazioni, adottato con d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, la disciplina del contratto di abbonamento telefonico era ricavabile, oltre che dal codice abrogato (r.d. 27 febbraio 1936 n. 645), dal relativo regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 19 luglio 1941, n. 1198. Il quadro normativo si componeva inoltre del piano regolatore telefonico nazionale, sviluppato in base ai programmi pluriennali, emanato con d.m. 11 dicembre 1957, e sostituito dal d.m. 27 luglio 1970, nonché degli ulteriori provvedimenti di adeguamento delle tariffe telefoniche. Da tale complesso di disposizioni risultava che le prestazioni della società dei telefoni venivano misurate dai contatori installati nelle centrali - la cui adozione era autorizzata dall'art. 233 del citato codice postale - ai quali peraltro non era consentito l'accesso agli utenti.

Non dissimile l'attuale disciplina, incentrata, da un lato, sul codice del 1973, e dall'altro sul regolamento di servizio - previsto in via generale dall'art. 283, comma 2, codice citato, e dall'art. 28 della convenzione tra il Ministero delle poste e dalla società Sip, allegata al d.p.r. 13 agosto 1984, n. 523 - approvato con decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni 8 settembre 1988, n. 484, e successivamente modificato con il d.m. 13 febbraio 1995, n. 191. Infine, il piano regolatore telefonico nazionale ha subito ulteriori modifiche con i decreti ministeriali del 16 luglio 1982 e del 6 aprile 1990. In particolare, il sistema delle tariffe a contatore è ora previsto dall'art. 305 codice postale. L'art. 12, comma 4, del regolamento di servizio del 1988 sancisce, inoltre, "l'obbligo di effettuare gli addebiti per il traffico in base alle indicazioni dei contatori di centrale".

Da questo tessuto normativo - che prevede, tra l'altro, la conformità dei contatori ai prototipi e ne ammette l'agibilità; che disciplina i rapporti tra P.A. concedente e società concessionaria; che regola la vigilanza della prima sull'attività della Sip (ora Telecom Italia) s.p.a. - la giurisprudenza ha ricavato una presunzione di esattezza delle rilevazioni dei contatori, chiarendo che le eventuali contestazioni da parte degli utenti debbano essere suffragate dalla prova dell'errore tecnico, o di quant'altro possa aver determinato una discrepanza tra i dati forniti dalla società erogatrice e l'effettivo consumo, come ad esempio l'intromissione di terzi sulla propria linea telefonica, ovvero la truffa ad opera di funzionari dell'azienda ( ).

È importante, a questo punto, sottolineare che la disposizione che espressamente fa riferimento ad un obbligo di attenersi alle rilevazioni dei contatori centrali, il citato art. 12, comma 4, d.m. 8 settembre 1988, n. 484, è contenuta, appunto, nel regolamento di servizio, che, come la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire ( ), non ha forza di legge, ma ha valore meramente regolamentare, ed è pertanto direttamente disapplicabile dal giudice ordinario, ove in contrasto con la legge o con la Costituzione ( ). Non sembra, per contro, fornire alcun elemento preciso in ordine al regime probatorio, la generica formulazione dell'art. 305 codice postale, il quale si limita a stabilire che "il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni è autorizzato ad introdurre il sistema delle tariffe a contatore nelle reti telefoniche urbane, quando le condizioni tecniche dei rispettivi impianti consentano l'applicazione di tale sistema".

Alle larghe maglie interpretative lasciate dalla lex specialis fa da contraltare il ben diverso tenore della normativa generale contenuta nel codice civile: in primo luogo, infatti, l'art. 2697 fissa il criterio generale in tema di onere della prova, stabilendo che incombe su chi vuol far valere un diritto in giudizio di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, e subordinando in tal modo l'onere della prova contraria, da parte di chi eccepisce l'estinzione o la modificazione di quel diritto, all'esito positivo della prima. Ed in proposito, la Corte di legittimità ha in più occasioni avuto modo di chiarire che l'onere probatorio - di contenuto contrario a quello dell'attore - sorge, a carico del convenuto, solo quando sia stata fornita la prova dei fatti posti a fondamento della domanda, e non si ha inversione dell'onere della prova neppure nel caso in cui lo stesso convenuto assuma l'iniziativa di provare l'insussistenza dei fatti addotti dall'attore: di conseguenza l'eventuale esito sfavorevole di tale prova da parte del convenuto non importa per l'attore l'esonero dell'assolvimento del proprio onere probatorio ( ).

Per quanto attiene all'efficacia probatoria dei contatori e, in generale, di ogni rappresentazione meccanica di fatti e di cose, l'art. 2712 c.c. ne limita l'efficacia di piena prova al caso in cui "colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime", laddove, in caso di disconoscimento, secondo la dottrina e la giurisprudenza unanimi, la riproduzione perde la qualità di prova, così come avviene per la scrittura privata e come "risulta evidente dall'onere dell'istanza di verifica imposto - art. 216 1° comma c.p.c. - alla "parte che intende valersi della scrittura disconosciuta"" ( ). Con la conseguenza che, in tal caso, la rappresentazione meccanica non può neppure essere valutata liberamente ( ).

Inoltre, riguardo alla contabilità interna delle imprese soggette a registrazione - qual è la società concessionaria del servizio telefonico - gli artt. 2709 e 2710 c.c. pongono uno sbarramento invalicabile, chiarendo che essa può fare prova solo contro l'imprenditore, salvo che si tratti di rapporti tra imprenditori, inerenti all'esercizio dell'impresa. Ed è appena il caso di sottolineare, in proposito, che il contatore centrale è lo strumento su cui si basa la contabilità relativa all'utenza telefonica, riprodotta nei fogli di rilevazione del consumo.

Sicché, se in base all'impianto normativo codicistico i contatori centrali sono del tutto inidonei a fornire un'adeguata prova del credito da utenza telefonica, debitamente contestato nel suo ammontare da parte dell'utente, si potrebbe ritenere che con il contratto di abbonamento sia implicitamente imposta un'inversione, o comunque una modifica dell'onere della prova. In altri termini, l'adesione allo schema negoziale implicherebbe accettazione di una clausola di esonero della società concessionaria dall'obbligo di dimostrare l'esattezza della contabilizzazione, mentre resterebbe addossato all'utente l'onere di provarne l'incongruità. Nemmeno questa strada appare tuttavia perseguibile, considerato che l'art. 2698 c.c. dichiara nulli i patti con i quali è invertito ovvero modificato l'onere della prova, "quando l'inversione o la modificazione ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile l'esercizio del diritto".

Seguendo l'interpretazione giurisprudenziale, il microsistema delineato dal legislatore, in tema di contratto di abbonamento telefonico, configura dunque un corpus di norme a sé stante, avulso dal contesto della normativa civilistica del 1942: una sorta di statuto speciale per un'impresa che eroga un servizio di pubblica utilità, che viene a trovarsi in tal modo in una posizione differenziata anche rispetto ad altre imprese che operano in settori analoghi, quali le società erogatrici del gas, dell'energia elettrica e dell'acqua. Per queste ultime, infatti, il regime probatorio è fondato sull'esistenza di impianti collocati al domicilio dell'utente, i quali forniscono dati che assumono valore per entrambe le parti del rapporto contrattuale.

Per giustificare gli effetti aberranti di una simile impostazione, si è così sostenuto che i controlli effettuati dalla pubblica amministrazione concedente sugli impianti del concessionario del servizio telefonico assicurano l'efficienza e la precisione degli stessi, garantendone l'idoneità ai fini probatori.

Le norme che disciplinano i controlli da parte della P.A. sui contatori forniscono però non pochi elementi in contrario: in primo luogo, l'art. 193 del vigente codice postale e delle telecomunicazioni, nel prevedere la facoltà per l'amministrazione di procedere a controlli e verifiche sull'esercizio della concessione, eventualmente presso le sedi del concessionario, chiarisce che ciò avviene "allo scopo di accertare la regolare osservanza degli obblighi assunti dal concessionario". In secondo luogo, da un lato, l'art. 200 stabilisce, al primo comma, che "è in facoltà dell'amministrazione di procedere, a spese del concessionario, al collaudo degli impianti inerenti i servizi di telecomunicazioni"; dall'altro, il secondo comma chiarisce che "il collaudo non esonera il concessionario da eventuali responsabilità". Inoltre, l'art. 210 prevede, al comma 2, la facoltà di far eseguire verifiche sulla contabilità dell'ente concessionario, solo "al fine dell'accertamento dei canoni che l'ente stesso deve corrispondere a norma del precedente art. 188".

È chiaro, dunque, che il legislatore ha scisso nettamente il rapporto pubblicistico tra concedente e concessionario, da quello tra concessionario ed utente, che è un rapporto di diritto privato; ed in tale ottica ha posto il meccanismo dei controlli della P.A. al di fuori del regolamento di interessi determinato nel contratto di utenza, rapportandolo unicamente all'esigenza di regolare svolgimento dei rapporti tra P.A. e società concessionaria, ferme restando le questioni relative a pretese contrattuali avanzate dalla Sip-Telecom nei confronti degli utenti. Relativamente a queste ultime, infatti, la società dei telefoni non può avvantaggiarsi dei controlli meramente facoltativi predisposti dalla P.A., che costituiscono un onere imposto quale contropartita dei benefici derivanti alla società per la notevole redditività del servizio di utenza, e da cui non possono derivare altri e non previsti vantaggi sul diverso piano dei rapporti privatistici.

4. Diritto di difesa e probatio diabolica
Come si è visto, l'ottica giurisprudenziale sembra superare d'un colpo ogni obiezione sul semplice rilievo che laddove il legislatore ha previsto la possibilità di adozione del sistema a contatore centrale non poteva non sancirne implicitamente l'idoneità anche sul piano probatorio, onde evitare di cadere in una palese contraddizione. Sarebbe, infatti, assurdo pensare di imporre alla società concessionaria un simile sistema di contabilizzazione, se la si lasciasse in tal modo in balìa delle contestazioni degli utenti, non consentendole di provare in alcun modo l'ammontare dei propri crediti.

È agevole, in altri termini, prevedere, come conseguenza di un ipotetico revirement da parte della Cassazione, il dilagare di azioni volte a conseguire ingenti risarcimenti, per ciò che è stato (più o meno indebitamente) versato in esecuzione del contratto di abbonamento, ovvero di eccezioni da parte di schiere di utenti, convenuti in giudizio dalla società erogatrice per il recupero di quei crediti rimasti ancora insoluti.

La funzione nomofilattica ha qui un effetto paralizzante sull'attività della Corte regolatrice. Significativamente, nonostante siano trascorsi quasi vent'anni dall'ultima pronuncia sul punto da parte dei giudici di legittimità ( ), non vi è traccia, nella decisione in esame, dei progressi realizzatisi medio tempore in tema di tutela del consumatore. Né deve sorprendere che la giurisprudenza di merito, forte di una posizione istituzionalmente meno "esposta", vanti, al contrario, un numero sempre più cospicuo di precedenti in senso favorevole all'utente del servizio telefonico, peraltro con motivazioni che danno ampiamente conto dei mutamenti in atto in questo delicato settore della materia contrattuale ( ).

Anche in quest'ottica l'operato della Cassazione non appare condivisibile, e ciò almeno per un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, il giudice di legittimità non deve essere influenzato da valutazioni che esulino dall'ambito dello strictum ius, per sconfinare nei territori della "ragion pratica". In altre occasioni la stessa Suprema Corte non ha avuto dubbi sul fatto che l'obiettiva difficoltà in cui si trovi la parte di fornire la prova del fatto costitutivo del diritto vantato non può condurre ad una diversa ripartizione del relativo onere che grava, comunque, su di essa ( ).

Non senza aggiungere che la difficoltà, per la Telecom, di provare la consistenza dei propri crediti, è in realtà riconducibile ad una precisa scelta di carattere economico, operata dalla stessa società. L'adozione del sistema a contatore centrale non esclude, infatti, la possibilità di fornire anche all'altra parte contraente un indicatore di conteggio direttamente collegato con quello posto all'interno delle sedi della società. In proposito, la Telecom si è premurata di informare, nell'elenco abbonati, che "gli altri servizi pubblici, come il gas, l'acqua, l'elettricità, collocano il contatore presso l'abbonato perché quello è il punto del consumo, e perché distribuiscono un servizio sempre uguale che può variare soltanto per la quantità prelevata.

Nel caso del telefono, invece, ogni abbonato ha una propria linea diretta che lo collega alla centrale, e il servizio richiesto può cambiare di volta in volta... Per applicare quindi ad ogni telefonata la giusta tariffa, occorrono apparecchiature molto complesse, che in una centrale telefonica servono tutti gli abbonati collegati. Per questo il punto di rilevazione dei consumi non può essere che la centrale telefonica".

Tuttavia, in passato, la stessa società non ha avuto difficoltà ad ammettere che l'inidoneità, ai fini probatori, del contatore di appartamento, o teletaxe, dipende dal fatto che tale strumento è tecnicamente impreciso, in quanto il conteggio degli scatti "viaggia sui fili di conversazione, tramite impulsi elettrici, ed è quindi soggetto a fenomeni esterni di carattere elettromagnetico che alterano la precisione del conteggio. Nelle centrali, invece, questo conteggio viaggia su fili indipendenti da quelli della conversazione" ( ). Significativo, peraltro, che alla domanda - posta nel corso della medesima intervista - se esistesse un rimedio tecnico per tale inconveniente, la risposta fu che sarebbe stata sufficiente l'aggiunta di un terzo filo per collegare la centrale con il teletaxe, rimedio, questo, ritenuto tuttavia "troppo costoso per la Sip" (sic!).

In secondo luogo, l'interpretazione adottata dalla Corte di legittimità presta il fianco a non pochi dubbi di costituzionalità. Secondo la sentenza in esame, di fatto l'adesione al contratto di utenza telefonica, unilateralmente predisposto dalla società concessionaria, comporta l'accettazione - peraltro implicita, ai sensi dell'art. 283 codice postale ( ), in deroga all'art. 1341, comma 2 c.c. ( ) - di una clausola sostanzialmente configurante un'inversione dell'onere della prova circa la regolarità della contabilizzazione. Si viene in tal modo a determinare una totale compressione del diritto di difesa ( ), in quanto la prova contraria, quella avente ad oggetto l'irregolare funzionamento delle apparecchiature della Sip, fa impallidire la probatio diabolica relativa al diritto di proprietà, data l'appartenenza dei contatori all'altro contraente, nonché la loro fisica localizzazione all'interno della sede di quest'ultimo, ed infine data l'impossibilità, per l'utente, di verificare l'andamento della contabilizzazione ( ).

Ma ad essere irrimediabilmente pregiudicato è anche il diritto alla libertà contrattuale, riconducibile, come è stato opportunamente sottolineato, agli artt. 2, 3 e 41 Cost. ( ). Il regime di monopolio in cui opera la società concessionaria priva infatti l'utente di qualunque facoltà di scelta, considerato che la mancata adesione allo schema contrattuale gli precluderebbe l'accesso ad un servizio collegato alla salvaguardia di beni fondamentali dell'individuo, come il diritto alla salute e all'incolumità personale (si pensi ai c.d. numeri di pubblica utilità).

Dubbi di costituzionalità sorgono, infine, per l'assoluta ed irragionevole disuguaglianza tra la posizione del concessionario, libero di disporre a piacimento della prova del proprio credito, e quella dell'utente, cui sarebbe sottratta la disponibilità della prova liberatoria.
Occorre - ça va sans dire - un serio ripensamento dell'intera problematica. Nella legislazione di questi ultimi anni il cittadino ha subito un processo di "giuridica disgregazione", in considerazione delle molteplici attività contrattuali che la società dei consumi gli impone di svolgere. Il "contraente debole" gode così di uno status differenziato, a seconda che egli si trovi, in veste di consumatore, all'interno ( ) o all'esterno dei locali commerciali ( ); che sia un utente dei servizi di pubblica utilità ( ),

un risparmiatore ( ), un piccolo azionista ( ), un turista ( ) o solo un possibile contraente, destinatario dei messaggi pubblicitari ( ). Le perplessità legate ad una presunta morte del contratto, come conseguenza di quest'espansione dell'area della c.d. public policy ( ), segnano il passo di fronte alla convinzione, maturata in seno alla Comunità europea, che solo in tal modo la libertà contrattuale può essere efficacemente tutelata dagli attacchi provenienti da una contrattazione di massa, gestita in maniera sempre più spregiudicata dai poteri privati ( ).

La matrice sociale e culturale che è alla base di questo profondo rinnovamento deve costituire uno stimolo, per il giudice, ad orientare costantemente la sua attività ermeneutica verso la piena realizzazione degli obiettivi prefissati dal legislatore comunitario in tema di tutela del contraente debole.

In altre occasioni i giudici di legittimità hanno saputo far propri i principi posti dalla legislazione sopravvenuta, per operare decise inversioni di rotta anche per fattispecie rientranti nel vigore della normativa pregressa. Così, ad esempio, in tema di rapporti tra istituti di credito e consumatori, la Cassazione ha mutato un indirizzo consolidato, ritenendo inidonea la clausola "interessi uso piazza" a soddisfare il requisito della forma scritta, richiesto dall'art. 1284, comma 3, c.c., per la validità degli interessi in misura superiore a quella legale, laddove manchi un parametro centralizzato e vincolante cui far riferimento per la concreta determinazione del saggio di interesse ( ), ed operando in tal modo una rilettura della norma codicistica alla luce delle innovazioni introdotte con il testo unico in materia bancaria e creditizia del 1993 ( ).

Al contrario, la sentenza in esame ha adottato una soluzione che proietta l'utente telefonico al di fuori del quadro di tutela del contraente debole, rendendolo totalmente inerme di fronte alle pretese della società erogatrice. Avviene così che le possibilità di provare un diverso ammontare del credito siano legate ad una scelta discrezionale della Telecom, quella, cioè, di fornire l'utente di un indicatore di conteggio direttamente collegato alla centrale. Come dire che il diritto di difesa, per l'abbonato al servizio telefonico, è inspiegabilmente solo un'aspirazione legata ad un tenue "filo".

qrossop.gif (102 byte) Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1997, n. 8901 - Pres. Longo - Est. Boffa Tarlatta - P.M. Marinelli (diff.) - Sip s.p.a. c. Mura

massima ufficiale
Con riferimento al contratto di abbonamento telefonico, la registrazione del contatore, posto all'esterno e a distanza dell'apparecchio dell'utente, se costituisce normale misuratore del traffico telefonico riferibile all'utenza, non costituisce prova legale di per sé, ma forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, solo se colui contro il quale le risultanze sono indicate non ne disconosce la conformità ai fatti (art. 2712 c.c.), ancorché l'uso di tale mezzo di riproduzione meccanica sia consentito dal regolamento contrattuale.

Svolgimento del processo
La SIP, Direzione regionale per la Sicilia, richiese ed ottenne dal Presidente del Tribunale di Palermo, in data 19 luglio 1986, decreto ingiuntivo nei confronti di Mura Gavino, già titolare di contratto di abbonamento telefonico per il pagamento della somma di lire 17.728.000, oltre interessi, per bollette insolute relative ai bimestri 4, 5 e 6 del 1985 e l e 2 del 1986.

Con atto notificato il 25 agosto 1986 il Mura proponeva opposizione avverso l'ingiunzione, affermando che il credito non era provato e lo stesso ammontare degli scatti fatturati era indice di errore di conteggio.

La SIP assumeva l'infondatezza dell'opposizione; produceva estratto conto delle fatture, e copia delle fotografie mensilmente operate in ordine alle risultanze registrate dal contatore di centrale. Allegava inoltre che i controlli eseguiti, a seguito di reclamo del Mura, avevano consentito di rilevare l'assenza di guasti del contatore; in data 28 agosto 1985 e sino all'11 settembre 1985 era stato disposto anche il controllo Zoller ed erano stati registrati i numeri chiamati e la durata delle conversazioni, che indicavano il tipo di utilizzo.

Nel periodo in cui il Mura aveva dichiarato di avere effettivamente abitato nell'appartamento erano concentrati gli scatti contestati, fra cui, nel periodo di controllo, numerose telefonate dirette in Argentina.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza 10 marzo 1989, respingeva l'opposizione, ritenuto che a fronte della prova data dalla SIP mediante la produzione delle schede mensili fotografiche delle risultanze di contatore non fosse stata data prova di elementi contrari, che escludesse l'utilizzo.

Il Mura proponeva appello, insistendo nell'affermare che il contatore doveva necessariamente avere registrato telefonate non eseguite dal suo apparecchio; chiedeva fosse disposta consulenza tecnica per accertare a quali tempi corrispondessero gli scatti relative alle telefonate in Argentina, il destinatario di tali comunicazioni, ed il funzionamento del contatore.

Eseguito il richiesto incombente, ammesso con ordinanza 23.2.1995, la Corte di Appello di Palermo con sentenza 23.2.1995, in parziale accoglimento del gravame, detraeva dall'importo dovuto gli scatti registrati dal 30 luglio 1985 al 29.8.1985, e condannava quindi il Mura al pagamento della minore somma di lire 6.118.581 oltre interessi, in luogo di quella portata dal decreto ingiuntivo.

A fondamento della sua decisione, la Corte, pur osservando che la registrazione degli scatti di contatore costituiva prova delle telefonate eseguite dall'utente, a sensi dell'art. 233 R.D. 27 1.1936 n. 645, per cui era onere dello stesso utente dare prova di eventi estranei o accidentali che informassero tali circostanze, affermava che comunque in relazione alle contestazioni mosse dall'utente, doveva verificarsi la corrispondenza all'effettivo, dei consumi registrati.

Rilevato che il Mura non poteva dare prova per testi di non avere effettuato telefonate, trattandosi di fatto negativo, affermava essere possibile ricorrere ad elementi di natura presuntiva.

In base a presunzione di non conformità del volume di traffico registrato in agosto 1985, con la utilizzazione ad usi domestici dell'utenza da parte del Mura, affermava quindi la non addebitabilità dei relativi importi, defalcandoli dal dovuto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la SIP (ora TELECOM ITALIA) sulla base di unico motivo, illustrato da memoria.
La controparte non ha svolto difese in questa fase.

Motivi della decisione
Con il proposto motivo la società ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione a sensi dell'art. 360, n. 5 c.p.c.
La ricorrente lamenta che la Corte territoriale, dopo aver correttamente affermato che le registrazioni documentate del contatore costituivano di per sé prova del traffico telefonico dell'utenza, e che era pertanto onere probatorio dell'utente provare l'anormalità delle registrazioni, atteso il regolare funzionamento delle apparecchiatura, abbia illogicamente motivato il convincimento di difformità dell'effettivo traffico in base ad un distorto uso di presunzioni; la Corte sarebbe poi incorsa anche in una contraddittoria applicazione della presunzione cui aveva fatto ricorso, così ad esempio ritenendo addebitabili telefonate dirette in Argentina, pur nella contestazione in toto dell'utente di aver effettuato telefonate verso tale paese, e negando in toto l'uso del telefono nel mese di agosto.

Il motivo di ricorso deve ritenersi fondato; il ragionamento posto a base della decisione appare in contrasto con i principi logici e giuridici che devono presiedere alla valutazione degli elementi di prova, affidata al giudice di merito, e consentono quindi una censura in sede di legittimità. Pur partendo da logiche premesse la Corte perviene a conseguenze del tutto arbitrarie. Al riguardo si osserva che legittimamente il giudice di merito ha ritenuto che, in presenza di contestazioni dell'utente in ordine alla entità del traffico telefonico registrato dal contatore di centrale, esso giudice, investito della questione, aveva il potere di controllare i dati forniti dalla società concessionaria, e che poteva quindi avvalersi di tutte le risultanze processuali, e quindi anche delle presunzioni, che a sensi dell'art. 2720 c.c. hanno dignità di prova, per accertare se vi fosse stato effettivo utilizzo del servizio, di cui veniva richiesto il pagamento, e per disattendere i dati del contatore.

La registrazione del contatore, posto all'esterno e a distanza dell'apparecchio dell'utente, se è normale misuratore del traffico telefonico riferibile all'utenza, non costituisce prova legale di per sé, ma forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, solo se colui contro il quale le risultanze sono indicate non ne disconosce la conformità ai fatti (art. 2712 c.c.), ancorché l'uso di tale mezzo di riproduzione meccanica sia consentito dal regolamento contrattuale.
Giustamente quindi la Corte territoriale ha affermato, facendone gravare l'onere sull'utente, che erano valutabili elementi diversi che individuassero o facessero presumere una non corrispondenza del traffico telefonico registrato con quello fruito dall'utente.

Anormalità di funzionamento ed utilizzi illeciti della linea telefonica all'esterno della abitazione, e quindi fuori del controllo e dei conseguenti obblighi di custodia gravanti sull'utente potevano infatti astrattamente essere ipotizzati.
Dopo tali logiche e condivisibili premesse, la Corte territoriale ha ritenuto peraltro, con un ragionamento che appare giuridicamente viziato, di poter affermare che nella fattispecie era applicabile a favore dell'utente, una presunzione di non conformità delle registrazioni di parte del traffico addebitatogli. Pur avendo la Corte territoriale osservato che era onere dell'utente che eccepiva la incongruenza degli addebiti, al di fuori dei guasti del contatore, esclusi nel caso, fornire elementi a favore del proprio assunto, ha invece argomentato che non era però possibile per l'utente stesso dare prova del fatto negativo di non aver eseguito le telefonate, cosi svuotando il significato del principio enunciato.

Tale affermazione urta anche contro il consolidato principio giurisprudenziale per cui la prova negativa può esser data attraverso la prova della sussistenza di circostanze incompatibili con il fatto che si intende negare.
La Corte non ha così valutato che l'utente, al di fuori delle generiche lagnanze sulla incongruità del traffico registrato, non risultava aver fornito prova alcuna circa la custodia operata dell'impianto telefonico, e la non utilizzazione dello stesso da parte di soggetti che anche per motivi di lavoro, avessero accesso alla casa; né ha ragionato su altri possibili elementi in ipotesi idonei ad eventualmente informare le risultanze del contatore, quali, per le comunicazioni di cui era stata documentata durata e destinatari, l'incongruenza dei tempi corrispondenti, o la totale estraneità dei soggetti chiamati, tale da far presumere un utilizzo esterno della linea.

Tali carenze, non superate dagli scarsi dati acquisiti mediante la consulenza tecnica, non impedivano peraltro di per sé l'utilizzo di presunzioni, qualora giuridicamente configurabili come fonte di convincimento del giudicante.
In una più ampia valutazione di tutti gli elementi di causa, che costituiscono l'oggetto stesso di giudizio, il giudice di merito, in forza del principio del libero convincimento, ben poteva utilizzare, secondo il proprio prudente apprezzamento, ed a preferenza di altre prove anche delle presunzioni (art. 116 c.p.c.).
Tale libertà del giudice di attribuire valore probatorio prevalente ad uno piuttosto che ad altro elemento acquisito al processo, è però soggetto alle regole di logica valutativa, e presuppone pur sempre che l'elemento utilizzato sia idoneo oggettivamente, per la sua corrispondenza al tipo legale di prova che si afferma sussistere, a verificare il fatto da provarsi.
Nel caso la Corte territoriale non pare aver correttamente utilizzato il concetto di presunzione.

È noto che perché una presunzione sia giuridicamente valida e consenta di ritenere un fatto accaduto, non è necessario che il fatto ignoto appaia come l'unica conseguenza possibile dei fatti noti, ma è sufficiente che sia da questi deducibile, secondo un procedimento logico, basato sull'id quod plerumque accidit (Cass. n. 701/1995).
Ma perché la presunzione non si trasformi in una valutazione tautologica è assolutamente necessario che i fatti noti utilizzati per risalire al fatto ignoto, non siano semplici giudizi valutativi e acritici assunti indebitamente come notorio, così come nel caso esaminato, in cui è stata considerata la condizione soggettiva di una persona, ed i possibili comportamenti che ne conseguirebbero, come fatto noto.

Logicamente errata appare dunque l'affermazione che essendo titolare dell'utenza un ufficiale della finanza e che lo stesso presumibilmente non svolgeva attività commerciale o professionale non poteva ritenersi riferibile a tale tipo di utente il traffico registrato nell'agosto 1985, che tale tipo di attività non svolgeva.

Atteso anche che rapporti familiari o affettivi possono frequentemente indurre ad uno smodato utilizzo temporale del telefono, la opinabilità e relatività dei fatti assunti dalla Corte territoriale a base della valutazione probabilistica eseguita esclude che gli stessi costituiscano fatti noti e che possano quindi essere utilizzati per risalire logicamente al fatto ignoto; svuotata così di significato la presunzione di cui la Corte si è avvalsa, ovviamente carente risulta la mancata valutazione comparativa di tutte le risultanze probatorie raccolte.

Se infatti il criterio di ragionevolezza che pare ispirare il giudice di merito nella valutazione della possibile erroneità delle registrazioni per causa non imputabile all'utente, e nella necessaria riconduzione a parametri normali per la tutela dell'utente in altro modo non tutelabile, può essere posto a base del convincimento del giudice di merito, esso deve peraltro fondarsi su elementi presuntivi dotati delle caratteristiche di univocità e convergenza che, come detto, non sussistono nella presunzione affermata tautologicamente.

La ulteriore censura con la quale la ricorrente deduce che appare comunque del tutto illogico avere defalcato l'intero traffico registrato nel mese di agosto, in cui pure l'utenza era attiva, appare assorbita dall'accoglimento del motivo relativo alla inutilizzabilità della presunzione che porta di per sé all'annullamento della impugnata decisione.
Il ricorso deve quindi trovare accoglimento e per il rilevato vizio motivazionale la sentenza deve essere annullata e rinviata per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, cui stimasi demandare anche la statuizione sulle spese della fase di cassazione.
P.q.m.
La Corte, accoglie il ricorso; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.
Roma, 6 febbraio 1997.

Commento a Cass. n. 8901/1997
1. La sentenza 10 settembre 1997, n. 8901: una "massima mentitoria"?
Nelle more della pubblicazione del presente commento è intervenuto il deposito della sentenza 10 settembre 1997, n. 8901, con cui la Cassazione torna ad occuparsi esplicitamente del problema dell'efficacia probatoria dei contatori appartenenti alla Sip. Si tratta di una decisione di estrema rilevanza, in quanto, pur essendo in concreto favorevole alla società dei telefoni, essa "esporta" un principio di diritto esattamente di segno contrario.

La spiegazione dell'apparente arcano è data dalla palese contraddittorietà del ragionamento seguito, in motivazione, dalla Corte: quest'ultima, infatti, una volta individuata correttamente la normativa applicabile al caso di specie, non ha poi saputo, altrettanto correttamente, farne applicazione nel decidere la controversia.
Nell'alternativa - cui si è fatto cenno in precedenza - tra ritenere che il contratto di abbonamento telefonico sia regolato, anche quanto ai profili probatori, dalla lex specialis, ovvero considerarlo, alla stregua di qualsiasi contratto di diritto privato, soggetto ai limiti posti dal legislatore agli artt. 2697 ss. c.c., la sentenza che si segnala opta per questa seconda soluzione. La massima fa così esplicito riferimento a quell'art. 2712 c.c. sopra richiamato, allorché si è sostenuta l'equiparabilità dei contatori centrali a qualunque altra rappresentazione meccanica di fatti o di cose.

In sintesi, il principio di diritto è incentrato sul rilievo secondo cui la registrazione del contatore forma piena prova (c.d. prova legale) "solo se colui contro il quale le risultanze sono indicate non ne disconosce la conformità ai fatti (art. 2712 c.c.), ancorché l'uso di tale mezzo di riproduzione meccanica sia consentito dal regolamento contrattuale". Da tale, pienamente condivisibile, enunciato, la Corte non trae tuttavia le dovute conseguenze sul piano concreto, ai fini della soluzione della controversia. Essa ha infatti ritenuto che, una volta esclusa l'efficacia di piena prova - in presenza delle contestazioni dell'utente - delle rilevazioni effettuate dalla Sip, a queste ultime dovesse attribuirsi il valore di prova liberamente apprezzabile ( ). Con la conseguenza che spettava all'utente di fornire "elementi diversi che individuassero o facessero presumere una non corrispondenza del traffico telefonico registrato con quello fruito".

Si è tuttavia chiarito come, secondo un insegnamento costante in dottrina e in giurisprudenza, alla rappresentazione meccanica disconosciuta non possa attribuirsi alcun valore di prova, né legale né libera ( ). Sicché l'ulteriore iter argomentativo, incentrato sull'esame dell'operato della Corte di appello - la quale aveva ritenuto, sulla base di presunzioni, che l'utente non avesse mai fatto le telefonate addebitategli - e sfociato nella cassazione della sentenza impugnata, risulta irrimediabilmente inficiato dall'errore commesso.

In questo sconfortante scenario non mancano segnali di segno positivo. In primo luogo deve registrarsi il mutamento di rotta operato dal Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di cassazione - lo stesso sia per la sentenza n. 3686/1997 che per la n. 8901/1997 - il quale, mentre in occasione della prima delle due decisioni aveva concluso per il rigetto del ricorso dell'utente, conformemente alla statuizione successivamente emessa, nel secondo caso mostra di "ravvedersi", chiedendo il rigetto del ricorso, proposto, questa volta, dalla Sip.

Ancora con riferimento alla controversia da ultimo esaminata, pure di un certo rilievo è il fatto che, sebbene la Corte di appello avesse, in via di principio, aderito alla tesi per cui la registrazioni effettuate dalla Sip spostano sull'utente l'onere di provare l'anormalità delle stesse, ciò nonostante abbia ritenuto, sulla base di presunzioni, che nel caso concreto i dati forniti dalla società erogatrice non corrispondessero all'effettivo utilizzo dell'apparecchio da parte dell'utente, concludendo, pertanto, per l'infondatezza delle pretese della creditrice.

Di diverso avviso i giudici di legittimità che cassano la sentenza di secondo grado per vizio di motivazione, in quanto le circostanze addotte dalla Corte territoriale, a sostegno dell'operata presunzione, non erano incompatibili con il fatto che si intendeva negare: perché, in altre parole, non se ne poteva inferire con ragionevole certezza che l'utente non aveva mai fatto quelle telefonate che gli si addebitavano.

Si deve tuttavia esser grati ai giudici di legittimità, per aver fornito, con quest'ultima decisione, la prova evidente del vizio logico su cui si fonda il criterio di ripartizione dell'onere probatorio, appositamente costruito per il credito da utenza telefonica. Ci auguriamo che il principio di diritto espresso in tale occasione viva di vita propria, e che questa sentenza sia in futuro ricordata, malgrado le intenzioni dei suoi autori, come il leading case di una svolta sintonica con i dettami di una cultura giuridica definitivamente affrancata dalla schiavitù dei poteri privati.

Sergio Palmieri