Angelo Peretti
Il tartufo del Monte Baldo
Quadernetti Ghiotti - I - 1998
Alla scoperta del tartufo del Baldo
Dalle vette alla riviera gardesana,
dai pascoli
al fondovalle atesino, dai ripidi
versanti
alle dolci colline dell'anfiteatro
morenico:
il territorio del Monte Baldo
è ricco di
molte affascinanti sfaccettature.
E tanta
ricchezza di scenari si riflette
anche nelle
produzioni locali, talvolta certamente
da
considerare "marginali"
sotto il
profilo quantitativo, ma comunque
sempre
eccellenti dal punto di vista
della qualità.
Notissimi anche ben oltre i confini
nazionali
sono ad esempio i vini, oppure
l'olio extravergine
che ha riconoscimento europeo.
Ma potremmo
poi ricordare i marroni degli
antichi castagneti,
il miele, le produzioni casearie
che sopravvivono
nei baiti, gli asparagi delle
morene di Rivoli,
o ancora le molte erbe officinali
di questo
monte noto da secoli come "giardino
botanico d'Europa". Oppure
i tartufi.
I tartufi? Replicano molti con
faccia stupita
quando gli dici che fra il Garda
e il Baldo
ci sono i tuberi preziosi. Già
- si risponde
allora - anche i tartufi sono
fra il ben
di Dio di quest'isola felice.
In una recente relazione di alcuni
dei tecnici
del Servizio forestale regionale
si scrive,
a proposito dei tartufi del Veneto,
che "la
specie più diffusa è il Tuber
aestivum che
si rinviene dal Monte Baldo alle
frastagliate
propaggini dei Monti Lessini".
Aggiungendo
che le colline gardesane e le
basse pendici
del Baldo sono interessate anche
dalla presenza
del Tuber melanosporum che, "sebbene
non molto abbondante e piuttosto
localizzato,
riveste una certa importanza
in quanto rappresenta
la specie più pregiata"
(Mantovani et
al. 1995: 33-34).
Molti magari resteranno stupiti
a sapere
che il tartufo nero sul Baldo
e sul Garda
c'è ed è di gran pregio. Ma questa
sua presenza
è cosa nota da secoli a cuochi,
gastronomi
e naturalisti. E da molto tempo
- come scrive
Virgilio Vezzola per il Garda
bresciano,
ma con un'affermazione che può
essere tranquillamente
estesa anche alla riviera veneta
e al Baldo
- "famiglie con tradizione
tartufigena
sono vissute nei vari comuni
che costeggiano
il lago".
Nelle pagine seguenti di questa
"storia"
del tartufo del Baldo-Garda diamo
qualche
ragguaglio. |
|
Sommario
Clicca sul titolo del capitolo
o del volumetto
Il tartufo del Monte Baldo
Alla scoperta del tartufo del Baldo
Tartufi come companatico
Buona borsa e valorosi destrieri
Delizie per l'imperatore
Gli odorosi ed eccitanti tartufi
Bibliografia
Piccola antologia del tartufo
Tartufi in cucina cinque secoli fa
L'onesto piacere e la buona salute
A fine cena col vino e col pepe
Per i vecchi che hanno belle mogli
Quell'apprezzato imperfetto tartuofano
Nell'armadio dei vestiti
Bibliografia
Torna alla home page
|
Tartufi come companatico
La più antica testimonianza letteraria
della
presenza del tartufo sulle montagne
attorno
al lago di Garda è probabilmente
quella cinquecentesca
del salodiano Bongiani Grattarolo.
Nella sua "Historia della
Riviera di
Salò", data alle stampe
a Brescia nel
1599 "con licenza dei Superiori",
il Grattarolo tesse le lodi della
regione
gardesana.
Per rafforzare le proprie considerazioni
giunge al punto di dire che da
queste parti
le carestie non si fanno sentire.
Tanto che
gli stessi montanari conducono
una vita in
qualche modo agiata. Prova ne
sia che, anche
se i monti non sono molto produttivi,
la
gente del posto mangia comunque
pane migliore
di quello di cui ci si nutre
nelle fertili
campagne romane.
Per di più sulle montagne gardesane
non man-ca
mai il companatico: ricotte,
formaggi e carne
salata sono alla portata anche
dei più poveri,
che possono arricchire il proprio
vitto raccogliendo
inoltre tartufi e funghi "delicatissimi".
Quasi un mangiare da re, insomma,
per i poveri
montanari locali.
Ma leggiamo direttamente le parole
del Grattarolo:
"E per lo più i contadini
delle sue
Montagne così sterili, mangiano
miglior pane,
che non fanno quelli delle Campagne
di Roma
così fertili. Oltra che non mancano
quasi
mai di companatichi honesti.
Ricotte, Casi,
e carne almeno salata per poveri
che siano.
E trovano tartuffi, e funghi
di molte sorti
delicatissimi" (Grattarolo
1599: 38).
|
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it |
Buona borsa e valorosi destrieri
La testimonianza dell'uso nelle
cucine signorili
rinascimentali dei tartufi provenienti
dai
monti e dai colli che circondano
il lago
di Garda ci viene dal ricettario
di uno dei
più grandi cuochi della storia
della gastronomia
italiana.
Bartolomeo Stefani, "cuoco
bolognese",
come s'autodefiniva, prestava
il proprio
servizio alla corte mantovana
dei Gonzaga
quando, nel 1662, diede alle
stampe il suo
celebre volume su "L'arte
di ben cucinare".
Stefani aveva una convinzione:
quella che
stupire a tavola non fosse poi
così difficile
per chi poteva disporre di un
bel po' di
quattrini. Scrivendo infatti
certi "avvertimenti
alli signori lettori", ebbe
infatti
a osservare che magari qualcuno
avrebbe avuto
di che stupirsi del fatto che
nelle sue ricette
lui consigliasse ad esempio asparagi
e piselli
in gennaio e in febbraio, prodotti
"che
à prima vista paiono contro stagione".
Ma questi critici dovevano mettersi
in testa,
a sentire l'illustre cuoco, che
"chi
hà valorosi destrieri, e buona
borsa, in
ogni stagione trovarà tutte quelle
cose,
che io loro propongo, e ne' medesimi
tempi,
che ne parlo". Insomma,
bastava avere
delle borse ben fornite di soldi
e dei validi
corrieri e da qualche parte si
trovavano
sempre rare delizie e invitanti
primizie.
Se dunque un cuoco del genere
non si poneva
il problema d'andare a reperire
i prodotti
migliori anche ben lontano dalla
corte mantovana,
doveva ritenere davvero squisiti
i tartufi
dell'area attorno al Garda, visto
che li
consigliava decisamente.
Scrive infatti nel suo ricettario:
"Ne'
tempi freddi si gode la Tartuffola
delle
pianure, che si può conservare
in oglio per
i tempi caldi, ne' quali ancora
se ne può
havere di fresca, estratta da
monti, e colli,
& specie se ne ritrova vicino
alla Volta,
e Capriana, Terre del Serenissimo
di Mantova"
(Stefani 1662: 142-143).
Eccellenti i tartufi dei monti
e dei colli
benacensi, insomma, secondo il
grande Stefani.
Con qualche predilezione per
quelli delle
colline moreniche di Volta Mantovana
e di
Cavriana, nei possedimenti gonzagheschi. |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
Delizie per l'imperatore
Del tartufo del Baldo, e più
precisamente
di quello di Caprino, si parla
in uno scritto
della fine del Settecento.
Si deve a Giuseppe Franco Viviani
la recente
pubblicazione di alcune relazioni,
conservate
presso l'Accademia d'Agricoltura
Scienze
e Lettere di Verona, riguardanti
la situazione
del territorio veronese negli
ultimi anni
della Repubblica di Venezia.
In particolare ci è preziosa
la relazione
indirizzata all'Accademia il
3 agosto 1791
dal nobile Agostino Pignolati
a proposito
di Caprino, dato che contiene
interessanti
notizie riguardanti il tartufo
del Monte
Baldo.
Vi si legge infatti che dagli
"ubertosi"
rilievi collinari della zona
si spedivano
tartufi alla corte imperiale
tedesca addirittura
per cinque o sei mesi l'anno.
Segno d'una
produzione indubbiamente d'un
qualche rilievo
sia quantitativo che qualitativo.
Ecco qui di seguito il passo
che c'interessa.
"Le colline egualmente ubertose
di grani
sono anch'esse spezialmente ove
la terra,
è bell'armenica come lo è tutta
la campagna,
oppura ove è argillosa, non tanto
però ove
è cretacea, ma tutte essendo
di viti, di
pochi gelsi, ed ulivi impiantate
sono dall'industria,
e notabile dispendio a tal segno
rese ubertose,
che puossi mettere in questione,
se più renda
la campagna, o le colline in
proporzione
di terreno, ed oltrecciò sono
anco arricchite
de' preziosi tartuffi, li quali
a preferenza
d'ogni altro luogo e vicino e
lontano sono
ad onta di esorbitante prezzo
ricercati,
e spediti in lontane regione,
e la imperial
mensa di Germania per cinque,
o sei mesi
dell'anno viene ogni giorno imbandita
di
questo prelibatissimo frutto
di Caprino"
(Viviani 1994: 107). |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
Gli odorosi ed eccitanti tartufi
Giuseppe Solitro compose sul
finire dell'Ottocento
uno dei testi fondamentali per
la conoscenza
dell'area gardesana: è il "Benaco",
un volume edito a Salò nel 1897.
Pressoché tutti gli aspetti della
regione
gardesana sono presi in considerazione:
dalle
acque ai monti, dalla flora alla
fauna, dalla
storia all'industria.
Il Monte Baldo viene descritto
come zona
di "pingui praterie, nelle
quali sgambettano
i vitelli e pascolano gravi le
mucche dalle
pingui mammelle" (Solitro
1897: 12).
Un capitolo intero è dedicato
all'alloro,
agli alberi da frutto, ai funghi,
ai boschi
ed agli orti. Ed è proprio in
questo capitolo
che appare anche il tartufo.
Quello stesso
tartufo che i cercatori del luogo
in quegli
anni, come ricorda un esperto
come Virgilio
Vezzola, "spedivano con
la barca a Verona
ed a Riva dove generalmente proseguivano
per Trento", mentre "piccoli
quantitativi
venivano consumati dalle famiglie
benestanti
del posto". E una qualche
richiesta
proveniva anche dai primi, prestigiosi
alberghi
rivieraschi, come il Grand Hotel
di Gardone
Riviera (Vezzola 1995: 4).
Prima dei tartufi, comunque,
il Solitro tratta
dei funghi, illustrando "i
principali
mangerecci". Cita ad esempio
il "pratajuolo",
l'ovolo, "il spinarolo",
il cicciolo,
la legorzela, il brigoldo ed
altri ancora.
Poi passa allo squisito tubero
delle montagne
attorno al Garda. Scrivendo che
"nè
mancano nella regione odorosi
ed eccitanti
tartufi bianchi e neri, delizia
delle mense
signorili" (Solitro 1897:
262). |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
Bibliografia
B. GRATTAROLO, Historia della
Riviera di
Salò, Brescia 1599
R. MANTOVANI - M. BERTO - E.
PIVA, Interventi
ed esperienze della Regione Veneto
nel settore
del tartufo e della tartuficoltura,
in Il
tartufo nel Parco Alto Garda
bresciano. Atti
del Convegno, Roè Volciano 1995
G. SOLITRO, Benaco, Salò 1897
B. STEFANI, L'arte di ben cucinare,
et instruire
i men periti in questa lodevole
professione,
Mantova 1662
V. VEZZOLA, Ricerche sulle specie
di tuber
presenti nel territorio della
Comunità montana
Parco Alto Garda bresciano, in
Il tartufo
nel Parco Alto Garda bresciano.
Atti del
Convegno, Roè Volciano 1995
G. F. VIVIANI, Il territorio
di Caprino alla
fine del sec. XVIII (2° parte)
in Il Baldo
n. 5, Centro Turistico Giovanile,
Caprino
Veronese 1994 |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
Angelo Peretti
Piccola antologia del tartufo
Tra Quattrocento e Cinquecento
Quadernetti Ghiotti - III - 1999 |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it |
Tartufi in cucina cinque secoli fa
Il tartufo è il grande incompreso
non solo
della cucina italiana medievale,
ma anche
di buona parte della gastronomia
cinquecentesca,
per poi invece trionfare definitivamente
nel Seicento. Prima era tutt'al
più servito
a fine cena come stimolante.
Ma lo si maltrattava
cuocendolo sotto la cenere.
Del resto cosa fossero quegli
strani "tuberi"
neri non lo sapeva nessuno. Anche
se i botanici
erano convinti che ci fosse una
qualche connessione
fra le piogge autunnali, i fulmini
e il tartufo.
Ed è probabilmente proprio quest'associazione
con la saetta e col tuono a far
sì che col
termine di tartufola l'italiano
figurato
dell'epoca indicasse la bastonata,
la percossa.
Ce ne dà prova Teofilo Folengo
nella Zanitonella,
quando nel corso d'un alterco
con Tonello
fa dire a Bigolino, in latino
maccheronico:
Si possum supra ganassam hanc
dare tartufolam...
guarda: tuus hic, tuus iste.
E cioè, grosso
modo: Ti do una tartufola sulla
ganascia...
guarda: prendi questa, e quest'altra.
Quando poi nel Cinquecento si
son cercate
formule gastronomiche da applicare
al tartufo,
ecco che il povero fungo ipogeo
s'è trovato
a esser sbucciato, cotto nel
vino o nel brodo
(grasso oltretutto) e poi condito
con sale,
pepe, olio e succo d'aranci.
Anche se i grandi
cuochi cominciavano già a utilizzarlo
per
insaporire e guarnire minestre
e pasticci.
Ovviamente si continuava a prepararlo
anche
sotto la cenere del focolare,
ma in questo
caso, a sentire il parere del
medico-botanico
Castor Durante da Gualdo, si
poteva benissimo
ricorrere alle castagne come
succedaneo del
tartufo. Il che non rende merito
né al tartufo
né alla castagna.
Al giorno d'oggi, per fortuna,
sua maestà
il tartufo è tenuto in ben altra
considerazione.
E così pure la castagna, che
anzi col tartufo
ci può andare a nozze. È infatti
da condividere
il suggerimento dato da Giorgio
Gioco, maestro
della cucina veronese, nel corso
d'una recente
intervista radiofonica: perché
non provare
una tacchinella al forno farcita
di marroni
del Baldo e poi guarnita di tartufo
nero,
anche quello proveniente dai
boschi baldensi? |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
L'onesto piacere e la buona salute
Il tartufo si cuoce nella cenere
e si serve
caldo, ben cosparso di pepe,
dopo un piatto
di carne. È questa la prescrizione
gastronomica
di Bartolomeo Sacchi, detto Platina,
nel
suo celebre trattato sul Piacere
onesto e
la buona salute, dato alle stampe
nella seconda
metà del Quattrocento. Il titolo
dice chiaramente
che l'opera, oltre alle ricette
di corte
del tempo, contiene annotazioni
morali e
suggerimenti sulla qualità del
vivere. E
nel capitolo sul tartufo ne abbiamo
la riprova.
È un eccitante della lussuria
e i ricchi
se ne servono durante i banchetti
per prepararsi
ai piaceri del talamo, avverte
il Platina,
il che è da considerar lodevole
solo se fatto
a scopo di procreare.
Quanto alle capacità nutrizionali
del tartufo,
il Platina chiama in causa il
parere autorevole
di Galeno, il medico più famoso
dell'antichità.
Il testo originale è in latino.
L'estratto
che ne presentiamo qui di seguito
è nella
bella traduzione di Emilio Faccioli,
pubblicata
da Einaudi: "I tartufi,
che opportunamente
chiameremo callosità del terreno,
non sono
sostenuti da fibre o filamenti
di sorta,
essendo circondati di terra da
ogni parte.
(...) Nascono al cadere delle
piogge, quando
i tuoni sono più frequenti, e
non durano
più di un anno. Sono considerati
più teneri
quelli primaverili. (...) Si
cuociono nella
cenere calda dopo averli lavati
con il vino;
quando poi siano cotti, si puliscono
e si
cospargono di pepe, servendoli
ancora caldi
ai commensali dopo un piatto
di carne. È
questo un cibo molto nutriente,
come crede
Galeno, ed è un eccitante della
lussuria.
Perciò viene servito spesso nei
pruriginosi
banchetti di uomini ricchi e
raffinatissimi
che desiderano essere meglio
preparati ai
piaceri di Venere. Il che, se
è fatto al
fine di procreare, è cosa lodevole,
mentre
se si fa a scopo di libidine
- come sono
soliti fare per lo più gli oziosi
e gl'intemperanti
- è quanto mai detestabile". |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
A fine cena col vino e col pepe
Nato a Mantova nella seconda metà del Quattrocento,
Giovanni Battista Fiera, teologo, medico
e poeta è l'autore di uno dei primi libri
a stampa in tema di dietetica: la Coena,
stampata a Roma nel 1490. Il medico mantovano
si mostra in particolare entusiasta dei tartufi.
E i migliori sarebbero quelli tondi nati
durante le tempeste e gli acquazzoni, come
suggeriva Plinio nell'antichità, dicendo
che i tartufi crescono soprattutto in autunno
dopo piogge abbondanti e tuoni.
Ecco il testo del Fiera nella
recente pregevole
versione di Maria Grazia Fiorini
Galassi:
"Cuochi, portate i tartufi
bianchi terrei
grondanti succo acqueo, se avete
fame siano
vostri quelli neri. Siano presentati
come
ultimi piatti nella nostra cena,
affinché
Venere stessa si unisca nei nostri
divertimenti.
Se sono belli e tondi è bene,
le tempeste
di vento e le piogge li generano,
io berrò
vino di Chio e pepe. Così allo
stomaco sarà
facile digerire, né la vescica
si gonfia
né l'intestino fa male. Chi ha
la testa pesante
e chiusa, e gli arti deboli,
s'allontani
da questo cibo, soltanto a questi
la cena
sconsiglia i tartufi". |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
Per i vecchi che hanno belle
mogli
Del tartufo tratta il medico padovano Michele
Savonarola nel Libreto de tutte le cose che
se manzano, edito in quattro edizioni fra
il 1508 e il 1553 e poi rielaborato nel 1575
dal medico bresciano Bartolomeo Boldo.
Ai tartufi, o meglio, alle tartufole,
come
le chiama, il Savonarola dedica
un lungo
capitolo, soffermandosi tuttavia
soprattutto
sulla per noi oggi astrusa classificazione
ippocratica di questa radice.
Tema che adesso
non interessa più a nessuno,
come annota
Massimo Alberini commentando
una recente
ristampa anastatica del volume.
Osserva ancora appropriatamente
Alberini
che il medico dà ricette in base
alle quali
si desume che quei misteriosi
funghi ipogei
non erano considerati nulla di
eccezionale,
e venivano maltrattati cuocendoli
con spezie,
addirittura a lesso, nell'acqua
o nel brodo,
e condendoli poi con olio, sale
e pipere.
Meno distruttiva - rimarrà nei
secoli - la
cottura sotto la cenere.
Il Boldo nella sua riedizione
tardo cinquecentesca
farà poi un passo avanti verso
le nostre
abitudini, proponendo i tartufi
come condimento
per certi cibi insipidi e acquosi
al gusto.
Sottolinea peraltro il Savonarola
che il
tartufo è cibo da vecchi che
hanno belle
mogli, sottintendendo straordinarie
virtù
rigeneratrici del vigore sessuale.
Del testo del Savonarola diamo
un breve estratto,
che abbiamo - del tutto arbitrariamente
-
provveduto a "tradurre"
in lingua
corrente dal difficile italiano
dell'epoca.
Conservando la dizione femminile
di tartufola
in luogo del nostro maschile
tartufo: "Le
tartufole. (...) Si devono mangiare
dopo
i pasti, ma pesano sullo stomaco,
rendono
difficile la digestione e danno
nutrimento
grossolano. Questo perché sembrano
aver molto
del terreo. Le più leggere sono
ad ogni modo
le migliori. Ma descriverò adesso
alcuni
dei loro nocumenti e la maniera
di correggerli.
In primo luogo siano ben scorzate.
Quindi
vanno tagliate a pezzi e lessate
e successivamente
condite con pepe e sale. Si possono
anche
condire con olio, pepe e sale,
come si fa
con i funghi. Un'altra possibilità
è quella
di cuocerle nel vino condite
come si è detto
e in questa maniera daranno un
nutrimento
sì grossolano, ma non cattivo.
Taluni le
mangiano cotte sotto la cenere
e poi condite
con olio, sale e pepe. Altri
le cuociono
nel brodo di carne grassa e poi
le condiscono
con pepe e sale, ma così sono
cattive. E
poi aggiungerò che sono un pasto
da vecchi
che hanno belle mogli. Ma sappi
che a parte
i nocumenti di cui ho detto,
fanno anche
urinare con gran fatica".. |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
Quell'apprezzato imperfetto tartuofano
Costanzo Felici si laureò a Padova in arte
e medicina nel 1525. È autore della lunga
"lettera" Del'insalata e piante
che in qualunque modo vengono per cibo del'huomo,
un vero e proprio trattato sulle verdure
che si conclude citando il tartuofano. Apprezzatissimo
sulle tavole nobiliari, viene sempre cotto
nelle braci, ma è anche ingrediente di minestre,
guazzetti e pasticci.
Ecco che cosa dice il Felici: Il tartuofano,
tuber de' Latini, per simigliare et essere
posto nel numero delle radice e per essere
piante imperfetta come il fongo e per essere
solito a mangiarsi, ancora lui merita il
suo luoco qui fra gl'altri, perché è tenuto
cibo, così crudo come cotto, molto apprezzato
nelle tavole de' grandi e nei conviti, il
quale il più delle volte vien cotto sotto
le brage et è molto in uso per golosi e libidinosi
dai quali e da altri ancora vien desiderato
con il suo condimento, cioè sale e pepe,
benché ancora varie menestrine e guazzetti
e pasticci di essi se ne sogliono fare da'
cuochi et appresentarli nelle tavole. Se
ne trovano de negri e de bianchicci e berretini
e poi seconda la natura de' paesi variano
che uno gli produce meglio del'altro. |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
Nell'armadio dei vestiti
Figlio d'un celebre giureconsulto, Castor
Durante da Gualdo divenne botanico e medico
apprezzato e conosciuto. Nel 1565 pubblicò
il volume De bonitate et vitio alimentorum,
uscito poi in italiano nel 1586 come Il tesoro
della sanità, vero e proprio dettagliatissimo
trattato di dietetica cinquecentesca.
Ovviamente nel Tesoro trova menzione
anche
il tartufo. Il botanico del Cinquecento
trova
migliori i neri dei bianchi.
Con qualche
dettaglio davvero bizzarro. Ad
esempio i
tartufi neri sarebbero maschi
e quelli bianchi
femmine. Sanno di carne, e per
questo possono
stimolare gli appetiti venerei.
E chi vuole
può anche metterli nelle cassapanche
per
dare ai vestiti il loro non ingrato
odore.
E in cucina? Il maltrattamento
è sistematico:
vien suggerito ci cuocerli in
teglia con
sale, pepe, olio e succo d'arancio.
Oppure,
dopo averli lavati col vino,
si cuociono
sotto la cenere e poi si puliscono
e si ricuociono
in teglia come s'è detto. E c'è
una terza
possibilità: farli bollire nel
brodo grasso
insieme con la cannella. Un disastro.
Ecco comunque di seguito il testo
di Castor
Durante da Gualdo.
Tartufi.
Scelta. I maschi, cioè i negri,
sono meglior
dei bianchi, che sono femine,
e i grossi
parimente e grandi, con la scorza
granellosa
e dura, molto freschi, non putridi
e di buono
odore.
Giovamenti. Si mangiano cotti
e crudi, sono
soavi al gusto, perché hanno
odore di carne,
eccitano gli appetiti venerei
e moltiplicano
lo sperma, generano grosso nutrimento,
ma
non cattivo; sono buon succedaneo
dei tartufi
le castagne cotte sotto la cenere,
poi monde,
e cotte in un tegame con pepe,
olio e succo
di aranci, con un poco di sale.
Messi i tartufi
nelle casse danno alle vesti
non ingrato
odore. (...)
Rimedi. Si lavino con vino, si
cuocano sotto
la cenere, poi mondi si ricuocano
con molto
olio, pepe e sale e succo di
limoni o d'aranci,
ovvero si faccino bollire in
brodi grassi
con cannella, e appresso si beva
buon vino
e puro. Ma bisogna mangiarli
in fin del pasto. |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
Bibliografia
M. ALBERINI, Breve storia di
Michele Savonarola
seguita da un compendio del suo
Libreto de
tutte le cosse che se manzano,
Padova 1991
E. FACCIOLI, L'arte della cucina
in Italia,
Torino 1987
C. FELICI, Del'insalata e piante
che in qualunque
modo vengono per cibo del'huomo,
a cura di
G. ARBIZZONI, Urbino 1986
G. B. FIERA, Coena. Delle virtù
delle erbe
e quella parte dell'Arte medica
che consiste
nella regola del vitto, a cura
di M. G. FIORINI
GALASSI, Mantova 1992
T. FOLENGO, Macaronee minori.
Zanitonella-Moscheide-Epigrammi,
a cura di M. ZAGGIA, Torino 1987
C. DURANTE DA GUALDO, Il tesoro
della sanità,
a cura di E. CAMILLO, Milano
1982
B. PLATINA, Il piacere onesto
e la buona
salute, a cura di E. FACCIOLI,
Torino 1985
M. SAVONAROLA, Libreto de tutte
le cose che
se manzano comunamente, ristampa
anastatica,
Padova 1991 |
|
Torna al sommario
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
I 'Quadernetti ghiotti' dedicati
al tartufo
sono stati realizzati dall'associazione I Ghiottoni nell'ambito della prima e della seconda
rassegna gastronomica 'Conosci il tartufo
del Baldo?', con il contributo della Comunità
montana del Baldo e in collaborazione con
la condotta del Garda Veronese di Slow Food |
|
Torna a inizio pagina
Torna alla home page
Vai a www.ighiottoni.it
|
|