JOHANNES e RAPHAEL SADELER: Giovanni Bono penitente.

Incisione per Solitudo sive vita Patrum eremicularum (Sec. XVI)

Amsterdam, Gabinetto delle stampe del Rijksmuseum.

 

KASPAR ELM

COMUNITA' EREMITICHE ITALIANE

DEL XII E XIII SECOLO

Studi sugli antecedenti della storia dell'Ordine eremitano agostiniano

 

 

 

 

 

in

L'EREMITISMO IN OCCIDENTE NEI SECOLI XI E XII

Atti della seconda Settimana internazionale di studio

Mendola 30 agosto - 6 settembre 1962

SOCIETA' EDITRICE VITA E PENSIERO - MILANO

  

Traduzione dell'opera

ITALIENISCHE EREMITENGEMEINSCHAFTEN

DES 12. UND 13. JAHRHUNDERTS

Studien zur Vorgeschichte des Augustiner-Eremitenordens

 

 

INDICE

I Pre-istoria e storia dell'Ordine eremitano agostiniano

II Storia e particolarità dei gruppi unitisi nel 1256 nell'Ordine

eremitano agostiniano.

1. I FRATI EREMITI DI BRETTINO

2. GLI EREMITI DI FRA GIOVANNI BONO

3. I FRATI EREMITI DELL'ORDINE DI S. GUGLIELMO

4. I FRATI EREMITI DI S. BENEDETTO DI MONTE

FAVALE

5. I FRATI EREMITI DELL'ORDINE DI S. AGOSTINO

DELLA TUSCIA

III. I Motivi della formazione dell'Ordine Eremitano Agostiniano

 

 

***

I. Pre-istoria e storia dell'Ordine eremitano agostiniano*

Dopo l'elezione a priore generale dell'Ordine eremitano di S. Agostino nel 1292, Egidio Romano esortò i suoi confratelli a dedicarsi con energia allo studio della teologia, poiché soltanto attraverso questo studio e attraverso una vita fedele alla regola l'Ordine avrebbe potuto crescere e rendersi benemerito (1). Il teologo, riconosciuto nel 1287 quale autentico maestro dell'Ordine, non stabilì con tale invito alcun programma totalmente nuovo (2). Già a metà del secolo la cura d'anime e gli studi ad essa propedeutici, erano stati resi il vero e proprio compito dell'Ordine dalla Curia romana. La ricca attività filosofico-teologica del Magister parigino e le sue capacità organizzative, tuttavia, portarono a fioritura gli sforzi scientifici degli eremiti ancora immersi nelle loro origini, e crearono i presupposti (3) per cui l'Ordine eremitano agostiniano poté fondare sedi in quasi tutte le maggiori città, mandare i propri membri nelle università e mantenere case di studio e biblioteche, non come Ordine eremitano, ma come Ordine pastorale e scientifico, occupando così nella compagine degli Ordini religiosi (4), accanto ai Francescani, ai Domenicani ed ai Carmelitani, il posto che ancora oggi detiene, nonostante i cambiamenti condizionati dal tempo e dai duri rovesci di fortuna. Questa evoluzione ebbe luogo non senza contrasti. Come già altri membri dell'Ordine prima di lui (5), l'eremita agostiniano inglese Guglielmo Flete nel 1380 mise seriamente in dubbio, in tre lettere indirizzate ai membri della sua provincia (6), il senso e la legittimità dello studio promosso da Egidio, e mise in guardia contro il suo eccessivo incremento quale falsa strada che allontanava dalla sancta stultitia dei pescatori che Cristo aveva chiamato ad essere apostoli (7). L'eremita Guglielmo Flete, che nel 1359 aveva lasciato l'Inghilterra prima della promozione a sacrae paginae professor, e che fino alla sua morte visse nell'isolamento del venerabile eremo di Lecceto, fu indotto a tali considerazioni da diversi motivi (8). Una mentalità antiscolastica ed un'avversione per l'attività accademica, comprensibili dopo la fioritura delle scuole teologiche, avevano conosciuto nella famiglia sacra di S. Caterina da Siena (9) un approfondimento mistico che aveva fatto sì che egli raccomandasse la sintesi di studio e contemplazione quale medicina per la spiritualità del suo Ordine. Questa richiesta, che nel XIV secolo avrebbe potuto essere rivolta a ragione anche ad altri Ordini, aveva nel suo caso una particolare connotazione. L'esortazione a vivere come amatores solitudinis anziché dedicarsi al sapere, a cercare la saggezza e ad acquisire le virtù monastiche (10), anziché seguire le occupazioni terrene, fu un appello diretto alla coscienza storica dell'Ordine ed un richiamo al suo carattere "originario". Guglielmo Flete (11) dalla definizione di Ordo eremitarum dedusse che vi era l'obbligo, non ancora cessato: magis super omnes religiosos debemus amare solitudinem (12). Il fatto di poter parlare in tal modo di una pre-istoria dell'Ordine eremitano agostiniano, è una conseguenza della modalità con cui esso era sorto. L'Ordine deve infatti la sua esistenza non ad un semplice ed organico processo evolutivo, bensì ad una creazione artificiale che, in una maniera fino ad allora insolita, derivava dall'unione di Ordini eremitani in massima parte autonomi. Nel marzo del 1256, su iniziativa di Alessandro IV (13), si riunirono in S. Maria del Popolo a Roma i rappresentanti dei Guglielmiti, degli Eremiti agostiniani della Toscana, degli Eremiti di Monte Favale, dei Zambonini e dei Brettinesi, allo scopo, nel corso della loro riunione, i cui esiti furono sanzionati il 9 aprile 1256 da Alessandro IV nella Bolla Licet Ecclesiae Catholicae, di rinunciare all'autonomia avuta fino a quel momento e di unirsi sotto un unico nome, sotto un priore generale e con il medesimo abito "ad unam Ordinis heremitarum S.Augustini professionem et regularem observantiam" (14). Decisione, questa, che introdusse una serie di disposizioni che fecero dell'Ordine, anche se non dall'oggi al domani, tuttavia nel corso del XIII secolo, uno strumento efficace al servizio della Chiesa e delle anime (15). Ordine che, secondo gli Agostiniani, era superiore rispetto agli altri Ordini in quanto creato non da un uomo, ma dalla Chiesa, e quindi fondamentalmente dallo Spirito Santo in essa operante (16). Questa cosiddetta "Grande Unione" fu l'inizio della storia dell'Ordine degli Eremiti Agostiniani, durata più di 700 anni. Essa pose fine all'autonomia di quattro dei cinque gruppi indotti all'unione, e chiuse l'epoca che si potrebbe definire "antefatto". I due periodi che essa determina nella storia dell'Ordine eremitano agostiniano, che Guglielmo Flete contrappose troppo drasticamente quali epoche di attività scientifico-pastorale e di isolamento contemplativo, e che il suo confratello Giordano di Quedlimburg (o di Sassonia) nel Liber Vitasfratrum, portato a termine nel 1357, definì tuttavia più disinvoltamente con i dualismi status modernus-status antiquus e tempus fratrum-tempus patrum, non significano per la scelta del nostro soggetto alcuna alternativa. Per la nostra relazione su "L'Eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII" non ci interessa la "storia" che é nata con la cura delle anime, con gli studi e con l'attività ecclesiastico-politica, bensì gli antefatti dell'Ordine eremitano agostiniano, risalenti fino agli inizi del XII secolo, ossia la storia e la particolarità dei gruppi unitisi nel 1256.

NOTE

* Gregorio IX, 16.12.1243; L. EMPOLI, Bullarium Ordinis Eremitarum S. Augustini..., Romae 1628, pag. 164 (=EMPOLI); A. POTTHAST, Regesta Pontificum Romanorum..., Berlino 1875, n° 11199 (=POTT.).

1) Analecta Augustiniana IV (1911-12), pag. 203. (=AA).

2) Capitolo Generale di Firenze 1287 in AA, II (1907-08) pag. 275.

3) D. GUTIERREZ, Notitia historica antiquae scholae Aegidianae, AA, XVIII (1941), pag. 39-67; R. HUITERS, The theological school of Aegidius Romanus, in AUGUSTINIANA: "Tijdschrift voor de studie van S. Augustinus en de Augustijnenorde", IV (1954), pag. 157-177 (=AUG.).

4) E. YPMA, La formation des professeurs chez les eremites de S. Augustin de 1256 à 1354, Paris 1956; D. GUTIERREZ, De antiquis Ordinis Eremitarum S. Augustini bibliotecis, in AA. XXIII (1954), pag. 233-242; Cfr. DICTIONNAIRE DE SPIRITUALITE', IV (1960), cc. 998-1003; F. TOTH, A History of the English Austin Friars, AUG., XII (1962) pag. 401.

5) Tra gli altri, Simone Fidati da Cascia (1280/95-1348) e la sua cerchia influenzata da Angelo Clareno; N. MATTIOLI, Il beato Simone Fidati da Cascia, in ANTOLOGIA AGOSTINIANA, III, Roma 1898; G. McNEIL, Simone Fidati and his "De gestis Domini Salvatoris", Studies in Medieval and Renaissaince Latin Language and Literature, XXI, Washington 1950; G. CIOLINI, Scrittori spirituali Agostiniani dei secoli XIV e XV in Italia, Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister, Roma 1959, II, pag. 345-375 (=SANCUS AUGUSTINUS)

6) R. FAWTIER, St. Catherine de Sienne, Bibl. Des Ecoles Franc. D'Athènes et de Rome, XXI, Paris 1921; A. GWYNN, English Austin Friars in the time of Wyclif, London 1941; B. HACKETT, William Flete and the "De remediis contra temptaciones", Medieval Studies presented to A. Gwynn, S. J., Dublin 1961, pag. 330-348. "Ad fratres provinciae Angliae", "Ad magistros provinciae Angliae" und "Ad provincialem provinciae Angliae" (tra il 29/4 e il 13/5/1280) ed. M. H. LAURENT, De litteris ineditis fr. Willelmi de Fleete (cc. 1368-80), AA., XVIII (1942) pag. 303-324.

7) Ad provincialem: "Ista magna scientia destruit ecclesiam Dei et omnes religiones; Christus eligit piscatores, stultos mundi eligit Deus. Expediet amodo, ut omnes religiosi studerent sanctam stultitiam et obliviscantur scientiam suam", AA., XVIII (1942) pag. 322.

8) Cfr. Anm. 281.

9) A. GRION, S. Caterina da Siena. Studi e documenti di storia religiosa, Brescia 1953, attribuisce a Guglielmo, quale maestro di S. Caterina, un ruolo determinante nella "famiglia sacra". Cfr. tuttavia B. HACKETT, The spiritual life of the English Austin Friars of the 14th century, SANCTUS AUG., II, pag. 475.

10) AA., XVIII (1942), pag. 311, 129ff.

11) AA., XVIII (1942), pag. 310, 319.

12) AA., XVIII (1942), pag. 311; AA., XVIII (1942), pag. 319.

13) Alexander IV, 15.7.1255; AA., IV, pag. 297.

14) Alexander IV, 9.4.1256; AUG. VI (1956), pag. 11-3; POTT. nr. 16334.

15) Per la costituzione dell'Ordine, ancora istruttivo: E. A. von MOE', Recherches sur les Eremites de S. Augustin entre 1250 et 1350, "Revue des questions historiques", LX (1932), pag. 275-316.

16) JORDANUS DE SAXONIA, Liber Vitasfratrum, ed. R. ARBESMANN-W. HÜMPFNER, Cassiciacum. Studies in St. Augustin and the Augustinian Order I, New York 1943, pag. 69 (Vfr.); R. KUITERS, L'amore e la difesa del Romano Pontefice nella spiritualità dell'Ordine agostiniano, SANCTUS AUGUSTINUS, II, pag. 125-146.

17) JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 5, 172 etc.

 

II. Storia e particolarità dei gruppi unitisi nel 1256 nell'Ordine eremitano agostiniano.

La Bolla Licet Ecclesiae Catholicae ci dà solamente informazioni di scarsa utilità sulla storia e sull'essenza dei gruppi riuniti. Essa rinuncia ad una caratterizzazione che possa porre in evidenza le differenze, contrapponendo ad alcune differenze "esteriori" - come ad esempio la denominazione dell'Ordine e l'abito - il richiamo all'unità sostanziale nella condotta di vita che emerge attraverso la comune definizione di "Eremiti": "consona in vobis heremitarum appellatio" (18). L'armonia sottolineata dalla Curia, per motivi comprensibili, fu considerata dai primi storici dell'Ordine come un fatto fisso, immutabile. Per Enrico di Friemar, autore della più antica storia dell'Ordine che ci sia giunta, il Tractatus de origine et progressu Ordinis fratrum heremitarum et vero ac proprio titulo eiusdem, scritta nel 1334, per quanto riguarda i gruppi riuniti si tratta di Ordini che, fino al 1256 similiter in eremis habitantes, furono condotti all'attività apostolica soltanto grazie all'Unione (19). Enrico di Friemar tuttavia era ben lontano da una vera descrizione di tutte le congregazioni unite. Così anche il suo più importante connazionale, Giordano di Sassonia, si concentrò sulla storia degli Eremiti agostiniani della Toscana, ai quali, a motivo della loro maggiore antichità e della loro particolare origine, fu riservata la priorità rispetto a tutti gli altri gruppi (20). Gli storici dei secoli successivi hanno ulteriormente rafforzato l'idea della reale affinità (20). Con passione respinsero l'interpretazione, espressa da estranei, che si trattasse, per quanto concerne i gruppi uniti, di comunità indipendenti le une dalle altre, con un'origine autonoma. Contro tali concezioni, che furono abbastanza spesso manifestate nelle discussioni secolari che l'Ordine eremitano agostiniano condusse con i Canonici, i Francescani, i Cistercensi ed i Guglielmiti, essi cercarono di dimostrare che gli Eremiti Agostiniani toscani risalivano per successione ininterrotta ad Agostino, loro fondatore e legislatore, e che anche i rimanenti gruppi avevano seguito ab ovo la regola agostiniana. Questa concezione leggendaria (22), difesa con esasperato fervore, fa dell'Ordine eremitano agostiniano un'istituzione risalente fino alle origini del monachesimo, la quale, nel corso della sua lunga storia, poté certamente decadere, ma non cambiare nella sua sostanza. I fondatori dei gruppi uniti appaiono da questo punto di vista soltanto come dei riformatori dell'eremitismo agostiniano, e l'Unione del 1256 come la riunione dei membri separati di un unico corpo, vissuti fino ad allora dispersi. A questa concezione, oggi certamente non più difesa ad ogni costo, ma pure perdurante, si contrappone una visione, già espressa poco fa, che non ricerca le origini dell'Ordine né nel primo periodo del monachesimo, né esclusivamente nel campo degli Ordini ortodossi, ma lo fa piuttosto derivare da gruppi religiosi che, secondo difensori dell'universalismo papale come Egidio Romano e Giacomo da Viterbo, lo avrebbero predestinato, quasi tre secoli dopo la fondazione, a suscitare Martin Lutero e a "crollare" in Germania (23), già all'inizio della Riforma, quasi senza alcuna resistenza. Questa concezione è fondata se essa, in contrasto con gli storici dell'Ordine dell'antica scuola, con la communis opinio della ricerca più recente, fissa non la tarda antichità e l'alto medioevo, bensì i secoli XII e XIII come lo spazio temporale in cui devono essere collocati gli effettivi inizi della fondazione dell'Ordine. Per quanto riguarda tuttavia la particolarità e l'ortodossia dei gruppi uniti, essa mostra la mancanza di una base sicura; fino ad oggi comunque, la storia e la spiritualità delle forme primitive dell'Ordine eremitano agostiniano non sono state ancora sufficientemente studiate. E' compito del presente lavoro descrivere la storia dei gruppi uniti, vista da tali punti d'osservazione, e seguire il suo intreccio con le correnti religiose di quel tempo. Tanto per anticipare un risultato, si mostrerà che a tale proposito si tratta in parte di diverse "forme tardive" dell'eremitismo dell'alto medioevo raccolte dalla Curia, ordinate secondo il modello degli Ordini del XII e del XIII secolo, e poste al servizio della cura delle anime. Si mostrerà inoltre che un tale impulso, originariamente rivolto soprattutto alla "vita eremitica", è rimasto vivo, in mutate forme, fino al presente (25).

 

NOTE

18) "...cum consona in vobis heremitarum appellatio et parum diversa professio disparibus titulis et in aliquibus dissimili habituum schemate discreparet...", Alexander IV, 9.4.1256, AUG. IV (1956), pag. 11.

19) R. ARBESMANN, Henry of Friemar's "Treatise on the origin and development of the Order of the Hermit Friars and its true and real title", AUG. VI (1956), pag. 37-121 (=TRACTATUS); Sull'autore: C. STROICK, Heinrich von Friemar, Fereiburg 1954; A. ZUMKELLER, Die Lehrer des geistlichen Lebens unter den deutschen Augustinern vom dreizehnten Jahrhundert bis zum Konzil von Trient [I maestri della vita spirituale tra gli Agostiniani tedeschi dal sec XIII fino al Concilio di Trento], Sanctus Augustinus, II, pag. 243-245.

20) Enrico di Friemar, Tractatus, pag. 103; Giordano di Sassonia nomina solo raramente gli Ordini riuniti, ad eccezione dei Toscani (cfr. pag. 46-47); egli li caratterizza secondo la Bolla "Licet Ecclesiae Catholicae".

21) Cfr. B. A. CORIOLANUS, Chrinica sacratissimi Ordinis Fratrum Heremitarum S. Augustini..., Romae 1481, fol. 33; J. PH. DE BERGAMO, Supplementum Chrinicarum..., Venezia 1490, fol. 141, 192, 196; J. PAMPHILIUS, Chrinica Ordinis Fratrum Eremitarum S. Augustini..., Romae 1581, fol. 29v. Sulla storiografia dell'Ordine, tra gli altri: I. F. OSSINGER, Bibliotheca Augustiniana, Ingolstadt 1785; J. LANTERI, Postrema saecula sex..., Tolentino-Roma 1858-1862; D. PERINI, Bibiographia Augustiniana, Firenze 1935; F. ROTH, Augustinian Historians of the XVth Century, AUG. VI (1956), pag. 635-658.

22) Cfr. B. E. A. FORAN, The Augustinians from St. Augustine to the Union of 1256, London 1938; A. v. d. BORNE, S. Augustinus en de Augustijnenorde, Gent 1945; L. GEORGEBUER, L'Ordre des Augustins, Marchienne-au-Pont 1946.

23) E. WOLF, Die Augustiner-Eremiten in Deutschland bis zur Reformation [Gli eremiti agostiniani in Germania fino alla Riforma], Eredità protestanti medievali. Responsabilità dell'eredità protestante medievale. Conferenze e discorsi in memoria della fondazione del Convento agostiniano di Tubinga del 1262, Tübingen 1962, pag. 39.

24) Bibliografia ordinaria in in AUGUSTINIANA, ANALECTA AUGUSTINIANA, ETUDES AUGUSTINIENNES etc. Per una veduta d'insieme sulla letteratura fino al 1959: K. ELM, Neue Beiträge zur Geschichte des Augustiner-Eremitenordens im 13 und 14 Jahrhundert, [Nuovi contributi per la storia dell'Ordine eremitano agostiniano nel XIII e XIV secolo] in "Archiv für Kulturgeschichte", XLII (1960), pag. 357-387 con aggiunte di B. VAN LUIJK, "Archiv für Kulturgeschichte", XLIV (1962), pag. 130-134.

25) Brevi cenni sui gruppi riuniti, in F. ROTH, Cardinal Richard Annibaldi, First Protector of the Augustinian Order 1234-1276, AUG. II (1952), pag. 26-60, 108-149, 230-247; III (1953), pag. 21-34, 283-313; IV (1954), pag. 5-24. Lo studio fornisce eccellenti elenchi di conventi, ed é un punto di partenza per ogni lavoro sulle origini dell'Ordine Er. Agostiniano. Esso é altresì come dice l'autore "(an) outline, (which) will solve butfew of the existing problems". Nella mia tesi di laurea inedita: Die Anfänge des Ordens der Augustiner-Eremiten im 13 Jahrhundert [Le origini dell'Ordine eremitano agostiniano del XIII secolo], Münster 1959, ho già espresso alcune delle osservazioni che seguono sulla storia e le caratteristiche dei detti gruppi.

 

1. I FRATI EREMITI DI BRETTINO

L'Ordine dei Brettinesi non risale ad un unico fondatore, individuabile in modo chiaro, dal quale possa aver ricevuto la sua impronta e il suo scopo. Esso deve piuttosto la sua esistenza ad un gruppo di credenti rimasti sconosciuti, forse originari di Fano, che all'inizio del XIII secolo si riunirono per condurre motu proprio una nuova forma di vita religiosa a Brettino, località situata a nord-ovest di quella città. La loro comunità, che Gregorio IX l'8 dicembre 1228 nella Bolla Cum olim definì "Ordine religioso", non rimase limitata a Brettino (26). Alla loro prima fondazione, l'Eremo di S. Biagio di Brettino (Eremus S.Blasii de Brictinis) (27), che Gregorio IX il 26 novembre 1227 nella Bolla Sacrosancta Romana aveva preso sotto la protezione papale, si erano uniti nel 1228 dei frati (Fratres) che erano soggetti al priore della casa madre (28). Nel medesimo anno la nuova comunità chiese alla Curia l'approvazione delle sue norme di vita. Diversamente dai Francescani, essi non riuscirono ad ottenere l'approvazione della loro Observantia. Nello spirito delle decisioni del IV Concilio Lateranense essi furono piuttosto costretti da Gregorio IX ad accettare una delle regole approvate, nel caso specifico la regola agostiniana (29). Sette anni dopo, il 13 marzo 1235, il Papa, nella Bolla Quae omnium Conditoris, confermò le Costituzioni che in alcuni punti precisavano la regola assunta nel 1228 (30). Il 3 novembre 1245, quando l'Ordine contava circa dieci conventi (31) situati soprattutto nella marca di Ancona, Innocenzo IV, attraverso il privilegio Religiosam vitam eligentibus portò la sua costituzione giuridica ad un certo compimento (32) dopo aver conferito, già il 24 settembre (33) e l'1 ottobre 1243 (34) nelle Bolle Vota devotorum e Quotiens a nobis, importanti singoli privilegi confermati ancora una volta nel citato privilegio collettivo. A partire dalle fonti disponibili, ossia dai privilegi papali citati, è possibile ricostruire relativamente bene i primi stadi dell'organizzazione giuridica dell'Ordine dei Brettinesi. Altri fatti, come ad esempio l'origine, la posizione sociale e le intenzioni, indispensabili per conoscere la particolarità dell'Ordine, soprattutto la sua spiritualità, non vengono menzionati in tali documenti (35). Soltanto la Bolla Quae omnium Conditoris fa un'eccezione e può essere considerata perciò come il più importante documento della protostoria dei Brettinesi. In una frase precedente alle Costituzioni transumate (36), si dice occasionalmente che fosse intenzione dei Brettinesi cancellare i vitia carnis ed ottenere con la grazia divina e con il proprio sforzo la perennis vitae bravium (37). Se si può considerare l'asserzione riferita nel 1235 come un'espressione dei propositi originari dei Brettinesi, allora per quanto concerne i devoti et humiles filii (38) che si riunirono a Brettino all'inizio del XIII secolo, si tratta non della realizzazione di una nuova ed inconsueta forma di vita, bensì della soddisfazione di esigenze che fin dai tempi antichi furono alla base dell'ascesi cristiana, specialmente di quella monastica: si tratta cioè della "autosantificazione" ascetica. La collocazione e la designazione della prima fondazione, come anche della maggior parte di quelle edificate successivamente, fanno chiaramente riconoscere che l'anacoretismo, quale presupposto per il raggiungimento di un simile scopo, abbia avuto un alto ruolo nella spiritualità di questo gruppo. Le fonti non si esprimono tuttavia sul tipo preciso di ritiro dal mondo. Lo sviluppo dell'Ordine insegna che non può essersi trattato dell'eremitismus purus, escludente secondo natura fondazioni collettive più grandi, se non transitoriamente in statu nascendi. Non si può in ogni caso parlare di un collegamento sistematico di vita eremitica individuale e di vita comunitaria monastica, come quello praticato dagli Ordini eremitani del XII secolo, come ad esempio i Camaldolesi, sebbene singoli membri del primo eremo forse unissero di tanto in tanto particolari esercizi ascetici ed isolamento individuale (39). Le Costituzioni approvate nel 1235 e probabilmente risalenti nella loro essenza all'Osservanza originaria, confermano queste affermazioni. E' vero che esse contengono una disposizione che deve assicurare una certa clausura, ma non conoscono tuttavia alcuna prescrizione per una vita eremitica nel senso delle possibilità sopra indicate (40). Il carattere eremitico della condotta di vita, caratterizzata espressamente da Alessandro IV ancora nel 1255 come vita eremitica (41), consisteva piuttosto nell'isolamento della comunità, decisa alla vita ascetica, dai centri d'insediamento - nel caso specifico dalle città della Romagna e della marca di Ancona - cosicché per i Brettinesi si dovrebbe parlare più di una vita communis in eremo, anziché in generale di vita eremitana (42). Come lo scopo, anche le forme della vita religiosa trascorsa nell'eremo erano di natura convenzionale. Secondo quanto finora sappiamo, esse consistevano fondamentalmente nella preghiera, nel digiuno e nella povertà. Mentre della vita di preghiera si parla solo raramente (43), le Costituzioni, approvate nel 1235, ci informano soprattutto del digiuno. Essi esigevano che si digiunasse non soltanto nei consueti periodi di digiuno della Chiesa, ma anche nell'intero lasso di tempo fra la festa dell'esaltazione della Croce fino alla Pasqua, ad eccezione delle domeniche. Durante tutto l'anno, erano giorni di digiuno il mercoledì ed il venerdì. Nei rimanenti giorni erano consentiti solamente formaggio e uova, la carne era tuttavia severamente vietata come nei giorni di digiuno. Queste richieste, anche nel XII secolo, nel quale ortodossi ed eretici curavano in maniera particolare il digiuno quale mezzo di salvezza individuale, o quale espressione della (Stoffeindlichkeit) di principio, furono non poco severe. Si deve di conseguenza considerare il digiuno non soltanto per il ruolo che esso occupa nella legislazione dell'Ordine, ma anche a causa del suo effettivo rigorismo, come una caratteristica essenziale della spiritualità brettinese, la quale viene collegata con quella dei precedenti Ordini eremitani (44). La povertà, seconda caratteristica di questa comunità religiosa, concerneva sia i singoli, che la comunità. Il singolo doveva essere de colore seu valore vestium minime contendens soddisfatto di un habitus paupertatis (45), la comunità doveva rinunciare a qualsiasi proprietà all'infuori dell'eremo e del giardino e del bosco ad esso relativi (46); redditi derivanti da rendite, decime e simili dovevano quindi essere vietati. E' vero che questa esigenza, che ricordava il principio di povertà degli Ordini eremitani del XII secolo (47), non aveva nulla della durezza di principio con cui la regola francescana prescriveva la totale nullatenenza della comunità, fondò tuttavia una pratica che poteva essersi distinta poco da quella dei frati minori della seconda generazione (48). La povertà, che negli Statuti veniva considerata come espressione dell'imitazione di Cristo, costringeva i nudi sequentes Christum in altitudinem paupertatis, cosicchè nel 1238 essi furono chiamati dal vescovo di Ascoli con un motto già comune al movimento di povertà più antico (49): "mendicanti" (50). I Papi li sostennero a tale proposito attraverso indulti (51) e privilegi di protezione (52), cosicché grazie alle donazioni fu possibile non soltanto erigere l'antico eremo (53), ma anche edificare fino al 1256 circa trenta sedi nel triangolo più o meno delineato da Venezia, Bologna ed Ascoli (54). Per quanto riguarda la fondazione dei conventi, situati in massima parte al di fuori delle città, si tenne conto del fatto che la proprietà consentita dagli Statuti garantisse superfici utilizzabili dal punto di vista agricolo come giardini, vigneti e boschi (55). Ciò accadeva per motivi economici, dal momento che accanto alle elemosine l'attività agricola poteva contribuire alla copertura delle esigenze dell'Ordine, che cresceva rapidamente. Non si può però ignorare il fatto che proprietà di questo genere erano il presupposto per il lavoro manuale che fin dai tempi antichi aveva occupato un posto particolare fra i mezzi dell'ascesi monastica ed eremitana. E' quindi probabile che nel programma dei Brettinesi, rivolto alla "autosantificazione" ascetica, il lavoro manuale giocasse un certo ruolo, sebbene ciò non venga riportato direttamente dalle fonti (56). Non è possibile rispondere con sicurezza alla domanda sulla misura in cui i Brettinesi nel primo periodo dell'Ordine collegassero l'attività apostolica con la loro condotta di vita ascetica. Si deve presumere che essi, nel corso dei viaggi per raccogliere elemosine, viaggi che li misero in contatto soprattutto con i fedeli della marca di Ancona (57), tentassero di svolgere la loro attività pastorale non soltanto con il loro esempio, ma anche con prediche exhortative (58). Quello che per il primo periodo si può soltanto presumere, si può affermare con sicurezza per gli ultimi decenni della storia dell'Ordine. Il 24 settembre 1243 Innocenzo IV permise a sacerdoti dell'Ordine adatti, di predicare e di raccogliere confessioni con l'approvazione del clero competente (59). Una settimana più tardi, l'1 ottobre 1243, egli consentì la sepoltura di defunti nella chiesa del convento tenendo conto delle esigenze del clero parrocchiale, il che presupponeva in qualche misura un'attività pastorale (60). Con ogni probabilità tale attività non apparteneva tuttavia alle intenzioni primarie dei Brettinesi. I fondatori della prima sede, che si presume fossero dei laici (61), dovevano essere ben lontani dalla cura d'anime - "nociva" alla loro "autosantificazione" ascetica - attraverso la predicazione e l'amministrazione dei sacramenti, a maggior ragione dovevano però esserlo dall'idea dell'esercizio dell'attività pastorale a livello parrocchiale. L'assunzione di istituti monastici bisognosi di una riforma, come nel caso del monastero benedettino di S. Maria Magdalena de Valle Petrae nei pressi di Bologna, incorporato definitivamente nel 1253, corrispondeva maggiormente alla loro visione originaria della vita spirituale (62). Nelle lunghe e complicate trattative che precedettero l'acquisizione del monastero, i Brettinesi poterono rendere credibile il fatto che il loro modo di vivere si distinguesse da quello che fino ad allora era stato condotto in quel luogo soltanto attraverso una maggiore severità (63). La svolta verso la cura animarum mediante la predicazione ed il sacramento della penitenza, che seguiva la non improbabile libera e non obbligatoria attività di cura d'anime delle origini, è dovuta sicuramente al fatto che nel corso del tempo si unirono alla comunità sempre più sacerdoti (64) che insistevano su un'attività conforme al loro stato. Da tale cambiamento verso la cura d'anime seguì forse il fatto che negli ultimi anni precedenti la dissoluzione dell'Ordine si edificarono sedi in città come Orvieto (65), Rimini (66) e Terni (67), giungendo addirittura a sollecitare la soppressione della casa madre situata in eremo allo scopo di ricostruirla a Fano, il che, tuttavia, fu impedito nel 1253 da Papa Innocenzo IV stesso (68).

 

NOTE

26) Gregorio IX, 8.12.1228, EMPOLI, pag. 123; POTT. nr. 8288.

27) Gregorio IX, 26.11.1227, EMPOLI, pag. 122; TORELLI IV, 280; A. C. BILLI, Brettino e Simone Cantarini. Cenni storico-artistici, Fano 1866.

28) Gregorio IX, 8.12.1228, EMPOLI, pag. 123; POTT. nr. 8288: "Dilectis filiis fratribus eremi de Brictinis, Fanensis dioecesis, et aliis fratribus eremo ipsi subiectis".

29) Gregorio IX, 8.12.1228, EMPOLI, pag. 123; POTT. nr. 8288.

30) Gregorio IX, 13.3.1235, EMPOLI, pag. 123-125; POTT. nr. 9856. Confermato da Innocenzo IV, 17.9.1250, EMPOLI, pag. 174-175 (datato 1251); POTT. nr 14059.

31) ROTH, in AUG. III (1953), pag. 308-313.

32) Innocenzo IV, 3.11.1245, E. BERGER, Les Registres d'Innocent IV, Bibl. Des Ecol. Franç. D'Athène et de Rome, Paris 1884-1921, II, nr. 1603; ders. 30.7.1252, BERGER, III, nr. 5887, Alessandro IV, 10.4.1255, EMPOLI, pag. 6-9; POTT. nr 15792.

33) Innocenzo IV, 24.9.1243, Arch. Vat. 21, fol. 21; BERGER, I, 128.

34) Innocenzo IV, 1.10.1243, L. TORELLI, Secoli Agostiniani, Bologna 1675, IV, pag. 365-367; BERGER I, nr. 141.

35) E' possibile che il priore Andrea, di cui si parla prima del 1240 (Gregorio IX, 21.8.1240, TORELLI, IV, pag. 355), sia appartenuto ai primi brettinesi. Cfr. ROTH, II (1952), pag. 136, Anm. 248.

36) Cfr. Anm. 30. Probabilmente gli statuti che hanno avuto applicazione incompleta sono soltanto frammenti dell' "observantia" originaria.

37) Gregorio IX, 13.3.1235, EMPOLI, pag. 123-125; POTT., nr. 9856: "Sane praesentata Nobis vestra petitio continebat, quod vos vitia carnis cupientes extinguere, ut succedente virtutem gratia possitis perennis vitae bravium obtinere..."

38) Gregorio IX, 26.11.1227, EMPOLI, pag. 122; POTT., nr. 26186.

39) Il reperto archeologico reso noto da ROTH, in AUG. II (1952), pag. 135 sembra legittimare questa conclusione, ma non é stato ancora interpretato con la dovuta esattezza.

40) Gregorio IX, 13.3.1235: "Item quod nullus in mensa fratrum recipiatur, nisi religiosus extiterit vel constitutus in aliqua praelatura" (Anm. 37).

41) Alessandro IV, 10.4.1255, EMPOLI, pag. 6-9; POTT., nr 15792: "Statuentes, ut ordo canonicus, qui secundum Deum et b. Augustini regulam atque institutionem eremiticae vitae fratrum Brictinensium in domibus ipsis institutus esse dignoscitur, perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter observetur".

42) HUMBERT VON ROMANS intende forse questo genere di vita eremitica, frequente nella protostoria dell'Ordine francescano, quando contrappone, in modo non del tutto fondato sul fatto storico, gli anacoreti del primo monachesimo, i quali probabilmente vivevano solo "singulariter", alle piccole comunità eremitiche del suo tempo. (De eruditione praedicatorum, Maxima Bibliotheca veterum Patrum, XXV, Lyon 1677, pag. 465). P. DOYERE, Complexité de L'Erémittisme, "La vie spirituelle", LXXXVII (1952), pag. 243-254, le caratterizza come forma dell'eremitismo del XIII e XIV secolo, tipica degli italiani e degli spagnoli.

43) Il vescovo Matteo da Ascoli, 1238, TH. HERRERA, Alphabetum Augustinianum..., Madrid 1643-44, I, pag. 167: "in qua (domus eorum) iuxta eorum votum suorum offere possint Jesu Christi hostias labiorum": Innocenzo IV, 4.7.1248; EMPOLI, pag. 171; POTT., nr. 12975: "Fratres Eremitarum de Brictinis ord. S. Augustini, qui divinis obsequiis insistentes non habeant unde valeant sustentari".

44) Gregorio IX, 13.3.1235, EMPOLI, pag. 123; POTT., nr. 8288.

45) Gregorio IX, 13.3.1235: "Ceterum humiliter attendentes quod regnum Dei non in pretiosa veste consistit et quod induit paupertatis habitum conditor singulorum, laudabiliter statuistis, ut fratres vestri ordinis de colore seu valore vestium minime contendentes semper in eis vilitatem observent..."; Innocenzo IV, 3.11.1245, BERGER, II, nr., 1603.

46) Gregorio IX, 13.3.1235: "nec extra eremum possessiones, praeter hortum et silvam, habere praesumant". Un po' più preciso, ma sostanzialmente dello stesso tenore: Gregorio IX, 1.10.1243, TORELLI, IV, pag. 365-367; BERGER I, nr., 141. "Hortus", "silva" und "quaecumque bona" in Innocenzo IV, 3.11.1245, BERGER I, nr., 1603 e Innocenzo IV, 30.7.1252, BERGER II, nr., 5887.

47) Cfr. anche B. BLIGNY, Les premiers Chartreux et la pauvreté, in "Le Moyen Age", LVII (1951), pag. 44; A DE MEYER-J. DE SMET, Guigo's "Consuetudines" van de eerste Kartuizers, Mededelingen van de Kon. Vlaamse Acad. voor Wetenschappen. Letteren en Schone Kumsten van België. Klasse der Letteren XIII, 6, Brüssel 1951, pag. 38-51; J. BECQUET, Les Institutions de l'Ordre de Grandmont au Moyen-Age, in "Revue Mabillon", XLI (1951), pag. 34; J. B. MAHN, L'Ordre cistercien et son gouvernement des origines au milieu du XIII siècle, Paris 1951. Analoghe disposizioni di Gregorio IX per i Carmelitani: S. ZUK, De capacitate possidendi in communi in ordine Carmelitano saeculo XIII, in Analecta Ordinis Carmelitarum, X (1938-1940), pag. 17-20.

48) Il fatto che i Brettinesi disponessero di proprietà utilizzabili solo nell'ambito agricolo, comportava naturalmente una pratica della povertà diversa da quella degli altri Ordini, i quali godevano di relativa autonomia sulla base del lavoro agricolo e dell'allevamento del bestiame. La questua era una conseguenza necessaria della rinuncia ad ogni possesso che valicasse i confini del romitorio, ma poteva anche derivare da altre fonti spirituali.

49) Il vescovo Matteo da Ascoli, 1238, TH. HERRERA, I, pag. 167. Sulla storia dell'espressione, ricca di riferimenti, cfr. tra gli altri H. GRUNDMANN, Religiöse Bewegungen im Mittelal [Movimenti religiosi nel Medioevo], Darmstadt 1961, pag. 13ss; A. MENS, Oorsprong en Betekenis van de Nederlandse Begijn en Begardenbewegung, Antwerpen 1947, pag. 17, 254; L. SPÄLTING, De Apostolicis Pseudoapostolicis, Apostolinis, München 1947, pag. 47; E. WERNER, Pauperes Christi, Leipzig 19.. , pag. 19-20.

50) Innocenzo IV, 27.9.1247, EMPOLI, pag. 171; POTT., nr. 12697; Innocenzo IV, 4.7.12, EMPOLI, pag. 172; POTT., nr. 12975: "nec permittatis super elemosynis colligendis ad stentationem ipsorum ab aliquibus inferri molestiam aliquam vel gravamen".

51) Numerose lettere sulle indulgenze per le diverse case in un 'Vidimus' dal 1310 al 1317 in TORELLI IV, pag. 407-408; ROTH in AUG. III (1953), pag. 308; AA. IV (1911-1912), pag. 4.

52) Innocenzo IV, 4.7.1248, EMPOLI, pag. 172; POTT., nr. 12975.

53) Innocenzo IV, 27.9.1247, EMPOLI, pag. 171; POTT., nr. 12697. Sulle ulteriori vicende di questa casa cfr. Anm. 68.

54) ROTH in AUG. III (1953), pag. 308-313.

55) Cfr. ad esempio Innocenzo IV, 6.10.1250, BERGER II, nr. 4856; donazioni per Valmane 1238: AA. III (1909-1910), pag. 428.

56) Quanto alla sua dimensione, essa non era certo paragonabile con quella dei Cistercensi. Vedi anche Anm. 48.

57) Gregorio IX, 13.3.1235, EMPOLI, pag. 123-125; POTT., nr. 9856; Gregorio IX, 18.8.12, TORELLI, IV, pag. 353; POTT., nr. 10932; Innocenzo IV, 4.7.1248, EMPOLI, pag. 171; POTT., nr. 12975.

58) Se la conversione di Nicola da Tolentino, che il suo biografo Pietro da Monte Rubiano (AA.SS. Sept. III, pag. 644-664) non lascia passare in secondo piano come esempio di mortificazione, rinuncia e umile modestia rispetto a S. Francesco d'Assisi, fosse stata realmente promossa da un brettinese, come per lo più si ritiene (ad esempio B. N. CONCETTI, Vita di S. Nicola da Tolentino, Tolentino 1932), allora l'apparizione di questo "predicatore ambulante", il quale predicava sulle strade e sulle piazze delle città della Marca di Ancona, sarebbe una testimonianza tardiva (1255-1256) del fatto che questa forma di attività apostolica, non rara all'inizio del sec. XIII, era praticata anche dai Brettinesi.

59) Innocenzo IV, 24.9.1243, Archivio Vat. Reg. 21, fol. 21; BERGER, I, nr. 128.

60) Innocenzo IV, 1.10.1243, TORELLI, IV, pag. 365-367; BERGER, I, nr. 141.

61) B. VAN LUIJK, Het Kruisheren-Ideaal en de intensivering van de Volkszielzorg in de dertiende Eeuw, "Het Oude Land van Loon", XVI (1961), pag. 146, Anm. 21.

62) Sulle trattative cfr.: Innocenzo IV, 17.7.1247, EMPOLI, pag. 170; ders., 7.12.1249, EMPOLI, pag. 172-173; ders., 2.12.1253, BERGER, III, nr. 7097.

63) Innocenzo IV, 7.12.1249, EMPOLI, pag. 173.

64) Innocenzo IV, 1.10.1243, TORELLI IV, pag. 365-367; ders., 24.9.1243, BERGER, I, nr. 128; Archivio Vat. Reg. 21, fol. 21.

65) Innocenzo IV, 1.10.1251, AA., I (1905-1906), pag. 426; ROTH, in AUG., III (1953), pag. 311.

66) Innocenzo IV, 1.9.1247, AA., V (1913-1914), pag. 426; ROTH, in AUG., III (1953), pag. 312.

67) Innocenzo IV, 27.1.1252, AA., V (1913-1914), pag. 466; AA., VIII (1953), pag. 212-216.

68) P. M. Amiani, Memorie istoriche della Città di Fano, Fano 1751, pag. 211-212; Innocenzo IV, 1.7.1253, EMPOLI, pag. 184-185; POTT., nr. 15039.

2. GLI EREMITI DI FRA GIOVANNI BONO

L'Ordine dei Zambonini sorse all'inizio del XIII secolo nella macchia di Butriolo, situata nei pressi di Cesena nelle propaggini dell'Appennino, a circa 60 km. soltanto da Brettino, dove nel medesimo periodo si costituì la comunità di eremiti che prese il nome da quel luogo. I due Ordini confluiti nel 1256 nell'Ordine eremitano agostiniano sono quindi vicini per luogo e periodo d'origine. La loro affinità non riguarda tuttavia solamente le date esteriori. Anacoretismo, ascesi, povertà e mendicità, così come l'attività pastorale crescente nel corso del tempo, hanno determinato in egual misura la spiritualità dei Brettinesi e dei Zambonini, cosicché anche a causa della loro affinità spirituale possono essere considerati come un unico gruppo (69). L'Ordine dei Zambonini si distingue tuttavia da quello dei Brettinesi per il fatto che in esso le forme di religiosità sono più chiaramente delineate e la loro cooperazione era collegata a certe difficoltà e ad occasionali tensioni. La maggiore vivacità dell'Ordine dei Zambonini e la più intensa varietà della sua storia che da essa scaturiva, si può spiegare in diversi modi. Le sue origini non sono né collettive né anonime. L'Ordine risale piuttosto -come indica il nome- all'unico fondatore, Giovanni Bono. Questi, fondatore dell'Ordine, a torto quasi dimenticato dalla storia, unì alla sua mitezza, molto più conosciuta, una forte volontà che lo indusse con vigore alla realizzazione delle sue idee monastiche. Una volontà che poté tuttavia esprimersi non senza conflitti con l'ambiente esterno, addirittura con l'Ordine da lui stesso fondato. La forza plasmante di questa personalità fu tanto più forte quando essa venne meno per la prima volta nel 1249, che poté operare quasi fino alla dissoluzione dell'Ordine. La seconda ragione per cui la storia dei Zambonini appare più vivace è molto più concreta. A tale proposito non siamo vincolati alle scarse affermazioni dei privilegi papali, che descrivevano più l'aspetto giuridico che non quello spirituale, bensì possediamo tutti gli atti delle indagini condotte nell'ambito della preparazione del processo di canonizzazione, atti che sul fondatore e sugli inizi dell'Ordine comunicano non soltanto una serie di fatti, ma consentono di trarre conclusioni analogiche che possono dare rilievo alla pallida storia dei Brettinesi. Il 27 luglio 1251, due anni dopo la morte di fra Giovanni, in S. Marco a Mantova, su richiesta del vescovo Giacomo della Porta e del comune di Mantova, ebbero inizio le prime interrogazioni dei testimoni che durarono fino al 6 agosto e che furono condotte, su incarico di Innocenzo IV, dal vescovo Alberto da Modena assieme a Innocenzo Gonzaga, prevosto del Capitolo della cattedrale di Mantova, ed al priore del già citato convento di S. Marco (70). Portate avanti dal 28 settembre al 4 dicembre 1253, esse furono terminate finalmente nel gennaio 1254, dopo una terza fase del processo aperta il 27 dicembre 1253 a Cesena, in entrambi i casi sotto la presidenza del Maestro Michele, un cappellano del seguito del cardinale Guglielmo Fieschi, allora cardinale protettore dell'Ordine dei Zambonini. Gli ampi atti redatti dai notai Bonaventura e Lanfranco, ed in seguito da mano sconosciuta - atti che mostrano una conduzione sorprendentemente critica dei dibattiti, volta ad una precisa comprensione delle materia - riassumono le dichiarazioni di 232 testimoni, i quali non soltanto per vivo ricordo, ma anche secondo la loro diversa origine, riferiscono sotto aspetti differenti sulla vita, i miracoli e la fede del defunto in odore di santità. La fonte ha perciò un valore per la storia primitiva dell'Ordine che nessun altro documento ha dimostrato (71). La figura di Giovanni Bono (72), la cui caratterizzazione deve precedere la descrizione della storia e della tipicità dell'Ordine da lui fondato, per quanto riguarda le testimonianze citate si trova naturalmente al centro dell'attenzione. I testimoni sanno che egli dal 1209 al 1249 condusse nell'isolato Butriolo un'esistenza (73) che essi definirono con estrema chiarezza con il concetto di poenitentia (74). Le loro affermazioni sono risposte allo stereotipo di domande ricorrenti da parte della commissione esaminatrice. Guidati da queste domande, essi sottolineano nel carattere e nelle esperienze della vita di Giovanni quei tratti che corrispondono alla rappresentazione tradizionale dell'essenza della santità. Nonostante tali limitazioni, essi rendono manifesto il fatto che la spesso menzionata poenitentia si realizzò in forme caratteristiche dell'eremitismo medievale e del primo cristianesimo. Giovanni, che definiva se stesso peccator (75) e che venne definito come peccator eremita (76), corrispose nella sua esteriorità alle rappresentazioni che noi sulla base delle fonti letterarie ed iconografiche, possiamo fare del ritratto esteriore di un eremita. Portava una lunga barba, incanutita nella vecchiaia (78), e per la maggior parte della sua vita di preghiera indossò una sottile tunicella grigia con il cappuccio cucito sopra. Questa era trattenuta da una cintola e lasciava scoperti i piedi e le gambe al di sotto del ginocchio (79). Il bastone, ritenuto attributo tipico dell'eremita accanto alla barba e all'abito lungo fino al ginocchio, non viene menzionato negli atti del processo. Poiché però ancora nel 1240 di membri del suo Ordine si disse che apparissero baculos gestantes in manibus, si deve concludere che anche il fondatore dell'Ordine non fosse sprovvisto di questo segno caratteristico (80). Giovanni, come era consuetudine per gli antichi eremiti e per i gruppi impegnati nella realizzazione della vita evangelica, rinunciò alle calze sia in estate che in inverno, e quando non andava a piedi nudi, indossava zipelli di legno che come un pesante copricapo di lana in estate, dovevano servire non alla comodità, bensì alla mortificazione (81). La sua cella, situata nei pressi di una sorgente, una capanna a se stante, neanche in inverno veniva riscaldata. Oltre ad alcuni oggetti devozionali, come il crocifisso e l'immagine della Madonna, essa conteneva una nuda tavola di legno di quercia che, perlopiù senza coperta, doveva servirgli per il riposo notturno (82). Le veglie notturne, che in periodi di particolari tentazioni duravano fino a tre notti, consentivano certamente solo un breve riposo (83). Nel tempo che restava, la sua vita nella cella era determinata dai classici esercizi degli anacoreti: silenzio, preghiera, digiuno e mortificazione. Il silenzio quale strumento di ascesi e presupposto della contemplazione, nei giorni in cui egli riceveva la Comunione e nei periodi di digiuno raggiungeva il suo culmine (84); negli altri periodi i rapporti con i compagni e l'andirivieni dei fedeli che lo cercavano non consentivano un simile e rigido isolamento. La preghiera si limitava more laicali alla ripetizione di poche formule di cui faceva significativamente parte il salmo penitenziale Miserere mei, Domine. Dell'intensità della preghiera, che consisteva ad esempio nel ripetere duecento volte il Padrenostro (85), danno testimonianza le forme delle dita dei piedi, delle ginocchia e delle mani rimaste impresse nel pavimento della sua cella (86): tracce che portano a concludere che Giovanni assumesse un atteggiamento di preghiera simile alla prosternazione che ancor prima di lui, sull'esempio degli eremiti protocristiani, Stefano da Muret e Godri da Finchale stimavano quale esercizio ascetico particolarmente difficile (87). Giovanni si asteneva quasi completamente dalla carne, digiunava tutti i giorni tranne la Domenica, quando assumeva una pietanza sostanziosa se le sue condizioni di salute lo rendevano indispensabile (88). Durante i periodi di digiuno della Chiesa egli rinunciava pressoché totalmente al mangiare ed al bere. Nell'ultimo periodo di digiuno della sua vita - nell'anno 1249 - si accontentava ad esempio di non più di un pane e di una scarsa porzione di vino reso praticamente imbevibile in quanto mescolato con una brodaglia salata. Questi sforzi ascetici, in tutta la loro durezza comunque convenzionale, furono coronati da pratiche di sovrumana mortificazione. Di tanto in tanto Giovanni si infilava schegge di legno sotto le unghie allo scopo di resistere alle tentazioni della luxuria (89). Con la medesima intenzione egli si tagliuzzava la pelle su un letto di tortura fatto di schegge appuntite e di corteccia d'albero (90), quando addirittura - come accadde ancora in età avanzata - non si obbligava a testa in giù in una fossa cosparsa di bastoncini, in una maniera che agli stessi suoi compagni appariva singolare, al fine di accrescere ulteriormente il dolore causato dal grottesco comportamento da fachiro (91). Tipici come i comportamenti ascetici sono anche le facoltà sovrannaturali attribuite dai testimoni agli eremiti. Come gli anacoreti dell'antichità, Giovanni era dotato del dono delle lacrime. Nel suo caso, tuttavia, non si trattava dell'espressione di una tristezza dovuta alla profonda coscienza dei propri peccati, ma del segno della commozione che egli provava nel ricevere l'Eucaristia (92). La sua grazia pneumatica si manifestava nella capacità di superare i demoni (93) e di discernere gli spiriti (94), così come nel dono profetico che gli consentiva di prevedere il destino dei suoi confratelli e di predire la sua stessa morte in un modo che ricordava il monachesimo antico (95). Essa culminò nel suo potere, sempre celebrato, di operare miracoli, di cacciare il Maligno e di guarire i malati. Il nostro primo tentativo di caratterizzazione sottolineava i tratti tipici nel comportamento di Giovanni Bono e alla sua figura prendeva l'individualità storica stilizzandola e riducendola all'ideale eremitico senza tempo alla stessa stregua degli atti del processo. Quanto tuttavia l'eremita fosse in realtà influenzato dalle correnti religiose e politiche del suo tempo diviene chiaro se si cerca di rappresentare la sua attività pastorale. L'affluenza al suo eremo di credenti provenienti dalla Romagna e dalle regioni confinanti (96) gli offriva la possibilità di esercitare per così dire in situ la sua attività apostolica. Lo scopo di quest'ultima, per la quale era particolarmente portato grazie alla sua vigorosa forza di persuasione (97), non consisteva solamente nell'esortazione ad una vita migliore, bensì - cosa estremamente attuale - nel conflitto con le minacce politiche e religiose che la Chiesa dovette affrontare nella prima metà del XIII secolo. La posizione del suo eremo nelle vicinanze della via Emilia gli consentì di opporsi con discorsi, prediche e rimproveri alla minaccia politica degli Svevi, dei loro dignitari e sostenitori (98). Egli cercò continuamente di far capire ai seguaci del partito imperiale, i quali, in massima parte scomunicati, interrompevano i loro viaggi per vederlo, che al seguito dell'Imperatore si trovavano sulla via della perdizione (99). Se si può prestar fede ai testimoni, a Butriolo egli andò incontro al figlio stesso dell'imperatore, Enzo, allo scopo di persuaderlo ad abbandonare la causa di suo padre e a sottomettersi al comando della Chiesa (100). La lotta per l'autorità della Chiesa era per lui così importante, da indurlo a lasciare il suo eremo - il che accadde solo raramente - per esortare, nella sua maniera semplice ma inequivocabile, i vicarii et nuncii imperiali che soggiornavano a Cesena, ad assoggettarsi alla Santa sede (101). Dalla Historia Ravennatum si viene a conoscenza del fatto che egli riuscì a comporre controversie fra Ravenna e Cervia (102). Al confronto fra la Curia e gli Svevi che ebbe fine solamente col tramonto della dinastia sveva, l'eremita, debole ed in grado di agire soltanto con la parola, non poté togliere nulla della sua risolutezza. I suoi tentativi furono vani come l'impresa audace ma illusoria di S. Francesco che voleva convertire il sultano al cristianesimo. Oltre all'agitazione politica, il tema determinante delle prediche e delle esortazioni di Giovanni Bono era il conflitto con le minacce religiose, ossia con le eresie che nella prima metà del XIII secolo erano vive più che mai. Gli sforzi da lui sostenuti nella lotta contro l'influenza degli eretici, fra i quali i Catari, a ragione, gli sembravano particolarmente pericolosi, ebbero più successo dei tentativi di esercitare un influsso politico. Stando alle affermazioni dei testimoni, molte persone cadute in eresia furono convertite da Giovanni Bono e ricondotti nella chiesa (103). Sul metodo utilizzato da Giovanni in questi tentativi di conversione, riferisce con grande precisione un carrozzaio originario di Mantova, Giacomino, il quale circa nel 1237 fu convertito da Giovanni (104). L'impulso alla sua conversione, sebbene involontariamente, scaturì da lui stesso (105). Il vero atto di conversione non si manifestò in modo razionale, bensì grazie ad un miracolo dell'eremita. Lo precedettero tuttavia discussioni teoriche che consistettero nel fatto che Giovanni tentasse di condurre l'eretico sulla via dell'ortodossia attraverso il richiamo ad auctoritates ed exempla sanctorum. Gli ammaestramenti non cessarono neanche dopo la conversione. All'eretico che come penitente espiava la sua deviazione, Giovanni insegnò gli articoli del Credo come la Chiesa di Roma li insegna ed egli da allora si attenne ad essi, stando a quando da lui riferito. Questo metodo, in sé evidente, appare nella sua giusta luce soltanto se si richiama alla mente il fatto che Giovanni Bono non era un chierico, ma un laico, che non era in grado né di leggere né di scrivere, e che sapeva recitare appena il Pater nostrer, il Credo, il salmo Miserere ed alcune altre orationes non meglio identificate (106). Non sappiamo quando questo impulso alla predicazione e al dedicarsi alla parola di Dio - impulso che egli condivise con i contemporanei ortodossi ed eretici - trovò una legittimazione attraverso il magistero della Chiesa. Con maggiore probabilità emerge dagli atti del processo il fatto che il tentativo, intrapreso senza una formazione teologica, di addentrarsi nel campo della predica dogmatica partendo da quello dell'exhorte priva di vincolatività che da sempre agli eremiti stava aperta davanti, fu realizzato solamente con difficoltà e che condusse a conflitti con il clero competente. Il laico, che insegnava agli eretici, sicut deberent credere articulo fidei et sicut ecclesia Romana credit et tenet, nel 1224, davanti al vescovo Ottone II da Cesena, dovette scagionarsi da accuse che alcuni fratres de poenitentia avevano avanzato contro di lui. Nel 1251 i testimoni non si potevano più ricordarsi di che genere di calunnie di trattasse. Soltanto uno di loro, il frate Bonincontro sapeva ancora che l'eremita aveva dovuto difendersi a causa di quaedam capitula (107). Sei anni più tardi Giovanni si trovò in una situazione simile. Nel 1234 egli discusse con un canonico cesenate di nome Letus, definito come un esperto di diritto canonico. Egli riuscì a convincere questi della giustezza della sua opinione riuscendo a trovare con assoluta sicurezza nel Liber decretalium a lui sconosciuto il passo che supportava l'idea da lui rappresentata. Secondo quanto riferito dai testimoni si deve a malapena supporre che Giovanni abbia dovuto difendersi, forse a causa del suo cambiamento di vita, di fronte al vescovo ed al canonico, agli esponenti o rappresentanti del magistero della Chiesa. Si giunge più prossimi alla verità se si suppone che asserzioni dogmatiche, che agli accusatori apparivano sospette, conducessero a denunce e ad indagini. Se si presuppone tali circostanze di fatto, l'indicazione secondo cui Giovanni Bono con il canonico sovracitato disputò sulla quaestio matrimonialis, può dare ulteriori chiarimenti (108). Per quanto riguarda la questione del valore e della validità del matrimonio, che era ciò che probabilmente si poteva intendere con la quaestio matrimonialis, non si trattò di un problema accademico (109). Il dualismo cataro implicava la negazione del matrimonio come uno strumento del demonio e faceva della questione sulla sua ammissibilità e legittimità morale uno dei più importanti punti di controversia fra ortodossi ed eretici (110). E' quindi ovvio supporre che Giovanni Bono, riguardo a tale questione, avesse preso posizione nella controversia con gli eretici ma che si fosse discostato, almeno secondo l'opinione degli accusatori, dal punto di vista ortodosso. In entrambi i casi Giovanni fu in grado di difendersi. L'incapacità di distinguere con sicurezza fra i comportamenti, sotto molti aspetti simili, dei movimenti religiosi ortodossi ed eretici del XIII secolo - incapacità venuta alla luce in tale occasione - si manifestò tuttavia ancora una volta dopo la sua morte. Le indagini predisposte nelle prime fasi del processo di canonizzazione non furono evidentemente sufficienti a giustificare una canonizzazione. La generale prudenza ed i risultati fino ad allora ottenuti resero al contrario necessaria l'effettuazione, due anni dopo, di interrogazioni sotto nuovi punti di vista. Nel 1253 non si fecero più come un tempo indagini esclusivamente sulla vita e sui miracula del candidato: perno delle indagini divenne la fides (111). Le risposte furono conformi a ciò. Il pubblico contrasto con i Catari (112), la confessione del Credo (113), la venerazione della Madonna e della Croce (114), il ricevere i sacramenti (115), la preghiera frequente (116), l'uso dell'acqua benedetta (117), la fedeltà alla Chiesa di Roma ed il timore reverenziale nei confronti del clero sono argomenti istruttivi (118) con i quali i testimoni, fra i quali Mangino (1234-54), successore del già citato vescovo Otto da Cesena, cercarono di dissipare i dubbi della commissione e di dimostrare l'ortodossia dell'eremita (119). Per motivi dei quali noi possiamo soltanto supporre che avessero forse a che fare con l'ortodossia personale di Giovanni, secondo noi indubitabile, il processo rimase senza risultato, cosicché il suo ricordo sbiadì soprattutto quando l'Ordine, dopo la sua fusione con gli Eremitani agostiniani, presto cominciò a venerare come patrono Agostino. La sua tomba in S.Agnese a Mantova, venerata dai fedeli nella metà del XIII secolo, cadde nell'oblio. Su iniziativa dei Gonzaga e dell'Ordine eremitano agostiniano, tuttavia, il suo culto conobbe a partire dalla fine del XV secolo una rinascita. Questi sforzi, però, non riuscirono ad andare oltre la beatificazione grazie a Papa Sisto IV e a limitate concessioni mediante i suoi seguaci. All'eremita Giovanni Bono rimase precluso l'onore degli altari in senso stretto (120). Il confronto con l'eresia, che si espresse nella maniera più vigorosa nell'attività apostolica, delinea alcuni tratti anche della sua vita spirituale, marcata dalle tradizioni dell'eremitismo. Questo legame emerge con assoluta evidenza dal centro più intimo della sua esistenza, ossia dal suo rapporto coi Sacramenti. Anche qualora non si potesse passar sopra al fatto che la formulazione della domanda dell'ultima fase del processo avesse determinato una rappresentazione di tali aspetti indubbiamente sproporzionata rispetto all'intera ampiezza di una vita spirituale, non si può però non riconoscere che i Sacramenti dell'Eucaristia e della Penitenza avessero un'importanza fondamentale nell'esistenza e nel pensiero di Giovanni Bono. Giovanni espresse la sua venerazione per l'Eucaristia non soltanto nella forma dell'eulogia (121), diffusa nel XII e XIII secolo fra credenti ed eretici, ma specialmente attraverso una frequenza della Comunione inconsueta per il suo tempo (122). Coi segni di profonda commozione egli riceveva tutte le domeniche il Corpo di Cristo. Allo stesso modo, e addirittura più intensa era la pratica della confessione. Egli si confessava più volte durante la settimana, qualche volta perfino più volte nello stesso giorno, rivolgendosi a coloro che fra i suoi compagni erano sacerdoti senza tuttavia preferire un confessore in particolare (123). Si può interpretare il fatto di ricevere spesso i Sacramenti come segno della crescente devozione individuale che nel XIII secolo caratterizzava ampi gruppi di laici (124). Non è tuttavia possibile cogliere in tal modo il particolare ruolo che essa giocò nella vita spirituale dell'eremita. La frequenza della confessione e della Comunione si fonda, nel caso di Giovanni Bono, su un'acutezza del sapere e su una sensibile inquietudine che deriva dalla conoscenza della difficoltà a riconoscere il vero Credo in un periodo di incertezza religiosa e politica, nella mala credulitas, in qua hactenus fuit pro toto mundo, e ad evitare la frequentazione di scomunicati (125). Davanti a questo pericolo intensamente avvertito, la confessione e la Comunione divennero gli appoggi e le sicurezze che dovevano garantire l'unico punto fermo in un'epoca di incertezze, il legame con la Chiesa di Roma. Di fronte ad un tale significato dei sacramenti, non deve meravigliare il fatto che la loro difesa fosse una delle esigenze più importanti della sua attività apostolica (126). Egli dovette difendere la presenza reale non soltanto in contrasto con gli eretici, ma anche nei confronti dei dubbiosi nella cerchia dei suoi stessi compagni (127), che si componeva non solo di uomini di differente estrazione sociale, bensì anche di diversa intensità di fede e perseveranza (128). La massima considerazione dei sacramenti includeva il rispetto dei sacerdoti quali loro amministranti ed intermediari, rispetto che egli quindi esigeva anche quando i singoli rappresentanti di questo stato non lo avevano meritato a causa del loro condotta morale di vita (129). Questa esigenza era particolarmente accentuata dal confronto con gruppi eretici come i Valdesi, che rigettavano la funzione della gerarchia, necessaria per la salvezza, cosicché Giovanni poté definire la concezione della necessità del sacerdozio e l'ineminabilità del suo carattere come uno dei criteri fondamentali che distinguevano i credenti dagli eretici (130). Nell'ambito di tale visione, il ruolo del Papato veniva conseguentemente enfatizzato come autorità di magistero decisiva, il cui "potere di legare e sciogliere", relativo all'imitazione di Pietro, appartenevano alle concezioni sempre espresse da Giovanni Bono (131). L'affermazione della particolare autorità sacerdotale non escludeva la certezza dell'esistenza di una forza attiva "pneumatica" al di fuori dei sacramenti (132). Giovanni era cosciente di poter agire anche laddove fallivano non soltanto i mezzi naturali, bensì anche le benedizioni dei preti, come dimostra il gran numero di guarigioni operate con una indubbia naturalezza. La funzione dei miracoli più spettacolari è tuttavia diversa da quella delle numerose guarigioni di malattie. Essi non dovevano solamente aiutare persone malate e mostrare così l'onnipotenza di Dio operante attraverso Giovanni, bensì avevano lo scopo, laddove le parole umane e le argomentazioni teologiche fallivano, di dimostrare determinate verità di salvezza, come la transustanziazione (133) e la risurrezione (134), o di ricondurre alla fede dubbiosi e miscredenti. Il Santo stesso esprimeva la convinzione di poter contribuire alla lotta contro l'eresia mediante i miracoli che il suo corpo benedetto da Dio avrebbe compiuto anche dopo la sua morte (135). Egli voleva, come di fatto accadde (136) nell'ottobre del 1249, morire a Mantova, una delle roccaforti catare (137), affinché attraverso i prodigi presso la sua tomba, si avesse un segno ad destructionem haereticorum multorum ibidem existentium... et ad corroborationem fidei Christianae.

Lo storico non può confermare la profezia di Giovanni secondo cui presso la sua tomba si sarebbero verificati miracoli quali dal tempo degli apostoli non si erano più avuti (138). Lo spegnersi relativamente rapido del culto parla più per il contrario. Si deve tuttavia far risalire alla sua pretesa l'aver contribuito, mediante la sua vita e la sua morte, al superamento dell'eresia e al rafforzamento della Chiesa. La lotta contro le eresie del XII e del XIII secolo che scuotevano le fondamenta della Chiesa, viene considerata generalmente come un'opera dei grandi Ordini che affrontavano gli eretici con gli strumenti dell'apologetica e dell'inquisizione, o che cercavano di convincerli attraverso un'esistenza apostolica. Per quanto riguarda le opere ad esempio dei Cistercensi, dei Domenicani e dei Francescani, che i patriarchi dei loro Ordini precedettero nella lotta contro gli eretici, non può esistere alcun dubbio. Proprio a causa della grandezza di tale attività, ci si è tuttavia lasciati sfuggire il fatto che non soltanto gruppi più piccoli, come i Poveri Cattolici ed Umiliati riconciliati da Innocenzo III, ma anche singoli individui al di fuori delle "armate" contrastarono i nemici della Chiesa. Nell'eremitismo rinato grazie ai movimenti dell'XI e del XII secolo, la cui tradizione, a partire dal paleocristianesimo, neppure in occidente non si era mai spenta, si presentò un punto di partenza verso la rinuncia ascetica ed il perfezionamento personale nell'imitazione di Cristo, cosicché in esso nacque un contrappeso alle "pratiche" ascetiche press'a poco della perfectio catara, che poté fronteggiare, assieme alla rudimentale influenza dell'ambiente pastorale in massima parte trascurato, la debolezza di fede e l'eresia derivanti dall'ignoranza religiosa o dall'insufficiente credibilità del clero. Quale esempio di queste forze rimaste perlopiù anonime, si guadagnò la stima degli storici della Chiesa (140) proprio l'eremita nel suo tempo avvertito dagli eretici stessi come un pericolo (139) ed ora quasi totalmente dimenticato. La rappresentazione cui finora siamo giunti non può essere considerata completa, dal momento che non prende in considerazione un aspetto fondamentale. Essa isola la figura di Giovanni Bono e potrebbe dare l'impressione che si sia trattato di un eremita vissuto per quarant'anni da solo in isolamento, e non invece del fondatore e del capo provvisorio di un Ordine eremitano. Nelle pagine seguenti ci si chiederà quindi come quest'Ordine eremitano sia sorto e quale ruolo l'eremita abbia in esso giocato. I testimoni che spesso definiscono Giovanni come "institutor et inventor regulae heremitarum primitius in provincia Romaniolae" (141), non danno a tali domande alcuna risposta dettagliata, poiché la formazione dell'Ordine non fu resa, durante il processo di canonizzazione, vero e proprio oggetto d'indagine. Solamente la combinazione delle informazioni da loro date perlopiù casualmente con la tradizione documentale può fornire un quadro approssimativo dell'origine dell'Ordine e delle funzioni ed attività svolte in esso da Giovanni Bono. Le dichiarazioni di alcuni membri dell'Ordine interrogati a Cesena (ad esempio il priore generale Lanfranco da Milano) (142), indussero storiografi precedenti a supporre che Giovanni Bono avesse fondato l'Ordine che da lui prese il nome già attorno al 1209, immediatamente dopo il suo ritiro dal mondo (143). Tale opinione è tuttavia in contrasto con un documento di Guglielmo Fieschi, inserito nella Bolla Admonet nos cura (15.4.1253), secondo cui Giovanni ed i suoi compagni cominciarono a vivere regulariter soltanto dopo che la Curia, dietro loro richiesta, aveva loro consentito l'assunzione della regola agostiniana (144). Il documento non riferisce quando fu fatto questo passo importante per la costituzione dell'Ordine. Dagli atti del processo emerge tuttavia il fatto che ciò non può aver avuto luogo prima del 1217. Secondo le dichiarazioni dei più vecchi membri dell'Ordine, Giovanni cominciò infatti a radunare seguaci non prima di questo periodo (145). Poiché l'adozione della regola fu preceduta da un'approvazione da parte del vescovo di Cesena, e dalla fondazione di altri eremi, la si può collocare non immediatamente dopo il 1217, bensì non prima del decennio successivo. Se dunque la costituzione di fatto della comunità, e più che mai l'adozione della regola agostiniana ebbero luogo solamente dopo il 1217, rimane un periodo di circa otto anni durante il quale Giovanni Bono visse da solo a Butriolo (146). Ciò che lo spinse a ritirarsi in quel luogo non viene riferito negli atti del processo. Autori posteriori, fra cui Antonino da Firenze, sanno che Giovanni, nato a Mantova nel 1168, fino al suo quarantesimo anno di vita andò in giro per il mondo come ioculator e che solamente grazie ad una grave malattia fu indotto a far penitenza per quarant'anni per la sua vita "immorale" (147). La storia della conversione, ulteriormente abbellita nella letteratura, non è inventata di sana pianta, ma ha un preciso fondamento nelle fonti. Come già detto, negli atti del processo la vita di Giovanni viene definita con grande unanimità come "vita poenitentiae". Gli autori conclusero nel senso della pratica della penitenza pubblica esercitata fino all'alto medioevo, dal fatto del facere poenitentiam per la colpa concreta corrispondente ad una simile penitenza. Non si resero conto che tale espressione si riferiva nel XII e nel XIII secolo anche al desiderio volontario di penitenza che indusse molti credenti, a cambiare la loro esistenza per vivere con un semplice abito da soli o in comunità, nella propria casa o in eremi isolati, in digiuno, povertà, castità e preghiera (148). Il desiderio di una vita cristiana più consapevole, che faceva propria la forma di vita sanzionata già nei primi tempi della Chiesa, per realizzare in essa un profondo cambiamento di vita e di princìpi, si manifestò particolarmente forte, secondo le conoscenze di cui finora disponiamo, in Lombardia, nelle Marche ed in Romagna (149).

Il movimento penitenziale raggiunse qui all'inizio del XIII secolo una dimensione tale, che i comuni si videro autorizzati ad intervenire contro di loro dal momento che il rifiuto dei penitenti di portare armi e di assumere cariche pubbliche, rappresentava un turbamento della vita cittadina (150). Dovrebbe sorprendere se questo diffuso fenomeno non avesse trovato alcun riflesso negli atti della canonizzazione. Ai 232 testimoni appartenevano infatti numerosi "fratres et sorores de poenitentia", dei quali alcuni già ben presto ebbero stretti ed amichevoli contatti con Giovanni Bono (151). Questo rapporto e la particolarità della condotta di vita portano a supporre che Giovanni non stesse accanto a questa corrente collegata, per origine e manifestazioni, ai molteplici movimenti eretici ed ortodossi del XIII secolo, ma che fosse da essa stessa prodotto. Questa ipotesi viene sostenuta dalle dichiarazioni dei due frati della Penitenza Barachias e Walter (152). Nella vita di Giovanni da essi osservata essi distinguono due parti che sono separate da una svolta avvenuta attorno al 1225. Questo taglio netto col passato consistette nell'adozione dell'"habitus heremitarum" che Giovanni portò fino alla sua morte e che designò come abito religioso per i suoi compagni (153). Che si trattò di un atto giuridico che portò con sè conseguenze per lo stato canonico, emerge dal fatto che Giovanni attorno al 1229 dovette ordinare ad un compagno di lasciare l' "habitus heremitarum" e di assumere l' "habitus poenitentia" (154) poiché il matrimonio taciuto al momento della presa dell'abito eremitano non si conciliava con quest'ultimo. Poiché però Giovanni si ritirò dal mondo non nel 1225, bensì nel 1209, risulta naturale chiedersi in quali "habitus" e "status" egli abbia vissuto fino a quel momento. Visto che la prima delle due sezioni si distingue forse per una maggiore libertà nell'impostazione di vita, ma non per un diverso stile di religiosità, è ovvio prendere alla lettera la formulazione spesso impiegata dai testimoni e vedere in Giovanni uno dei numerosi penitenti che come "peccator-eremita", in un primo momento da solo, e successivamente nella traballante cerchia di frati della penitenza, condusse un'esistenza rigidamente ascetica (155). La bolla "Admonet nos cura", nella quale cioè i Zambonini avrebbero cominciato a vivere "reguliter" dopo l'adozione della regola agostiniana, fa supporre che nel 1225 siano stati adottati contemporaneamente l'abito eremitico quale specifico abito dell'Ordine e la regola agostiniana. Questa opinione è meno chiara di quanto non sembri (156). Se anche tuttavia si collocasse l'inizio di una vita "regolata" e l'adozione della regola agostiniana in tempi differenti, ciò non cambierebbe il fatto che la costruzione dell'Ordine ebbe inizio soltanto dopo una vita eremitica pervasa probabilmente dallo spirito del movimento penitenziale. Non è possibile delineare dettagliatamente in tale sede i singoli stadi di questa costruzione dell'Ordine. Essi ricondussero i Zambonini dall'isolamento nel quale il loro fondatore aveva vissuto per circa quarant'anni, nonostante viaggi occasionali, al movimentato mondo della Lombardia, della Romagna e delle Marche. Essi giravano per il paese per procurarsi, mendicando come i Brettinesi, il mantenimento per sè e per il crescente numero delle loro sedi (157). A ciò univano la predicazione e la cura d'anime, trovando seguaci non soltanto fra i laici, ma anche fra i chierici (158). Nella comunità composta originariamente soprattutto da laici, il numero e l'influenza dei sacerdoti crebbe a tal punto attraverso questi ingressi e la concentrazione dei propri membri, da consentire loro di avere alla fine di quarant'anni tutti i punti di comando nell'Ordine e, se non tutto inganna, di provvedere nell'Ordine stesso alla formazione delle nuove generazioni di chierici (159). La partecipazione all'attività pastorale parrocchiale segna indubbiamente nella maniera più chiara la fine di uno sviluppo che fece di una comunità di laici isolata dal mondo un Ordine imperniato sulla cura d'anime. A questa trasformazione interna corrisposero tipologia e dimensioni della diffusione esterna. In una rapida espansione iniziata con grande vigore negli anni Trenta, l'Ordine si diffuse nell'Italia Settentrionale (160) dove i conventi, situati in massima parte nelle dirette vicinanze delle città, già nel 1251 erano suddivisi in più province (161). C'è inoltre ragione di supporre che tale espansione non si sia limitata all'Italia, ma si sia estesa già prima del 1256 aldilà delle Alpi verso l'Europa Centrale, forse perfino in Spagna e in Inghilterra (162). Lo sguardo d'insieme sullo sviluppo dell'Ordine induce a chiederci come la condotta di vita del fondatore, volta soprattutto all'isolamento ascetico, si conciliasse con la dinamicità e l'attenzione al mondo crescenti. Gli atti del processo danno una risposta. Giovanni rimase fino alla morte l' "illitteratus et idiota" che non ricevette mai una consacrazione (163), rimase il "solitarius" (164) ed "inclusus" (165) che continuò a condurre l'originaria vita da eremita recluso (166), prendendo parte soltanto raramente alla preghiera corale ed ai pasti della comunità (167), e superando ampiamente quanto a durezza di vita i propri confratelli (168). Il mantenimento totale di questa condotta di vita fu ancora possibile agli inizi dell'Ordine (169); con la crescente espansione di quest'ultimo e con la sua più forte organizzazione non fu però più possibile conciliarlo con la carica di un superiore dell'Ordine. "Ob excrescentem numerositatem subditorum" Giovanni si vide costretto ad abbandonare la guida dell'Ordine (170) e a trasferirla a fra Matteo, uno dei suoi compagni più fedeli (171). Questa scelta aumentò la già considerevole distanza fra il padre dell'Ordine ed i suoi figli, distanza che derivava dalla timida ammirazione per la sua "longe arctior vita" (172), ma che non si sottraeva tuttavia ad un certo scetticismo a causa della sua condotta di vita isolata, per certi aspetti antiquata (173). Ai tempi in cui visse il patriarca, la scelta di Matteo fu tollerata; subito dopo la sua morte, però, essa venne riesaminata nel Capitolo generale tenuto a Ferrara nell'ottobre del 1249, mentre Matteo fu costretto a dimettersi ancor prima dell'inizio del Capitolo vero e proprio (174). Le dimissioni vennero giustificate adducendo l'incapacità del priore generale. Dal procedimento di elezione seguente, tuttavia, emerge chiaramente che le vere cause vanno ricercate nelle circostanze della sua scelta, fatta da Giovanni stesso. Giovanni aveva nominato il suo successore, da lui stesso contemporaneamente designato priore di Budriolo e priore generale dell'Ordine, collegando così le due cariche. Conformemente agli accordi presi nell'ambito dell'approvazione della sua comunità, lo aveva presentato al vescovo di Cesena per la conferma. Questa supremazia della casa madre, fissata da Giovanni stesso, e legata alla giurisdizione del vescovo, veniva rafforzata dal fatto che i novizi dei numerosi conventi, situati in massima parte al di fuori della diocesi di Cesena, facessero la loro professione dei voti in nome del suo priore, obbligandosi ad osservare le sue Costituzioni (175). L'elezione di Ugo da Mantova, che nel 1249 fu scelto dal Capitolo generale e presentato per l'approvazione al legato pontificio in Lombardia, così come la modifica apportata nello stesso periodo alla formula di professione dei voti, che legava i novizi al priore generale ed alle Costituzioni (176), non furono altro che lo scioglimento di un vincolo che costringeva l'Ordine in crescente sviluppo a rapporti con le numerose sedi che corrispondevano certamente alla comunità orientata originariamente in senso eremitico, ma che alle fondazioni figlie, divenute nel frattempo importanti, non sembravano più ammissibili. Tensioni fra le case madri, fondate su forme di supremazia monarchica, e le filiali desiderose di ottenere il diritto di essere consultate, non furono più una rarità a partire dal X secolo, dalla costituzione di unioni di conventi partita da Cluny (177). Esse dovettero essere superate nell'XI secolo sia dai Cistercensi che dagli Ordini eremitani sorti nel medesimo periodo, e si presentarono nel XIII secolo non soltanto con riguardo ai Carmelitani (178), bensì anche ai gruppi riunitisi nel 1256, ossia ai Guglielmiti (179), e probabilmente anche ai Brettinesi (180). Nell'Ordine dei Guglielmiti le competenze del priore generale eletto dai conventuali della casa madre poterono essere definitivamente limitate a favore del Capitolo generale e provinciale non prima del XIV secolo. Per quanto riguarda i Zambonini, il processo si realizzò molto più rapidamente e con esito più evidente, certamente a prezzo di conflitti più evidenti e profondi. I conventuali di Budriolo, del "primus et principalis locus, quo idem ordo processit", elessero nel 1249 dalla loro cerchia frate Marco a priore e contemporaneamente a priore generale. Con l'appoggio della casa madre e di altri conventi della Romagna, egli poté per tre anni affermare, confermato dal vescovo di Cesena, il suo diritto al generalato di fronte ad Ugo da Mantova, eletto dal Capitolo generale tenuto a Ferrara. Nel 1252, il vescovo di Padova ed il minorita Simone da Milano ordinarono ai due rivali le dimissioni, cosicché Lanfranco da Milano, fino ad allora priore a Bologna e "socius" del priore generale Ugo (181), poté essere eletto nuovo capo supremo dell'Ordine. Senza dubbio la maggioranza aveva dovuto rinunciare ai suoi candidati. Poté tuttavia rallegrarsi della vittoria della concezione di costituzione rappresentata. Lanfranco venne confermato dalla Curia, e la discussa formula della professione dei voti oggetto di contrasti venne modificata in modo che essa non legasse più i frati dell'Ordine alla casa madre ed alle sue Costituzioni, ma ancora solamente al priore generale ed agli Statuti dell'Ordine. Contemporaneamente si dispose di cancellare dalla denominazione dell'Ordine tutti i riferimenti alla casa madre ed al fondatore dell'Ordine, e di chiamare i membri dell'Ordine "sine alicuius loci vel proprii nominis expressione" da quel momento in poi soltanto "fratres Ordinis heremitarum" (182). Con queste modifiche autorizzate dalla Curia, si affermò chiaramente il sistema costituzionale corporativo-democratico formulato nel XIII secolo nella maniera più coerente nelle Costituzioni dei Domenicani, a fronte delle più antiche rappresentazioni aristocratiche, quali quelle conservate dai Camaldolesi e dai Certosini, i cui conventi madre rimasero a capo dell'Ordine. Noi sappiamo troppo poco sulla costituzione dell'Ordine per poter decidere se per quanto riguarda le Costituzioni della casa madre e quelle dell'Ordine si trattasse di due documenti giuridici diversi l'uno dall'altro. Da notizie occasionali si può tuttavia concludere che nella casa madre determinati luoghi e determinati momenti erano riservati al silenzio (183), che ai conventuali benemeriti e anziani spettavano celle isolate (184) e che soltanto certi frati (185) lasciavano l'eremo, circondato da un muro accessibile solo difficilmente agli estranei (186), per mendicare e sbrigare commissioni. Queste consuetudini, che ricordano la pratica degli Ordini eremitani più antichi, fanno presumere che nella casa madre non fosse mantenuta solamente una forma di Costituzione più conservativa, bensì anche un sistema di vita più fortemente orientato in senso eremitico (187). Di fronte ad una simile forma di vita è difficile spiegare la rapida espansione, il dedicarsi alla mendicità ed alla cura d'anime che caratterizzarono gli ultimi anni dell'Ordine. Bisogna piuttosto pensare che questo sviluppo sia stato forzato dai conventi figli, i quali possono aver sollecitato sia una forma organizzativa più democratica, sia un sistema di vita più corrispondente ai loro nuovi compiti pastorali, per cui gli Statuti deliberati dai Capitoli generali abbiano fatto diminuire gli elementi eremitico-monastici contenuti nelle "Costituzioni" della casa madre, se non addirittura li abbiano eliminati (188). Se si richiama alla mente la figura di Giovanni Bono e la breve storia dell'Ordine da lui fondato, il confronto con il suo contemporaneo più grande, Francesco d'Assisi si impone, e si comprende che a partire dal XIV secolo poté essere sostenuta la concezione secondo cui il Poverello sarebbe stato un seguace dell'eremita di Budriolo (189). Ciò che lega i seguaci di correnti simili è la volontà di "poenitentia" (190), l'ideale della "paupertas, humilitas et simplicitas", il rifiuto dell'eresia (191), la devozione ai Sacramenti (192) e la evidente fedeltà alla Chiesa (193). Entrambi condividono il destino, in tutta la stima che si mostrò loro, di cadere tuttavia nel pericolo dell'isolamento (194) a causa del proprio rigorismo. In un punto decisivo queste personalità, sicuramente non dello stesso rango, si distinguono di certo anche sotto l'aspetto umano. Posto di fronte all'alternativa di servire alla salvezza delle anime o di vivere nell'eremo in contemplazione e preghiera, Francesco si decise per un compito più grande, nel senso del Vangelo, di "attirare" e "guadagnare" anime attraverso la parola e l'esempio (195). Per Giovanni la "vita eremitica" rimase l'essenza della vita, che consentì soltanto un'attività pastorale e di evangelizzazione effimera e priva di sistematicità, e che lo condannò ad una certa limitatezza. La volontà di penitenza ascetica nell'isolamento dal mondo fu più forte dell'impeto, indubbiamente presente, di operare per la salvezza delle anime e di difendere il vero Credo. L'ideale della vita "apostolica", che portò i predicatori ambulanti francesi dell'XI secolo a lasciare l'eremo per predicare peregrinanti sull'esempio di Cristo e dei suoi discepoli, e che oltre a Francesco indusse molti suoi contemporanei, credenti ortodossi ed eretici, a dedicarsi alla predicazione con incostanza e senza patria, non lo influenzò a tal punto da fargli abbandonare il romitaggio. Quando egli insegnava e predicava, lo faceva nel suo isolamento, che tentava di difendere anche contro la volontà dei credenti che lo "assediavano". Questa perseveranza in una forma di vita scelta un tempo fece dell'eremita un residuo di una forma di religiosità più antica (196), giacché i suoi seguaci, come già anticipato, non rimasero fermi nell'eremo, bensì imitarono la decisione di Francesco d'Assisi e andarono per il mondo predicando e mendicando. La storia dei Zambonini, determinata dalla tensione fra ascesi originariamente eremitica, e l'impeto potentissimo verso la mendicità e l'attività pastorale, non è singolare. Potremmo presumere che la comunità di laici che a Brettino cercava l'isolamento fosse come i Zambonini influenzata dall'ideale del "peccator-eremita", ed abbiamo motivo di vedere nei "Fratres de poenitentia", meglio conosciuti come "frati del sacco", dei frati della penitenza che, come i due Ordini menzionati, dalla comunità traballante ed orientata inizialmente in senso eremitico quale erano, divennero, sull'esempio dei francescani e dei Domenicani, un Ordine organizzato, che, per quanto riguarda la cura d'anime ed il sapere, cominciò a dar frutti già quando lo colpì il decreto di scioglimento del Concilio di Lione (197). Ciò che qui è comprensibile soltanto confusamente, si trova chiaramente davanti a noi nella protostoria dell'Ordine toscano dei Serviti. Dalla comunità di sette frati fiorentini della penitenza, che vissero come eremiti sul Monte Senario, sorse nel corso di alcuni decenni ciò che la Curia nel 1256 trovò nei due cosiddetti Ordini eremitani dei Zambonini e dei Brettinesi, ossia una comunità nella quale le idee di penitenza originariamente laiche e volte ad una condotta di vita eremitica si erano a tal punto istituzionalizzate secondo il modello dei Francescani e dei Domenicani che il loro carattere iniziale soltanto a stento era ancora riconoscibile.

NOTE

69) Che nemmeno la Curia sapesse fare distinzione alcuna tra i due gruppi diffusi nella stessa regione, risulta dalle prescrizioni sull'abito da parte di Gregorio IX. Cfr. Anm. 305.

70) Innocenzo IV, 17.6.1251, TORELLI IV, pag. 451; BERGER, II, nr. 5255; ders. (17.6.1251), AA.SS., Oct. IX (1869) pag. 772; BERGER, II, nr. 5256.

71) Secondo una copia dell'originale, redatta nel 1641 e conservata nell'Archivio di Stato di Mantova, Busta 3305, il processo venne pubblicato da E. CARPENTIER in AA.SS., Oct. IX (1869), pag. 771-886 (=P) e corredato da un "Commentarius praevius". Su di esso si appoggiano le ultime, per lo più scarse, narrazioni della sua vita:: F. ROTH, Der selige Johannes Bonus, in COR UNUM VII (1949), pag. 43-51, 69-76; BELLANDI, Il VII Centenario della morte del nostro b. Giovanni Buono, in Bollettino Storico Agostiniano, XXVI (1950), pag. 10-12; RR. PP. BÉNÉDECTINS DE PARIS, Vies des Saints et des Bienhereux selon l'ordre du Calendrier, X, Paris 1952, pag. 801-803; G. FERRINI, Il B. Giovanni B. nel VII centenario della sua morte, Forlì 1948; B. RANO, Fr. Juan Bueno fundador de la Orden de los Eremitaños, in Archivo Augustiniano LVI (1962), pag. 157-202. Sulla letteratura cfr. anche: B. VAN LUIJK, El santoral agustiniano, in Rev. August. de Esp. III (1962), pag. 379-380.

72) Accanto a questo nome é corrente altresì "Zanebonus", ad es. P. 798, 101; 799, 107 etc.; CARPENTIER in AA.SS., Oct. IX, pag. 695 e ROTH in AUG. II (1952), pag. 124, Anm. 196 lo spiegano come unione del nome del padre e si quello della madre: Giovanni e Bona. Questa forma nominale, che compare più volte anche nel resto del Processo, é talmente corrente nel Duecento, che la sua spiegazione riesce superflua. La forna Giovanni Bono de Bonomi, comparsa ad es. in COSTANZO LODI DA S. GERVASO, Vita e miracoli del b. Giovanni Buono, Bergamo 1590, e adottata anche da C. FERRARINI, La "Leggenda del b. Zanebono da Mantova", in Accademie e biblioteche d'Italia, X (1936), pag. 263-266 si basa sulla sua identificazione, ritenuta inverosimile dal Carpentier, con quella della famiglia patrizia dei Bonomi. Infine, sull'espressione "boni homines" come indice di eresia, cfr.: H. GRUNDMANN, in Archiv. f. Kulturgeschichte XLV (1963), pag. 84, Anm. 62.

73) P. 846, 294; 847, 298; 849, 303; 850, 308; etc. Quanto alle date rese dai testimoni, si tratta di datazioni non del tutto chiare. I membri dell'Ordine sostengono che Giovanni ha vissuto a Butriolo per 40 anni (1209-1249). Si deve prestare maggior credito a quelli che hanno avuto rapporti più stretti e continuativi con Giovanni che non ad altri, i queli delimitano meno esattamente il periodo a 38 o 39 anni.

74) P. 840, 268; 841, 271; 846, 294 etc.

75) P. 825, 214.

76) Cfr. Anm. 102.

77) La nota manca nell'originale.

78) P. 847, 299; 849, 305.

79) P. 772, 6; 736, 17; 782, 38 etc.: "unica tantum cuculla staminea subtilis" - "cum capucio iuncto cum ipsa tunicella" - "grisei coloris" - "tunica sive cuculla, quae cingebatur desuper" - "nudis cruribus et pedibus incedebat semper, sed quandoque ferebat zipellos ligneos".

80) Gregorio IX, 24.3.1240, EMPOLI, pag. 126; POTT., nr. 10860/8504.

81) P. 842, 278; 831, 237; 785, 50.

82) P. 772, 6; 782, 38 etc.

83) P. 781, 36; 838, 258; 844, 283; 843, 279 etc.

84) P. 843, 279; 845, 289 etc.

85) P. 782, 38. La ripetizione del Padre Nostro era corrente presso i Catari e i Valdesi (Cfr. A. BORST, Die Katharer, Stuttgart 1953, pag. 191 und K. MÜLLER, Die Waldenser und ihre einzelnen Gruppen bis zum Anfang des 14 Jahrhunderts [I Valdesi e i loro singoli gruppi fino all'inizio del sec. XIV], Gotha 1886, pag. 76). Non bisogna tuttavia collegare con quelli la pratica della preghiera di Giovanni (ROTH in AUG. II (1952), pag. 131, perché essa ha una lunga tradizione ortodossa, specialmente eremitica (Cfr. L. OLIGER, Regula reclusorum Angliae et Quaestiones tres de Vita Solitaria saec. XIII-XIV, in Antonianum IX (1934), pag. 79, Anm. 33).

86) P. 831, 238; 842, 278; 845, 288 etc.

87) L. GOUGAUD, Eremites et Reclus, Ligugé 1928, pag. 31-32.

88) P. 776, 16-17; 840, 269; 844, 286 etc.

89) P. 774, 13-14.

90) P. 781, 36; 785, 50; 789, 66 etc.

91) P. 776, 18; 782, 38; 789, 66.

92) P. 772, 6; 832, 240; 843, 288 etc.

93) P. 777, 19.

94) P. 782, 39; 785, 53 etc.

95) P. 782, 39; 792, 81 etc.

96) P. 834, 243: "Propter publicam famam multae sanctitatis et miraculorum... dictus testis videbat venire gentes multas et de partibus Lombardiae et de Romandiolae et de Venetiis et multis aliis partibus", cfr. 835, 243; 851, 311; 852, 314; 856, 333.

97) A questo proposito i testimoni dichiarano che essi ascoltavano Giovanni "libentissime" e con "aviditas". P. 772, 5.

98) P. 834, 243; 835, 248; 851, 311 etc.

99) P. 845, 289; 850, 307 etc.

100) Frater Johannes testis: "Dicebat et pubblicavit Entio, filio Frederici quondam imperatoris, et aliis eius nuntiis et potestatibus, qui mittebantur Caesenae: Vos estis excomunicati, et dominus vester est excomunicatus; et potestatem non habetis iudicandi; et salvari non potestis, neque dominus vester, qui vos misit, nisi redeatis ad mandatum ecclesiae Romanae", P. 846, 293 cfr. anche 834, 243; 845, 289; 850, 307. Sul vicariato del re Enzo in Romagna: M. OHLIG, Studien zum Beamtentum Friedrichs II in Reichsitalien von 1237 bis 1250 [Studi sulla burocrazia di Federico II nel regno d'Italia dal 1237 al 1250], Tesi di Laurea, Frankfurt 1936, pag. 98.

101) P. 845, 289.

102) Historiarum Ravennatum libri sex, Thes. Antiq. Et Hist. Italiae I, c. 377: "Per idem tempus (1225) Petrus Traversaria de rei publicae Ravennatis et Cervensium sententia, Johannem Bonum, virum religiosum, qui se peccatorem eremitam appellabat, arbitrem elegit, ut totiamdiu agitatas inter se disceptationes tolleret". TORELLI, IV, pag. 264 cambia il nome del Podestà e attribuisce la posizione a Paolo, figlio di Pietro Traversari. Cfr. S. BERNICCOLI, Governi di Ravenna e di Romagna dalla fine del secolo XII alla fine del secolo XIX, Ravenna 1898, pag. 13-16. I conflitti tra Ravenna e Cervia non cessano nemmeno con l'arbitrato di Giovanni Bono: F. FORLIVESI, Cervia. Cenni storici, Bologna 1889.

103) Frater Moroellus testis: "Multi ex illis qui non credebant in fidem sanctae Romanae ecclesiae conversi sunt ad fidem, et tenent, et observant eam tamquam catholici homines", P. 834, 244. "Multi qui male credebant conversi sunt ad fidem catholicam et obedientiam s. Romanae ecclesiae; et multi qui primo erant pleni lascivia et mundano et carnali amore, verbis et exhortationibus dicti fratris Joannis Boni adepti sunt aliquem habitum religionis vel penitentiae", P. 837, 256. Cfr. ähnlich P. 834, 244.

104) P. 828-829, 228-230.

105) Cfr. II Celano, 78-79, in Analecta Franciscana, X (1926-1941), pag. 117ss, dove Francesco viene ugualmente provocato dagli eretici, come Giovanni e i suoi compagni dal suddetto Giacomino.

106) "Testis dixit, quod dictus frater Johannes Bonus erat illiteratus sciebat tamen quosdam psalmos et orationes et Credo in unum Deum et alias virtutes et Pater noster et Ave Maria", P. 844, 279. Cfr. P. 774, 14: "idiota". P. 774, 13: "Interrogatus si dictus frater Johannes habebat aliquos ordines, vel erat clericus, respondit quod non, sed erat tantum laicus".

107) Alla domanda sulle eventuali persecuzioni, risponde fra Bonincontro: "Dicit quod sic, videlicet a quibusdam fratribus de poenitentia, qui persequebantur ipsum fratrem Joannem Bonum, infamando ipsum super quibusdam capitulis coram episcopo Caesenate, de quibus dictus testis dicit se non recordari. Super quibus capitulis et de quibus infamiis ipse frater Joannes Bonus se coram dicto episcopo, corporali praestito sacramento, optime compurgavit", P. 788-789, 65. Cfr. P. 774, 12: "coram venerabili praesule D. Ottone episcopo Caesenate".

108) "Dicit etiam idem testis, quod cum quodam tempore quaestio matrimonialis discuteretur inter dictum fratrem et dominum Letum canonicum, iure peritum, unus affirmando et alter inficiando quod ita debet esse...", P. 774, 14.

109) D. LINDER, De usu matrimonii. Eine Untersuchung über seine sittliche Bewertung in der kath. Moraltheologie alter und neuer Zeit [Ricerca sulla sua valutazione morale nella teologia morale cattolica nell'antichità e nell'epoca moderna], Munchen 1929; BORST, Die Katharer, pag. 180-183; G. KOCH, Frauenfrage und Ketzertum im Mittelalter [La questione delle donne e l'eresia nel Medioevo], Berlin 1962, pag. 107ss, 16ss.

110) P. 814, 168; 838, 258 etc.

111) P. 814, 168; 838, 258 etc.

112) P. 844, 282: "publice detestavit Gazaros et Patarenos". Cfr. anche 839, 307 etc.

113) P. 839, 263: "Credo in unum Deum, quem dicebat more laicali". Cfr. anche 840, 267 etc.

114) P. 838, 260; 840, 267; 847, 297.

115) Cfr. Anm. 123, 124.

116) Cfr. Anm. 85.

117) P. 838, 260; 840, 267 etc.

118) Cfr. Anm. 129.

119) B. Manginus: "Credit quod dictum fratrem fuisse virum catholicum... habebat se tamquam vir iustus et sanctus, et homo plenus spiritu Dei", P. 814, 160. P. 821, 198: "erat multum catholicus, quo nullus magis catholicus". P. 840, 267: "erat multum cultor fidei catholicae". P. 845, 289: "erat custos catholicae fidei". Cfr. anche P. 825, 173; 817, 177 etc.

120) Nel 1470 circa, sotto Federico Gonzaga, le reliquie di fra Giovanni Bono vennero trasportate dalla chiesa di S. Agnese in Porto (dove erano state sepolte nel 1249, dapprima venerate, ma poi del tutto dimenticate) in quella di S. Agnese Nuova, costruita dagli eremiti agostiniani in città e consacrata nel 1460 da Pio II. Al tempo stesso, su disposizione del Gonzaga, l'agostiniano fra Agostino da Crema sollecitava la ripresa del Processo di Canonizzazione. Testimonianze di questa tardiva rifioritura della venerazione di Giovanni Bono sono gli scritti di: Fra AGOSTINO DA CREMA, Divi Johannis Boni Mantuani decus heremi ordinis fratrum heremitarum S. Augustini in provinciis Romandiolae, Lombardiae ac Venetiarum primi institutoris ac fundatoris historia, Mantua 1483, Ms in Archivio di Stato di Mantova, busta 3305; Fra FEDERICO DA MANTOVA, Leggenda del b. Zannebono da Mantua, Mantova 1512 (Cfr. inoltre E. BERTI, Vita e leggenda del B. Giovanni Bono di Mantova, in Polimnia. Boll. Uffic. Dell'Accademia Etrusca di Cortona, IX (1932); C. FERRARINI, La "Leggenda del b. Zanebono da Mantova", in Accademie e biblioteche d'Italia, X (1936), pag. 263-266; Vita di autore anonimo, Ms. Bibl. Laurenziana di Firenze, Cod. Plut. 90 sup. 48, fol. 54v-57v (1470); A. CALEPINUS, Vitae B. Joannis Boni, Ms. Bibl. Bollandiana (XV sec.), trascritta in AA. SS. oct. IX, pp. 746-767. Sulle successive istanze di canonizzazione e sul culto di Giovanni a Mantova, presso i Gonzaga, e sull'Ordine eremitano agostiniano, cfr. tra gli altri C. LODI, Vita e miracoli del b. Giovanni Bono, Bergamo 1590; TORELLI, IV, pag. 432-433; L. C. VOLTA, Ristretto di notizie intorno alla vita di S. Giovanni Bono, in: Poesie per la solenne traslazione... del sacro corpo incorrotto di S. Giovanni Bono, Mantova 1775; G. SAVIO, Vita di S. Giovanni Bono primo comprotettore di Mantova con orazioni, Mantova 1839; CARPENTIER, Commentarius praevius, in AA. SS. oct. IX, pag. 737ss; G. BONOMI, Il G. B. eremita agostiniano, Bologna 1664.

121) P. 832, 238; 842, 276-77; 844-845, 286 etc. Cfr. V. LEROQUAIS, Les sacramentaires et missel manuscrits des Bibl. Publ. De France, Paris 1924, I, pag. 173, III, pag. 314. BORST, Die Katharer, pag. 201-202; LThK III (1959) c. 1181.

122) P. 789, 66; 832, 240; 845, 287 etc.

123) P. 795, 91; 838, 260; 845, 288 etc. L'espressione "Non habebat specialem confessorem" é così spesso evidenziata (P. 822, 200; 845, 288 etc.) che si potrebbe scorgere in essa una sottolineatura del tentativo di soluzione da parte della persona del prete. La menzione altrettanto frequente che tra i suoi frati si confessasse solo dai sacerdoti, dev'essere vista come un rifiuto della consueta, ma anche sospetta, confessione dei laici. Cfr. G. GROMER, Die Laienbeichte im Mittelalter [La confessione dei laici nel Medioevo], München 1909; A. TEETAERT, La confession aux laïques dans l'église latine dépuis VIIIe jusqu'au XIVe siècle, Diss. Löwen, Welteren 1926.

124) P. BROWE, Die häufige Kommunion im Mittelalter [La comunione frequente nel Medioevo], Münster 1939; J. NOUWENS, De veelvuldige communie in de geestlijke literatuur der Nederlanden, Bilthoven-Antwerpen 1952. Giovanni Bono riceveva la comunione più frequentemente di quanto facessero le Beghine, i Frati della penitenza e i Reclusi, i quali si accostavano all'Eucarestia molto più spesso dei membri di un Ordine del sec. XIII. Oltre ai motivi soggettivi, di cui s'é detto sopra, si deve ricercare anche una specifica tradizione eremitica (Cfr. Godrich von Finchhale) non raccomandasse la comunione frequente, o meglio il culto intensivo del sacramento.

125) P. 843, 279: "Quando dictus frater Joannes Bonus loquebatur alicui forensi, statim faciebat se absolvi, si in aliquo pecasset in illa locutione".

126) P. 844, 283: "Specialiter dicebat de corpore Domini nostri Jesu Christi, quod in illud haberent maximam fidem et fiduciam, quia vere salus mundi erat".

127) Cfr. Anm. 132-133

128) Tra i frati più giovani di Giovanni Bono, provenienti da estrazioni sociali diverse, non era raro il dubbio sulle fondamentali verità di fede (P. 777, 20-21; 773, 7 etc.). La loro stabilità non era delle più solide (P. 782, 39 etc.): in parte, essi aderivano alla comunità eremitica più per motivi economici (p. 790, 69-72) ed accadeva che essi - come apostati - si allontanassero del tutto dalla Chiesa e dall'ortodossia (P. 778, 23).

129) P. 817, 177: "Docebat fratribus suis quod haberent in reverentia magna omnes clericos propter ordines, quibus fungebantur, licet ipsos agnoscerent peccatores".

130) P. 817, 177: Cfr. u. a. GRUNDMANN, Religiöse Bewegungen des Mittelalters [Movimente religiosi del Medioevo], pag. 94ss.

131) P. 830, 235: "Dixit quod crederent Dominum Papam eandem auctoritatem habere quam habuit beatus Petrus, et quem ipse Dominus Papa ligat in terris, erit ligatus et in coelis, et quem solvit in terris, erit solutum et in coelis, et dicebat et dixit pluries quod Dominus Papa est vicarius domini nostri Jesu Christi". Cfr. P. 832, 240b; 848, 300; 843, 307 etc.

132) P. 826, 216.

133) Egli trasforma, ad es. l'acqua in vino "propter aedificationem et confirmationem ipsorum fratrum dubitantium" perché Dio non solo può cambiare l'acqua in vino, ma anche "unam speciem in alteram". P. 773, 7; 783, 42; 750, 9.

134) A Pasqua fa mettere le radici ad un ramo di melo bruciato e lo fa rifiorire.

135) P. 783, 43: "Joannes Bonus dixit ipsi testi (fr. Michael): Scias quod Deus faciet illa pro isto fragili corpore, tempore mortis meae, per quae fiet sibi tantus honor per dominum Jesum Christum, quantum fuisset factum alicui corpori a tempore Apostolorum citra. Istud corpus morietur ubi natum fuit, scilicet in civitate Mantuae et ibi fiet sibi magnus honor, et mors mea erit ad destructionem hereticorum multorum ibidem existentium, scilicet in civitate supradicta, et ad corroborationem fidei Christianae".

136) Nel 1249, contro l'opposizione dei Cesenati (P. 824, 209; 825, 215; 830, 233 etc.) si ritira a Mantova insieme a fra Bonaventura (P. 795, 92ss).

137) A. DONDAINE, La hiérarchie cathare en Italie, III, in Archivium Fratrum Praedicatorum", XX (1950), pag. 294; G. SAVINI, Il catarismo italiano e i suoi vescovi nei secoli XIII e XIV, Firenze 1957.

138) Il miracolo avvenuto verso la metà del sec. XIII sulla sua tomba: P. 797, 99ss; P. 856, 334ss.

139) P. 835, 249; 836, 253;

140) Innocenzo IV, 17.6.1251, in AA. SS., oct. IX, pag. 772; BERGER, II, nr. 5255 celebra i meriti di Giovanni: "Fratrem Joannem Bonum heremitam, cum pie vixisset in hoc saeculo, viam salutis docendo, verbis pariter et exemplis, tandem praesentis vitae cursu feliciter consummato multis miraculis Omnipotens decoravit".

141) cfr. P. 772, 4.

142) Ad es. il Priore Generale Lanfranco da Milano: "Frater Joannes Bonus fuit fundator et insitutor ordinis heremitarum et... in ipso egit poenitentiam quadraginta annis", P. 838, 261. Cfr. auch: P. 839, 264; 840, 268; 843, 280; 845, 290.

143) TORELLI, IV, 421; CARPENTIER, AA. SS., oct. IV, pag. 707.

144) Innocenzo IV, 15.4.1253; EMPOLI, pag. 176ss; POTT., nr. 14945: "Sane ad audientiam Papae pervenit, quod bonae memoriae Joannes Bonus in ordine vestro primum apud Budriolum Caesenatis Diocesis de concessione dioecesani loci eiusdem domum incepit; et dum fama conversationis eius per loca vicina crebesceret et plurimi convertentur ad eum, ecclesiam in honorem B. Mariae Virginis construxit ibidem. Crescente autem numero et merito huiusmodi conversorum receptorum religio vestra per eos in diversis partibus, in quibus mansiones construxerant extitit propagata. Cum autem iidem religiosi aliquam de approbatis regulam non haberent, quidam ex eis accendentes ad sedem apostolicam, obtinuerunt ab ea b. Augustini regulam sibi dari; et sic ex tunc coeperunt in regularibus observantiis instrui et regulariter se habere".

145) P. 788, 62; 789, 68; 795, 90; 796, 95; 841, 272; 842, 276; 844, 285; 846, 291.

146) Giovanni de Barba, uno dei primi compagni, dichiara: "Quod pluries audiebat ab ipso fratre Joanne Bono, quod quando primo anno instituit ordinem ipsum in loco Bertinoris, ubi ipse morabatur, in prima heremo, fuit pluries et multipliciter persecutus a daemone... Dicit etiam quod audivit ab eodem fratre Joanne Bono, quod postquam ad locum Bertinoris venit, Caesenatis diocesis, ubi secundum heremum ordinavit..." P. 787, 62. L'indicazione equivalente dei due eremitaggi non é da ricondurre ad un errore di trascrizione del copista, o meglio dell'editore, come mostra un confronto con l'originale; si tratta probabilmente di un errore del protocollista, che Carpentier e Roth hanno cercato di correggere, identificando il primo romitorio con Butriolo e collocando la seconda casa a Bertinoro. Ritenevano infatti che Bertinoro non si trovasse nella diocesi di Cesena, ma che in quel tempo appartenesse alla circoscrizione del Vescovo di Forlì (P. AMADUCCI, Origini e progressi dell'episcopato di Bertinoro, Ravenna 1905), e che pertanto Bertinoro non potesse chiamarsi con la seconda denominazione di "Caesenatis diocesis". Il problema si potrebbe risolvere considerando, non già Bertinoro, ma Butriolo nella diocesi di Cesena come il secondo romitorio. Poiché sicuramente fra Giovanni Bono lasciò Bertinoro abbastanza presto, si chiarirebbe senza difficoltà perché nella tradizione dell'Ordine non si parli di Bertinoro, che Roth ha incluso nell'elenco dei conventi come seconda fondazione in ordine di antichità (AUG. III (1953), pag. 302). In quell'epoca Bertinoro, dove forse inizialmente fra Giovanni ha cercato di vivere da eremita, si trovava, non lontano dalla città, accanto ad un convento vallombrosano, l'eremitaggio di Vincareto, dove, dalla fine del sec. XII si conduceva, senza regola fissa né legami con il resto dell'Ordine, la "vita eremitica" secondo il modello dei camaldolesi (J. MITTARELLI.-A. COSTADONI, Annales Camaldulenses, Venezia 1755-73, IV, pag. 153; VI, pag. 91), finchè alla fine venne prescritta l'adozione di una delle regole approvate (M. MACCARRONE, Riforma e sviluppo della vita religiosa con Innocenzo III, in "Rivista di Storia della Chiesa in Italia", XVI (1962), pag. 68, n° 86). Anche se non é possibile dimostrare alcun rapporto diretto tra fra Giovanni e la Congregazione di Vincareto, é certo tuttavia dove l'eremita di Butriolo poteva trovare modelli e incitamenti per la sua formazione secondo l'Ordine. (Cfr. Anm. 183ss) Vedi anche RANO, in "Archivo Agustiniano", LVI (1962), pag. 157ss.

147) ANTONINO DA FIRENZE, Chronicon, Tit. XXIV, cap. 13, AA. SS., oct. IX, pag. 746-747.

148) Una concisa caratterizzazione del movimento dei Penitenti si trova in: G. G. MEERSSEMAN, Dossier de l'Ordre de la Pénitence au XIIIe siècle, in Spicilegium Friburgense 7, Freiburg 1961. Riduzioni, tra gli altri: K. ESSER, in "Theol. Reveu", LIX (1963), pag. 92-95.

149) G. G. MEERSSEMAN- E. ADDA, Pénitents ruraux communitaires en Italie au XIIe siècle, in "Revue d'histoir ecclésistique", XLIX (1954), Pag. 343-390; DIES., Una comunità di penitenti in S. Agostino dal 1188 al 1236, in "Miscellanea in onore di Mons. Federico Mistrorigo", Vicenza 1956, pag. 673-715. Sui Penitenti nella cerchia di S. Marco a Mantova, la patria di Giovanni Bono: J. MITTARELLI, Annales Camaldulenses, IV, pag. 635; MACCARRONE, pag. 52-53; MEERSSEMAN, Dossier, pag. 7, Anm. 3.

150) Gregorio IX, 21.5.1227, MEERSSEMAN, Dossier, pag. 43, nr. 4; Gregorio IX, 26.5.1227, POTT., nr. 7919.

151) Cfr. z. B. Dominus Maurinus: "in triginta annis (seit 1221) dictus testis pluries ivit ad dictum fratrem Joannem Bonum, et conversatus fuit cum eo secundum quod ipse testis erat frater poenitentiae". P. 823, 203. Aehnlich: P. 817, 203; P. 772, 5; P. 790, 69-72.

152) Dominus Barachias: "Dixit quod ipse fuit conversatus ultra XXV annis cum fratre Joanne Bono, sicut laicus conversatur cum religioso, quem diliget et timet, quia dictus testis dixit quod antequam dictus frater Joannes Bonus assumeret habitum heremitarum, dictus testis ibat et redibat et vivebat multum cum dicto fratre Joanne Bono pro eo quod erant multum amici, et postquam dictus frater assumpsit habitum dictum, dictus testis frequenter ibat ad heremum, in qua morabatur". P. 821, 197.

153) P. 817, 181.

154) P. 772, 5; 790, 69-72. CARPENTIER (pag. 791b) ne conclude per una confraternita penitenziale. Dal conto suo ROTH, per mostrare che fra Giovanni Bono é stato il fondatore (nel 1221 circa) di un terzo Ordine ("probably the first lay third order" in AUG. VIII (1958), pag. 29) e attribuirgliene un "full controll" e la direzione ("according to sound religious principles" in AUG. II (1952), pag. 132), fa leva sul fatto che fra Giovanni fu in contatto coi penitenti e che indusse i fedeli ad indossare l'abito penitenziale, facendosi temporaneamente servire, sé e i suoi frati, da donne della Penitenza. Insomma egli applica una circostanza verificabile solo nella seconda metà del XIII sec. all'età arcaica della comunità dei Penitenti, in quel periodo non ancora incentrata sull'Ordine mendicante. La sua tesi non avrebbe più valore se realmente fra Giovanni fosse stato nominato "minister or prior general of the Brethren of Penance", come ROTH ritiene sulla base di uno scambio con un omonimo "magister Johannes" (AUG. II (1952), pag. 132, Anm. 2230).

155) Cfr. MEERSSEMAN, Dossier, pag. 93-95.

156) CARPENTIER, in AA. SS. oct. IX, pag. 708, 728; ROTH, AUG. II (1952), pag. 125. L'adozione dell' "habitus heremitarum", legata certamente ad una prassi conventuale più severa (Anm. 152), può benissimo coincidere con l'approvazione da parte del Vescovo di Cesena, del primo "eremus", menzionato nella Bolla "Admonet nos cura", cioè della "prima domus", la comunità che dal 1240 si sarebbe caratterizzata canonicamente come "religiosi". L'adozione della regola agostiniana, la cui documentazione risale al 1240, e caratterizzata nel senso del Concilio lateranense da Guglilmo Fieschi come inizio della vera e propria "vita regularis", non sarebbe databile nel 1225, ma ma più tardivamente. Ciò corrisponderebbe meglio alla dichiarazione della Bolla "Admonet nos cura", in base alla quale gli eremiti, prima di assumere la regola agostiniana, avrebbero istituito delle sedi "in diversis partibus". Alla luce delle nostre conoscenze, non é possibile documentare alcun importante diffusione prima del 1225, il quale si colloca piuttosto negli anni trenta del sec. XIII. Si osserverà tuttavia che nella relazione del Cardinale non si tratta di un "clear outline", perché non é necessario che lo svolgimento della relazione corrisponda al corso degli avvenimenti. L'intera questione richiede una ricerca più circostanziata, nella quale si tenga conto di come avvenivano le approvazioni all'inizio del sec. XIII. Cfr. in proposito MACCARRONE, Riforma e sviluppo, passim e infine: ESSER, "Théolog. Revue", LIX (1963), pag. 92-95.

157) Gregorio IX, 24.3.1240, EMPOLI, pag. 125; POTT., nr. 10860/8504; ders., 18.7.1240; TORELLI, IV, pag. 352; POTT., nr. 10917; Innocenzo IV, 7.9.1250, TORELLI, IV, pag. 439.

158) Innocenzo IV, 26.9.1246, BERGER, I, nr. 2103; Arch. Vat. Reg. an IV, reg. 108, fol. 323; Innocenzo IV, 26.4.1246, BERGER, I, nr. 1806; Arch. Vat. Reg. an III, reg. 465, fol. 273v.

159) P. 849, 304.

160) ROTH, AUG. III (1953), pag. 302-308 conta per l'anno 1256 circa 26 sedi italiane.

161) P. 784, 49; P. 800, 109; P. 800, 110.

162) Cfr. Anm. 293.

163) P. 774, 13.

164) P. 846, 291; 821, 197.

165) P. 843, 305.

166) P. 832, 239: "Joannes Bonus habebat cellulam suam iuxta confines ecclesiae, et de qua raro exibat nisi veniret ad confortandum fratres". Cfr. 773, 7; 789, 67; 822, 200. Si trattava evidentemente di un reclusorio adiacente alla cella, collegato da una finestra con la chiesa del convento (P. 844, 282).

167) P. 845, 889. Il cibo gli era portato nella cella da un servitore (P. 841, 272), un "ostiarius" impediva che venisse disturbato (P. 822, 200).

168) P. 840, 266.

169) Nel 1237 Giovanni si reca a Faenza, "pro quibusdam negotiis suae domus expediendis", P. 791, 76.

170) Innocenzo IV, 15.4.1253, EMPOLI, pag. 175-176; POTT., nr. 14945. Non é possibile fissare con esattezza la data del passaggio dei poteri. Secondo ROTH (II (1952), pag. 129) "about 1243"; secondo TORELLI IV, pag. 300, già nel 1230.

171) Un frate di nome Matteo appartiene ai più antichi compagni di Giovanni (P. 795, 90; 780, 34). Ma non é certo che si tratti di quel "prior maior" o "minister generalis" che fra Salimbene conosceva personalmente: "et cuius (Johannis Boni) filium vidi et cognovi fratrem Mathaeum Mutinensem et pinguem", MGH SS, XXXVII, pag. 254.

172) P. 841, 273.

173) P. 840, 270; 841, 273; 849, 305: Dubbio di alcuni confratelli sulla pratica del digiuno di Giovanni. P. 783, 43: Giovanni distrugge un quaderno nel quale alcuni confratelli avevano annotato i suoi miracoli, perchè "alii fratres eiusdem ordinis non haberent devotionem circa miracula illa quae scripta erant, et vilipenderent ipsos quinternos", in questa circostanza egli annuncia miracoli dopo la sua morte, i quali dovranno dissipare i dubbi sui miracoli compiuti mentre era in vita.

174) Su questo Capitolo e sullo scisma dell'Ordine ad esso seguito, fa testo Innocenzo IV, 15.4.1253, EMPOLI, pag. 176ss e il documento del Card. Guglielmo del 27.12.1252 inserito in questa Bolla. Contro la defezione dei membri dell'Ordine intervenne Innocenzo IV nel 1254. Probabilmente ciò é in relazione con la fine dello scisma, la quale non poteva soddisfare tutti i membri dell'Ordine stesso (Innocenzo IV, 27.4.1254, BERGER, III, nr. 7469, 7470, 7471).

175) "Ego N. facio professionem et promitto obedientiam Deo et B. Mariae, et tibi priori fratrum eremitarum S. Mariae de Cesena tuisque successoribus usque ad mortem, secundum regulam S. Augustini et constitutiones fratrum istius loci" (Anm. 174).

176) "Ego N. facio professionem et promitto obedientiam Deo et B. Mariae, et tibi priori generali ordinis eremitarum tuisque successoribus usque ad mortem, secundum regulam S. Augustini et constitutiones fratrum istius ordinis" (Anm. 174).

177) Su questa problematica, sempre istruttivo: R. MOLITOR, Aus der Rechtsgeschichte benediktinischer Verbände. Untersuchungen und Skizzen [Dalla storia giuridica delle associazioni benedettine. Ricerche e abbozzi], Münster 1928, I, pag. 214-233.

178) Sulla compresenza di due Priori Generali nell'Ordine Carmelitano alla metà del sec. XIII, Il "Carmino" di Pisa, in "Carmelus", III (1956), pag. 107-142.

179) K. ELM, Beiträge zur Geschichte des Wilhelmitenordens, Koln 1962, pag. 125ss.

180) Presso i Brettinesi, il priore della casa madre, il quale era al tempo stesso capo dell'Ordine, venne eletto nel 1243 dal Capitolo generale. Cfr. Innocenzo IV, 24.9.1243, BERGER, I, nr. 128.

181) Su Lanfranco, Priore generale dell'Ordine eremitano agostiniano nel 1256: F. ROTH, Lanfranc von Mailand, in "Cor Unum" XI (1952), pag. 13-18.

182) Cfr. Anm. 174.

183) "Post nonam, quando ipsi fratres habent licentiam loquendi... in claustro maiori, ubi quilibet loqui potest in Diocesi Cesenati": P. 774, 14. "In claustrum maiori, ubi loqui potest, S. Mariae de Botriolo": P. 792, 81.

184) Frater Johannes Barba abitava una cella "remota e conventu fratrum": P. 786, 54.

185) P. 815, 174.

186) P. 786, 56; 794, 86.

187) ROTH, II (1952), pag. 127 é del parere che le usanze e la disposizione del convento di Butriolo, come si può rilevare dai documenti del processo, valessero per tutte le altre fondazioni.. Cfr. anche Anm. 183, 188.

188) Che nel 1253 non sia possibile ipotizzare alcuna costituzione unitaria, mi sembra risultare dalla Bolla "Admonet nos cura" del 15.4.1253, con la quale viene ristabilita l'unità dell'Ordine: "non obstantibus professionibus et consuetudinibus quibuslibet ubicumque in ordine vestro hactenus aliter observatis". Accanto a una corrente di "eremiti" conservatori ve n'è una di "mendicanti" progressisti, e questo si accenna nel Privilegio di Gregorio IX "Dudum apparuit" del 24.3.1240: "Dudum apparuit in partibus Lombardiae religio, cuius professor vocati Eremitae Fratris Joannis Boni Ordinis S. Augustini, nunc succincti tunicas cum corrigis baculos gestantes in manibus, nunc vero dimissis baculis incedebant pecuniam pro elemosynis aliisque subsidiis deposcentes, et adeo variantes ordinis sui substantiam, ut..." (EMPOLI, pag. 126).

189) Circa l'affermazione fatta tra il 1343 e il 1345 documentata in Cod. Verodunensis 41. (E. ESTEBAN, De codice Verodunensi 41, in AA, III, pag. 92) sulla base di I Celano, c. 9, nr. 21ss la quale provocò nel sec. XVII violenti contrasti tra Agostiniani e Francescani (MARQUEZ, HERRERA, WADDING) cfr. R. ARBESMANN, Henry of Friemar's "Treatise", in AUG., IV (1956), pag. 62-64; F. ROTH, Augustinian historians of the XVIIth century, in AUG., VI (1956), pag. 635-647.

190) Sulla specificità della "Poenitentia" presso i Francescani, é sorta di recente una vivace discussione. Cfr. CH. DUNNER, Umkehr des Herzens. Der Bussgedanke des hlg. Franz von Assisi [La conversione del cuore. Il pensiero di S. Francesco d'Assisi sulla penitenza], Libri franc. di Spiritualità I, Werl 1956; S. VERHEY, Das Leben in der Busse nach Franz von Assisi [La vita nella penitenza secondo Francesco d'Assisi], in "Wissenschaft und Weisheit", XXII (1959), pag. 161; K. ESSER, Ordo Fratrum Minorum. Ueber seine Anfänge und ursprüngliche Zeilsetzung [Sugli inizi e le finalità originarie], in "Franziskanische Studien", XLII (1960); XLIII (1961). Nei confronti di queste ricerche, che sottolineano in particolare il carattere spirituale della "Poenitentia", si deve prestare attenzione alle considerazioni di MEERSSEMANN, Dossier, pag. 1-7.

191) K. ESSER, Franziskus von Assisi und die Katharer seiner Zeit [Francesco d'Assisi e i Catari del suo tempo], in "Archivium Franciscanum Historicum", LI (1958), pag. 225-264.

192) K. ESSER, Sancta Mater Ecclesia Romana. Die Kirchenfrömmigkeit des hlg. Franziscus v. Assisi [La devozione religiosa di S. Francesco d'Assisi], in "Wissenschaft und Weisheit", XXIV (1961), pag. 1-26.

193) B. CORNET, Le "Reverentia Corporis Domini" exhortation et lettre de S. François, in "Etudes Franciscaines", NS VII (1956).

194) Che non si possa parlare di un distacco radicale tra fra Giovanni Bono e l'Ordine, risulta dal fatto che durante lo scisma dell'Ordine il partito che siopponeva alla procedura di elezione accettata da Giovanni e a quella del Priore generale eletto dopo di lui, ne sollecitava la canonizzazione. Anche dopo la sua abdicazione fra Giovanni continuò ad esercitare una certa influenza sull'Ordine. Egli tuttavia era maggiormente disposto -almeno secondo le fonti- alla sollecitudine personale per la salvezza dei fratelli, in particolare dei novizi, piuttosto che al ruolo dell'organizzatore (Cfr. P. 815, 173).

195) Aus I CELANO 13, 33; Fioretti XVI; Speculum perfectionis 65, 121 risulta che in Francesco si trattava di una autentica alternativa e di una scelta consapevole quando stabilì di "inter homines conversari", anziché "ad loca solitaria conferre". Sull'eremitaggio nell'Ordine francescano, al quale anche ESSER, Ordo Fratrum Minorum, rinvia a più riprese, non si é ancora trattato contestualmente. Le fonti mostrano che i numerosi eremitaggi francescani avevano una struttura esemplare per molte delle case sorte più tardi negli Ordini degli eremiti agostiniani.

196) E' significativo, in questo contesto, che fra Giovanni ammonisse i suoi frati ad evitare gli eretici, e che una sola volta ordinasse loro di confutare l'eresia (confundere). Di un incarico esplicitamente dichiarato per la cura delle anime e per la lotta contro gli eretici, non c'é nessuna traccia nelle fonti conosciute.

197) A. G. LITTLE, The Friars of the Sack, in "English Historical Review", IX (1894), pag. 121-127; R. W. EMERY, The Friars of the Sack, in "Speculum", XVIII (1943), pag. 323-334; G. M. GIACOMOZZI, L'Ordine della Penitenza di Gesù Cristo. Contributo alla storia della spiritualità del sec. XIII, in "Scrinium historiale", II (Roma 1962). Cfr. MEERSSEMAN, RHE LVIII (1963), pag. 610-612; R. W. EMERY, A note on the Friars of the Sack, in "Speculum", XXXV (1960), pag. 591-594.

197b) A. M. ROSSI, La "Legenda de origine ordinis Servorum Virginis Mariae", Roma 1951; DERS., Manuale di Storia dell'Ordine dei Servi di Maria (MCCXXXIII-MCMLIV), Roma 1956.

 

3. I FRATI EREMITI DELL'ORDINE DI S. GUGLIELMO

Guglielmo da Malavalle, il patrono dei Guglielmiti, morto nel 1157, non proveniva dall'Italia come il fondatore dell'Ordine dei Zambonini, operante nel XIII secolo, bensì dalla Francia; non apparteneva alla gente di città ma all'aristocrazia, e per la volontà di penitenza da cui era mosso trovò altre forme di espressione derivanti da un più antico livello di religiosità (198). Egli non rimase nell'ambito del proprio paese, ma nella coscienza e nella volontà di essere asceticamente senza patria unì i pellegrinaggi verso i luoghi classici di pellegrinaggio a lui imposti, secondo la testimonianza della più antica "Vita" tramandata, quale punizione canonica, alla ricerca instancabile di luoghi e possibilità per la realizzazione delle sue idee sulla vera vita di penitenza. Egli li trovò soltanto nell'ultimo anno della sua vita in un "mapale modicum et vile" situato nella valle dell'Ampio al di sopra di Castiglione della Pescaia (diocesi di Grosseto), "mapale" che gli abbienti Lambardi da Buriano gli consentirono di edificare con l'aiuto di un presbitero della Chiesa di S. Nicola a Castiglione. In precedenza, sulla via del ritorno dalla Terra Santa, egli aveva cercato di costruire un "hospitale ad Dei venerationem et pauperum Christi refectionem" fra Pisa e Lucca, presso la Via Francigena, e di fondare o riformare comunità più lontano, verso sud, sul Poggio al Pruno e più tardi sul Monte Petrito. La forma di vita, perseguita con perseveranza e realizzata infine nell'eremo denominato Malavalle, corrispondeva, nella durezza degli esercizi ascetici, nel digiuno, nel silenzio, nella preghiera e nelle mortificazioni, all'esistenza ugualmente caratterizzata dalla tradizione eremitica di Giovanni Bono, tuttavia la superava mediante un anacoretismo osservato molto più rigidamente. Accompagnato da un "famulus" soltanto negli ultimi mesi, l'asceta tentò di raggiungere il quasi totale isolamento quale essenza dell'eremitismo, cosicché non rimase alcuno spazio per attività sociali come il provvedere a ricoveri o per la cura d'anime. Il fatto che abbandonasse continuamente nuove fondazioni o opere di riforma allo scopo di realizzare forme di vita religiosa più severe e conformi alle sue idee, potrebbe essere considerata come stilizzazione da parte degli agiografi secondo lo schema della vita di Antonio o di Benedetto, se il XII secolo non avesse numerosi esempi di mobilità inquieta e di instancabile ricerca come si manifestano nel congiungimento di eremitismo, l'essere senza patria e il pellegrinaggio (199). Questa inquietudine in contraddizione con tutte le idee della "stabilitas loci" tocca non solo monaci e chierici, ma anche laici, che dopo lunghi pellegrinaggi tentavano di realizzare le loro idee religiose nelle forme della vita eremitica riservate agli "Athletae Christi" sperimentati nella vita monastica. Quali esempi di tali laici spesso provenienti nel XII secolo da ceti patrizi ed aristocratici, si potrebbe menzionare Gerlach von Houthem (200) o Godrich von Finschale (201), se non fosse più evidente il confronto con eremiti toscani del XII secolo. Dopo lunghi pellegrinaggi che condussero a Roma, al Monte Gargano, a S.Giacomo ed in Terra Santa, Alberto da Montalceto (202) ad esempio si stabilì nella valle dell'Ombrone e del Galgano di Chiusdino (203) nella vallata superiore del Merse per condurre in questi luoghi "patrum Aegyptiorum more" un'esistenza che assomigliava a tal punto a quella dell'eremita di Malavalle, che agiografi successivi videro in queste Corrispondenze l'effetto di un rapporto diretto maestro-seguace fra Guglielmo ed i due eremiti di Montalceto e Chiusdino. Il caso di Guglielmo si distingue tuttavia da quello dei suoi due contemporanei toscani in un punto. Mentre l'eremo di Montalceto venne incorporato dall'abbazia camaldolese del S. Salvatore della Berardenga (204), e la comunità eremitica sorta attorno alla tomba di S.Galgano sul Monte Siepi si sciolse negli Ordini dei Cistercensi e/o degli Eremitani Agostiniani della Toscana (205), Malavalle divenne culla di un Ordine. Guglielmo, che non aveva certo l'intenzione di fondarne uno, contribuì a tale evoluzione mediante il modello della sua vita trascorsa in rigida ascesi. La fama di speciale santità che Alessandro III fra il 1174 ed il 1181 confermò attraverso l'autorizzazione di un culto limitato alla diocesi di Grosseto (206), era così grande che non soltanto presso la sua tomba si trovavano eremiti per vivere qui "in cellis solitarii...cum summo et continuo silentio" (207), ma anche altri eremi si unirono alla comunità guidata probabilmente da Alberto, il primo "famulus" (208), e come loro seguivano la "regula S. Guillelmi" (209), rigide disposizioni ascetiche confermate probabilmente dal vescovo Martino di Grosseto (210). La traballante unione, tenuta insieme più da ideali comuni che da legami organizzativi, accolse tuttavia sotto Gregorio IX la regola benedettina e le Costituzioni cistercensi (211), ma non avrebbe certamente superato mai il primo stadio di una vita religiosa se non fossero intervenuti forti impulsi di crescita dall'esterno, cioè dalla Curia. Con una dinamica quasi incredibile in confronto alla condotta tenuta fino ad allora, i Guglielmiti, contraddistinti dall'abito incolore e dal bastone da eremita, si diressero più o meno nel 1244 verso il nord allo scopo di fondare nel ducato di Brabante, nelle contee di Rethel e delle Fiandre, nelle diocesi di Cambrai, Liegi e Muenster i loro primi conventi transalpini, ai quali ancor prima del 1256 seguirono delle sedi nell'Isle-de-France, in Lotaringia, in Alsazia, nel Baden ed in Svevia, in Turingia, Pomerania e Brandeburgo, Boemia ed Ungheria. La costruzione dell'organizzazione dell'Ordine, cominciata sotto Gregorio IX e da allora promossa solo a stento, procedette di pari passo con questa sorprendente espansione dopo un ristagno quasi centenario. Nel 1249 si parla per la prima volta di un priore generale (212) il quale nel 1250, assieme ai rimanenti priori, nell'ambito di un Capitolo generale a Malavalle, adeguò alle mutate circostanze le Costituzioni cistercensi modificate attraverso l'Osservanza originaria (213). Nel 1248 l'Ordine venne riconosciuto quale "ordo monasticus" (214) grazie al privilegio "Religiosam vitam eligentibus", e due anni dopo ottenne il privilegio di far compiere ai suoi membri funzioni di cura d'anime quali la predicazione e la confessione (215). La tradizione sa poco degli uomini che operarono l'espansione dell'Ordine e che attraverso la loro condotta di vita riuscirono a guadagnarsi l'appoggio dei fedeli. La coincidenza temporale della loro partenza con l'entrata in carica di Innocenzo IV, e l'espansione nei territori dei signori a lui legati, fanno pensare che il Papa stesso abbia promosso questo sviluppo, cioè che abbia organizzato e mobilitato l'Ordine per ottenere la sua adesione all'attività pastorale sull'esempio degli Ordini mendicanti - senza tuttavia imporre ad esso la loro concezione di povertà - e per impiegarlo nella lotta contro i nemici della Chiesa. Lo sviluppo concreto mostra però che questo progetto rimase inadempiuto. Non la città, e cioè la realtà degli Ordini mendicanti volti alla cura d'anime ed all'agitazione politica, bensì le fasce costiere delle Fiandre, le brughiere della Westfalia, le foreste ancora intatte delle Ardenne, dell'Alsazia e della Foresta Nera, i territori orientali in attesa di una coltivazione più intensiva, divennero lo scenario della vita religiosa dei Guglielmiti, vita che nonostante la cura d'anime consentita agli eremiti, poneva al centro la preghiera, l'ascesi, il lavoro e l'isolamento. Come gli Eremiti Agostiniani a proposito delle somiglianze fra i fondatori dell'Ordine dei Zambonini e dei Francescani, così i Guglielmiti ed i Cistercensi cercarono in una maniera totalmente confusa di cogliere analogie nelle abitudini di vita dei loro Ordini attraverso relazioni dirette fra Bernardo di Chiaravalle e Guglielmo di Malavalle (216). Tali rappresentazioni sono prive di fondamenti storici, tuttavia mostrano con quale dei grandi Ordini della Chiesa i Guglielmiti debbano essere paragonati in maniera più appropriata.

 

NOTE

198) Vita S. Guillelmi auct. Alberto in MS. Bibl. Nat. Paris lat. 755 (1255-1279); PH. LAUER, Bibliothèque Nationale, Catalogue générale des manuscrits latins, Paris 1939, I, pag. 262. Vita S. Guillelmi auct. Theobaldo, ed. G. HENSCHEnius, in AA. SS. febr. II, 1658, pag. 433-450. Causa l'identificazione dell'eremita con il Conte Guglielmo X d'Aquitania, la Vita di Teobaldo si é trasformata in una sorgerte di confusione, al punto che l'esistenza dell'eremita si potrebbe anche negare: G. CHIARINI, Leggende e vita di S. Guglielmo, Livorno 1870; P. PERDRIZET, Saint Guillaume, in "Archives Alsaciennes d'Hist. De l'Art", XI (1932), pag. 119ss. L'unica edizione della Vita S. Guillelmi auct. Alberto di G. DE WAHA, Explanatio Vitae S. Guillelmi... Lüttich 1963 é guastata da aggiunte tratte dalla Vita leggendaria di Teobaldo. Su queste fonti dà notizie: ELM, Beiträge zur Geschichte...

199) J. LECLERQ, Monachisme et pérégrination du Ixe au XIIe siècle, in "Studia Monastica", II (1961), pag. 33-52; DERS., La croisade et l'esprit de pélerinage, in "La spiritualité du moyen âge, II, Paris 1961.

200) C. DAMEN, Studie over S. Gerlach van Houthem [Sulla vita di S. Gerlace eremita], in "Publications de la Soc. hist. et arch. dans le Limbourg", XCII-XCIII (1956-1957), pag. 49-113; DERS., De quodam amico spirituali b. Hildegardis Virginis, in "Sacris erudiri", X (1958), pag. 162-169; H. GRUNDMANN, Zur Vita s. Gerlaci eremitae, in "Deutsches Archiv", XVIII (1962), pag. 539-554.

201) J. STEVENSON, Libellus de vita et miraculis S. Godrici heremitae de Finchale, in "Surtees Society", XX, London 1847.

202) Vita Alberti (14 Jh.) in: G. LOMBARDELLI, Vite dei Santi e Beati Senesi, Bibl. Com. Siena Cod. K-VII-24; S. RAZZI, Le Vite dei Santi e Beati dell'Ordine di Camaldoli, Firenze 1600.

203) Infine, sulle Vite: R. ARBESMANN, The three earliest Vitae of St. Galganus, Didascaliae. In "Studies in honor of A. M. Albareda", New York 1961, pag. 1-37.

204) A. M. ZIMMERMANN, Kalendarium Benedectinum, Metten 1933, I, pag. 57-58; F. KEHR, Italia Pontificia, Berlino 1908, III, pag. 188.

205) A. CANESTRELLI, L'Abbazia di S. Galgano. Monografia storico-artistica., Firenze 1896; ARBESMANN, The three earliest Vitae... pag. 26ss; ELM, Beiträge zur Geschichte..., pag. 29ss.

206) Innocenzo III, 8.5.1202, Ms. Bibl. Munic. Cambrai 1124, fol. 196v; DE VAHA, Explanatio, pag. 326.

207) Costituzioni dell'Ordine dei Guglielmiti, Prolog, Ms. Bibl. Mazarine Paris 1770, fol. 2v: "Maiores nostri omni tempore tam estatis quam hyemis exceptis diebus dominicis ieiunabant... paupere et modico victu et vestitu contenti, domi nudipedes, foris calceati incedebant ne iustitiam suam coram hominibus facere viderentur... in cellis solitarii in heremo cum summo et continuo silentio habitantes die nocteque divine contemplationi vacando vitam agebant".

208) Cfr. ELM, Beiträge zur Geschichte..., pag. 38-41.

209) Cfr. Anm. 217.

210) Gregorio IX, 5.12.1232, Reg. Vat. 16, fol. 58; AUVRAY, I, c. 580. La "regula S. Gullelmi" non é tramandata. Si può forse trarre qualche conclusione sul suo contenuto dalle "verba" di S. Guglielmo conservate nelle Vite.

211) Gregorio IX, 11.8.1238, L. FUMI, Codice Diplomatico della Città di Orvieto, Firenze 1884, pag. 110-111, 159-160. Innocenzo IV, 8.3.1248, Arch. Vat. Reg. an. V, fol. 52v; BERGER, I, nr. 3792.

212) Innocenzo IV, 31.3.1249, Arch. Vat. Reg. an. VI, fol. 35v; BERGER, II, nr. 4430.

213) Innocenzo IV, 30.12.1250, Arch. Vat. Reg. an. VIII, fol. 28v; BERGER, II, nr. 4937.

214) Innocenzo IV, 31.3.1249, Arch. Vat. Reg. an. V, fol. 35v; BERGER, II, nr. 4430.

215) Innocenzo IV, 6.10.1250, E. PONCELET, Le Monastère de Bernardfagne dit de Saint Roch, in "Bulletin de la Société d'Art et d'Histoire du Diocèse de Liége", XIII (1902), pag. 203-204.

216) Vita S. Gullelmi auct. Theobaldo, AA. SS. Febr. II, pag. 484ss; JOHANN VON VICTRING, Liber certarum historiarum, MGH SS rer. germ. 36, I (1909), pag. 84-85, 121.

 

4. I FRATI EREMITI DI S. BENEDETTO DI MONTE FAVALE

Per i "Fratres de Fabali" invitati all'Unione nel 1256, si intendono gli abitanti dell'eremo di S. Benedetto situato sul Monte Favale nella diocesi di Pesaro. La loro casa viene menzionata due volte nella prima metà del XIII secolo nei registri pontifici. Il 9 maggio 1225 Onorio III assicurò ai suoi abitanti la protezione apostolica e contemporaneamente accondiscese alla loro richiesta di poter seguire la "regula S. Guillelmi" (217). Dopo più di due decenni, il 27 agosto 1251, Innocenzo IV permise ai frati laici di radersi in determinati periodi (218). Tale privilegio è significativo non per il suo contenuto, bensì per il suo titolo inconsueto: "Dilectis filiis generali heremi S. Benedicti de Monte Fabali et ceteris prioribus et fratribus heremitis Ordinis S. Guillelmi". Tale formulazione dell'indirizzo solleva infatti la questione sul rapporto in cui erano i "Fratres de Fabali" rispetto all'Ordine dei Guglielmiti. La definizione "Generalis" non era consueta nell'Ordine guglielmita per i superiori delle singole case, ma era riservata solamente al capo supremo dell'Ordine residente a Malavalle (218b). Ci si deve quindi chiedere perché questo titolo fosse stato aggiunto nel 1251 al priore dell'eremo di Monte Favale. Per i più antichi storici dell'Ordine tale definizione significava che S. Benedetto era il centro di una congregazione a sé stante (219). Se si accettasse ciò, ci si dovrebbe attendere che il titolo citato racchiudesse un'aggiunta restrittiva. Poiché esso è diretto di fatto a tutti i membri dell'Ordine, si deve supporre che nel 1251 non Malavalle, bensì Monte Favale fosse considerato quale sede del generale dell'Ordine. Quale motivo poteva aver determinato ciò? Le Costituzioni del XIII secolo giunte ormai a termine, prevedevano un trasferimento della sede centrale dell'Ordine qualora la casa madre di Malavalle, ereditaria, si fosse allontanata dall'Osservanza, o si fosse resa colpevole di gravi violazioni (220). Esiste la possibilità che questa disposizione fosse già in vigore nel 1251 e che S. Benedetto in una situazione d'emergenza divenisse sede del priore generale. Allo stesso modo si può pensare che non Malavalle, ma Monte Favale si fosse sottratto all'Osservanza, rivoltandosi contro la casa madre e reclamando per sé il ruolo di vertice dell'Ordine. Questa interpretazione presuppone che nell'Ordine dei Guglielmiti fosse possibile dimostrare, a metà del XIII secolo, tensioni e forze centrifughe. Questo è di fatto quanto accadde. L'11 ottobre 1250, Innocenzo IV chiese all'episcopato tedesco di impedire che "Ordinis fugitivi et alii, qui eorum fratres se nominant, domos et heremitoria construunt contra dicti Ordinis instituta" (221). Due mesi più tardi egli autorizzò la modifica delle Costituzioni dell'Ordine, poiché a causa della loro "diversitas" sarebbero diventate "materia discriminis", e nella forma che fino ad allora avevano avuto non sarebbe più stato possibile osservarle "sine frequentia magni scandali" (222). Da ciò deriva il fatto che nell'Ordine, al culmine della sua espansione, sorgessero discrepanze su questioni legate all'organizzazione dell'Ordine, che condussero palesemente a secessioni. E' evidente mettere in relazione il vistoso ruolo, rivestito un anno dopo, dall'eremo di Monte Favale, con queste tensioni minaccianti l'unità dell'Ordine, e considerare Monte Favale o come capo di un gruppo scismatico o quale sede del legittimo priore generale esiliato da Malavalle. In questo contesto è significativo il messaggio inviato il 18 agosto 1254 da Innocenzo IV al vescovo di Forlì, secondo cui il priore generale di nome Giovanni era stato destituito per "insufficientia" su iniziativa del Cardinale Ugo di St. Cher, e sostituito con un certo frate Guberto (223). Se per quanto riguarda quel Giovanni destituito per volontà dei religiosi, si fosse trattato del priore di Malavalle, la sua "insufficientia" sarebbe la spiegazione per il fatto che nel giovane Ordine si fosse giunti a tensioni e contrasti e si fosse reso necessario il temporaneo trasferimento della sede centrale dell'Ordine. Se però con il priore generale destituito si fosse inteso il "Generalis" di Monte Favale - ed è a favore di ciò che parla il fatto che la Bolla di Innocenzo IX fosse diretta non ad un vescovo della Toscana, ma della Romagna - la Curia stessa avrebbe posto fine alla secessione e con Guberto, che probabilmente risiedette di nuovo a Malavalle, avrebbe dato all'Ordine un nuovo capo. Se si accettasse l'ipotesi secondo cui Monte Favale sarebbe stato il punto di partenza di una divisione, il destino seguente di questa casa potrebbe offrire appigli per le ragioni della sua opposizione (224). I "Fratres de Fabali" non rimasero né nell'Ordine dei Guglielmiti, né in quello degli Eremiti Agostiniani, costituito nel 1256. Una volta smorzate le tensioni interne, nel 1255 essi chiesero al capitolo generale dei Cistercensi di essere accolti nell'Ordine, il che fu loro permesso dopo la verifica delle loro benemerenze (225). L'opzione per i Cistecensi, che rese inconsistente l'esortazione all'Unione del 1256, dimostra che S. Benedetto, più che promuovere, rigettò il nuovo orientamento dell'Ordine guglielmita (226). E' possibile che anche altri membri più anziani dell'Ordine guglielmita, che prima del 1256 lasciarono l'Ordine, abbiano protestato con le loro dimissioni contro un cambiamento (227) che al momento appariva pericoloso, ma che tuttavia nel tempo, come già evidenziato in precedenza, si rivelò quasi privo di conseguenze.

NOTE

217) Onorio III, 9.5.1225, Arch. Vat. Lib. 9, ep. 310, fol. 57; P. PRESSUTTI, Regesta Honorii Papae III, Romae 1895, II, nr. 5468.

218) Innocenzo IV, 27.8.1251, Arch. Vat. Reg. an. IX, nr. 32, fol. 116v; BERGER, III, nr. 5468. Zu 216: K. ELM, Zisterzienser und Wilhelmiten, in "Citeaux" XV (1964).

218b) Die Formulierungen "Generalis prior ceterique priores et fratres eremitae in Francia", "Generalis prior ceterique priores et fratres eremitae in Alemania" (Innocenzo IV, 3.9.1242, PONCELET, pag. 203; ders. 3.9.1249, Ms. Bibl. Mun. Cambrai 1124, fol. 191v, 198) bezeiehen sich möglicherweise auf die Vorsteher der französischen bzv. deutschen Wilhelmiten, die wenig später ausdrücklich "provinciales" heissen (Ms. Bibl. Mun. Lille 1209, Freiburger Urkundenbuch, I, Freiburg 1940, nr. 235).

219) J. PAMPHILIUS, Chronica, fol. 30; G. HENSCHENIUS, De S. Guilelmo Magno, eremita in Stabulo-Rodis in Etruria, Commentarius Praevius, AA. SS. febr. II (1658), pag. 473; L. TORELLI, IV, pag. 262; F. ROTH, in AUG., II (1952), pag 108; cfr. jedoch auch pag. 122.

220) Ms. Bibl. Mazarine, Paris 1770, fol. 10.

221) Innocenzo IV, 30.10.1250, Monumenta Boica XXVI, München 1826, pag. 4-5.

222) Innocenzo IV, 30.12.1250, Arch. Vat. Reg. an. VIII, fol. 28v: BERGER, II, nr. 4937.

223) Innocenzo IV, 18.8.1254, Arch. Vat. Reg. an. XII, fol. 166v; BERGER, III, nr. 7964.

224) L. H. COTTINEAU, Repertoir topo-bibliographique des abbayes et prieurés, Mâcon 1939, II, c. 1918.

225) J. CANIVEZ, Statuta Cap. Gener. Ordinis Cist., II, Löwen 1934, pag. 412.

226) Das Patrozinium des Eremitoriums legt die Vermutung nahe, dass die Eremiten von Monte Fabali vor der Annhame der "regula" des hlg. Wilhelm der Benediktinerregel folgten. Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione, LII, Venedig 1840-61, pag. 203.

227) Cfr. ELM, Beiträge zur Geschichte..., pag. 108-109.

5. I FRATI EREMITI DELL'ORDINE DI S. AGOSTINO DELLA TUSCIA

E' stato relativamente semplice delineare le caratteristiche dei gruppi finora menzionati; si tratta di comunità che derivarono da una medesima radice e che, nonostante i mutamenti e le tensioni, rappresentano una unità. La storia degli Eremitani Agostiniani della Toscana crea al contrario maggiori difficoltà. Come l'Ordine eremitano agostiniano, questa forma preliminare sorta in esso non è il risultato di un processo evolutivo lineare, bensì di più influenze che soltanto nel corso di un decennio divennero un tutt'uno. Diversamente dall'Unione del 1256, non si trattava tuttavia di un numero limitato e definito di Ordini già stabiliti, ma di una molteplicità di singole sedi delle quali solamente poche erano legate l'una all'altra prima della loro fusione nell'Ordine eremitano agostiniano della Toscana. Come preludio alla grande Unione del 1256, i rappresentanti di queste case furono chiamati nel 1243, dietro loro richiesta, da Innocenzo IV a Roma (228), dove essi nel marzo dell'anno seguente adottarono "Regulam et Ordinem S. Augustini", ed in base alle direttive del cardinale Riccardo Annibaldi, incaricato dell'Unione, si riunirono in un Ordine secondo la regola agostiniana e proprie costituzioni abbozzate con la partecipazione degli abati cistercensi di Fossanova e Fallera (229). Il significato dell'Unione autorizzata da Innocenzo IV il 31 marzo 1244 (230), ed ampliata dal 1244 al 1256 mediante l'ingresso anche di altre case, sarebbe completamente chiaro solo se si ripercorresse la storia di ciascuna delle case riunite. Le indagini sulla storia primitiva dell'Ordine eremitano agostiniano della Toscana non sono però attualmente così ampie da consentire una rappresentazione sistematica e comprensiva di tutti i dettagli, della storia di questi "Proto-Eremitani-Agostiniani" (231). Anche uno sguardo superficiale che si concentri su alcuni punti chiave mostra tuttavia che per quanto concerne l'Unione del 1244, si tratta di un risultato degno di nota nella storia monastica italiana, specialmente però della Toscana. Una parte rilevante dei conventi riuniti nel 1244 o unitisi all'Ordine subito dopo tale termine, viene nominata per la prima volta in un contratto di compravendita redatto in un Capitolo generale a Cascina e sottoscritto dai priori presenti (232). Per altri è invece possibile ripercorrere più ampiamente il passato. Ciò vale in primo luogo per un gruppo di eremi che erano diffusi a sud di Lucca, fra l'Arno e il Serchio, nella Garfagnana ed ai confini fra le diocesi di Lucca e Volterra. Tredici di questi romitaggi si erano riuniti nel 1228 in un'associazione (233) che già esisteva nel 1223, ma che comprendeva un tempo soltanto quattro case menzionate col loro nome (234). Una parte degli eremi unitisi nel 1228 vengono citati per la prima volta in quell'anno, altri, grazie alla tradizione documentale, è possibile seguirli fino alle loro origini, e cioè fin dal XII secolo. Ad alcuni di essi, nella misura in cui tale sede lo consente, deve essere rivolta una particolare attenzione.

Nell'Unione citata, all'eremo di S. Maria de Lupocavo (Rupecavo), situato nelle vicinanze di Flesso (Montuolo) a metà strada fra Lucca e Pisa, spettò un ruolo di guida. La sua esistenza è resa certa da un documento di donazione dei signori della vicina Ripafratta, che cita la consacrazione della chiesa del convento da parte del vescovo Roberto da Lucca già prima del 22 marzo 1214, data del documento di donazione (235). Se è possibile credere alle "Vite di Guglielmo" risalenti al XIII secolo, essa risale addirittura alla metà del XII secolo (236). Attorno al 1150, dopo il ritorno dalla Terra Santa, Guglielmo da Malavalle doveva aver intrapreso nella Silva Livallia, presso la località di Lupocavo già menzionata nel X secolo in un documento di Otto III, la costruzione di un ospedale e doveva aver raccolto attorno a sé eremiti là residenti, eremiti che egli esortò a "renuntiare illicetis et valefacere moribus assuetis", richiesta questa che porta a concludere che questi eremiti vissero già più a lungo secondo i loro "mores" bisognosi di riforma. Alcuni chilometri a sud di Lupocavo si trovava sul Monte Moricone nella parrocchia di Massa Carrara alla fine del XII (?) secolo un eremo con il caratteristico nome di S. Maria de Spelonca. Il 15 settembre 1198 il vescovo Guido da Lucca investì un "Magister" Giovanni de Pretis della già esistente chiesa mariana e trasferì la sua "administratio" (237) a lui e ad un presbitero di nome Dulcis, entrambi denominati "fratres heremitae". L'eremo più volte citato nella prima metà del XIII secolo, sorse come emerge dal documento di cui si è parlato, non prima del 1198. Esso doveva essere stato donato già nel 1187 ad un frate, Giovanni Honestus (238), da parte di Paganello Porcari, uno dei primi podestà di Lucca conosciuti, e doveva aver ricevuto nel 1191 un privilegio pontificio di protezione (239). Nel 1216 Onorio III concesse un tale privilegio ai due "presbyteri heremitae" Giovanni e Martino, che abitavano un eremo un po' a nord di Lucca sul monte Branca (Broncoli) (240). Anche la loro sede era più antica rispetto a tale citazione. Onorio nel 1216 rinnovò un privilegio che già il suo predecessore, Innocenzo III aveva conferito all'eremo nella medesima forma. Nello stesso periodo, nelle vicinanze di S. Maria de Spelonca sul Monte Compito, si trovava un eremo anch'esso consacrato alla Madonna. Di un abitante, chiamato per nome, di tale insediamento sappiamo che egli non era un "presbitero-eremita", ma un "monaco", e che prima del suo ingresso nell'eremo apparteneva come conventuale al convento pulciano di S. Michele in Guamo (241). Accanto ai due eremi appena menzionati, appartenevano al gruppo degli eremi riuniti già nel 1223 anche l'eremo di S. Giorgio e S. Galgano da Vallebuona, situato a nord di Lucca, nella Garfagnana. Doveva essere stato fondato nel 1214 e cioè da eremiti di S. Galgano (242) che abitarono non soltanto quest'eremo, ma anche altri due, S. Galgano di Cateste e Galgano de Fidento (243). I pochi dati da integrare quale necessità per una rappresentazione più completa, debbono bastare per dare uno sguardo alla diversità ma anche alla concentrazione spaziale degli eremi toscani. Un abbozzo della storia dell'eremo, conosciuto relativamente bene, nei pressi della chiesa di S. Giacomo in Colledonico, può forse offrire, meglio dei dati accidentali, uno sguardo al tipo ed alle modalità della "vita eremitica" condotta in quest'eremo, anche se generalizzazioni di questo tipo in relazione a fondazioni di diversa provenienza nascondono in sé un certo pericolo. Il 30 aprile 1202 il balivo, la badessa Ghisla e le conventuali del convento benedettino di S. Maria di Pontetetto a Lucca autorizzarono un accolito di nome Lothar, dietro il pagamento di un tributo in cera da versare in occasione della festa dell'ascensione di Maria, a vivere la "vita eremitica" presso la chiesa di S. Giacomo in Colledonico, appartenente al convento, dopo che questi aveva ottenuto il permesso di Innocenzo III attraverso il priore di S. Frediano (244). Poiché il contratto concluso nell'aprile del 1202 doveva valere non soltanto per Lothar, ma anche per i suoi "successores", si deve presumere che questi non pensasse solamente ad una "vita eremitica" limitata a se stesso, bensì facesse affidamento su una fondazione duratura. Alcuni atti notarili del 1216 confermano la supposizione (245). Un prete di nome Pietro era succeduto in questo periodo all'accolito quale "rector" della chiesetta e quale "prior" di una comunità di sei eremiti. I suoi successori proseguirono nel solco della continuità e portarono avanti l'incremento fondiario iniziato un tempo. L'ampliamento della proprietà della chiesa designata nel 1202 espressamente come povera, risultò dalla compravendita, ma anche da donazioni fatte soprattutto all'ingresso di nuovi membri provenienti in gran parte dai dintorni (246). La comunità eremitica che nel 1236, in occasione dell'accoglienza dei due novizi Mezzo Lombardo e Baldino, venne chiamata "ordo heremitarum cellae et ecclesiae presbyteri Rustici" (247), non era una fondazione assolutamente nuova, come dimostra tale denominazione. Già nel 1202 la chiesa di S. Giacomo conservava la tomba di un presbitero, Rustico, che aveva condotto una vita da eremita in una cella vicino a tale chiesa (248). La sua fama, che probabilmente aveva indotto Lothar ad imitarlo, era talmente grande che la sua cella, nel frattempo acquisita dalla comunità eremitica, venne ufficialmente denominata ancora alla fine del XIII secolo "cella presbyteri Rustici" (249). Poiché nessuno degli eremiti riuniti attorno alla sua tomba scrisse la sua vita, egli cadde nell'oblio come quasi tutti i fondatori degli eremi toscani e la maggior parte dei numerosi eremiti medievali. La condotta di vita degli eremiti di Colledonico viene come quella dei membri delle rimanenti fondazioni qui citate, definita come "vita eremitica". Dalle testimonianze presenti, per lo più di carattere privatistico, è possibile trarre il contenuto di questa definizione soltanto a grandi linee. E' certo che essa poté consistere in un "eremitismus purus" al massimo all'inizio degli insediamenti. Nella parte più rilevante della loro storia a noi conosciuta, si tratta al contrario di piccoli gruppi, di regola non superiori alla decina, che sotto la guida di un priore perlopiù nominato a vita, conducevano un'esistenza comune che non poteva essere definita né attraverso un'estrema povertà, né per grande ricchezza. Il fatto che queste case fossero spesso soggette ad un prete, "rector" della chiesa ad esse collegata, e che fra i conventuali ci fossero sempre alcuni preti in parte insediati in altre chiese, fa pensare che con questa "vita eremitica" si congiungesse in certa misura l'attività pastorale, forse addirittura l'attività pastorale parrocchiale (249b). Nell'ambito di questa condotta di vita è evidente la questione che giustifica le definizioni "vita eremitica" e "fratres eremitae". Secondo le nostre conoscenze attuali, essa non poteva significare altro se non che il ritiro dalla vita cittadina e la preferenza per territori isolati come quello della Garfagnana e del paesaggio collinare attorno a Lucca, erano criteri essenziali per il carattere eremitano di queste comunità. Con la scelta del luogo, gli eremi situati nella catena collinosa fra Pisa e Lucca portarono avanti un'antica tradizione eremitica. Secondo una tradizione formatasi nel XII e XIII secolo (250) ed ancora oggi rappresentata nel suo fulcro dalla ricerca locale lucchese, già nel I secolo dell'era cristiana un cosiddetto "presbyter-eremita" di nome Antonio doveva aver vissuto da eremita nei pressi del Monte Pisano dopo aver là seppellito i resti dei martiri lucchesi (250b). Durante l'alto medioevo visse sul Monte Pisano da eremita in una maniera non inconsueta nell'agiografia del XII e XIII secolo. Ma non soltanto il sacerdote paleocristiano, bensì anche il vescovo Frediano proveniente, secondo quel che si dice, dall'Irlanda prima che divenisse vescovo di Lucca (251), fece sì che la "secreta et devia loca" del "mons heremitae" diventasse luogo di vita eremitana a metà del XII secolo, in una maniera molto meno leggendaria. Fra il 1042 ed il 1044 tre sacerdoti, un chierico ed un laico edificarono qui il convento di S. Pantaleone, una delle prime fra le numerose fondazioni canoniche riformate della diocesi di Lucca. S. Pantaleone, i cui abitanti volevano sfuggire alle "conturbationes huius seculi" per vivere "a secularibus hominibus longe separati in asperibus montibus" secondo la "regula canonica" (252), non era l'unica "canonica rurale" nei dintorni di Lucca. Essa formò un gruppo con altre otto fondazioni di cui due, S. Maria de Massa Pisana e S. Michele ad Montem, si trovavano in parrocchie nelle quali nel secolo successivo sorsero due dei più importanti e più recenti eremi, S. Maria de Spelunca e S. Salvator de Brancoli (253). La posizione, similitudini nell'organizzazione, l'unione di anacoretismo e cura d'anime, affinità di culto e relazioni giuridiche sollevano la questione circa il rapporto in cui gli eremi più nuovi si trovavano di fronte ai conventi più antichi di Lucca e dintorni, e circa quale ruolo fosse stato attribuito al movimento eremitano che raggiunse nel XIII secolo il suo culmine facendo dei dintorni di Lucca una "nuova Tebaide". Il problema non può essere risolto in tale sede; si dovrà tuttavia riflettere, quale ipotesi di lavoro, sul fatto che possa trattarsi, almeno in alcuni casi, di un tardo epilogo della riforma canonica, e se nei gruppi canonici della Toscana si sia o meno cercata nella "vita eremitica", ancora una volta per altri motivi, ma in forma simile a quanto accadde nell'XI secolo, una vita religiosa più intensa rispetto a quella che era possibile in istituti più antichi, irrigiditisi dopo la loro fioritura nell'XI e XII secolo (254). L'Unione degli eremi situati soprattutto nella diocesi di Lucca - unione concepibile per la prima volta nel 1223 - viene designata dagli storiografi più antichi dell'Ordine come il perno dell'Ordine eremitano agostiniano, i cui quattro primi priori, la cui sequenza li fa "cominciare" nel 1170 con Giovanni de Spelunca, provenivano con ogni probabilità da tale cerchia (255). Se si limita il fatto che a tale proposito si tratta non dei capi dell'Ordine costituito solamente nel 1256, bensì nel migliore dei casi di una delle sue antiche forme preliminari, questa tradizione fa presumere che l'unione degli eremi lucchesi si fosse verificata già nel XII secolo. Le scarse testimonianze del tempo non consentono di verificare questa prima datazione fissata probabilmente anche per altri motivi (256). Esse consentono solamente di stabilire che la "Universitas eremitarum" citata nel 1223 non nacque in tale anno, ma aveva un'origine indubbiamente più antica. Il fatto che vengano nominati soltanto quattro eremi e che si faccia sperare l'accoglienza di ulteriori eremiti, mostra che queste tensioni all'unificazione vennero esercitate da un piccolo gruppo, e che nel 1223 in alcun modo si trovavano in un stadio finale (257), il che viene sottolineato attraverso il numero di tredici membri raggiunto nel 1228. L'essenza di questa unione, che era probabilmente soggetta ad un "prior maior" (258), viene definita mediante i termini "consortium vel hospitalis aut usus". Secondo tale definizione doveva trattarsi piuttosto di un'associazione di fondazioni autonome, e non di una forte organizzazione dell'Ordine. E' possibile che questa comunità, i cui stessi membri decidevano l'ingresso degli altri eremiti, rappresentasse una prima reazione alla costruzione di province promossa dal concilio Lateranense, e che avesse assunto, nel senso del concilio, una delle regole approvate, forse addirittura la regola agostiniana. Non è tuttavia possibile affermare tutto ciò con sicurezza. Come nei dintorni di Lucca, nel XII e XIII secolo si trovavano anche nella diocesi di Siena numerosi eremi dei quali una serie nacque nell'Ordine degli Eremitani Agostiniani della Toscana (259). In questa sede è purtroppo possibile trattare solamente la storia di tre delle più antiche case unite con particolare intensità nella metà del XIII secolo. Il più antico componente di questo gruppo apparteneva nel 1119, come emerge da un atto di donazione del conte di Ardinghesca, quale "romitorium" ad una "ecclesia S. Leunardi sita silva de lago", ed era soggetto ad un presbitero di nome Alberto (260). L'eremo, al quale nel primo quarto del XII secolo appartenevano già un "claustrum" ed un "coemiterium", era più antico del documento citato. Come emerge da un privilegio di Papa Anastasio IV del 23 gennaio 1154, già un predecessore di Alberto si era obbligato di fronte al vescovo Walfried (1085-1127) a riconoscere la dipendenza della sua casa dalla chiesa cattedrale di Siena mediante un tributo annuale in cera (261). Sotto i successori di Alberto, che erano senza eccezioni sacerdoti e che erano a capo della loro comunità quali "priores", "praepositi" o "abbates", l'eremo conobbe uno sviluppo degno di nota (262). Di ciò danno testimonianza non soltanto le donazioni da parte di signori toscani accanto a numerosi contratti di compravendita, bensì anche una grande quantità di privilegi papali secondo i quali l'eremo, le sue proprietà e dipendenze, fra cui una "domus hospitalis", vennero prese sotto la protezione pontificia a fronte di un tributo annuale (263). Nel XIII secolo i Papi, ai quali era soggetta la casa "nullo medio", si riservarono la conferma dell'elezione del priore, come accadde nel 1239 e nel 1249 quando Gregorio IX ed Innocenzo IV riconobbero, attraverso legati, la scelta di priori che fino ad allora erano appartenuti ad altre chiese (264). In tale occasione i membri della comunità furono chiamati in maniera informativa "canonici" e la loro casa "canonica", il che rende probabile il fatto che si trattasse in tal caso di una "canonica rurale" la quale, derivata da una vera e propria radice eremitica, era stata fondata nell'XI secolo probabilmente da Siena, alla cui chiesa cattedrale essa doveva tributi in cera. Il 26 maggio 1252 S. Leonardo, che prima del 1250 si era unito all'Ordine eremitano agostiniano, venne unito all'eremo di S. Salvatore de Fultignano (265). Questo eremo, che nel 1244 venne incluso nell'unione, si trovava nelle vicinanze di S. Leonardo, come risulta dall'aggiunta "in silva de lacu" comune ad entrambe le case (266). La comunità un tempo soggetta al priore Bandino, non venne tuttavia ad esistenza solamente in tale anno (267), ma poté contare su una storia "preliminare" risalente fino al XII secolo; a tale proposito ci sono prove se si fa riferimento ai privilegi concessi da Lucio II e dai suoi successori Clemente III ed Innocenzo III ad una "ecclesia S. Salvatoris" (268) non all'eremo, bensì all'anonima chiesa in Siena (269). L'eremo, che sotto Bandino, suo priore per molti anni, giunse ad un certo benessere (270), fu nel XIV secolo il centro di un'intensa vita spirituale attiva aldilà dei confini dell'Ordine e della Toscana (271). A metà del XIII secolo sembra si sia trovato tuttavia temporaneamente in una certa stasi. Ancor prima dell'Unione del 1244, senza autorizzazione da parte del vescovo competente, esso venne privato della sua autonomia dall'eremo di S. Maria de Monte Speculo, senza poter opporre resistenza nel giusto modo. Questa situazione, tuttavia, non durò a lungo. Nel 1255 l'incorporazione venne nuovamente annullata dal Cardinale Riccardo Annibaldi (272), cosicché S. Salvatore di Lecceto - come veniva perlopiù chiamato nel XIV secolo, poté intraprendere uno sviluppo che nel 1387 lo rese capo di una congregazione di riforma direttamente soggetta al priore generale (272b). E' possibile ripercorrere fin dall'inizio la storia dell'eremo di S. Maria sul Monte Specchio, che nel 1433 toccò a Lecceto (273) a differenza della storia delle due case confinanti. Nel 1189 Guazulinus Capulongi donò ad un certo frate Giovanni una parte della sua proprietà "ad hedificandum heremitorium ad honorem Dei et S. Mariae de Rocca Amadoris ad heremum tenendum et hedificandum", riservando ai membri della sua casa il diritto di poter condurre qui eventualmente la "heremitica vita" (274). L'eremo privilegiato da Papa Celestino III (275) fu più duraturo di quanto i conti di Ardinghesca, che nel 1238 fecero inserire in un documento di donazione una clausola nell'ipotesi della chiusura (276), potessero prevedere. Non scomparve, come spesso accadde a fondazioni simili, dopo la morte del fondatore, al contrario sotto i suoi successori divenne così importante da potersi unire ad altre fondazioni come S.Salvatore. Sulla vita interna della casa soggetta per lo più ad un sacerdote - un raro e fortunato caso - riferisce una Bolla di Gregorio IX del 3 gennaio 1231, dalla quale emerge il fatto che i novizi, all'ingresso nella comunità, rinunciavano alle loro proprietà, promettevano castità e giuravano obbedienza, per cui non vivevano soltanto nell' "habitus religiosus", come risulta dal testo, bensì facevano anche i voti costituenti lo "status religiosus" (277). Fino al 1231 la loro esistenza fu priva di un Ordine preciso che ad esempio regolasse il corso del "divinum officium" o la disciplina, cosicché gli eremiti del Monte Specchio e della "Sylva Lacus", che si trovavano nella medesima situazione, chiesero al Papa un regolamento del quale Gregorio IX incaricò il vescovo di Siena, assegnandogli il compito di imporre agli eremiti una delle regole approvate, di visitarli e, se necessario, di riformarli. La disposizione della Curia di dare agli eremiti una regola approvata e di riformarli, non si limitò ai due conventi menzionati, essa fu estesa a tutti gli eremi della diocesi di Siena che avevano bisogno di un tale regolamento. E' soltanto una supposizione il fatto che il vescovo di Siena avesse imposto agli "acephali", come furono chiamati nel 1231, la regola agostiniana (278), supposizione che poteva appoggiarsi al fatto che fondazioni simili, come S. Lucia situata nella vallata del Rosia e S. Antonio (279), seguissero questa regola che nella sua tipicità corrispondeva agli scopi delle comunità provenienti certamente in parte dall'ambito canonico. Il regolamento stesso è una chiara dimostrazione del fatto che la Curia già sotto Gregorio IX fosse interessata ad una unificazione e ad un ordinamento del movimento eremitano, senza certamente insistere su una concentrazione organizzativa. Che a tale proposito le due case fossero state trattate come esponenti degli eremiti di un'intera diocesi, corrispose al procedimento che la Curia nel 1240 applicò quando diede disposizioni sugli abiti ai Zambonini ed ai Brettinesi quali "maior pars" degli eremiti nella marca di Ancona e della Romagna, cercando così allo stesso tempo di comprendere con i gruppi conosciuti quelli non ancora organizzati e conosciuti, e di influenzarli (280).

Alla domanda sulla dichiarazione della regola e le origini degli eremi più antichi situati attorno a Lucca e Siena, viene data una risposta in maniera più decisa e di maggior effetto attraverso la tradizione degli Eremitani Agostiniani formulata nel XIV secolo, quando è possibile, sulla base dei fatti finora conosciuti. Tale tradizione non si contenta dell'antica età delle case derivate da cerchie clericali, essa fa risalire le sue origini piuttosto all'età arcaica del cristianesimo toscano. Essa narra che Lecceto, cuore dell'Ordine, aveva già cominciato a battere nel IV secolo, quando studenti del vescovo Ansano avevano qui cercato protezione durante la persecuzione di Valeriano (281), e che nel territorio del Monte Pisano, specialmente Lupocavo, già nel IV secolo vivevano eremiti che non soltanto nel XII o XIII secolo, bensì dallo stesso Agostino, avevano ricevuto la regola redatta appositamente per loro quando egli sulla via per Ostia si era fermato presso di loro e si era trattenuto insegnando ed imparando (282). Tale rappresentazione servì nel corso dei secoli ad opporre alle pretese dei canonici l'autonomia e la priorità per anzianità degli eremitani Agostiniani. La si può dimostrare a stento in questa forma leggendaria. Se tuttavia deve essere trovata da qualche parte la relazione diretta, ripetutamente affermata, fra il monachesimo agostiniano emigrato dall'Africa nell'alto medioevo e l'Ordine eremitano agostiniano costituito nel XIII secolo, allora la si deve cercare negli eremi di Acquaviva (283) e Centumcellae (284), eccellenti per tradizione simile. Di fatto non si trova per questa tesi alcuna prova plausibile. Almeno per quanto riguarda S. Giacomo di Acquaviva sembra al contario si sia trattato di una comunità di canonici dediti alla vita eremitica, cosicché qui come in alcune altre case si dovrebbe parlare più di una priorità dei canonici rispetto agli eremiti - per utilizzare la terminologia degli storici più antichi dell'Ordine.

La rappresentazione offerta fino ad ora potrebbe indurre a considerare l'Unione del 1244 come la riunione di comunità relativamente omogenee sorte in un territorio molto limitato. Questa impressione sarebbe errata. Le fondazioni unitesi nel 1244 e negli anni seguenti non si limitavano infatti alle diocesi di Lucca, Pisa e Siena, si estendevano piuttosto all'intera Toscana, in parte addirittura fino alle campagne confinanti con essa. Appartenevano ad epoche diverse, erano sorte nel XII e nel XIII secolo o, come vuole la tradizione degli eremi di Acquaviva e Centumcellae, le loro origini risalivano fino al medioevo. Esse risalivano ad eremiti, ma anche a gruppi eremitani; avevano, se ci si vuole esprimere in modo esagerato, carattere canonico, monastico, impresse da personalità come Guglielmo da Malavalle e Galgano da Chiusdino, e percorse da correnti come il movimento delle Crociate, i pellegrinaggi, la cura di ricoveri e le ondate di devozione laica. Qualora seguissero assolutamente una regola approvata, si trattava allora sia della regola benedettina sia di quella agostiniana, alla quale esse aggiunsero in un caso le consuetudini di Pier Damiani (284b). Le une rimasero nell'Osservanza scelta un tempo, le altre la cambiarono più volte nel corso di pochi decenni, cosicché già nel XIII secolo non era più possibile sapere dove andavano ricercate le radici dei singoli fondatori. L'unica cosa che univa le une alle altre queste comunità considerate nel 1243 dalla curia come affini, era la loro indipendenza da associazioni religiose più grandi, indipendenza che soltanto in alcuni casi era limitata da accordi, e la lontananza delle loro sedi, in gran parte povere e con pochi abitanti; l'isolamento spaziale ed organizzativo, al quale poteva aver corrisposto una condotta di vita lontano dal mondo e difficilmente descrivibile nei dettagli, fa quindi sì che si possa parlare delle loro case come di "eremi" e dei loro membri come di "eremiti". Questa molteplicità fu anche il motivo per cui la Curia non chiamò a Roma solamente determinati gruppi, bensì tutti gli eremiti in blocco della Toscana ad eccezione dei guglielmiti, già organizzati (284c). Si trattava di porre fine all'isolamento e ad una pericolosa "indominabilità" dell'eremitismo toscano, di portare le "oves errantes" in un unico Ordine, ad un sistema stabile, e di contrastare così i pericoli che minacciavano tali gruppi isolati in un periodo caratterizzato da tensioni religiose e politiche. A tale fine, destinato a non essere raggiunto attraverso le unioni locali e gli sforzi vescovili di riforma del secolo che stava cominciando, dovettero servire provvedimenti energici, come la liberazione da osservanze seguite fino ad allora ed in parte contraddittorie (285); l'estensione dei privilegi accordati alle singole case (286), il regolamento del "Divinum Officium" in una forma vincolante per tutti (287); l'introduzione di un abito nero trattenuto da una cintola (288); ed infine, quale compendio di tutti questi sforzi, la costruzione di una unitaria organizzazione dell'Ordine, il cui fondamento erano la regola agostiniana e le Costituzioni proprie legate alla sua interpretazione (289). Il cardinale Riccardo, "spiritus rector" di questa unione e "provisor et corrector" del nuovo Ordine (290), non si limitò all'aspetto negativo di tale Ordine, ma gli impresse una svolta positiva quando subito dopo l'unione prese provvedimenti che nel perdurare di tendenze derivanti dalle origini "canoniche" di singole case, fecero dell' "ordo canonicus secundum Deum et b. Augustini regulam in domibus ipsis auctoritate apostolica institutus" (291) uno strumento per la cura d'anime ed un'arma contro le minacce politiche e religiose nei confronti della Chiesa (292). Questo compito, specialmente l' "officium praedicationis ad vestram et proximorum salutem", venne svolto ben presto con vigore tale, da consentire di dire dell'intero Ordine ciò che fu detto nel 1255 dai visitatori (292b): "Quaerant dumtaxat, quae Jesu Christi sunt, non quae sua: praedicationi, correctioni et reformationi vacando". Questa disposizione alla "vita activa" corrispondeva alla volontà di espansione esterna. In alcuni anni i Toscani, con l'aiuto della Curia e l'appoggio diretto del cardinale politicamente molto influente, riuscirono a fondare numerose sedi non soltanto a Roma (S. Maria del Popolo), ma anche aldilà delle Alpi (293). Tale espansione, che suscitò stupore per la sua rapidità e consistenza, è un chiaro segno del fatto che per quanto riguarda l'Unione del 1244 non si trattò della riunione di comunità spente nella loro vita religiosa, bensì della raccolta di forze che solo nella comunità e sotto una guida lungimirante riuscirono a provare quanto fossero forti e vive (294).

NOTE

228) Innocenzo IV, 16.12.1243, EMPOLI, pag. 164; POTT., nr. 11199; Innocenzo IV, 16.12.1243, TORELLI, IV, pag. 378; BERGER, I, nr. 336.

229) TORELLI, IV, pag. 383. Bei der Angabe ROTHS (AUG. II (1952), pag. 115), das die Versammlung in S. Maria del Popolo stattgefunden habe, handelt es sich um ein Versehen, wie aus der weiteren Darstellung hervorgeht (AUG. II, (1952), pag. 118).

230) Innocenzo IV, 31.3.1244, EMPOLI, pag. 165; POTT., nr. 11315.

231) Mit der "toskanischen Eremitenbewegung", die F. SCHNEIDER "eines der unbekanntesten Gebeite" nannte (Regestum Senense, Rom 1911, pag. XLIX, LI) hat sich neben den Ordensgeschichtsschreibern (u. a. HERRERA, TORELLI) auch die ältere toskanische Lokalgeschichtsforschung beschäftigt (u. a. M. BARSOTTI, La coronatione della mirac. Imagine di Maria Vergine detta del Sasso nella chiesa di S. Agostino di Lucca, Lucca 1693; F. M. FLORENTINIUS, Hetrusciae pietatis origines..., Lucca 1701; D. PACCHI, Ricerche istoriche... della Garfagnana, Modena 1785; E. REPETTI, Dizionario geografico-fisico-storico della Toscana, Firenze 1833-1846). Einen wirklichen Ueberblick über die später in den Orden der Augustiner-Eremiten der Toskana aufgegangenen Häuser hat jedoch erst ROTH (AUG. III (1953), pag. 284-298) gegeben, der sich z. T: auf bisher unveröffentliche Materialsammlungen von S. Lopez und I Aramburu stützen konnte: A. RANO, B. VAN LUIJK, El fundo (Lopez) del Archivio General de la Orden de S. Augustin, in "Archivio Agustiniano", LV (1961). Weitere Klärung ist von R. ARBESMANN und B. VAN LUIJK, der mit der Zusammenstellung eines Bullariums begonnen hat (AUG., XII (1962), zu erhoffen.

232) TORELLI, IV, pag. 453. Cfr. ROTH (AUG. II (1952), pag. 180); AUG. III (1953), pag. 284.

233) S. BONGHI, Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca, Lucca 1872, I, pag. 6-7; IV, pag. 145. Listen dieser Klöster: M. BARSOTTI, pag. 100-195; FLORENTINIUS, pag. 128-129; A. GUERRA, P. GUIDI, Compendio di storia eccl. Lucchese dalle origini a tutto il sec. XII, Lucca 1924; ROTH, in AUG., II (1952), pag. 113-114.

234) Arch. Archiep. Lucca L 64: Cfr. BARSOTTI, pag. 133; ROTH, in AUG. III (1953), pag. 292.

235) REPETTI, II, pag. 74; IV, pag. 843.

236) MGH, DD III, nr. 223; Ms. Bibl. Nat. Lat. 755, fol. 172. Cfr. G. BINDOLI, Cella summa, Lucca 1921; FR. BARONI, "Cella summa", Notizie e ricordi del paese Cerasomma, Lucca 1932; A. LETTIERI, La Madonna del Pan del Lupo in Fognano, Pescia 1950.

237) B. Guido v. Lucca, 15.9.1198, AS Lucca, Fondo S. Agostino.

238) TORELLI IV, pag. 113.

239) BARSOTTI, pag. 127-128.

240) Onorio III, 27.9.1216, AS Lucca, S. Agostino; BARSOTTI, pag. 13.

241) Arch. Archiep. Luc. O num. 87; BARSOTTI, pag. 131.

242) BARSOTTI, pag. 129. Die Urkunde vom 29.10.1204, AS Lucca, S. Maria di Pontetto in der von Abhängigkeiten zwischen Spelunca und S. Galganus die Rede ist, kann sich auf das Eremitorium, aber ebenso gut auf die Abtei beziehen.

243) ARBESMANN, The three earliest Vitae, pag. 34ss.

244) 30.4.1202, AS Lucca, Fondo S. Maria di Pontetetto; 8.5.1202, ebd.; 1.9.1202, ebd.

245) 24.9.1216, ebd.; 9.10.1216, ebd.

246) z. B. 5.2.1221, ebd.; 1229, ebd.. Cfr. BARSOTTI, pag. 128.

247) 16.1.1236, ebd.

248) 30.4.1202, ebd.

249) P. GUIDI, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Studi e Testi 58, Roma 1932, pag. 253 nr. 4872; P. F. KEHR, Italia Pontificia, III, pag. 455.

249b) L. NANNI, La Parrocchia studiata nei documenti Lucchesi dei secoli VIII-XIII, in "Analecta Gregoriana", XLVIII, Roma 1948, gibt auf unsere Frage keine klare Antwort.

250) Vita S. Antonii, AA. SS. Aprilis III, pag. 482-488; AA. SS. Mai IV, pag. 7.

250b) G. BARSOTTI, Lucca. Guida storico-artistico-religiosa di Lucca, Lucca 1923, pag. 317-319; L. CONSORTINI, Intorno agli scavi nel sottosuolo della Basilica dei SS. Paolino e Donato in Lucca, in "Atti R. Accad. Lucch.", VI 1938; FR. BARONI, Le origini cristiane di Lucca nella leggenda e nella storia secondo i più recenti studi, ebd.; GUERRA-GUIDI, Compendio, pag. 30-32.

251) P. GUIDI, L'antica vita di S. Frediano e il vetusto catalogo dei vescovi di Lucca, Lucca 1919; P. PUCCINELLI, S. Frediano vescovo di Lucca, Lucca 1952.

252) 28.2.1042, Arch. Archiep. Ag. 27; 26.7.1044, AS Lucca, Fondo S. Ponziano; BARSOCCHINI, Memorie e documenti, V, 3, nr. 1787.

253) M. GIUSTI, Le Canoniche della Città e Diocesi di Lucca al tempo della Riforma Gregoriana, in "Studi Gregoriani", III (1948), pag. 321-367. DERS., Notizie sulle canoniche lucchesi, in "La vita comune del clero nei secoli XI e XII", I (1962), pag. 451-454.

254) Cfr. J. C. DICKINSON, The Origins of the Austin Canons and their Introduction into England, London 1950, pag. 142-143; CH. DEREINE, Chanoines, DGHE, XII (1953) c. 384; J. LECLERQ, On monastic priesthood according to the ancient medieval tradition, in "Studia Monastica" III (1961), pag. 137-155.

255) Tractatus, pag. 111-112, 62-63; Vfr., 46-47 (kritischer); Bibl. Laur. Firenze Cod. Plut. 90 sup. 48, fol. 62v-63.

256) Die frühe Geschichtsschreibung der Augustiner-Eremiten ist bemüht, die Existenz des Ordens vor 1215 zu beweisen, um zu zeigen, dass die 1274 erwogene Auflösung nicht gerechtfertigt gewesen wäre. Cfr. Anm. 329.

257) Arch. Archiep. Lucca L 64, 22.3.1223: Schenkung an die Eremiten von Vallebuona, Colledonico, Spelunca und Cascina "et pro universitate heremitarum predictorum locorum et omnium aliorum heremitarum, quos predicti heremite ad suum consortium vel hospitalitatem aut usum recipere et admittere voluerint".

258) BARSOTTI, pag. 136.

259) Neben beiläufigen Erwähnungen (z. B. G. GIGLI, Diario Senese, Lucca 1723, pag. 382ss) und älteren, z. T. ungedruckten Kompilationen (z. B. U. BENVOGLIENTI, Notizie sul S. Leonardo presso il piano del lago, Bibl. Com. Siena C-V-2; M. ALTESI, Illicetana Galleria, ebd. B-IX-10 gibt es nur eine Geschichte dieser Eremitengruppe (A. LANDUCCI, Sacra Leccetana selva cioè origine e progressi dell'antico e venerabile eremo e congregatione di Lecceto in Toscana, Roma 1657, Siena 1653), die -stark legendär- sich vornehmlich mit den um Lecceto gruppierten Eremitorien beschäftigt. Ihre Ersetzung durch ein kritische Auswertung des trotz aller Verluste noch umfangreichen Materials (u. a. AS Siena, AS Firenze, Bibl. Com. Siena, Westdeutsche Bibl. Marburg) steht noch aus, wurde jedoch von B. HACKETT angekündigt (The Irish Ecclesiastic Record, LXXXVII (1957), pag. 17, Anm. 3) Ein solche monographische Arbeit wird erst die Probleme lösen können, die hier nur angedeutet werden.

260) Juli 1119, AS Siena, Acq. Piccioli; A. LISINI, Inventario delle pergamene conservate nel diplomatico del R. Archivio di Stato di Siena, Siena 1908, pag. 72; SCHNEIDER, nr. 159.

261) Anastasio IV, 23.1.1154; S. LÖWENFELD, Papstbullen in der Kgl. Bibliotehk zu Berlin, in "Neues Archiv", XI (1886), pag. 610; A. HESSEL, Le bolle pontificie anteriori al 1198 per S. Leonardo "de Lacu Verano", in "Bull. Sen.", VIII (1901), pag. 336.

262) AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto, Acq. Piccioli. Cfr. LISINI, Inventario, passim.

263) Lucio II, 6.5.1144; Anastasio IV, 23.1.1154; Adriano IV, 16.3.1155; Alessandro III, 14.4.1178; Lucio III, 9.10.1185; Urbano III, 12.12.1186; Gregorio VIII, 1187; Clemente III, 1187-1191; Celestino III, 1191-1198; Gregorio IX, 3.2.1228. Westdeutsche Bibl. Marburg (ehem. Preuss. Staatsbibliothek Berlin); LÖWENFELD, in "Neues Archiv", XI (1886), pag. 609-616; HESSEL, in "Bull. Sen.", VIII (1901), pag. 333-344.

264) Gregorio IX, 22.4.(20.2)1236, AS Siena, Acq. Piccioli; LISINI, pag. 273; 24.1.1249, AS Siena, Acq. Piccioli; LISINI, pag. 418.

265) Innocenzo IV, 26.5.1252, LÖWENFELD, pag. 611, nr. 13; Alessandro IV, 25.6.1255. EMPOLI, pag. 10; POTT., nr. 15904 (Bestätigung).

266) Gregorio IX, 3.2.1228, Bibl. Com. Siena; SCHNEIDER, pag. 334, nr. 751. Die Weihe erfolgte nach Schneider (pag. 337, nr. 757) im Jahre 1228. Cfr. SCHNEIDER, pag. 339, Anm. I.

267) So SCHNEIDER, pag. LII.

268) Lucio III, 1181-1185; Clemente III, 1187-1191; Innocenzo III, 12.6.1198; KEHR, Italia Pontificia, III, pag. 225.

269) SCHNEIDER, pag. LII, Anm. 2. Das 1223 einem Prior Martin unterstellte Eremitorium (AS Siena, Acq. Piccioli) wurde möglicherweise von S. Leonard gegründet und erkannte 1228 für seine "ecclesia noviter facta" das Patronat der Kommune von Siena an. (AS Siena, Kaleffo vecchio, fol. 191, SCHNEIDER, pag. 337, 347). Die durch das Nebencinander mit S. Leonard verwirrende Ueberlieferung bedarf jedoch noch der Klärung, bevor ein definitiver Ansatz für die Gründungszeit gewagt werden darf; mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit kann man jedoch das 12 Jahrhundert in Betracht ziehen.

270) Vorwiegend AS Siena, Acq. Piccioli.

271) LANDUCCI, Leccetana Selva, pag. 48; R. FAWTIER, S. Catherine de Sienne. Essai critique de source, Paris 1921, pag. 53-81; P. MISCIATTELI, Gli Assempri di fr. Filippo degli Agazzani, Siena 1922; Sanctus Augustinus II, pag. 385-386.

272) Richard Annibaldi, 16.6.1255, AS Siena Acq. Piccioli. Gregorio IV, 3.1.1231, EMPOLI, pag. 125; POTT., nr. 8646 zeigt schon 1231 eine Verbindung zwischen den Eremitorien von Sylva Lacus und Montespecchio. Obwohl meist nur im Zusammenhang mit S. Salvator von der "eremus de silva lacus" die Rede ist, muss im Auge behalten werden, dass auch das 1252 im Verfall begriffene, mit S. Salvator vereinigte S. Leonard gemeint sein könnte.

272b) LANDUCCI, Leccetana Selva; E. ESTEBAN, De capitulis generalibus observantiarum Italiae O.E.S.A., in AA. VII (1917), pag. 74-88; S. LOPEZ, Notitiae circa observantiam in genere contentae in registris ordinis, in AA. XIX (1943), pag. 110-130, 169-179; D. GUTIRREZ, in "Dictionnaire de Spiritualité", IV 1960, cc. 683-1018; B. VAN LUIJK, Introduccion bibliografica a la espiritualidad de los Eremitaños de San Agustin, in Rev. August. de Espir.", IV (1963), pag. 294-295; F. X. MARTIN, Giles of Viterbo and the Monastery of L., in AA. XXV (1962), pag. 237ss.

273) REPETTI, III, pag. 457ss.

274) 15.10.1189, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 134, nr. 344; 23.10.1189, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 135, nr. 345; 27.9.1191, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 137, nr. 350 etc.

275) 25.3-31.8.1193, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 140, nr. 357; KEHR, III, pag. 230.

276) 24.4.1228, AS Siena, Fondo S. Salvatore di Lecceto; SCHNEIDER, pag. 338, nr. 759: "si heremitorium dissiparetur, ita quod fratres non morarentur ibi, territorium deveniat ad nos, donec fratres reverterentur".

277) Gregorio IX, 3.1.1231, EMPOLI, pag. 125; POTT., nr. 8646.

278) ROTH, in AUG. II (1952), pag 113: "In 1231 the hermitages of Lecceto and Montespecchio asked for the Rule of St. Augustine". Ob bis dahin der "ordo antiqus" beachtet wurde, ist noch zu untersuchen.

279) Gregorio IX, 7.3.1228, AS Siena, Fondo S. Agostino di Siena; LISINI, "Bull. Senese", XV (1908), pag. 170.

280) Gregorio IX, 24.3.1240, EMPOLI, pag. 126; POTT., nr. 10860-8504; L. AUVRAY, Les registres de Grégoire IX, Paris 1899. Gregorio IX, 18.8.1240, TORELLI, IV, pag. 353; POTT., nr. 10932.

281) Die beste Zusammenfassung dieser legendären Berichte, wie sie sich in der Literatur innerhalb (z. B. HERRERA, Alphabetum, I, pag. 491ss) und ausserhalb (GIGLI, Diario, II, pag. 382ss) des Ordens finden und durch häufig plumpe Fälschungen (z. B. Schenkungsurkunde von 370, Bibl. Com. Siena, C-IV-3, fol. 59) "bewiesen" wurden, gibt Landucci in der erwähnten Geschichte von Lecceto. Cfr. auch Anm. 250ss.

282) Ms. Verodunensis 41, fol. 134, AUG., VI (1936), pag. 128; FLORENTINIUS, Hetrusciae pietatis origines, pag. 118-120; R. ARBESMANN, The "Vita A. Aug. Hipp. Ep." In Cod. Laur. Plut. 90, sup. 48, in "Traditio", XVII (1962), pag. 319ss.

283) Cfr. zur Geschichte und dem legendären Ursprung des seit dem 12 Jahrhundert bekannten Eremitoriums S. Jacob von Acquaviva (Livorno): V. SANTELLI: Stato antico e moderno di Livorno, Firenze 1771, III, pag. 44-61; V. TARGIONI, Gli Agostiniani in Livorno. Cenni storici, Firenze 1856, pag. 8; M. G. GUIGGI, S. Jacopo d'Acquaviva nella tradizione e nella storia, in "La Rivista di Livorno", I (1926); Z. LAZZARI, S. Francesco a Livorno, ebd., pag. 443ss.

284) Heinrich v. Friemar, Tractatus, pag. 96. Zur Lage des am 30.3.1243 in einer Bulle Innozenz IV zuerst erwähnten Hauses cfr. F. ROTH, in AUG. II (1952), pag. 141-142.

284b) VAN LUIJK, Bullarium O.E.S.A., in AUG. XII (1962), pag. 170-180.

284c) Innocenzo IV, 16.12.1243, EMPOLI, pag. 164; POTT., nr. 11199: "Dilectis filiis universis eremitis, exceptis fratribus S. Guillelmi, in Tuscia constitutis" - "Nos nolentes vos sine pastore sicut oves errantes post gregum vestigia evagari universitati vestrae per apostolica scripta mandamus, quatenus in unum vos regulare propositum conformantes, regulam b. Augustini et ordinem assumatis...".

285) Innocenzo IV, 26.3.1244, Arch. Vat. Reg. an. I, nr. 577, fol. 93; BERGER, I, nr. 578; ders. 28.3.1244, Arch. Vat. Reg. an. I, nr. 576, fol. 93; BERGER, I, nr. 576.

286) Innocenzo IV, 25.9.1245, AA. IV (1904-1906), pag. 274-275; BERGER, I, nr. 1534.

287) Innocenzo IV, 31.3.1244, EMPOLI, pag. 165; POTT., nr. 11315.

288) Innocenzo IV, 1.7.1253, L. WADDING, Ann. Minorum II, pag. 466; POTT., nr. 15035. Alessandro IV, 22.7.1255, Bull. Rom. Taur. III, pag. 616; POTT., nr. 15942.

289) Innocenzo IV, 16.12.1243, EMPOLI, pag. 164; POTT., nr. 11119. Alessandro IV, 31.7.1255, Bull. Rom. Taur. III, pag. 616-618; POTT., nr. 15965.

290) Innocenzo IV, 16.12.1243, EMPOLI, pag. 164; POTT., nr. 11119. Alessandro IV, 23.3.1257, EMPOLI, pag. 23; POTT., nr. 11381.

291) Innocenzo IV, 26.4.1244, EMPOLI, pag. 166; POTT., nr. 11353.

292) Innocenzo IV, 23.3.1244, Arch. Vat. Reg. an. I, nr. 570, fol. 92; BERGER, I, nr. 572. Das Original im AS Siena, Fondo S. Agostino wird von LISINI, pag. 118, Papst Innozenz III zugeschrieben, ahnlich Innozenz IV, 19.4.1244; 22.4.1244, AS Siena, Fondo S. Agostino (LISINI, pag. 117).

292b) Alessandro IV, 31.7.1255, Bull. Rom. Taur. III, pag. 617; POTT., nr. 15965.

293) Ueber die Erforschung der Ausbreitung der 1256 vereinigten Orden cfr. ROTH, in AUG. II (1952); AUG. III (1953); AUG. IV (1954); AUG. VIII (1958); ELM, in "Archiv für Kulturgeschichte", XLII (1960).

294) Das schliesst die Notwendigkeit von Reformen (Innocenzo IV, 28.5.1244, AS Siena, Fondo S. Agostino; LISINI, pag. 342) und das Bestehen auf Sonderrechte (Innocenzo IV, 16.4.1248, BERGER, II, nr. 3909) nicht aus.

 

III. I MOTIVI DELLA FORMAZIONE DELL'ORDINE EREMITANO AGOSTINIANO

Quando dopo la morte di Innocenzo IV il cardinale Riccardo, con l'appoggio di Alessandro IV, suo parente, riprese l'opera di unificazione degli eremiti intrapresa nel 1244, allo scopo di portarla avanti entro limiti più grandi e di completarla, si trovò a fronteggiare un'altra situazione (295). Questa volta non si trattava di raccogliere un gran numero, difficilmente calcolabile, di fondazioni piccole e poco ordinate, bensì di unire in forma nuova, sotto un altro nome e con un unico abito, un numero limitato di Ordini viventi secondo regole approvate, bene organizzati ed in parte protetti da cardinali molto influenti; soltanto gli Eremitani Agostiniani della Toscana poterono provare la soddisfazione di veder continuare a vivere la loro tradizione, i loro nomi ed il loro abito. La rappresentazione finora offerta ha mostrato che gli Ordini indotti nel 1256 ad unirsi, in tutta la loro diversità quanto ad età ed origini, avevano in comune una originaria tendenza alla vita isolata dal mondo (296), tendenza che tuttavia si unì con la volontà di vita apostolica in povertà, mendicità e predicazione culminante nella prima metà del XIII secolo, e che fu sempre più celata dalla dinamica di questo ideale, il che fu incoraggiato ed accelerato dalla Curia, soprattutto sotto Innocenzo IV, attraverso indulti e privilegi apostolici. Relativamente a questa situazione sorge la domanda sul perché il cardinale Riccardo Annibaldi, nonostante l'organizzazione promossa sotto Innocenzo IV e l'attività di cura d'anime rafforzata sotto il suo pontificato, insistette su un'unione, soprattutto su provvedimenti presi dopo il 1256 allo scopo di intensificare la cura d'anime, come l'ordine di lasciare gli eremi isolati e di insediarsi nelle città, provvedimenti che avrebbero potuto essere seguiti anche all'interno dei singoli Ordini (297). Una prima risposta viene data dal desiderio "ex pluribus cuneis acies una consurgeret fortior ad hostiles spiritualis nequietie impetus conterendos" espresso nella Bolla "Licet Ecclesiae Catholicae" (298). Essa afferma che per la Curia, per quanto riguarda i provvedimenti messi in atto sostanzialmente da Riccardo, non si trattò dell'attivazione della cura d'anime nell'ancor relativamente piccolo Ordine, bensì della creazione di una comunità numericamente più grande e più potente di quella esistita fino ad allora. Quale modello avesse a tale proposito davanti agli occhi, lo mostrano non soltanto il tipo di privilegi e la forma dell'organizzazione dell'Ordine (299), ma anche le chiare affermazioni degli storici dell'Ordine del XIV secolo, che con una franchezza fuori dal comune fra gruppi in competizione, spiegano come il Papa si fosse lasciato guidare dal modello dei Francescani e dei Domenicani, i quali per la Chiesa si erano dimostrati molto importanti (300). Volendo vedere nell'Ordine di nuova fondazione una comunità di egual valore rispetto ai Francescani ed ai Domenicani, non si può dimenticare che entrambe le unioni non vennero ideate e realizzate da istanze anonime, ma furono, in una maniera certamente fuori dal comune, soprattutto l'opera di un uomo, il cardinale Riccardo Annibaldi (301). L'aristocratico, discendente da un'importante famiglia romana, che dal 1237 fino alla sua morte avvenuta nel 1276, appartenne al Sacro Collegio quale cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria, non aveva in fondo una natura monastica alla quale sarebbe stata necessaria una fondazione di un Ordine. Si tratta di un principe della Chiesa il quale, circondato da un vasto seguito, sostenuto da cardinali a lui fedeli e reso più forte da papi suoi parenti, giocò un ruolo importante non soltanto nelle grandi questioni politico-ecclesiastiche, bensì anche in quelle romane ed italiane, ruolo che fece sì che l'avversario degli Svevi divenisse sostenitore dichiarato della politica inglese, amico e fautore di Carlo d'Angiò ed infine, dopo la sua svolta verso una politica contrastante con le intenzioni della Curia, sostenitore degli interessi imperiali. E' improbabile che un politico impegnato in tale misura e non estraneo a rivalità interne alla Curia non si sia occupato con inaudito zelo, perfino in questioni di dettaglio della formazione, espansione e guida dell'Ordine - solo per poter attuare in maniera non egoistica il XIII canone del Concilio Lateranense del 1215. E' più ovvio che formazione dell'Ordine ed interessi politico-ecclesiastici coesistessero, che un uomo come Riccardo Annibaldi sapesse valutare il significato e l'importanza di un Ordine molto diffuso e guidato centralmente, e che a lui, come ai suoi confratelli, sostenitori o avversari che fossero, fosse chiaro quanto il protettorato avrebbe potuto aumentare il potere e l'influenza su un Ordine simile. L'interesse personale del cardinale, il cui "Guelfismo" indubbiamente influenzò l'atteggiamento successivo dell'Ordine, volutamente fedele al Papa, non deve illudere sul fatto che l'Unione senz'altro venne incontro completamente a bisogni oggettivi. Come viene accennato nella Bolla "Licet Ecclesiae Catholica" (302), la coesistenza degli Ordini, di tanto in tanto divisi e con abiti diversi, era già da tempo motivo di serie preoccupazioni. Nel loro aspetto esteriore e nella loro condotta di vita i membri degli Ordini uniti si distinguevano poco da quelli delle istituzioni scaturite dai movimenti eremitani, di povertà e di penitenza, che quale espressione visibile dei loro principi indossavano l' "habitus paupertatis", l'abito perlopiù grigio o incolore (grezzo). Certamente nella grande quantità di gruppi e comunità diversi di essi dovettero correre il pericolo di essere scambiati con eretici e spie similmente vestiti. Questa molteplicità era pericolosa perché induceva in errore i fedeli ai quali mancava necessariamente la capacità di distinguere. Essa divenne tuttavia un pericolo reale soltanto con le tensioni che essa produsse nella struttura degli Ordini religiosi. I Minoriti, esponenti ortodossi del movimento religioso di povetà del XIII secolo, esigevano per sé in atteggiamento monopolistico anche il programma visibile di questo movimento, e cioè l' "habitus paupertatis", il semplice abito grigio, trattenuto da una cintola intrecciata. Le tensioni fra i Minoriti e gli Ordini dei Zambonini, dei Brettinesi e dei Guglielmiti, organizzati non senza il loro modello, non si espressero quindi soltanto in tentativi, ad esempio di portare l'Ordine dei Zambonini all'annessione (303), bensì anche in frequenti proteste ed interventi nell'ambito della Curia che si risolsero nell'indurre questi Ordini alla rinuncia al loro abito o alla particolare caratterizzazione, come press'a poco il mantenimento del bastone da eremita il quale, a chi si era fatto vecchio nella vita eremitica, iniziava a pesare (304). In una serie di pretese, contropretese, minacce di punizioni e compromessi sollevate con la Bolla "Dudum apparuit" del 24 marzo 1240, la Curia cercò di indurre gli Ordini in questione, in particolare i Zambonini ed i Brettinesi, così come altre comunità scaturite dai movimenti religiosi del XII e XIII secolo, ad assumere un abito bianco o nero allo scopo di contraddistinguere anche esterioriormente i Minoriti quali veri rappresentanti del concetto di povertà legittimato dal punto di vista ecclesiastico, e di adeguare gli altri Ordini, approvati o come "ordo canonicus" o come "ordo monasticus", anche nel loro abito: "nigri" o "albi" (305). Le disposizioni di Gregorio IX incontrarono la vigorosa resistenza soprattutto da parte dei Brettinesi, e portarono soltanto a dei compromessi. Solo il Cardinale Riccardo, attraverso l'Unione, fece qualcosa di concreto anche a tale proposito. Egli prescrisse l'abito nero, già proposto da Gregorio IX, nella forma già indossata dagli Eremitani Agostiniani della Toscana all'intero Ordine, il quale lo accettò dopo qualche indugio (306) e lo intese nel XIV secolo quale espressione del suo carattere impresso, a quel che si dice, dallo stesso Agostino (307). Che con l'Unione del 1256 si fosse giunti all'unificazione dell'Ordine, e quindi per la prima volta al congiungimento di gruppi omogenei, divenne evidente pochi mesi dopo l'assemblea di unione in S. Maria del Popolo. L' 1 agosto 1256 un provinciale, certo Nicola, dichiarò "nomine meo et omnium fratrum totius provinciae et locorum dicti Ordinis", di essere pronto ad aderire all'Ordine eremitano agostiniano su disposizione del Cardinale Riccardo, delegato del Papa (308). Si trattava del Priore della "domus S. Augustini" a Milano e del Provinciale degli ultimi rappresentanti dell'Italia settentrionale dei "Pauperes Catholici", che nel 1207, sotto Durando di Huesca di Diego di Osma e Domenico, erano stati convertiti e riappacificati con la Chiesa, dopo il 1237 avevano adottato la regola agostiniana, ed ora avevano perduto in importanza (309). E' vero che tale sviluppo aveva allontanato sempre di più gli eretici riconciliati dal loro "propositum" originario, e li aveva condotti nelle vie del sistema religioso tradizionale; è tuttavia sbagliato quanto emerge dalla storiografia religiosa, secondo cui cioé tale sviluppo avrebbe reso eremiti dei predicatori della vita apostolica, a meno che non si considerassero eremiti non soltanto simili comunità viventi isolate come gli eremi toscani, ma anche gruppi viventi al di fuori dei grandi Ordini, in un ampliamento quasi eccessivo del concetto (310). L'esternazione fatta da Alessandro IV in occasione dell'incorporazione dei "Pauperes Catholici", secondo la quale il Cardinale Riccardo Annibaldi era incaricato di riunire "omnes eremitas cuius cumque Ordinis" (311), è uno degli indizi (312) che fanno capire che almeno temporaneamente esistevano progetti in Curia relativamente alla riunione di altri gruppi rispetto a quanto accaduto nel 1256 con la Grande Unione. Il fatto che Serviti (313), Camaldolesi (314) e Carmelitani (314b), che nell'anno dell'Unione si erano affrettati a richiedere il rinnovamento dell'approvazione dei loro Ordini, non fossero stati inclusi nella grande riunione di eremiti, non fu uno svantaggio per l'opera del cardinale. Un Ordine di simili dimensioni, composto da membri di origine diversa e con un passato ricco di tradizione, sarebbe andato oltre le forze e le possibilità anche di un uomo più potente e più energico di quanto non fosse il cardinale in questione. La realizzazione dell'Unione più piccola comportò sufficienti difficoltà. La rigida pretesa di povertà ispirata al modello dei Minoriti dovette essere mitigata (315) e ad alcuni eremi dovette essere riconosciuta la possibilità di permanere nella condotta di vita avuta fino a quel momento (316). Anche queste concessioni non bastarono tuttavia a salvare l'unità del giovane Ordine. Già nel 1256 si accese nuovamente fra i "Poveri Cattolici" l'antico fuoco rivoluzionario. A Milano essi si rifiutarono di vivere "in choro, refectorio, dormitorio et in capitulo sicut ipsius Ordinis fratres" ed in luogo di ciò fuggirono dal convento agostiniano di S. Marco, dove erano stati insediati per favorire una loro migliore "assimilazione", verso la loro "Schola", molto discussa già all'inizio del secolo. Qui essi affermarono ancora per alcuni anni la loro autonomia. Solo nel 1272 furono ricondotti nell'Ordine con la forza delle armi come peccatori pentiti (317). Più duratura e più ricca di successi fu l'opposizione dei Guglielmiti. Al Capitolo di unione nel marzo del 1256, essi avevano aderito all'unione con riluttanza, ma in forma giuridicamente vincolante (318); subito dopo questo passo, tuttavia, essi dovevano aver riconosciuto la portata di una decisione che li privava del titolo del loro Ordine e del loro abito, e che poneva fine impietosamente ad una storia più o meno secolare, durante la quale essi erano dinvenuti una comunità insediata in vaste parti d'Europa. In un periodo di tempo relativamente breve essi riuscirono, facendo presente fra gli altri la loro rigida condotta di vita, ad ottenere l'uscita dall'Unione (319) e, in una maniera fino ad allora inconsueta, ad ottenere la conferma di "ordo eremiticus" (320). Sebbene Alessandro IV avesse nell'agosto del 1256 permesso agli eremiti dell'Ordine guglielmita di restare "in solito habitu", la bolla dell'Unione "licet Ecclesiae Catholicae" non mancò di produrre i suoi effetti. Numerosi conventi guglielmiti situati soprattutto in Germania ed in Ungheria, si unirono agli Eremitani Agostiniani, e nel corso del nuovo orientamento di questo Ordine furono soppressi e trasferiti nelle città in parte contro le resistenze del clero. L'Ordine gugliemita cercò, contro questa illegittima diminuzione, l'aiuto della Curia. Ma nonostante molteplici minacce di punizioni contro l'apostasia dei singoli membri, e la conversione di intere case (321), ci vollero ancora dieci anni prima che Clemente IV inducesse i cardinali protettori degli Ordini in conflitto ad un compromesso col quale il Cardinale Riccardo poté spingere il suo confratello Cardinale Stefano di Gran, protettore dei Guglielmiti, a concedere di lasciare nell'Ordine eremitano agostiniano circa dieci conventi guglielmiti, e ad accontentarsi della restituzione di probabilmente quattro conventi (322). La diminuzione dei "pauperes Catholici" e l'uscita dei Guglielmiti dovettero al momento sembrare una perdita che faceva dell'unione grandemente pianificata un'opera incompiuta. Lo sviluppo successivo dell'Ordine eremitano agostiniano mostra tuttavia come la limitazione a tre Ordini, ai quali erano comuni già prima dell'Unione la regola agostiniana ed una intenzionale conversione alla mendicità ed alla cura d'anime, evitò tensioni profonde. La molteplicità così limitata in maniera tollerabile, si perdette nel corso del XIII secolo e ricevette soprattutto nel XIV secolo una particolare legittimazione allorquando, in mancanza di una proprio grande fondatore, si cominciò a considerare S. Agostino, la cui regola tutti e tre seguivano, come padre dell'Ordine, e l'Ordine stesso come la "più agostiniana" di tutte le comunità viventi secondo la regola agostiniana (323). In tale luce l'unione apparve come la concentrazione dell'antico e venerabile monachesimo agostiniano, e la coesistenza di ascesi eremitica e cura d'anime attiva, caratteristica ancora nel XIV secolo, come seguito allo stesso modo legittimo del padre dell'Ordine, che, quale eremita e predicatore, vescovo e monaco, poteva essere modello per tutti i membri dell'Ordine. Da uno sguardo a posteriori alla nostra lacunosa rappresentazione, che lascia irrisolti più problemi di quanti non ne risolva, emerge che l'Ordine eremitano agostiniano non fu il risultato di un unico atto costitutivo da datare nell'anno 1256. Esso fu piuttosto il prodotto di un'intera serie di provvedimenti presi innanzitutto all'inizio del XIII secolo ancora senza l'intenzione di una costruzione dell'Ordine, ma ricondotti più tardi all'interno di una pianificazione ispirata dalla Curia. In realtà soltanto alla fine del XIII secolo si fece notare nell'efficace e ben organizzato Ordine il frutto di questi molteplici sforzi. Retrospettivamente si può anche osservare il fatto che per quanto riguarda la formazione di questo Ordine non si trattò di una riorganizzazione violenta e dolorosa di anacoreti vissuti fino ad allora nel perfetto isolamento della contemplazione, come invece percepì tutto ciò Guglielmo Flete in un romantico disconoscimento della preistoria dell'Ordine. Il desiderio di eremitico isolamento che era all'origine di tutti i gruppi riuniti nel 1256, si realizzò solo raramente nelle forme di un anacoretismo idealtipico, e senza dubbio non trovò spesso una spensierata scappatoia non toccata da tensioni politiche e religiose, come quella cercata dall'eremita inglese che tentava di conservarla quando Caterina da Siena lo esortò a difendere la causa della ricostruzione dell'unità ecclesiastica e della riconquista della Terra Santa. Già nei primi anni della loro esistenza, i Zambonini ed i Brettinesi, ad esempio, furono sottratti al loro isolamento e coercitivamente riportati "nel mondo" alla mendicità e al desiderio di azione apostolica, e posti di fronte all'alternativa fra "vita contemplativa" e "vita activa" sempre avvertita nel medioevo come assillante. Quando con l'Unione del 1256 la cura d'anime attiva divenne il vero e proprio compito dell'Ordine, ciò non significò certo un nuovo orientamento di base, ma soltanto il rafforzamento di una tendenza già presente. Negli Ordini dei Brettinesi e dei Zambonini, la decisione fra l'eremitisno e l'attività pastorale era già presa, per quanto riguarda gli Agostiniani della Toscana la promozione, conforme ai piani, della cura d'anime, aveva nell'unione del 1244 soltanto rafforzato un più antico disegno risalente alle origini di alcune case, e non aveva quindi posto alcuna nuova funzione; anche in questo caso, di conseguenza, l'Unione del 1256, con la sua energica pretesa di porsi completamente al servizio della cura d'anime, fu soltanto una tappa, sebbene importante, di un più lungo cammino.

Entrambe le tendenze dell'unificazione e della trasformazione, operanti per quasi un secolo, furono determinanti nel XIII secolo non soltanto per la storia dell'Ordine eremitano agostiniano. Solo per citare due esempi fra loro molto lontani dal punto di vista spaziale, è possibile seguirle con riguardo agli eremiti di S. Paolo (324), originari dell'Ungheria, ed agli eremiti del Monte Carmelo (325), provenienti dalla Terra Santa, di cui gli uni vennero "acquisiti", gli altri convertiti ad una esistenza improntata alla mendicità ed alla cura d'anime. Essi vanno collocati nel contesto degli sforzi aumentati sotto Innocenzo III, e sempre rinnovati nel corso del XIII secolo, di organizzare le numerose comunità risalenti al XII secolo o sorte nel XIII, e di porle al servizio della Chiesa e dell'attività pastorale (326). Questi sforzi raggiunsero il loro culmine quando il Concilio di Lione su consiglio degli esperti consultati (327), decise di sciogliere gli Ordini mendicanti più piccoli sorti dopo il 1215, che dal punto di vista dei potenti ed influenti Ordini mendicanti potevano sembrare pallide imitazioni e deboli epigoni (328). Questo provvedimento, che escludeva solamente i Francescani e i Domenicani (329), riguardava anche gli Eremitani Agostiniani e significava che l'opera del Cardinale Riccardo era stata posta di fronte alla sua più grande prova di resistenza. Il Concilio si astenne nel 1274 da una decisione definitiva sul destino degli Eremitani Agostiniani e dei Carmelitani. Poco più tardi la Curia si decise a favore di entrambi gli Ordini e dei Serviti che miravano ad uno sviluppo simile, allorquando fu loro concesso di continuare ad esistere e ad assumere sedi degli Ordini sciolti (330). Questo privilegio continuò ad essere garantito soltanto dopo importanti mediazioni. Senza dubbio in tale occasione si operò nel senso che le effettive origini sia degli Eremitani che dei Carmelitani ebbero la priorità sul Concilio Lateranense. Il vero argomento, che la decisione positiva della Curia potesse aver determinato, fu tuttavia il richiamo al fatto che gli Ordini menzionati, così come i Francescani e i Domenicani, si fossero resi indispensabili per la Chiesa attraverso la loro "utilitas", ed avessero così il diritto di continuare ad operare. Il riconoscimento di tale esigenza significò un ultimo "placet" al lungo processo di unificazione e trasformazione al quale l'Ordine eremitano agostiniano era stato soggetto. La "utilitas" per la Chiesa e per i suoi fedeli confermata all'Ordine non può essere misurata con il parametro che risponde alle funzioni dell'eremitismo classico. Cura d'anime, scienza ed attività ecclesiastico politica sono campi d'attività che non corrispondono al senso di una condotta di vita che serve la comunità soltanto in maniera indiretta mediante l'autosantificazione, un'esistenza esemplare e la preghiera per gli altri. La rinuncia alla vita eremitica e l'assunzione di un'attività rivolta al mondo, il cambiamento dalla "vita contemplativa" alla "vita activa" si realizzò nell'Ordine eremitano agostiniano non senza il tentativo di una giustificazione teologica. Inquadrarlo nel contesto della storia spirituale del XIII e XIV secolo è un compito che in tale sede può essere soltanto abbozzato, ma non essere risolto.

NOTE

295) Innocenzo IV, 15.7.1255, AA. IV, pag. 297; ders. 23.3.1257, EMPOLI, pag. 23; POTT., nr. 16806.

296) Trotz der von B. VAN LUIJK, in "Archiv für Kulturgeschichte", XLVI (1962), pag. 130-131, gegen eine ähnliche Formulierung im "Archiv für Kulturgeschichte", XLII (1960), pag. 357, vorgebrachten Bedenken, möchte ich an der obigen Darstellung festhalten. Cfr. In diesem Zusammenhang auch Anm. 307-309.

297) Alessandro IV, 12.4.1256, AA. IV, pag. 441; BOUREL I, 314; ders. 13.12.1259, TORELLI IV, pag. 639. Die nach 1256 zunehmende Verlegung bisher abgelegener Eremitorien in die Städte genau zu belegen, würde zu weit führen. Cfr. AUG. VI (1956), pag. 76, Anm. 156.

298) Alessandro IV, 9.4.1256, AUG. VI (1956), pag. 10-13; POTT., nr. 16335. Der von R. KUITERS, in AUG. VI (1956), pag. 14ss, gegebene Kommentar zur Bulle "Licet Ecclesiae Catholicae" verdient besondere Beachtung.

299) Statt Einzelnachweise: E. A. VAN MOÉ, Recherches sur les Eremites de S. Augustin entre 1250 et 1350, in "Revue des questions historiques", LX (1932), pag. 257-316 und J. RODRIGUEZ, La exención de la Orden de S. Augustìn en el aspecto teórico y en su aplicación pratica, in "Ciudad de Dios", CLXIX (1956), pag. 537: "En todo esto sigue el camino de las otras ordenes mendicantes: franciscanos y dominicos".

300) JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 46, 57; ENRICUS DE FRIEMAR, Tractatus, pag. 103.

301) Grundlegend für die Biographie Richards jetzt ROTH, Cardinal Richard Annibaldi, cfr. Anm. 2. Der hier angedeutete Zusammenhang zwischen kirchenpolitischer Aktivität und Orden bildung müsste noch näher untersucht werden.

302) Alessandro IV, 9.4.1256, AUG. VI (1956), pag. 10-11: "Verum circa edificationis babricam que in templum sanctum in domino operariorum eius studio moliente succrescit, credimus assidue providendum, ut in varietatibus partium que ad decorem structure dominice adhibentur, sic appareat distincta diversitas, ut non sit confusio indiscreta, nec alterius forma importuna consimilitudine speciem pretendat alterius, sed singula queque certum proprii modi ordinem sortiantur".

303) P. 846.

304) Innocenzo IV, 14.3.1253, BERGER, III, nr. 6417; POTT., nr. 14914.

305) An die Johannboniten und Brettiner, die sich unter ihrem Prior Andreas heftig widersetzten (Gregorio IX, 18 juli 1240, TORELLI, IV, pag. 352; POTT., nr. 10917; Gregorio IX, 18.8.1240, TORELLI, IV, pag. 355; POTT., nr. 10932) richtete sich vornehmlich die Forderung, das graue Gewand mit einem schwarzen zu vertauschen, die Eremitenstäbe beizubehalten und einen breiten, gut sichtbaren Gürtel umzulegen (Gregorio IX, 24.3.1240, EMPOLI, pag. 128; AUVRAY, nr. 5122). Es gelang ihnen, ihr Gewand beizubehalten, jedoch unter Verzicht auf den Gürtel (Gregorio IX, 18.8.1240, TORELLI, IV, pag. 355; POTT., nr. 10932). Unter Alexander IV (22.2.1256, POTT., nr. 16261) wurde das Problem wieder akut, nachdem Innozenz IV ihm weniger Aufmerksamkeit schenkte. Er liess z. B. den Wilhelmiten ihr bisheriges Gewand (5.1.1249, POTT., nr. 13154). Den Toskanischen Eremiten wurde schon bei ihrer Union die schwarze "cuculla" vorgeschrieben. Mit einigen Aenderungen wurde ihr Gewand zur Kleidung des 1256 gebildeten Ordens. Cfr. Anm. 288.

306) Alessandro IV, 9.4.1256, AUG. VI (1956), pag. 10ss; Ders., 17.6.1256, EMPOLI, pag. 21; POTT., nr. 16425. Ders., 16.10.1256, EMPOLI, pag. 21; POTT., nr. 16583. Bischof von Prato, 8.11.1268, AA. XIX (1943), pag. 23; WADDING, Ann. Minorum, IV, 452.

307) ENRICUS DE FRIEMAR, Tractatus, pag. 92-94; JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 48-57.

308) Alessandro IV, 23.10.1256, TORELLI, IV, pag. 545-607, BOUREL, II, nr. 2299.

309) Zur Geschichte dieser Gruppe und ihres Gründers: J. B. PIERRON, Die katholischen Armen. Ein Beiträg zur Entstehungsgeschichte der Bettelorden mit Berücksichtigung der Humiliaten und der wiedervereinigten Lombarden, Freiburg 1911; GRUNDMANN, Religiöse Bewegungen, pag. 100-118; A. DONDAINE, Durand de Huesca controversiste, X Congr. Internaz. di Scienze Storiche. Riassunti, VII, pag. 218-222, Firenze 1955, ders., AFP, 29 (1959), pag. 228-276.

310) TORELLI, IV, pag. 545.

311) Cfr. Anm. 308.

312) Cfr. ROTH, VIII (1958), pag. 31-32.

313) Alessandro IV, 6.4.1256, Monumenta Ordinis Servorum Sanctae Mariae, XVI, Brussel-Roma 1897-1930, pag. 218. ROSSI, Manuale di Storia dell'Ordine dei Servi di Maria, pag. 348 glaubt, dass bereits 1251 Wilhelm Fieschi eine um die Serviten zentrierte Eremitenunion plante, wie sie Richard nach Wilhelms Tod durchführ.

314) Alessandro IV, 30.4.1256, AUG. VIII (1958), pag. 10-12.

314b) Alessandro IV, 3.2.1256, E. MONSIGNANO, Bullarium Carmelitanum, Roma 1715, pag. 15-16.

315) Alessandro IV, 9.4.1256, EMPOLI, pag. 18; POTT., nr. 16334; ders., 13.6.1257, AA. III, pag. 29-31; BOURBEL, I, 1867. JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 343-347. Cfr. R. KUITERS, in AUG. VI (1956), pag. 26-27.

316) JORDANUS DE SAXONIA, Vfr., pag. 57-58. Alessandro IV, 7.7.1260: EMPOLI, pag. 32; POTT., nr. 17915: gestattet, dass im Eremitorium von Brettino "vita eremitica perpetuis temporibus observetur". Die "vita eremitica" wurde von einzelnen Ordensleuten in den alten Eremitorien gelebt: Nicolaus de Tolentino (AA. SS. Sept. III, pag. 646); Augustinus Novellus (AA. SS. Mai IV, pag. 260). Neuerichtung von Eremitorien: AA. XII, pag. 110ss; AUG. VI (1956), pag. 76, Anm. 156.

317) Uebergabeurkunde: 3.10.1372; TORELLI, IV, pag. 768-769; E. LATTES, Repertorio Diplomatico Visconteo, Milano 1911, I, pag. 13.

318) Clemente IV, 30.8.1266; M. FÉLIBIEN, Histoire de la ville de Paris, Paris 1725, III, pag. 234-238; K. ELM, Die Bulle "Ea quae iudicio" Clemens IV, in AUG. XIV (1964).

319) Alessandro IV, 22.8.1256; S. HAIUS, Liber de veritate vitae et ordinis divi Guilielmi quondam Aquitanorum et Pictonum principis, Paris 1587, pag. 71-72; POTT., nr. 16528.

320) Alessandro IV, 28.8.1256, Bull. Rom. Taur., III, pag. 641-644; POTT., nr. 16533.

321) Alessandro IV, 21.7.1260, Monumenta Boica, XXVI, München 1826, pag. 10; POTT., nr. 17896a; Urbano IV, 6.10.1261, Arch. Vat. Reg. 26, fol. 3v; GUIRAUD, I, nr. 13; ders., 1.1263; HAIUS, pag. 75; POTT., nr. 18477; ders., 9.2.1263, Generallandesarchiv Karlsruhe, piar 752, fol. 26; ders., 26.2.1264, Ms. Bibl. Munic. Cambrai 1124, fol. 207; ders., 3.1264, GLA Karlsruhe, Kopiar 752, fol. 52.

322) Clemente IV, 30.8.1266, FÉLIBIEN, III, pag. 234-238; POTT., nr. 19807, Anm. 318.

323) Frühe Zuegen für das an Augustinus orientierte Selbstbewusstsein des Ordens sind inrich von Friemar, Jordan von Sachsen und der anonyme Verfasser der Augustinusvita Cod. Laur. Plut. 90 Sup. 48 (Cfr. ARBESMANN, in "Traditio", XVIII (1962), pag. 319ss).

324) A. EGGERER, Fragmen panis corvi proto-eremitici sivi annales eremi-coenobitiorum tinum, in "Carmelus", VI (1959), pag. 153-223.

325) E. MONSIGNANUS-J. XIMENEZ, Bullarium Carmelitanum, 4 vol., Roma 1715-1768; S. TEUWS, De evolutione privilegiorum ordinis Carmelitarum usque ad Concilium Tridentinum, in "Carmelus", VI (1959), pag. 153-223.

326) Zuletzt: MACCARRONE, Riforma e sviluppo della vita religiosa con Innocenzo III.

327) J. AUER, Studien zu den Reformschriften für das zweite Lyoner Konzil, Freiburg 1910; B. BIRKMANN, Die vermeintlichen und wirklichen Reformschriften des Dominikaner-Generals Humbertus de Romanis, Frieburg 1916; K. MICHEL, Das "Opus tripartitum" des von Romans, Graz 1926.

328) FRA SALIMBENE, Cronica, MGH, SS, XXXII, pag. 253-255.

329) J. D. MANSI, XXIV, pag. 61-68; ST. KUTTNER, Conciliar Law in the making, in "Miscellanea P. Paschini", Roma 1949, II, pag. 74; R. W. EMERY, The second Council of Lyons and the mendicant orders, in "Cath. Historical Review", 39 (1953), pag. 323-334.

330) Bonifacio VIII, 5.5.1298; Empoli, pag. 46; POTT., nr. 24675.