P. DAVID A. PERINI O. S. A.
DELL’ ORDINE
EREM. DI S. AGOSTINO
CARDINALE
DEL TITOLO DI S. CECILIA
Dipinto del Beato Angelico nella Cappella di Nicolò V in Vaticano.
Il dipinto, secondo il Perini, rappresenterebbe il beato Bonaventura. Dopo i restauri e gli studi più recenti si è certi che rappresnti invece S. Bonaventura da Bagnoregio.
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[Pag.
1] A tutti
è nota l’aspra lotta che oggi si combatte contro la Chiesa ed il Romano
Pontificato. Ne dolorano i fedeli, ne dolorano le anime oneste non acciecate da
passioni settarie, ne dolora tutta la civil convivenza, che nel Papato vede la
più salda guardia del civile progresso. Ma pur troppo oggi ne scarseggiano i
validi difensori, pur troppo oggi sono assai rari quei petti virili che a difesa
del Romano Pontefice non solo impiegarono la mente ed il cuore, la parola e la
penna, ma con nobilissime geste non dubitarono di versare il proprio sangue per
difenderne l’autorità, i sacri diritti, le prerogative. A muovere a degna e
generosa imitazione di questi magnanimi non sembrami fuor di luogo proporre alla
presente generazione un nobilissimo esempio, un glorioso esemplare di fortezza e
di coraggio, alla cui fama ha già posto suggello il tempo, la posterità e la
storia. E tanto più volentieri a ciò m’induco, in quanto che non sozione un nobilissimo esempio, un glorioso esemplare di fortezza e
di coraggio, alla cui fama ha già posto suggello il tempo, la posterità e la
storia. E tanto più volentieri a ciò m’induco, in quanto che non son pochi
coloro che oggi ne desiderano glorificata la memoria dalla Suprema Autorità
Apostolica col riconoscerne il culto prestatogli da tempo immemorabile. E’
questi il B. Bonaventura Baduario da Peraga, Padovano, religioso dell’Ordine
Eremitano di S. Agostino e Cardinale del titolo di S. Cecilia, che in tempi
fortunosi pel Papato, non solo seppe difenderlo col consiglio e con la parola;
ma con petto veramente virile non temette di sfidare le ire di Francesco
Carrara, [Pag. 2] potente tiranno
della sua patria, che volendo violare le giustizie della Chiesa, trovò in lui un
saldo oppositore, e non seppe vincerlo che col farlo trafiggere per mano di vile
sicario.
Molti scrissero (1) della virtuosissima vita di questo santo
porporato, ma chi più compiutamente, onoratamente, e con più accuratezza ne
favellò, furono certamente gli eruditissimi soci e continuatori del celeberrimo
Bollando, che nel secondo tomo del mese di Giugno degli Acta Sanctorum (2) non
dubitarono di ascriverlo nell’albo dei Beati, indotti a ciò dal fatto che col
titolo di Beato fu sempre chiamato e venerato nel suo Ordine non solo, ma da
quanti ebbero occasione di scriverne le gesta, e precisamente perchè, come
attesta l’eruditissimo nostro P. Tommaso Errera: “Ingens huius cultus monumentum
durat adhuc in veteri quodam Pontificum Sacello in Palatio Vaticano, in quo
Bonaventurae nostri effigies radiis Beatorum coruscat, et titulo Beati ab ipso
fere mortis tempore honestatur” (3). E
l’essere quindi la immagine di lui dipinta con l’aureola di Beato e propriamente
in una Cappella Vaticana, ove i Pontefici hanno per molti secoli celebrato il
sacrificio incruento, anzi dipinto in tal modo sotto i loro stessi occhi e per
loro ordine, costituirebbe per i detti Bollandisti tal grave documento “quod
Beatificationis vim haberet” (4).
Queste ed altre consimili
espressioni che si rivengono in numerosi e gravissimi scrittori di tutte l’età,
dal dì del suo transito al cielo fino ad oggi, doveano senza meno far grande
impressione nell’animo del nostro attivo e zelante Postulatore delle cause dei
Santi (5) presso la Santa Sede, e
accenderlo [Pag. 3] del desiderio che
la bella figura del Baduario, di quest’insigne maestro dell’Ordine Agostiniano,
di questo modello di ogni virtù, venisse quanto prima glorificata dalla stessa
Suprema Autorità della Chiesa, al cui servigio con mirabile fortezza impiegò
tutta la sua attività, pel cui splendore mise in opera tutta la sua potenza
intellettuale e morale, per la cui giustizia versò il proprio sangue. Per
raggiungere lo scopo tanto desiderato si pensò quindi di raccogliere tutti quei
documenti e tutte quelle testimonianze che fossero stati valevoli pel bramato
effetto; onde messe insieme molte notizie, si è creduto cosa non inutile
stenderle qui per ordine, tanto più, come si diceva da principio, che molti,
leggendole, avranno uno splendido esempio di fortezza e di attaccamento alla
Santa Sede da imitare.
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(1) Vedi in fine la nota di
questi scrittori.
(2) Cfr. Acta Sanctorum Iunii, Venetiis 1742, pp.
392-394.
(3) Cfr. HERRERA, Alphabetum Augustinianum, Matriti, 1644, I, p.
96.
(4) Cfr. Acta Sanctorum
citata.
(5) E’ questi l’amatissimo P.
Maestro F. Eustasio Esteban, Assistente Generale dell’Ordine per la Spagna,
membro della Commissione per la Codificazione istituita dal Regnante Sommo
Pontefice Pio Pp. X, coltissimo negli studi giuridici, teologici e
storici.
CAP.
I
Patria, famiglia e nascita del B. Bonaventura Baduario-Peraga. Si fa religioso Agostiniano. Sua figura morale. Studia e si addottora in Parigi ove insegna per dieci anni.
In Padova, gloriosa nei fasti
delle Italiche città, nacque il B. Bonaventura dalla nobilissima famiglia
Baduaria, o Badoer, da Peraga (1). Gli
storici son tutti concordi nell’affermare ch’ei [Pag. 4] nascesse nell’anno 1332 il dì 22 di
Giugno, e che giovanissimo entrasse nell’Ordine Eremitano di S. Agostino nella
stessa sua Padova, e propriamente nel convento dei SS. Filippo e Giacomo, detto
comunemente degli Eremitani (2). Qual vita menò colà nei suoi primi anni di
religione? La mancanza di documenti e l’oscurità dei tempi in cui visse, ci
vietano di saperlo. Pure dai fatti posteriori della sua vita possiamo facilmente
arguire che la sua condotta religiosa, fosse in tutto conforme ai dettami dei
consigli evangelici. E primieramente è certo che egli indisse una guerra
spietata all’ozio, che amò la riservatezza nel portamento, l’illibatezza dei
costumi, l’assiduità ed il fervore nella preghiera, la pace dello spirito,
l’amorevolezza dei compagni, la fedeltà dell’amicizia, l’attaccamento al suo
istituto, il continuo studio dei libri Santi e dei venerandi Padri
dell’antichità cristiana. Queste ottime caratteristiche del suo animo si
raccolgono dagli scritti che di lui ci rimangono, leggendo i quali noi veniamo
ancora a constatare che egli fu altresì un appassionato coltivatore
dell’armoniosa lingua del Lazio, scrivendola con proprietà, con eleganza e
chiarezza di stile. [Pag. 5]
Delineatasi così innanzi ai nostri occhi la bella figura del Baduario, potremmo
sforzarci di indagare come procedesse nei suoi studi e nel suo ministero, ma a
tanta distanza di tempo, almeno fino a quanto non verranno alla luce altri
documenti, non ci è dato accompagnarlo attraverso i gradi accademici
dell’Ordine, cioè di Studente, Lettore,
Baccelliere, Maestro. Solo sappiamo, per autorità di fonte storica, che
passati alcuni anni dacchè abbracciò la vita religiosa “omnibus liberalibus
disciplinis ornatus, repente excellentissimus concionator super rostra, et fere
absque paribus in cathedris suspiciebatur” (3).
Della rara eloquenza del Bonaventura si hanno varie testimonianze sincrone. Per
ora mi basta riportar quella del B. Giordano di Quedlimburg, detto pur anco di
Sassonia, che forse lo conobbe di vista mentre quegli reggeva le sorti
dell’Ordine. Ecco dunque quanto dice di lui: “Reverendus magister Bonaventura
fuit utique vir magnae eloquentiae tam ad clerum, quam ad populum, ab omnibus
laudatus. Fuit vir magni studii. Fecit multa opera utilia, scilicet: Sermones ad
clerum ad diversas materias pertinentes, super Canonica Iacobi fecit fructuosam
expositionem. Fuit etiam assumptus ad Carinalatus [leggi Generalatus] officium; et post modicum tempus per
Dominum Urbanum Papam VI factus fuit presbyter Cardinalis Sanctae Ecclesiae
Romanae, et hoc propter magnum consilium, quod in eo vigebat” (4). Di
proposito ho voluto riportare quanto il Quedlimburg dice del Bonaventura, perchè
oltre a confermare quanto sopra si è asserito, egli in brevi tratti ci narra
tutta la vita di lui con la specifica circostanza di porlo nel novero dei
Maestri che si addottorarono in Parigi, ultimo per ordine di tempo. [Pag. 6] Incerto è per noi l’anno in cui il
Baduario conseguì in quella famosa Università la laurea magistrale, e saremmo
stati maggiormente grati al B. Giordano se ce lo avesse tramandato. Ma non lo
avendo egli fatto, vediamo se possiamo saperlo da altre fonti. Il P. Giuseppe
Panfilo scrisse di lui che “Parisiis, ut ex Registris Ordinis colligitur,
litteris operam dedit, ubi non solum doctoratus insignia suscepit, verum etiam
in eodem gymnasio prope decem annis Theologiam professus est” (5).
Sappiamo poi da altre fonti (6) che
dall’Ordine non si mandavano in Parigi, che quei giovani i quali tanto per
condotta irreprensibile e moralità specchiata, quanto per la svegliatezza
d’ingegno, l’assiduità allo studio, e l’equilibrio intellettuale avessero dato
serio affidamento da riuscire i migliri di quell’illustre ateneo. E l’Ordine
Agostiniano può tessere un lungo catalogo di Dottori Parigini, i quali
meritamente hanno fama letteraria mondiale. Tra questi rifulge il B. Gregorio da
Rimini detto Doctor authenticus, di cui son note le opere teologiche e
giuridiche e la sua gran fama di santità. Fu anche estimatore e mecenate dei
buoni e forti ingegni, e reggendo le sorti dell’Ordine dal 1356 al 1358 non
lasciò occasione di soddisfarne i legittimi desiderii. A lui adunque si rivolse
il nostro Bonaventura [Pag. 7] per
esporgli l’intiero suo animo, ed il Generale, sotto la data dei 5 Luglio 1358,
gli concesse ampia facoltà di recarsi dove egli trovavasi, accompagnato da un
socio, quando l’avesse creduto opportuno (7). In
questo testimonio nulla certo si accenna al suo proposito di recarsi in Parigi;
io per altro penso che appunto di ciò egli trattasse, perchè essendo egli già
maestro prima del 1364, come tra breve vedremo, e non potendo esser tale prima
di avere spiegato nella Sorbona il libro delle Sentenze almeno per quattro anni,
con ogni probabilità in quel suo abboccamento col Generale dovè appunto trattare
della sua andata a Parigi, ove secondo le mie conghietture dovè laurearsi sulla
fine del 1362 (8). È
questa una mia semplice opinione che trova per altro il suo fondamento nel fatto
che il suo fratello Bonsembiante, pur esso Agostiniano, di lui minore di età,
nell’aprile del 1363 si addottorò anch’egli in Parigi. Mi pare quindi assai
improbabile che il P. Bonaventura vi ricevesse le insegne magistrali dopo il
fratello, tanto più che, per ragioni di convenienza, i loro superiori non lo
avrebbero certo permesso; anzi al contrario sta il fatto che questi stessi
superiori raccomandarono le preci che il P. Bonsembiante presentò alla S. Sede
per essere dispensato dalla mancanza del tempo richiesto dagli Statuti
dell’Università di Parigi, affinchè vi potesse anticipatamente ricevere l’anello
dottorale (9).
[Pag.
8] Questo
avvenimento, per sè semplicissimo, ma che non può non allietare oltremodo chi
teneramente ama, veniva a far gioire il sensibile cuore del P. Bonaventura. Era,
come si vede, un avvenimento
famigliare. [Pag. 9] Questo suo
fratello era religioso esemplare, di elettissima mente, di angelici costumi. Era
il suo orgoglio; non sarà perciò mancato di esser presente alla solenne
cerimonia, in cui tanto degnamente venivano retribuiti i giusti meriti di lui.
Ecco come uno storico ne tratteggia bellamente ed in brevi tratti l’interessante
figura: “Bonsembiante Badoario da Padova fu frate eremitano di Sant’Agostino, e
nacque l’anno 1327 il giorno 3 Giugno. Fu fratello uterino di Bonaventura da
Peraga dell’ordine stesso. Ebbe ingegno acutissimo ed angelico. Si addottorò in
teologia in Parigi, nella quale scienza fu profondissimo, come dimostrano le sue
letture nel 1°, 2° e 3° delle
Sentenze. Morì in Venezia nel 1366 a dì 28 Ottobre, avendo vissuto 39 anni, 4
mesi e 15 giorni. Fu d’integerrima e innocentissima vita, d’affabilissima
conversazione, di soavissimi costumi e di eloquenza meravigliosa” (10).
_______________________________
(1) Nel novero delle nobili
famiglie venete, di cui narrasi l’origine nel Cod. Vat. Lat. 8277, fol. 4r, si fa menzione de’ Badoari in
questi termini: “I Badoari venerno ad habitar in Venetia spartiti da Pavia e
sono di Nobilissimo Tribu antiquissimo Imperial gli quali furno huomini
sapienti, piacevoli, et comunamente benivoli et molto comodati di beni temporali
gli quali fecero far la Giesa de S.to Georgio”. Molto parla dei medesimi lo
SCARDEONI, De Antiquitate Urbis Patavii
1560, ed a pag. 361 si ha come a questa famiglia s’imparentasse quella di
Peraga, dal qual connubio poi nacque il nostro Bonaventura. Eccone il testo: “Ex
praeclara fecunditate incljtae sobolis commendatur Balzanella Peraghina
Nobilissima foemina, quae quidem cum unica esset ex familia Peraghina, nupsit
Marino Baduario patritio Veneto, cuius majores summa semper benevolentia cum
Patavina Republica coniunctissimi fuere; quandoquidem praetores aliquot ex ea
familia antiquo Reipublicae tempore, Venetiis acciti, Patavinum populum summa
cum iustitia paceque rexerint, et imperio auxerint, et publicis aedificiis
ornaverint. Ex hac muliere orta est pulcherrima illa proles, quae aliquandiu
Patavii commorata, antiquato fere Baduario cognomine, a Peraga, vico Patavino,
Peraghina a cunctis dicebatur, unde Bonaventura cardinalis et alii insignes
viri, de quibus satis superius dictum fuit, orti sunt. Item cognomen adhuc in
sepulchris illustrium illorum, quos supra retulimus, ex duabus familiis
coniunctum legitur, ut dicantur utique Baduarii de Peraga”. Il CDORIOLANO poi
nel Defensorium Ordinis Fratrum
Heremitarum S. Augustini,
Romae 1481, in quella parte in cui parla dei dottori dell’Ordine, lo dice
de domo Carrarie forse ex parte matris come stima il GANDOLFO
nella sua Dissertat. hist. de 200 celebr. Aug. Scriptoribus, p. 104; o a significare, come dice il
GIGLI nelle Opere di S. Caterina da
Siena, in Siena 1767, Vol. III, p. 215, che la
famiglia di lui era “una delle Branche dell’illustre Famiglia di Carrara, che
lunga età tenne Signoria in Padova”.
(2) Cfr. La Chiesa degli Eremitani in Padova, Venezia 1906, splendida illustrazione
storico-artistica d’autore anonimo e NICOLAI COMNENI PAPADOPOLI, Historia Gymnasii Patavini, Venetiis 1726, II, p. 157, ove parlando
del Baduario, tra le altre cose narra: “Adolescens Eremitarum S. Augustini
sacrum institutum professus, in patrio gymnasio omnium disciplinarum animum
diligenter instruxit”.
(3)
Cfr. DOMINIC.
GANDOLFO, Dissertatio hist. de 200 celebr. Aug. Scriptoribus, Romae 1704, p.
104.
(4)
Cfr. Fr.
IORDAN. DE SAXONIA, Liber qui dicitur
Vitas Fratrum, Romae apud Ioannem Martinellum, 1587, p. 173. Giusta il LANTERI, Postrema Saecula sex Relig. Augustinianae,
Tolentini 1858, I, p. 323-6, il B. Giordano: “de Augustiniana Familia,
deque Ecclesia universa optime meritus, octogenario maior Viennae in Austria
extremum diem obiit circa annum 1380”.
(5)
Cfr. Chronica Ordinis FF. Erem. S.
Augustini, Romae 1581, f. 67.
I Regesti dell’Ordine, a cui si riferisce il Panfilo, vissuto nel XVI secolo,
oggi non esistono più, e perciò non possiamo che contentarci di quanto egli
asserisce.
(6)
Cfr. Antiquiores quae extant Definitiones
Capitulorum Generalium Ordinis in
Analectis Augustinianis edit.
Romae 1908, vol. II, p. 251-252, dove si leggono le Definizioni del
Capitolo Generale di Orvieto celebrato l’anno 1284, e tra le medesime, la
seguente: “Diffinimus quod qui mictendus est parisius sit vite laudabilis et in
Grammaticalibus et logicalibus sufficienter instructus, qui iuxta formam
constitutionum ordinis eligatur, et examinetur per provincialem et duos ad minus
lectores bonos, electos per diffinitores provinciales capituli, si provincia
illa, in qua hoc fieri debebit, tot habeat; alioquin saltim (sic) per unum et
aliquos de provincia probos viros; et examinetur talis tam de scientia quam de
vita”. Si consultino pure altre definizioni di questo genere edite nelle cit. Analecta.
(7) Cfr. Regestum Rev.mi Gregorii Ariminensis
conservato nell’archivio dell’Ordine in Dd. I, pag. 52: “anno 1358, Mense Iulii die 5. Concessimus licentiam f.ri Bonaventure
de Padua ad nos veniendi quandocunque sibi fuerit opportunum cum socio qui eum
ex caritate associare voluerit”. In margine poi è annotato da mano del sec. XVI:
“Puto hunc esse B. Bonaventuram, qui fuit postea Cardinalis et Martyr”.
(8)
Il BUDINSZKY, Univers. Paris, 1876, pag. 184-5, e
l’Abbé P. FERET, Faculté de Théologie de Paris et ses
Docteurs les plus celebres, Paris 1896, III, pag. 504, lo riportano e come secolare e come
dottore della facoltà teologica della Sorbona; ma non ci dicono nulla del tempo
in cui fu tale.
(9)
A conferma
di quanto qui si espone cfr. Reg. Suppl.
Urbani V an. I, p. 3, fol. 83, die 6
Aprilis 1363, e DENIFLE-CHATHELAIN, Cartularium Parisiense, III, pag. 102, ove notasi che “in Reg.
Vat. Aven. Urbani V, vol. V, fol. 558, exstat sub eadem temporis nota mandatum
Apostolicum ad [Grimerium Bonifacii] cancell. Paris. “Viri sacre lectioni”. Questo Breve è stato da me trascritto
dal Reg. Vat. 252, pag. 86, ed è il seguente: “Urbanus etc. dilecto filio
cancellario ecclesie Parisien. etc. Viri sacre lectionis studio dediti et in
lege Domini eruditi Apostolici favoris gratiam promerentur eoque benignius decet
honestis eorum desideriis annui quo ex eorum profectibus maior potest in Dei
ecclesia utilitas provenire. Cum itaque, sicut accepimus, dilectus filius
Bonsemblantus de Padua, ordinis fratrum heremitarum Sancti Augustini professor,
qui ut asseritur, Padue, Venetiis Castellan. Dioc. ac Tarvisii, ubi generalia
studia dicti ordinis existunt Lector, ac deinde Provincie Marchie Tarvisine
iuxta morem dicti ordinis Provincialis et duabus vicibus capituli generalis
dicti [Ordinis] Definitor extitit, ac in studio Parisien., per dictos
capitulorum difinitus, plures anni sunt elapsi, ordinarie sententias legit,
ydoneus existat ad magisterium suscipiendum, et in Theologica facultate et
secundum statuta et consuetudines studii parisien. et ordinis predictorum
oporteat eum adhuc amplius expectare antequam ad magisterium hujusmodi
assumatur, in magnum dilectorum filiorum fratrum dicte provincie et conventus
Paduan. Ordinis antedicti incommodum et discrimen, pro parte ipsius Bonsemblanti
nobis extitit humiliter supplicatum ut ipsum ad honorem dicti magisterij
promoveri de benignitate Apostolica mandaremus. Nos itaque de sufficientia et
ydoneitate dicti Bonsemblanti noticiam non habentes, discretioni tue de qua in
domino gerimus fiduciam specialem per apostolica scripta committimus et
mandamus, quatenus eidem Bonsemblanto, si ad hoc per tuam et aliorum magistrorum
dicti studii in eadem facultate diligentem examinationem sufficiens et ydoneus
repertus extiterit, dummodo dilecti filii prioris generalis [Matthaei de Asculo]
dicti ordinis ad id accedat assensus, magisterii honorem et docendi licentiam in
eadem facultate servatis constitutione Viennen. Concilii et aliis
sollepnitatibus consuetis, sine hujus expectationis, aut alterius more
dispendio, largiaris, non obstantibus quibuscumque privilegiis nec non prefatis
et aliis statutis et consuetudinibus ordinis et Parisien. studii predictorum
contrariis, juramento, confirmatione apostolica vel quacumque firmitate alia
roboratis, etiam si de illis et totis eorum tenoribus specialis et expressa ac
de verbo ad verbum sit in presentibus mentio facienda. Datum VIII Idus Aprilis
Anno primo”.
(10)
Cfr. ANGELO PORTENARI, Della Felicità di Padova, p. 453.
CAP. II
É scelto, con
altri, da Urbano V a comporre il primo collegio teologico nell’Università di
Bologna. Sua amicizia col Petrarca ed alta stima che questi avea di lui. Riceve
dal medesimo una splendida lettera di condoglianza nella morte improvvisa del
suo fratello Bonsembiante.
[Pag. 9]
Sedeva in
questi tempi sulla cattedra suprema di Pietro il francese Grimoard col nome di
Urbano V, uomo assai dotto ed amante delle scienze. Riprendendo egli il progetto
del suo predecessore, Innocenzo VI (1), di fondare cioè nell’Università di Bologna la
facoltà teologica, con sua Bolla dei 2 Giugno 1364 (2),
mise ad effetto quanto dai Bolognesi era stato chiesto e ardentemente
desiderato. Dette quindi il mandato al Cardinale Androvino, legato di Bologna,
al Vescovo della stessa città di nome Americo ed a Petrocino, Arcivescovo di
Ravenna, di scegliere e chiamare a Bologna i nove Maestri che ne doveano
costituire il collegio e compilarne gli statuti. Tra i nove scelti vi furono due
maestri Agostiniani, [Pag. 10]
Ugolino Malabranca ed il nostro Bonaventura da Padova (3). I
brillanti risultati che dette questa scuola ci fanno giustamente arguire quanto
venisse bene impiantata; ma ciò si dovette in gran parte al Baduario, il quale,
non solo in questa circostanza, ma anco più tardi, quando, essendo più maturo e
rivestito della dignità Cardinalizia, concorse a compilare tutto il corpo degli
statuti per le scuole teologiche delle Italiche Università. Quanto rimanesse a
Bologna nol sappiamo con precisione; certo è che nel 1366 noi lo troviamo in
Padova. E’ nota la sua stretta amicizia col Petrarca. Questo sommo intelletto
ebbe per lui ed il suo fratello una vera e propria venerazione. Non sappiamo in
qual modo si conoscessero; ma non è improbabile ch’ei ne ascoltasse la grande
sapienza in qualche loro predicazione, essendo i medesimi di continuo occupati a
bandire la parola evangelica tanto dalla cattedra quanto dal pergamo. La loro
amicizia sembra fosse di vecchia data; ma se questa non era antica, lo era certo
l’ammirazione che il sommo lirico professava per loro. Sappiamo infatti che
assai prima di questo tempo, scrivendo il Petrarca al grammatico Donato
Albanzani, soprannominato Apenninigena (Senil. lib. VIII ep. 6) e parlandogli
con grande encomio delle Confessioni di S. Agostino, gli dice che egli “potrà
facilmente trovarne copia presso quell’insigne filosofo e vero teologo e maestro
(di cui in una sua lettera avea Donato fatta menzione) ovvero presso il di lui
fratello a lui uguale nella professione di vita e nel sapere, due lumi
dell’Agostiniana Religione, e due singolari ornamenti di Padova”. In queste
parole certo non si nominano espressamente il Bonaventura ed il Bonsembiante,
pure tutti i commentatori dell’epistole del cigno di Valchiusa [Pag. 11] apertamente dichiarano che in essa
di lor si favelli. Dove per altro bellamente si raccoglie la venerazione,
l’affetto sincero, la chiara fonte di una stretta amicizia che tra loro correva,
è nella lettera di condoglianze che lo stesso Petrarca scrisse al nostro
Bonaventura nella immatura morte del suo amato Bonsembiante. Quando il Petrarca
udì che questi era stato calato nella comune fossa ne sentì acerbo dolore ed in
questa lettera tutto egli espresse l’effusione dell’amaro pianto. La riporterò
per intiero, perchè in essa noi scorgiamo non solo il vivo ritratto del defunto,
che fu modello di ogni virtù, ma perchè fra l’espressioni consolatrici, atte a
molcire le piaghe acerbe di un cuor sanguinante, noi vediamo pur campeggiare la
bella figura del nostro Bonaventura, che col fratello ebbe comune non solo il
sangue, la patria, la statura, il portamento, gli studii, la professione, ma
altresì la fede, la carità e tutte le virtù cristiane. Eccone il tenore,
tradotto in lingua volgare dall’elegante penna dell’esimio professor Giuseppe
Fracassetti (4), il quale la commmentò pure con note assai
esatte. Essa è la XIV delle Senili ed incomincia: Qualem proh dolor!... “Oh
dolore! qual uomo, qual astro abbiamo noi perduto! Nella passione che mi opprime
mi lasciai fuggire dalla penna una frase propria del volgo. Non altro da noi fu
perduto che il soave e dilettoso consorzio, e le dolci parole che da quelle
labbra melliflue uscivano ad infiammare i cuori nell’amore della virtù: e che
nella mente d’ognuno che lo ascoltasse, ma spezialmente ne’ più nobili ingegni
spargevan seme fecondo di ogni più bella dottrina. Questo è vero, ed altri pregi
simili a questo per la sua morte ci furon tolti più presto che noi non avremmo
voluto; ma nel rapido corso della nostra vita mortale, ove tutto è brevissimo
fuor che il dolore ed il pianto, durar non potevano a lungo ed era giuoco forza
che poco stante, o noi dovessimo andare innanzi o egli fosse costretto a partire
prima di noi. [Pag. 12] Labili,
caduchi però sono i beni che abbiamo perduti, nè si conviene per essi far tanto
grave e tanto lungo lamento: dappoichè lui che del nostro amore era veramente e
sarà pur sempre l’obbietto, noi non abbiamo perduto, ma sì mandato innanzi,
perchè con le sue preghiere ci agevoli la strada al cielo ed ivi ci aspetti
lieto e beato. Potremmo forse lasciarci aver dubbio che in cielo egli sia se,
carco ancora della soma mortale, mentre visse nel mondo, per mente e per costumi
non altro si parve che un angelo celeste? Non è già per blandirti, che teco
parlando di quel valoroso ed unico tuo germano, io mi diffondo in lodi le quali
mai non espressi in sua presenza: ma sai bene come si disconvenga dir le lodi di
alcuno mentr’egli stesso ti ascolta. Così m’abbia Iddio nella sua grazia come
sinceramente io penso ed affermo che tra tutti quanti sono i viventi alcuno
forse per celebrità di nome, ma nessuno conobbi mai che meritasse di essere a
lui anteposto per ingegno, per eloquenza, per soavità di maniere, la quale in
lui fu sì grande che non mi ricorda di aver giammai parlato con esso senza
ritrarne conforto, nè mai così lunghi furono i nostri colloqui, che per il
desiderio, che io avevo di ascoltare e d’imparare, a me non sembrassero
brevissimi. Brillavano le sue parole di una luce, di una chiarezza insolita a
trovarsi in quelle dei più facondi maestri. Erano i suoi discorsi quasi ami
dolcemente inescati, che ogni animo benchè distratto e volubile attraevano
allettandolo con vitali sentenze. Ed ahi! che rado pur troppo a me fu concesso
il piacere di conversare con lui: poichè ne fecero a me privo le tante
occupazioni, e le continue vicende della vita che nostro malgrado or
trattenendoci ora forzandoci a mutare di luogo, costringono in questo mondo a
star divisi delle persone coloro che sono dell’animo strettamente congiunti. Pur
come meglio poteva io sempre mi giovai della sapienza di lui, e da lui lontano
ne carezzava con desiderio la memoria, a lui vicino ne attendeva con impazienza
le visite: ond’è che privato adesso di lui mestamente faccio ragione del danno,
ed in silenzio fra me stesso vado ripetendo quel lamento di Girolamo a te pure
comune: “ahi che degni non fummo noi di aver compagno in vita nostra un cotal
uomo!” [Pag. 13] Chè sebbene, come
dianzi io diceva, non si convenga ad uomo forte piangere eccessivamente la
perdita di cose caduche e transitorie, egli è pur da considerare che tali quasi
sempre sono le perdite onde noi ci lamentiamo, e che fra tutte nessuna è più
grave di questa. Conforto per altro al danno nostro, comechè gravissimo, esser
deve il pensiero della felicità alla quale il fratel tuo fu sortita. E non
avremmo noi bramato che ancora in questo mondo egli fosse piuttosto lontano da
noi, ma felice, che misero insiem con noi? Della morte adunque di costui che a
te la natura, a me l’amore fece fratello, anzichè dolerci, noi ci dobbiamo
congratulare: poichè sebbene per poco egli sia da noi diviso, colà ne andò dov’è
la mèta di ognun che vive secondo i dettami della virtù e della cristiana
filosofia, tra i quali io son d’avviso che a lui si debba accordare il primato,
nè ad ingiuria della natura verso di lui, ma sì a singolar beneficio della
grazia celeste è d’apporsi che alquanto innanzi tempo, secondo che a noi ne
pare, egli sia stato costretto ad interrompere il disastroso e malagevole
cammino della vita. Perocchè dobbiamo di lui pensare quello che penseremmo di
chi viaggiando in una fredda e piovosa giornata d’inverno senza punto sentir
stanchezza, sano e salvo giungesse prima del tramonto del sole a quell’albergo a
cui stanchi, fradici e spossati da lungo errare per smarriti sentieri verranno
gli altri sull’imbrunir della sera. Di noi piuttosto dobbiamo piangere ch’ei
qui ha lasciati, non già perchè l’abbiamo perduto, che anzi nostro egli è adesso
più che non fosse giammai, ma perchè ci è forza invecchiare fra mille pericoli e
mille mali, e ci si vieta per ora di giungere a quell’albergo desiderato e
felice. Tergiamo adunque le lagrime, tronchiamo i sospiri, mettiamo gli animi in
calma, e dolce ci sia il richiamarlo continuo alla memoria, non però come morto
ma come vivo: chè veramente egli è vivo adesso in Lui che fonte è della vita; e
che come un giorno l’ammise ai più nascosti segreti delle sacre scritture, ora
tutta gli svela la faccia beata, che ammirati e riverenti contemplano gli
angioli e i santi. Gloria della sua patria, decoro insigne egli fu dell’ordine
suo. Nè perchè tu vivi ancora, io mi starò dal rammentare la riverenza e
l’ossequio [Pag. 14] con cui tutti vi
riguardavano quando specialmente avvenisse che o per via o in alcuna publica
radunanza voi vi trovaste uniti insieme.
Raro amor di fratelli, uguaglianza
di statura, conformità di persona, età per poco diversa, medesimezza di stato,
di ordine, di professione, d’ingegno; la stessa veste, le maniere, i costumi
stessi, splendore in entrambi di dottrina, e comune ad ambedue decoro di
magistero, vi fecero obbietto alla lode, all’amore, all’ammirazione di tutti,
che due personaggi siffatti stimavan valere perchè fratelli più che altri
quattro sebbene valenti al par di loro: e avventurati dicevano i parenti di così
fatti figliuoli; avventurata la città di Padova ove foste ambedue generati e
cresciuti: che di nulla tanto si onora la patria, quanto della virtù e della
gloria de’ figli suoi: ond’è che quantunque per potenza e per dovizie famosa,
non per altro da Virgilio vien celebrata la felicità di Roma, che per la
progenie di tanti eroi: avventurato infine l’ordine eremitano, nel quale educati
e vissuti lunghi anni vi sollevaste ambedue a tanta altezza di sapienza e di
gloria. Or quanto ai genitori nulla dirò poichè penso che già siano da questa
passati all’altra vita; ma dalla patria e dell’ordine non è, cred’io, chi non
intenda quanto grave sia la perdita da loro sofferta, nè v’è a dubitare che
sempre maggiore coll’andare del tempo la sentiranno. Quanto a lui, che da noi è
partito, nulla perdè certamente, e solo gl’incresce del dolor nostro; immenso fu
peraltro il guadagno ch’ei fece cambiando la caduca colla celeste natura, e in
vece di questa morte temporale facendo acquisto della vita eternamente beata. A
me frattanto piace di rammentare come nell’ultima volta in cui venne a
visitarmi, abbattuto mi trovò da lunga e grave infermità; e quando la notte
sopravvegnente pose fine al nostro conversare, tanto di mala voglia da me si
divise che parve prevedere esser quello per noi l’ultimo colloquio. Rimasto solo
io mi accorsi di star male; perchè lui presente me ne ero dimenticato: ed egli
partì per non più rivedermi, nella dimane conducendosi al luogo che a lui era
fatale: ove passati che furono pochi giorni, poichè una mattina secondo il santo
suo costume ebbe divotamente celebrato il divin sacrificio, [Pag. 15] entrò cogli amici in non so quale
grave discorso, e tutto ad un tratto sentì venirsi meno la vita. Perchè
ritiratosi in fretta nella sua cella, ed appoggiatosi al suo letticciuolo
cominciò a recitare il Miserere: nè potè giungere alla fine del salmo prima che
bella della pienezza de’ meriti suoi a Dio spiccasse il volo l’anima sua
religiosissima, e a noi, come di Blesilla disse Girolamo, repentina la morte lo
avesse rapito. Del qual genere di morte cade in acconcio il dire con Cicerone
esser malagevole il diffinire quel che pensare si debba; e tu ne farai ragione
come meglio ti piaccia (5).
Quanto a me, senza entrare in lunghi discorsi, e credo, e mi piaccio di
credere che Gesù Cristo nostro signore, lui che nel mattino fece partecipe della
sua mensa divina, volle la sera confortare colle delizie della cena celeste, e
ammetterlo alle gioie del talamo eternamente beato. Di questo egli era degno: e
questo di lui io spero, e chieggo e desidero. Or pensa tu quanta pena io senta
in cuore nel rammentare come in quel giorno stesso in cui egli si moriva,
trovandoci noi entrambi in Padova, tu venissi secondo l’usato a farmi visita, e
nella mia piccola biblioteca, siccome suoli, benignamente meco sedendoti infino
a sera, da me richiesto delle notizie del fratel tuo mi rispondesti ch’egli
stava benissimo. Ed egli a mezzo quel dì già più non viveva. La brevità del
giorno, e le molte acque del fiume avevano impedito che a noi ne giungesse
l’annunzio: il quale a me recato nel giorno seguente insiem con quello della tua
partenza, sclamar mi fece e ripetere mestamente più volte con Virgilio: Ahi, del
fato nascosta, e del futuro / A nostre menti impenetrabil legge! [Pag. 16] anzi non che del futuro pur del
presente! Ed ecco che molto e per avventura anche troppo io t’intertenni: e se
l’animo ancora m’avessi caldo di quel fuoco che m’infiammava nell’età giovanile,
ben altro io dir vorrei dell’ingegno, della dottrina, della eloquenza, della
virtù, dei costumi del fratel tuo. Chè inesauribile è la materia, e così pur
come sono, non dirò freddo, ma tepido per la vecchiaia, ben mille e mille cose
saprei mettere insieme sul conto suo. Ma perchè voglio frenare piuttosto che
provocare il tuo pianto ed il mio, a ragion veduta io me ne astengo: anzi voglio
che tu sappia come appunto per questo io mi trattenni per molti dì dallo
scriverti. Guardati adunque dall’accagionarmi di poco amore per questa tardanza
che veramente fu volontaria; conciossiachè mi parve che se prima ti avessi
scritto, io poteva da una parte riuscirti importuno e dall’altra inasprire
piuttosto che disacerbare il tuo dolore. Perchè a caso pensato io volli darti
tempo, e coglier l’ora opportuna in cui, soddisfatto piangendo il debito della
fraterna pietà, tu potessi ascoltare la voce della ragione e dell’amicizia che
ti consiglia e ti prega di asciugare le lacrime. Sta sano, ed uso a consolare
altrui, consola te stesso, ed apri il cuore ai conforti dello Spirito
consolatore. Dalla tua villa de’ Colli Euganei, il 1 novembre”.
__________________________________
(1) Cfr. Bullarium Roman. Edit. Taurinen. 1859, IV, p. 517.
Constitutio: Quasi lignum vitae, diei 21 iunii
1360.
(2) Cfr. CHERUBINO GHIRARDACCI, Della Storia di Bologna, ivi 1657, Vol. II, p.
278.
(3) Cfr. il GHIRARDACCI, l. c., p. 404, ed il
TORELLI, Secoli Agostiniani, Bologna 1680, VI, p. 72 e 73, ove
parlasi altresì del Malabranca, che precedette il Baduario nell’ufficio di
Generale dell’Ordine, ed in altre dignità ecclesiastiche. Fu Vescovo di Rimini e
Patriarca di Costantinopoli. Di lui, oltre i nostri scrittori, si occuparono
l’UGHELLI, Italia Sacra, T. II, col.
428; il TIRABOSCHI, Storia della Lett.
Ital., Venezia, 1823, Vol. V, p. 213; CIACONIO, Vitae Pontificum, Romae 1677, II, col. 247 ed
altri.
(4) Lettere Senili di Francesco
Petrarca volgarizzate e dichiarate con note, Firenze 1870, Vol. II, pp.
178-186.
(5)
Fu sospettato che il P. Bonsembiante morisse avvelenato, sospetto nato dal
genere della sua morte e in qualche modo confermato dalla seguente definizione
del Capitolo Generale del 1371 celebrato in Firenze, nella quale leggesi: “Item
eidem Patri Priori Generali committimus deffiniendo, quod omnes questiones, et
causas cum omnibus suis dependentiis terminare valeat, principalissime causam
mortis venerande memorie M. Bonsemblantis”. Cfr. il Cod. 483, f. 153-5 della
Biblioteca Angelica di
Roma.
CAP.
III
Assistito alla sepoltura del
suo fratello in Venezia torna a Padova ove è scelto a tessere l’elogio funebre
dell’amico Francesco Petrarca. È spedito da Gregorio XI ambasciatore a Ludovico
re d’Ungheria per muoverlo contro l’avanzarsi dei Turchi. Conferisce la laurea
magistrale a Fr. Michele da Bologna. Nel capitolo generale di Verona il Baduario
viene eletto Generale dell’Ordine. Dà savie disposizioni per il buon governo del
medesimo. Condizioni deplorevoli della Chiesa alla morte di Papa Gregorio. Saggi
consigli del P. Bonaventura al popolo romano perchè non intralci l’elezione del
nuovo Pontefice. I Cardinali eleggono Bartolomeo Prignano che prende il nome di
Urbano VI. Suoi eccessivi rigori contro i Cardinali, parte de’ quali lo
abbandonano ed eleggono antipapa Clemente VII.
[Pag. 16]
Nella vita
tutti abbiamo dei grandi, degl’immensi dolori, perchè la vita è tutta seminata
di triboli e spine; quelli però che sopravvengono per la perdita dei nostri
cari, non hanno, non possono aver confronto con qualsivoglia altro dolore. Solo
una cosa può alleviarli, lenirli in qualche modo. E questa è il cristiano
pensiero, la dolce speranza di rivedere in tempo non lontano la persona tanto da
noi amata. Senza questo pensiero la vita stessa diverrebbe insopportabile,
sarebbe un deserto arido, squallido, spaventoso. E questo stesso pensiero tanto
opportunamente ricordato dal Petrarca all’amico Bonaventura, colpito sì
terribilmente nel suo più intimo affetto, dovè certo concorrrere [Pag. 17] in modo mirabile a confortarlo e
richiamarlo alla cristiana rassegnazione, onde avrà certamente esclamato:
“Dominus dedit, Dominus abstulit, sit nomen Domini
benedictum”.
Composto ch’egli ebbe le amate
spoglie del fratello su letto di morte, calatele nella tomba, suffragatone con
pii sacrifici e pie preghiere la bell’anima, non sappiamo quando precisamente
rimanesse in Venezia; e soltanto ci è noto che egli nell’Aprile del 1368 si
trovava nuovamente in Padova, Professsore della sacra pagina e testimone nel
monastero di S. Agostino, quando frate Stefano, sagrestano della chiesa,
ricevette lire cento da Amenina Descenti di Vicenza per la celebrazione di una
messa quotidiana (Mon. 1368, 4 Aprile) (1). Nel Febbraio del 1373 si rinviene
ancor nel suo monastero col titolo di Doctoris Sacrae Paginae (Mon. 1373,
Febr. 5); e nell’Ottobre dello stesso anno Zanino da Peraga del quondam Filippo
fa testamento disponendo col medesimo che venga sepolto nella sua cappella posta
nella Chiesa di quel Monastero, e nomina lo stesso Bonaventura suo esecutore
testamentario (Mon. 1373, Ottob. 27). Nel seguente anno un’altra ferita doveva
aprirsi nel cuore di fr. Bonaventura. Egli perdeva il dolce amico, il maestro,
l’uomo che tutti i secoli ricorderanno sempre con onore, voglio dire il
Petrarca; e per unanime consenso dei dottori di Padova, proprio lui fu scelto a
tesserne l’elogio funebre. Ecco in quali termini narra Andrea de Gataris il
doloroso avvenimento: “Appresso agli altri danni della nostra città di Padova
occorse nel detto millesimo (1374) alli 19 di Luglio, che passò di questa vita
il famoso e laureato Poeta Messer Francesco Petrarca, il quale era arciprete del
Duomo di Padova, e morì nella villa d’Arquà et al suo esequio andò il Signor
Messer Francesco da Carrara, e i Rettori dello studio, et Università degli
scolari di Padova. Et il corpo suo fu portato da sedici Dottori coperto di panno
d’oro con un baldacchino di panno d’oro [Pag.
18] foderato de vajo, con gran quantità di cera, con gran Chieresie
di Padova, e del Padovano distretto. Vi vennero il Vescovo di Vicenza, quello di
Verona, e quello di Treviso con molti Prelati e chierici insieme, e fu messo il
suo corpo nella Chiesa di S. Maria d’Arquà. E fece il sermone Monsignore Messer
Frà Bonaventura, che fu Cardinale, e pronunziò 24 Volumi di Libri composti per
lo detto Francesco Petrarca” (2).
La fama di cui godeva Fra
Bonaventura di uomo colto, eloquente, retto, attivo, oculato, destro negli
affari, prudente e risoluto non era nota solo in Italia, ma, valicate le Alpi,
era giunta fino alle orecchie del Pontefice Gregorio XI in Avignone. Era questi
allora in grandi angustie per la sorte dei Cristiani d’Oriente. Il gran sultano
Amurat I, conquistata la Romania, la Valacchia, la Bulgaria, la Serbia, la
Tracia dall’Ellesponto all’Emo, minacciava seriamente l’Europa tutta, e posta la
sede del suo governo ad Adrianopoli faceva continuamente tremare Costantinopoli.
L’imperatore Giovanni Paleologo a più riprese aveva fatto ricorso ai Pontefici
ed ai Principi cristiani per aiuto; ma questi ultimi non si eran mossi
(3). Or nuovamente
ricorse a Gregorio, che ascoltatolo benignamente, scrisse lettere a tutti i
Principi per muoverli contro il Turco. Chi più di tutti poteva allora opporsi
alla prepotenza mussulmana, era Ludovico, re d’Ungheria, potente per armi ed
armati. A lui perciò mandò speciali ambasciatori, a capo de’ quali collocò il
nostro Bonaventura, ed a lui dette, per sue lettere credenziali, una Bolla
spedita d’Avignone il 26 Ottobre del 1375, anno quinto del [Pag. 19] suo Pontificato (4). Ma nè l’eloquenza, nè l’accortezza e
la destrezza del Bonaventura valsero a muovere quel re, da cui non riportò che
buone promesse. Cominciava a sparire l’ardore dell’antica fede e l’egoismo era
subentrato nella politica in tutto il suo classicismo. Non molto quindi restò in
Ungheria, e tornatosene nella sua Padova, ove lo troviamo nel Marzo del 1377 (5),
pensò bene di spendere tutte le sue energie a predicar Cristo, e questo
Crocifisso. [Pag.
20]
Erano intanto indetti i Comizi
Generali dell’Ordine da celebrarsi in Verona. Vi convennero Religiosi da tutte
parti di Europa, e tra gli aventi voce in Capitolo, vi fu pur anco Fr.
Bonaventura da Padova. Era a tutti noto il suo valore intellettuale e morale; in
lui quindi diressero i loro sguardi, e ad unanimità di suffragi, il 17 Maggio
del 1377, dì sacro alla Pentecoste, lo elessero Priore Generale dell’Ordine
medesimo (6).
Nel codice 483 della Biblioteca
Angelica, tra i ff. 158v-161 esistono tuttora le definizioni da lui in questo
capitolo promulgate (7),
nelle quali non saprei che più lodare se la pietà che da esse spira o la
saviezza delle decisioni e provvedimenti presi. Tra l’altro in esse si prescrive
che “quotiens nominatur in officio divino [Pag.
21] illud salubre nomen Ihesus Christus sive in orationibus sive in
cantu, quilibet fratrum inclinare vel genuflectere teneatur”, similmente che “in
quolibet conventu nostre religionis in vesperis et matutinis in diebus in quibus
peraguntur suffragia, commemorationem sanctorum Petri et Pauli, prima oratio
fiat seu commemoratio de Beata Virgine”. Comanda parimente che “in quolibet
conventu nostre religionis immediate post antiphonam et collectam quae dicuntur
de gloriosa Virgine post completorium per campanam maiorem fiat signum ad Ave
Maria, ad quod signum omnes fratres humiliter genuflectant Ave Maria dicentes in
honorem Virginis illibate”. Prescrisse altresì che d’allora in poi l’ufficio
divino, avesse sempre tre notturni; che l’ufficio della Conversione del S. P.
Agostino fosse di rito doppio; che nel principio delle ore canoniche si dicesse
sempre il Pater ed Ave, che si dovesse il massimo rispetto pel
Capo della Chiesa, e tanti altri salutari dettami che sarebbe troppo lungo
riferire. La perdita dei Regesti del suo generalato non ci dà la possibilità di
valutare tutta l’importanza del suo governo dell’Ordine; ma considerata la
grande ed universale stima in cui fu allora, come sempre, tenuto, possiamo
facilmente argomentare essere stato il medesimo il migliore che in quei tempi si
potesse desiderare.
In questo mezzo la Chiesa, non
meno degli altri stati, si trovava in sommo scompiglio; l’Europa quasi tutta
sossopra; l’Italia in ispecie era lacerata da intestine discordie, Roma ridotta
un cadavere; l’antico amore per la S. Sede, se non spento, assai raffreddato;
antichi e nuovi errori serpeggianti da ogni lato; il Papato, rimosso dalla sua
sede naturale, assai scosso e decaduto dalla sua grande altezza; in breve erano
i tempi più torbidi che si siano mai conosciuti. Gregorio XI vedeva questo male;
però debole per natura, era sempre incerto sul da farsi e prendere energiche
risoluzioni. Ma la donna provvidenziale, S. Caterina da Siena, corre da lui; gli
addita Roma, lo sprona arditamente a lasciar la putrida corte di Avignone, gli
si fa Angelica condottiera, e partito il 13 settembre del 1376 di colà, il 17 di
Gennaio entra in Roma in mezzo a frenetici applausi del popolo. [Pag. 22] Non sopravvive egli a lungo a
questo memorando fatto, ed il 27 Marzo del 1378, esortando i Cardinali ad esser
concordi nel dargli un successore, quasi presago di gravi sventure, se ne muore.
I sedici Cardinali presenti in Roma il 7 Aprile 1378 entrano in Conclave; grave
discordia era tra loro circa la persona da eleggersi a successore di Gregorio.
Il Popolo Romano temendo, e non senza qualche ragione, che venisse eletto chi,
rimpiangendo le cipolle d’Egitto, avesse ricondotta la Sede Apostolica sotto la
schiavitù di Faraone, principia, al di fuori del Conclave, a rumoreggiare, a
consultarsi, a tener consigli, a chiedere ad alta voce che fosse eletto un
Romano, o almeno un Italiano. Ad uno di tali Consigli è chiamato pur anco il
Generale degli Agostiniani, Bonaventura da Padova, e questi da uomo saggio e
prudente, esorta il popolo di non preoccuparsi punto se il nuovo eligendo fosse
Romano od Italiano; esser necessario soltanto che chiunque fosse stato il nuovo
eletto e da qualsiasi parte ne venisse, restasse in Roma, come a sua sede
naturale, dove i più vitali ed onesti interessi della Religione lo richiedevano,
e dove sarebbe stato assai più convenientemente, anzichè il vederlo girovagare
di città in città: tutti poi si guardassero dal dire parole, dal far segni o
fatti che dimostrassero di far violenza o pressione sull’animo dei Cardinali,
potendo per tal modo grandemente variare il risultato dell’elezione (8). Molte più cose [Pag. 23] avrà certamente detto il P.
Bonaventura, ma a noi soltanto questo è pervenuto; pure dai brevi detti di lui
non possiamo a meno dal far rilevare ch’ei ci si presenta quale una mente
eletta, di larghe vedute, non legata ai pregiudizi di partito; ma universale,
come universale era la Chiesa per il cui bene perorava, inculcando che il Senato
dei Porporati fosse lasciato onninamente libero nell’elezione del supremo Capo
della grande famiglia cristiana. E Dio avesse voluto che quel popolo se ne fosse
stato quieto ed avesse dato ascolto ai consigli del grande Agostiniano! Chè
forse non avrebbe poi dato appiglio ai mali intenzionati di misconoscere l’opera
loro. Finalmente i Cardinali il dì 8 Aprile 1378 elessero a Sommo Pontefice,
Bartolomeo Prignano, che prese il nome di Urbano VI, Arcivescovo di Bari, uomo
d’intemerati costumi, dotto, esperto negli affari e amante della
santità.
Da molto tempo si parlava dovunque
della necessità di riformare i costumi della Chiesa. Qualcuno dei Papi
antecedenti l’aveva tentato, ma erano stati semplici tentativi. Il rigido
Urbano, non appena si vide rivestito della suprema dignità, non pensò che a
questo; ma con zelo che parve eccessivo. I Cardinali, specialmente francesi,
menando vita piena di fasto, [Pag.
24] furon da lui fortemente ripresi; onde offesi al vivo, lo
abbandonarono, e ritiratisi prima in Anagni e poi a Fondi, il dì 20 Settembre
dello stesso anno, elessero un Antipapa, Roberto di Ginevra, col nome di
Clemente VII. All’annunzio datone tutto il mondo restò sbalordito: perchè non si
potea comprendere come quegli stessi Cardinali che aveano pochi mesi prima dato
alla cristianità un pontefice savio e giusto, cui aveano prestato i debiti atti
di venerazione ed obbedienza, da cui come sappiamo, oltrechè da infiniti altri,
dal nostro P. Bonaventura (9), stando in Roma aveano accettato benefici
ecclesiastici e titoli Cardinalizi, [Pag. 25]
e ritiratisi in Anagni, scrissero quale a vero legittimo pontefice
chiedendo grazie e favori, con un atto tanto inconsulto attentassero all’opera
uscita dall’espressione unanime della loro volontà. Ma la ragione era ovvia.
Essi non voleano staccarsi dalle dolcezze terrene, dagli osceni e lauti convivi,
dalla turpe simonia, e camminare con Dio. Essi vollero prestarsi ciechi
istrumenti nelle mani del Re Carlo di Francia: vollero contentare, quantunque
alcuni di loro lo facessero con ripugnanza, la smodata ambizione del Ginevrino,
gettando per tal modo la Chiesa nel lutto e nel pianto.
_____________________________________________
(1) Cfr. ANDREA GLORIA, Monumenti dell’Università di Padova
(1318-1405), Padova 1888, I, p. 548-550, ove per errore vien detto Domenicano.
(2) Cfr. Chronicon Patavinum ANDREAE DE GATARIS
in Rerum Italicarum Scriptores, Mediolani 1730, vol. XVII, col.
214. Anche Galeazzo Gataro, padre di Andrea, nel suo Chronicon che è pure riportato nello
Stesso Volume alla col. 213 scrive: “il quale [corpo del Petrarca]
fu portato dalla sua casa d’Arquà sopra una sbarra con panno d’oro, e con
baldacchino d’oro foderato d’armellini. La detta sbarra fu portata addì XVI
d’ottobre perfino alla chiesa d’Arquà; lì vi fu fatto uno real Sermone da Messer
Bonaventura da Peraga, che fu poscia fatto Cardinale”.
(3)
Cfr. CANTÙ,
Storia Universale, Torino 1887, VI,
p. 478-480.
(4)
Cfr. RAINALDI, Annales Eccles., Romae 1652, XVI, all’anno 1375, n. 7 ed 8, e LUIGI TORELLI, Secoli Agostiniani, VI, p. 158-159.
(5)
Cfr.
GLORIA, Monumenti e luogo cit. Il P.
Bonaventura, forse anco prima di questo tempo erasene tornato in patria. Trovo
infatti che nell’Aprile del 1376, Gregorio XI gli commetteva di promuovere al
magistero il P. Michele da Bologna, dello stesso suo Ordine. Eccone la Bolla:
“Gregorius Episcopus... Dilecto filio Bonaventure de Padua, Ordinis fratrum
heremitarum Sancti Augustini professori, sacre Theologie Magistro, salutem etc.
Viri sacre lectionis studio dediti et in lege divina eruditi, Apostolici favoris
gratiam promerentur, eoque benignius decet honestis eorum desideriis annui, quo
ex eorum profectibus maior potest in Dei Ecclesia utilitas provenire. Cum
itaque, sicut accepimus, dilectus filius Michael de Bononia ordinis fratrum
heremitarum sancti Augustini professor, qui apud nos de religionis zelo, vite,
ac morum honestate, et aliis virtutum meritis multipliciter commendatur, diu
cura facultatis sacre Theologie, scilicet in Paduen., Bononien. et Parisien.
studiis per longa tempora insudaverit, librumque sententiarum in eodem studio
Bononien. in domo fratrum dicti ordinis lector existens, per quinquennium
legerit, et alios multos actus fecerit, et in tantum in hujusmodi facultate
profecerit, quid in facultate ipsa ad magisterium meruerit promoveri, pro parte
ipsius Michaelis nobis fuit humiliter supplicatum, ut ipsum ad honorem
magisterii promoveri de benignitate Apostolica mandaremus: nos itaque hujusmodi
respective Michaelis supplicationibus inclinati discretioni tue per apostolica
scripta committimus et mandamus quatenus eidem Michaeli infra duos menses a
presentatione presentium tibi facienda computandos, dummodo ipse per tuam et
aliorum magistrorum dicti studii Paduani in eadem facultate diligentem
examinacionem ad hoc ydoneus et sufficiens reperitus extiterit, Magisterii
honorem et docendi licentiam in eadem facultate, servatis constitutionibus
Viennen. concilii et aliis solepnitatibus consuetis, auctoritate apostolica
largiaris, sibique ut omnibus et singulis privilegiis, gratiis, et exemptionibus
gaudeat, quibus gaudent fratres dicti ordinis de dono gratie amplioris, ita
tamen quod ex hoc prefatus ordo ad prestandum aliquid eidem Michaeli pro suis
expensis vel aliis necessariis ratione dicti magisterii ultra quod antea minime
teneatur non obstantibus quibuscumque privilegiis necnon statutis, et
consuetudinibus Ordinis, Parisien. et Paduan. studiorum predictorum contrariis,
iuramento, confirmatione apostolica vel quacumque firmitate alia roboratis etc.
Dat. Avenione VIII Kal. martii, anno sexto”. (Die 24 Aprilis 1376): Così nel
Reg. Vat. 387, fol. 101, epist. 494 e nel Reg. Vat. 289, p.
613b.
(6)
Il nostro
eruditissimo Panvinio nel suo Commentarium rerum nostri Ordinis, Romae, apud Autonium Bladum 1551, composto per ordine del P. R.mo
Seripando (Cfr. PERINI, Onofrio Panvinio
e le sue opere, Roma 1899, pag. 112 e seg.) e posto
insieme al corpo delle Costituzioni dell’Ordine, edite dallo stesso Blado,
all’anno 1377, settimo del Pontificato di Gregorio XI, scrive: “XLII,
peractus est conventus noster Generalis Veronae, in Provincia Marchiae
Tarvisinae, die decima septima Maij; ubi post mortem Magistri Fratris Guidonis
Generalis, decimus octavus nostri Ordinis Prior Generalis creatus est Magister
Fr. Bonaventura Patavinus, provinciae Marchiae Tarvisinae, qui ordini nostro
praefuit annis octo...”.
(7)
Al f. 158v
del cit. cod. 483 leggesi: “Infrascripte sunt diffinitiones in capitulo generali
Verone celebrato, edite per reverendum magistrum Bonaventuram de Padua priorem
generalem ceterosque patres diffinitores eiusdem capituli ordinis Heremitarum
sancti Augustini Anno Domini MCCCLXXVII, in die sancto Pentecostes, lecte, et
promulgate die XXV mensis Maii”.
(8)
STEFANO
BALUZIO, che nelle sue Vite de’ Papi Avignonesi, Parisiis 1693, si studia a tutt’uomo di
difendere l’Antipapa Clemente VII, dette alla luce buona parte delle
testimonianze giurate, raccolte dai delegati di Enrico e Giovanni, Re di
Castiglia, mandati da loro sul principio del 1380, affinchè investigassero da qual parte
fosse la verità sul fatto dello scisma. Riportando la testimonianza del nostro
Bonaventura da Padova il Baluzio ha quanto appresso: “Extat in codice Harlaeano
depositio eius [dicti Bonaventurae] super facto schismatis, in qua cum se
addictum esse partibus Urbani ostendat, modeste tamen id facit. Immo in primo
articulo non obscure innuit violentam fuisse cupiditatem Romanorum pro retinendo
sommo pontificatu in Italia. Sic enim illic scriptum est: Post mortem Domini
Gregorii Papae Romani consilia tenuerunt qualiter se haberent ut curia penes
Italiam remaneret. Et quidam Doctor consulebat quod fuissent nominati quindecim
boni Praelati de Roma et de partibus Italiae. Sed illud consilium non habuit
effectum. Postea tenuerunt aliud consilium. Et iste Dominus Cardinalis, qui tunc
erat Generalis Heremitarum, fuit ibi vocatus, et dixit in consilio quod
videbatur sibi quod Romani non deberent curare utrum esset Romanus vel Italicus,
solum supplicarent quod Papa remaneret penes istas partes Italiae propter
consolationem Urbis et Italiae. Sed nescit quem modum postea tenuerunt Romani.
Praedictus Cardinalis dixit etiam quod Romani debebant esse contenti de
quocumque Pontifice, undecumque esset; verumtamen quod creato Pontifice poterant
supplicare sanctitati suae ut placeret eidem residentiam facere in civitate Romana, quia honestius erat
Summum Pontificem residere in sua sede quam per civitates alias vagari. Sed
nescit quem modum postea tenuerunt Romani”. Et statim additur: “Item dixit
eisdem Romanis praedictus Cardinalis quod nullo modo dicerent verba nec facerent
facta seu signa praetendentia violentiam vel impressionem. Nam per ista posset
electio variari”. Così il Baluzio nell’opera citata alle col. 1240-41.
(9)
Anco questa
testimonianza, come la precedente, è riportata dal BALUZIO, l. c., p. 1191, ed è
la seguente: “Item dixit praedictus Cardinalis [Bonaventura de Padua] quod dum
Cardinales antiqui essent in Anagnia, ipsi scripserunt Sanctissimo Domino Urbano
tamquam vero et legitimo Papae pro beneficiis impetrandis et aliis gratiis
obtinendis. Et addit praedictus Cardinalis quod quidam venerabilis frater
Bernardus de Florentia, Biblicus Parisiensis, de familia Domini Ambasiensis
dixit praedicto Cardinali quod dum ipse frater Bernardus suprascriptus esset in
Anagnia, ubi erant Cardinales et ordinarunt procedere sanctissimum Dominum
nostrum Urbanum, Cardinalis de Luna, Cardinalis Glandensis, qui iam acceperat
titulum Hostiensem a Sanctissimo Domino Urbano, et quidam alii Cardinales
paraverunt se ut venirent Romam ad pedes sanctissimi Domini Urbani, sed impediti
fuerunt ab aliis Cardinalibus, nec inde recedere potuerunt”. Il BALUZIO (osserva
bene a questo proposito il GIGLI, l. c., p. 217), “che dalli scrittori del
partito di Urbano richiede maggior moderazione nello scrivere, non la tiene nel
grado che si converrebbe inverso di sì eccelso Personaggio, qual fu questo
esimio Cardinale della cui testimonianza di tal maniera favella: “Sed audaciae
plenum est quod legitur in depositione Bonaventurae Cardinalis de Padua,
Cardinalem Bertrandum Latgerii meditatum ea tempestate secessionem a reliquis
Cardinalibus, et rediturum fuisse ad Urbanum, nisi impeditus ab ipsis fuisset”.
Come se egli trecento anni di poi avesse meglio potuta sapere una risoluzione
presa e non effettuata da questo Cardinale detto comunemente di Glandeve; il
quale è certo, pel testimonio dello stesso BALUZIO, essere stato l’ultimo dei
Cardinali oltramontani a staccarsi da Urbano, di quello potesse saperla il
Cardinale di Padova, che allora in Roma viveva, e ne dà fede giurata. Ma appo
questo Autore tutto quello che adducesi a favore di Urbano è falso, troppo
ardito, e temerario; ove con tutta sicurezza si dee dar fede a quelle
testimonianze che s’arrecano a pro di quella di Clemente”.
CAP. IV
Lo scisma è dichiarato. Opera di S. Caterina da Siena per
attenuarne gli effetti. Per consiglio di cotestei il P. Bonaventura è creato
Cardinale. Riceve lettere dalla atessa Santa. Il novello Cardinale predica in
Siena a favore del vero Papa.
E’ censurato e privato del generalato dell’Ordine dall’antipapa Clemente; ma
l’Ordine riconosce lui per vero suo capo mentre lo regge per mezzo de’ suoi
Vicari Generali.
[Pag. 25]
In sì
dolorosa calamità però, forse nessuno sentì più acerbo dolore dell’angelica
Caterina da Siena. Costei, vero miracolo di santità e di fortezza, dopo essersi
fatta angelo di pace tra le città italiche avvezze a lacerarsi con guerre
fratricide, dopo aver additato al suo secolo le piaghe di cui incancreniva,
atterrito gli empi, fatto vergognare i viziosi, acceso della vera carità potenti
ed umili, non appena, piangendo, vide la chiesa precipitata nello scisma, come
Cherubino si pone al fianco del vero Pontefice, e lo sostiene col più valido
fervore (1). Ella fulmina gli scismatici, ammonisce
gli erranti, corrobora i deboli, rafferma i vacillanti, chiama a raccolta tutti
i buoni per porli a servizio e sostegno di Urbano (2). Se
questi fosse stato più moderato, [Pag. 26]
se all’ingegno e allo zelo avesse accoppiato un tatto più fine, se
avesse ascoltato immantinente i consigli della Benincasa, di nominare cioè
subito “una buona brigata di Cardinali”, lo scisma, che, da quando Clemente V
aveva piantata la sua sede in Francia, pendeva sopra il capo della Chiesa, e che
sotto Urbano V e poi sotto Gregorio XI minacciava già di scoppiare, si sarebbe
forse evitato. Ma egli nol fece, e così avvenne quel che si sa. Finalmente
costrettovi dagli eventi il dì 28 Settembre 1378, dimorando presso S. Maria in
Trastevere ne creò il rilevante numero
di ventinove (3),
e tra essi, [Pag. 27] alcuni
dicono a persuasione della stessa Santa, il nostro Bonaventura da Padova, come
uomo di gran senno, di specchiata fama, provato nel governo degli uomini, di
costumi illibati, facondo nel parlare, e del cui consiglio lo stesso pontefice
avrebbe potuto grandemente giovarsi. Era egli fuori di Roma, alcuni dicono in
Padova, altri a Firenze (4),
quando ne ebbe notizia. L’angelica Caterina ben tosto a lui scrisse una
lettera esortandolo ad esser colonna ferma e stabile di S. Chiesa esaltando la
verità e la fortezza, virtù che si acquistano mediante l’umiltà e l’amore nel
conoscimento di sè medesimi e della bontà di Dio e suoi benefici verso di noi. E
l’uomo, indi prosegue “quanto diventa forte, carissimo Padre? Tanto, che nè
demonio, nè creatura el può indebolire, mentre ch’egli sta unito con la sua
fortezza, e da questa fortezza neuno el può separare, se egli non vuole. Fanno
le battaglie, e molestie del mondo indebolire quest’Anima? Certo no: ma più e
molto maggiormente se ne fortifica, perchè elle sono cagione di farla fuggire
con più sollecitudine alla fortezza sua: et anco si prova l’amore ch’ella à a
Dio, s’egli è amore mercennajo, o no, cioè ch’ella ami per proprio diletto, e
non la indebiliscono le Creature con le molte persecutioni, ingiurie, strazj, e
rimproveri, scherni, e villanie, ma molto maggiormente la fanno levare da ogni
amore delle Creature, fuora dal Creatore, e fannola provare nella virtù della
patientia. [Pag. 28] Adunque neuno è
che la possa indebolire, se non quando l’Uomo vuole, separando sè dalla sua
fortezza in qualunque stato l’Uomo si sia, che nè stato, nè tempo ci tolle Dio,
perocchè egli non è accettatore delli stati, nè de’ luoghi, nè de’ tempi ma solo
del Santo, e vero desiderio. Adunque voglio, che voi siate una colonna forte,
ferma e stabile: fortificandovi nelle vere e reali virtù nel cognoscimento di
voi, acciocchè pienamente potiate adoperare nella Santa Chiesa quello, perchè
voi siete posto, che se nol faceste, vi sarebbe molto richiesto da Dio; e quanta
confusione sarebbe nell’ultima estremità della morte dinanzi al Sommo Giudice,
al cui occhio neuno si può nascondere, perocchè el minimo pensiero del Cuore gli
è manifesto. O carissimo Padre, non dormiamo più, che siamo al tempo della
vigilia, ma con affocato desiderio cognosciamo noi, e lavoriamo nel Giardino
della Santa Chiesa, ognuno secondo gli è dato a lavorare per onore di Dio, e
salute delle anime, e reformatione della Santa Chiesa, e per accrescimento della
verità di Papa Urbano VI vero Sommo Pontefice, con una vera umiltà e patientia,
reputandoci degni della pena, e fatica, e indegni del frutto, che seguita dopo
la pena: anneghiamo la propria perversa voluntà nel sangue di Cristo Crocifisso,
e seguitiamo la dolce dottrina sua. Altro non vi dico: permanete nella Santa, e
dolce dilettione di Dio. Jesu dolce. Jesù amore” (5).
Le assennate espressioni di questa nobilissima lettera, non potevano certo
riuscire discare al nostro Bonaventura, che in tutto pensava con la mirabile
Benincasa; e se egli ne facesse tesoro, sono bellamente ad attestarlo le
testimonianze che saremo per riportare, dalle quali evidente riluce la sua
costante ed immutata fede ad Urbano. Non è improbabile che allo stesso tempo
ricevesse da questi ordine di recarsi a Siena, perchè trovo nel Gigli (l. c., p.
215-16) il quale allega le testimonianze del Tomasi, (Istoria di Siena, Part. III, testo a
penna) e di Angelo di Tura di Grasso (item testo a penna) ch’egli da Cardinale
il 5 Febbraio 1379 si recò là “mandatovi da Urbano a por fine all’affare della
restituzione di Talamone... e che in [Pag.
29] Duomo predicò al popolo a favore della legittima elezione di quel
Pontefice, dal che vedesi esser falso ciò che leggesi nell’Oldoino di questo
Cardinale ove dice che Cardinalis
renuntiatus numquam Roma discessit. Se non si volesse dire, che prima di
allora non si portasse a quella città, e che in passando per Siena vi si
fermasse ad eseguire gli ordini del Pontefice, che erano sopra l’affare di
Talamone. Vi predicò pur egli, come testificano i due storici testè citati,
sopra la legittima elezione di Urbano; non perchè quella città si tenesse a
parte contraria, essendosi mantenuta sempre nel partito di quel Pontefice, cui
anche mandò Ambasciatori..., ma forse perchè non ondeggiassero in qualche
ambiguità”.
Il Card. Bonaventura, venutosene
indi a Roma, ben tosto principiò a sentire i fulmini dell’Antipapa Clemente.
Questi infatti, dalla stessa città di Fondi, pochi mesi dopo la sua elezione
sacrilega, da accusato si fece accusatore, da reo giudice; ed in data dei 2
Marzo 1379 spedì una bolla in cui non saprei che cosa più stigmatizzare se
l’impudenza dell’uomo o la mala fede. In essa, per quanto riguardava l’elezione
di Urbano, accusava il popolo romano di violenza, i cardinali elettori, tra i
quali si trovava ancor lui, dei miseri tapini incoscienti del loro operato, il
Prignano, estraneo alle loro deliberazioni, un intruso, un uomo pestifero (6). Sotto la stessa data poi ne pubblicava
un’altra nella quale pigliava di mira tutti i Cardinali creati da Urbano, li
vituperava nel modo più indegno, e li citava a comparire innanzi a lui per
essere puniti dei loro demeriti. Tra questi metteva tra i Capo-lista il nostro
Bonaventura, sol reo di aver accettato l’altissima dignità dal proprio e
legittimo Pastore (7). [Pag. 30]
E sembra che l’aver
costui di rincontro assai gli turbasse i sonni, perchè con altra bolla dei 18
Settembre dello stesso anno, si studiò di metterlo in pessima vista innanzi a
tutto l’Ordine Eremitano, eleggendo a Priore Generale del medesimo, un Maestro
di Basilea, certo F. Giovanni Iltalinger. Ne riferisco il testo: “Clemens...
Dilecto filio Iohanni de Basilea fratri Ordinis heremitarum Sancti Augustini
magistro in theologia Priori prioratus generalis dicti Ordinis salutem et
apostolicam benedictionem. Inter solicitudines varias et diversas nobis... Cum
itaque prioratus generalis Ordinis heremitarum Sancti Augustini propediem
vacavit et adhuc vacare noscatur pro eo quod iniquitatis filius et perdictionis
alumpnus Bonaventura, qui malaventura potius vocari meretur, olim prior
generalis dicti Ordinis, in reprobum sensum ductus, diabolico imbutus consilio,
illi viro pestifero Bartholomeo olim Barren. Archiepiscopo a tempore quo idem
Bartholomeus per notoriam intrussionem et violenciam manifestissimam Romani
populi sedem apostolicam occupaverit et occupat, adhesit continue prout adhuc et
de presenti adheret notorie et ab eodem intruso succensus ambitionis ardore,
statum superbum anticardinalatus assumpsit, propter quod et alia dicti
Bonaventure demerita ipsum Bonaventuram dicto prioratus generalis officio
privavimus et declaravimus esse privatum ac per presentes etiam auctoritate
apostolica declaramus. Nos ad ea que statum et conservationem dicti Ordinis...
etc. Datum Avenione XIV Kal. Octobris, pontificatus anno primo”
(8). [Pag. 31] Ma non
basta, l’antipapa, ripetendo sempre lo stesso ritornello, insieme agli altri
Cardinali, lo citò ancora e lo scomunicò con altre Bolle dei 2 Marzo 1380 (9), dei 15 Marzo del 1381 (10), e dei 3 Ottobre 1382 (11). Non sembra per altro che
l’escandescenze ed i fulmini dell’Antipapa Clemente dovessero commuovere
gran fatto l’animo forte del Cardinale di Padova, sicuro, com’era, di difendere
nella causa di Urbano la verità e la giustizia; anzi se non avesse avuto
trafitto il cuore al doloroso pensiero di vedere la Chiesa scissa e desolata,
con la perdizione d’innumerevoli anime, appunto per opera di chi lo malediceva,
quei fulmini lo avrebbero fatto al certo sorridere. Ed una nota di buon umore
gli avrà certamente suscitata la Bolla, con cui da Clemente veniva privato
dell’ufficio del generalato dell’Ordine, conoscendo ben egli quanto i suoi
sudditi riverissero Urbano, la sua persona, e gli ordini che egli impartiva a
tutti per mezzo dei suoi Vicari Generali F. Filippo da Mantova e F. Nicola
dell’Amatrice (12). Sappiamo infatti dalle nostre cronache
che, salva una trascurabile eccezione di qualche defezione, l’intero Ordine
Agostiniano riconobbe per vero Pontefice Urbano, e l’Iltalinger per il breve
tempo in cui fu Generale di Clemente, [Pag.
32] lo fu senza sudditi. Egli pertanto, fidente della sua buona
coscienza, non pensa che a governare con amore, rettitudine e somma prudenza i
suoi religiosi ed a prestare servigi alla Chiesa.
___________________________
(1)
Si
consultino tutti gli storici della Chiesa ed in ispecie il RAINALDI, An. Eccles., XVII, Romae 1659, all’anno 1378-80;
ORSI, Stor. Eccles., Roma 1851, vol. 38, pag. 78 e seg.;
ROHRBACHER, Stor. Univ. della
Chiesa, versione Ital., Milano 1854, vol. 21,
lib. 81; PASTOR, Storia dei Papi, Traduzione Ital. del Benedetti, Trento
1890, vol. I, pag. 99 e seg.; le Opere della stessa S. Caterina edite dal GIGLI
nel 1707 ed ALFONSO CAPECELATRO, Storia di S. Caterina da Siena, Firenze 1863, lib. 8° e
9°.
(2)
Il GIGLI,
o. c., II, pag. 366-371 riporta due Lettere di Urbano con le quali, a
persuasione di S. Caterina, chiama a Roma diversi servi di Dio tutti discepoli
della Santa. Ella stessa poi con diverse lettere chiamava con viva sollecitudine
Fr. Guglielmo Flete, Inglese, Fr. Antonio da Nizza, Fr. Andrea da Lucca e Fr.
Paolino da Nola, tutti e quattro dell’Ordine Erem. di S. Agostino, dimoranti
nelle solitudini di Lecceto presso Siena, o poco lontani, e suoi amatissimi
discepoli. Lasciassero, diceva loro, la pace e la quiete dei monasteri e
corressero a difendere, la dolce Sposa di Cristo posta ora in sì grandi angustie
e tribolazioni, “che per sovvenirla, indi proseguiva, è da escire dal bosco e
abbandonare sè medesimo, vedendo che si possa far frutto in lei non è da stare,
nè da dire: io non avrei la pace mia, che da poichè Dio c’ha data grazia d’aver
provveduto alla Santa Chiesa d’uno buono e giusto Pastore, el quale si diletta
de’ Servi di Dio, e vuolli a sè, e attende di poter purgare, e divellere i
vizii, e piantare le virtù senza alcun timore d’uomo, perchè come uomo giusto e
virile si porta, noi altri el dobbiamo sovvenire: avvedrommi, se in verità
abbiamo conceputo amore alla reformazione della Santa Chiesa, perocchè sarà così
in verità. Seguirete la volontà di Dio e del Vicario suo: escirete dal bosco e
verete ad intrare nel campo della battaglia; ma se voi non il farete, vi
scordarete della volontà di Dio: e però vi prego per amore di Cristo Crocifisso,
che tosto ne veniate senza indugio alla richiesta, che il Santo Padre fa a voi:
e non dubitate di non avere del bosco, che qui à de’ boschi e delle selve. Su
carissimi figlioli, e non dormite più, che tempo è di vigilia. Altro non vi
dico. Permanete nella santa e dolce dilezzione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore.
In Roma a dì XV di Dicembre MCCCLXXVIII”. Cfr. il GIGLI, l. c., pag. 735, lett.
127. Questo scriveva pure nella lettera 130 ed in altre. Sarebbe da scrivere un
bel volumetto intorno ai religiosi Agostiniani discepoli della Serafica Caterina
ed all’opera loro spiegata al bene della Chiesa, ed io mi auguro che ciò si
faccia da qualcuno dei nostri. Per ora mi basta dire che quei servi di Dio corsi
a Roma molto s’adoperarono per la causa di Urbano, assistendolo sino alla sua
morte.
(3)
Scrive il
GATARO nella citata Cronaca
Patavina, p. 264, all’anno 1378: “Passato il
sopraddetto termine dato per Papa Urbano VI al Collegio dei Cardinali di Fondi,
subito fu col resto dei suoi Cardinali a consiglio, e deliberarono fra di loro
di fare altri Cardinali e ne creò 28 di più nazioni, ma la maggior parte
italiani, tra i quali ne fece due Francesi, due Inglesi, due Spagnoli, uno
Onghero, quattro Romani, quattro Fiorentini, tre Veneziani, uno Padovano [è il
nostro Bonaventura], un Perugino, due Lombardi e sei Napolitani. E tale elezione
fu fatta in Roma con gran processione e festa per tutto il popolo e simile per
tutte le terre della Chiesa; e questo fu alli 29 di settembre del detto millesimo
(1378)”. Cfr. ancora P. CORRADO
EUBEL, Hierarchia Catholica medii aevi, Monasterii 1898, p. 22. I cardinali creati da Urbano furono
29; ma alcuni non
accettarono.
(4)
Tra questi
è il GIGLI, Opere di S. Caterina da Siena, vol. II, p. 215.
(5)
Cfr. il
GIGLI, l. c., p.
212.
(6)
Questa
Bolla inc.: Gregem Dominicum, è in pergamena con bollo plumbeo di
Clemente, e fin.: “Datum et actum in civitate Fundorum in palacio apostolico in
quo personaliter residemus, VI non. Marcii, anno Domini millesimo trecentesimo
septuagesimo nono. Indictione secunda, pontificatus nostri anno primo”. È
nell’Arch. Vat. nell’Arm. D., fasc. I, Div. I, n. 6.
(7)
Questa
Bolla è data Ad perpetuam rei memoriam.
Inc.: Pastoralis officii nos cura
solicilat. In essa ecco quanto è scritto del nostro Baduario: “Huic nefario
annexus est cumulo frater Bonaventura nomine sed malaventura effectu, ordinis
heremitarum ac dicti ordinis generalis minister, qui tyrannicam impressionem
adeptus, ut multorum fidedignorum religiosorum dicti Ordinis concors habetur
relacio, qui nobis et nonnullis ex venerabilibus fratribus nostris sepius
retulit istum Bartholomeum virum nephandissimum sedem Petri notorie et nequiter
occupare”. La Bolla fin.: “Datum et actum Fundis, VI nonas marcii, pontificatus
nostri anno primo”. È nell’Arch.
Vat. Arm. D., fasc. I, Div. I, n. antico 13, moderno 17.
(8)
Cfr. Reg.
Aven. Clem. VII, Vol. 15, fol.
460.
(9)
Questa
Bolla Inc.: Dum cum pestifer Bartholomeus
de Prignano, e fin.: “Datum Avenione, VI non.
Martii, pontif. an. II”. È nell’Arch. Vat. Arm. D., Fasc. I, Div. I, n.
5.
(10)
Questa
Bolla inc.: Inter cetera, e fin.: Dat. Avenione Idibus Martii,
Pont. an. III”. È nell’Archivio Vat. nelle Miscel. dell’an. 1380-81 in una
cassetta.
(11)
Inc.: Cum dudum Apostolica Sede, e fin.: “Datum et actum Avenione V Non.
Octobris, Pont. an. IIII”. È nella stessa cassetta miscel. dell’an. 1380-81.
(11)
L’EMPOLI in Catalogo Capitulorum et Priorum Generalium
in appendice al Bollario dell’Ord. Agost., Roma 1628, p. 397, scrive a questo proposito:
“Propter schisma Clementis VII non est congregatum capitulum generale usque ad
annum 1385. Recensentur Rectores interim triennales in Ordine Philippus
Mantuanus et Nicolaus Amatricensis, quos Bonaventura gravioribus negotiis
occupatus, de mandato Pontificis, Vicarios suos
nominavit”.
CAP. V
Cultura
dell’Italia nei sec. XIII e XIV. Il Card. Bonaventura è incaricato di ordinare
gli statuti e gli studi teologici nelle Università Italiane. Predica in S.
Pietro presente il Papa. È spedito Legato Pontificio in Polonia e Lituania. Suo
apostolato in quelle regioni.
[Pag.
32]
L’Italia nei secoli XIII e XIV si distinse sopra le altre nazioni per un ardore
febbrile di rinnovamento sociale e di cultura. S. Tommaso, S. Bonaventura,
Egidio Colonna, Dante, Petrarca,
Boccaccio, Coluccio Salutati, e cento altri veramente sapienti, aveano detto al
loro secolo: Avanti, cammina. Le principali città italiche, con slancio quasi
simultaneo, eressero famose Università, che ancor oggi formano il vanto del
nostro incivilimento. Nel tempo per altro di cui trattiamo era subentrato in
esse un certo decadimento, ed Urbano, quantunque dibattuto tra le terribili
angustie dello scisma, ebbe pur campo a pensare di rialzarne il prestigio.
Commise pertanto al nostro Bonaventura e ad altri due Cardinali, Domenicano
l’uno e Francescano l’altro (1),
il delicato compito di redigere savie leggi, affine di coordinarle ad un
unico indirizzo, e ricondurle alla loro originaria grandezza. Secondo l’accurato
Errera essi compirono il loro mandato sul finire del 1381, poco dopo cioè che
Urbano ebbe emanata la Bolla d’investitura del regno di Napoli [Pag. 33] a favore di Carlo di Durazzo, in fin
della quale si firma altresì il nostro Baduario nel modo seguente: Ego Fr. Bonaventura tit. S. Cecilie presb.
Card. subscrib. Sembra che egli non conoscesse riposo, ed anco da Cardinale
non tralasciò di predicare la parola divina. Pietro Amely, suo confratello e
contemporaneo, Sagrista Pontificio e Vescovo di Sinigallia, ci fa sapere infatti
che nella festività della Cattedra di S. Pietro, mentre il Papa Urbano VI
pontificava nella Basilica del Principe degli Apostoli, il Cardinale Bonaventura
predicò per la circostanza (2).
Un avvenimento di grande
importanza, e che dovea grandemente allietare la Chiesa, veniva intanto
maturandosi. Morto Ludovico d’Anjou, Re di Ungheria e di Polonia, lasciò eredi
del trono due figlie Maria e Ludovica o Edvige. Sigismondo, Duca di Brandeburgo,
pretendeva Maria in isposa, Guglielmo, primogenito di Leopoldo Duca d’Austria,
aspirava alla mano della bellissima Edvige.
Si venne a contesa per la
successione; ma i Polacchi mal soffrendo un Principe tedesco ed avendo
pubblicamente dichiarato di non accettare per loro Regina se non quella che
avesse promesso di dimorare permanentemente in Polonia, la secondogenita Edvige,
per tagliar corto, rinnunziò al prediletto del suo cuore per isposare Iagellone
gran principe di Lituania, e convertire lo sposo e quel paese al cristianesimo
col martirio delle proprie affezioni. Iagellone nel sacro fonte prese il nome di
Vladislao, e con tale ardore abbracciò il cristianesimo, da farsene egli stesso
zelantissimo propagatore. In breve egli estirpò il paganesimo dalla Lituania ed
a torme gli abitanti ricevettero il santo battesimo. Ciò avvenne verso il 1387.
Vladislao prese il titolo di Re di Polonia, e la Regina, narra Andrea de
Gataris, “scrisse e mandò suoi Ambasciatori al Sommo Pontefice [Urbano VI]
pregando sua Santità, che ciò, che ella avea fatto in augmento et utile della S.
Fede di Cristo, fosse contento di laudare, [Pag.
34] e con dispensa dichiarare, che fosse stabile e bene fatto. E così
andarono gli ambasciatori et oratori, dal Sommo Pontefice con grandissima
amorevolezza ricevuti, il quale intesa la mirabile opera et il valoroso animo
delle Regine, il tutto approbò ottimamente per benissimo fatto, et a
confermazione del tutto mandò per Legato in quelle parti il Reverendissimo
Cardinale Frate Bonaventura della nobile prole di quelli da Peraga della città
di Padova, huomo di quel tempo d’ottima e santa vita, e di grandissima dottrina,
il quale fu dal Re e dalla Regina di Polonia con ferma fede e divozione
ricevuto, et in nome del Pontefice confermato il Matrimonio, e quanto era fatto.
E poi in tutto il paese messe assai uomini di santa vita ad ammaestrare quelli
che erano fatti cristiani sulla fede di Cristo, et altri a battezzare quelli che
mancavano; e battezzossi tutta
Russia, Lituania e Polonia, che da quel tempo in qua sono state sotto il
reggimento et obbedienza della Sacrosanta Romana Chiesa. Fece il detto Cardinale
in que’ paesi molti Vescovadi, Abbazie, Priorati, et altri benefizii, i quali
celebravano il Santo Ufficio di Dio. Dopo questo il detto Cardinale riconciliò
insieme le due sorelle Regine, e Sigismondo con tutto il paese, et ivi stette
fino che piacque al Papa” (3).
L’abate Girolamo Tiraboschi
a questo proposito scrive: “Uno storico contemporaneo e padovano, qual era il
Gataro, è un testimonio certamente assai autorevole. Nondimeno io non posso a
meno di non restare alquanto dubbioso sulla verità di un tale racconto. Niun
altro storico, ch’io sappia, ne ha fatto parola; e gli scrittori polacchi ch’io
ho potuto vedere, e singolarmente il Cromero e il Dlugosso, nulla ci dicono di
tale ambasciata; anzi questo secondo scrittore riporta un Breve scritto da
Urbano VI l’an. 1387 a Vladislao re di Polonia, in cui rallegrandosi con esso
lui de’ felici progressi che alla religion cristiana procurati avea ne’ suoi
regni, di esserne stato avvertito dal vescovo di Posnania a tal fine spedito da
quel sovrano a Roma (Hist. Pol. l. 10 ad an. 1387); e del Card. Buonaventura [Pag. 35] non dice motto. Ma per altra parte
mi sembra impossibile che il Gataro abbia potuto sognare a tal segno, o fingersi
interamente un fatto di tal natura” (4). Che il Gataro non sognasse nè
fingesse ce ne fornisce una prova Giuseppe Vedova, il quale del nostro Cardinale
riferisce che dalla Polonia se ne passò in Ungheria “come abbiamo da alcune
indulgenze concedute dal Peraga in Neustadt nell’Austria, soggetta in quei tempi
all’Arcivescovo di Salisburgo” (5). Le quali indulgenze ei forse
concesse nel suo ritorno in Italia. La testimonianza del Vedova, per vero dire,
se non fosse suffragata da quella di altri autorevoli scrittori, non sarebbe
forse valsa a distruggere il dubbio mosso dal Tiraboschi, perchè il Vedova non
ci addita le fonti da cui egli tolse la sua notizia. Ma due storici moderni
della Polonia riportano intorno alla legazione del Baduario presso il re
Vladislao tali documenti da togliere e distruggere ogni dubbio in proposito. È
da notare intanto che il Cardinale Bonaventura nel Febbraio del 1388 non si era
mosso per anco da Roma. Ciò si raccoglie dalla seguente testimonianza del citato
Ordo Romanus, p. 551, di Monsignor Amely, che per
essere Sagrista di Urbano VI, e forse presente a quanto narra, ha un’indiscussa
autorità. Egli adunque ci dice: “Anno MCCCLXXXVIII pontificatus domini Urbani
sexti, in ecclesia sanctae Mariae Transtiberim fuerunt factae obsequiae pro
imperatore. In Missa Papa interfuit cum cappa lanea... Item nota quod anno
eiusdem, die Mercurii nona Februarii, omnes cardinales qui tunc erant in alma
Urbe, in Sancta Maria Transtiberim in parva capella et secrete in missa sua
communicaverunt de manu sua primus dom.nus cardinalis de Alençonio, Gradensis,
Minor, Teatinus, Corsiensis... Paduanus Augustinensis”.
L’anno antecedente era giunto in
Roma il Vescovo di Posen Dobrogost, inviato del re Vladislao, e ricevuto
onorevolmente [Pag. 36] da Urbano
erasene ripartito con la lettera pontificia: Gaudemus in Domino, fili charissime.... Dat.
Perusii XV Kal. Maii Pontificatus anno decimo, riportata dal Duglos citato dal
Tiraboschi. L’anno 1388 Urbano mandava il Card. Bonaventura in Polonia latore di
altre due lettere Pontificie del 1 Marzo e 12 Aprile, e mentre con la prima il
Sommo Pontefice si congratulava col re Vladislao della conversione dei Lituani e
di tutto il bene che tanto da lui quanto dalla Regina era stato fatto, con le
seconde si stabiliva amicizia e concordia perpetua tra i re di Polonia e la
corte romana, e davansi disposizioni per la fondazione del Vescovato di Vilna.
Giunto colà il Cardinale legato del Papa si adoperò a tutt’uomo per stringere in
lega Vladislao col Gran Maestro dei Cavalieri della croce; e, condotto a termine
quest’affare, con prudenza e sagacia di esperto diplomatico, il 2 Agosto 1388
concluse una tregua, preludio di pace, tra il Re di Polonia e Sigismondo Re
d’Ungheria (6). I beni che risultarono dalla sua
azione pacificatrice furono tali e tanti che quei popoli per molto tempo ne
sentirono i più salutari effetti.
________________________
(1) Il PAPADOPOLI nella cit. Storia dell’Università di Padova, II, p. 157, dice al proposito
“Pontifici vero ex Theologica doctrina [Bonaventura] tanti habitus, ut scholarum
theologicarum per Italiam censuram illi commiserit, qua integerrime functus est
quoad vixit”. Anche il GANDOLFO nel luogo citato ci dice: “Simul cum duobus
aliis Cardinalibus Ordinis Dominicani et Franciscani ex Pontificia commissione
Scholis Theologicis Universitatum Italiae leges praescripsit”; e l’Abbé FERET,
Faculté de Theologie de Paris et ses
Docteurs les plus celèbres, Paris 1896, III, p. 504, dice lui: “il
fut, en cette dernière année, envoyé comne nonce en Hongrie et adjoint l’année
suivante à deux cardinaux, l’un dominicain, et l’autre franciscain, pour statuer
sur les études théologiques des Universités d’Italie”.
(2) Cfr. PETRI AMELY, Episcopi Senogalliensis Opus cui titulus:
Ordo Romanus in MABILLON-GERVAIS, Museum italicum, Lutetiae Parisiorum 1689, II, p.
461.
(3) Cfr. MURATORI, Rerum ital. Scriptores, Vol. XVII, col.
503.
(4) Cfr. TIRABOSCHI, Storia della Lett. Italiana, Venezia 1823, Tomo V, Parte I, p.
217.
(5) VEDOVA, Biografia degli Scrittori Padovani, Padova 1836, Vol. II, sotto il cognome
Peraga.
(6) Cfr. WAPOWSKI, Dzieje w przekladzie M.
Malinowskiego, T. I, p. 67; KAROLA SZAJNOCHY, Jadwiga i Jagiello, 1374-1413, Opowiadanie historyczne,
Lwòw 1856, T. III, p. 55; SZUJSKI, Dzieje Polski, Krakow 1894, T. II, dell’opere
complete, p. 19-23.
CAP. VI
Torna a Roma e,
perchè difende i diritti della Chiesa, è ucciso da occulti sicari di Francesco
Carrara. Dubbi del Tiraboschi su questo fatto. Giovanni Eroli confuta tali
dubbi. Si stabilisce il tempo preciso
dell’avvenuto assassinio.
[Pag.
36] Sul
finire adunque del 1388, oppure nei primi mesi dell’anno seguente, dopo aver
compita tanta onorata missione, il Baduario tornossene a Roma; ma vi trovò la
morte. Bernardino Scardeoni, verso la metà del secolo XVI, seguendo quanto
lasciarono scritto nel secolo a lui precedente Giacomo Filippo da Bergamo nel
suo Supplementum Chronicarum (1), Artaman Schedel nelle sue [Pag. 37] Cronache initii mundi (2), Giovanni Tritemio nel suo libro de Scriptoribus Ecclesiasticis (3)
ed altri, intorno alla morte del Baduario scrive quanto appresso: “Is
fuit vir integerrimae vitae, et ecclesiasticae libertatis patronus
constantissimus; utpote qui nihil veritus sit, pro tuenda ecclesiae libertate
Francisco Carrariensi, tunc civitatis nostrae Principi, sese opponere, et
postulationibus, quanta poterat animi constantia, et vi rationis obsistere.
Quamobrem Carrariensis vehementer commotus, procuravit per occultos sicarios (id
enim plerique suspicati sunt) ut Bonaventura, tantae praestantiae vir, Romae
impie et per quam nefarie occideretur. Is enim sagitta occulto per pontem sancti
Angeli missa, immaniter transfixus occubuit: ita occulto ut neque de homicida,
neque de tanti sceleris authore, pro certo quicquam sciri potuit” (4).
Considerando il motivo per cui il
Baduario subì una morte tanto violenta, l’universalità degli scrittori che si
occuparono di lui non dubitarono di metterlo nel numero dei martiri: “Cum
Carrariensi Domino pro tuenda Ecclesiae libertate resisteret, eo procurante per
occultos Sicarios, Romae sagitta transfixus, martyrio coronatus est”, così essi
generalmente si espressero. Pure il Tiraboschi anco su questo fatto mosse le sue
dubbiezze dicendo di non potersi convincere dell’autenticità della morte
violenta del nostro Cardinale, come sopra è dallo Scardeoni narrata, 1° perchè
non trovava indizio alcuno di turbolenze, che per le cose ecclesiastiche si
risvegliassero da Francesco Carrara, il quale era troppo occupato in continue
guerre per pensare a tali cose; 2° perchè non vedeva tra gli scrittori di quei
tempi memoria alcuna di un tal fatto; [Pag.
38] 3° perchè non credeva
Urbano uomo tanto quieto da non menar rumore per l’uccisione di un suo
cardinale. A convalidar poi i suoi dubbi egli arreca la testimonianza di Paolo
Cortese, il quale nella sua opera de
Cardinalatu 1. I, p. 38,
scrisse del Peraga le seguenti parole: “Nec minus acute Bonaventura Patavinus
est in sententiarum selectu enodando versatus, qui reipublicae tuendae causa
Patavi est sagitta a Marsilio Tyranno confixus”. Osserviamo subito che lo scopo del
Cortese non era di far della necrologia o narrar fatti; ma quello di mostrare
quali debbano essere le virtù che è necessario risplendano in un cardinale,
confermando la sua tesi con esempi; e quindi non fa meraviglia se lo scrittore,
avendo forse letto nel Volaterrano (5) essere il Bonaventura vissuto sotto Giovanni
XXII ed ucciso per difendere la libertà ecclesiastica da un Principe Carrarese,
che ai tempi di quel Papa era appunto il famoso Marsilio, non curandosi di
accertarsi se tale notizia fosse vera o falsa, incorresse in gravissimi errori
storici. Anco infatti i poco eruditi nelle storie patrie sanno benissimo che
Marsilio Carrara tenne la signoria di Padova dal 1324 al 1338, anno in cui morì,
quando il nostro Bonaventura aveva appena cinque anni, epperò ignaro delle cose
pubbliche. Mi sembra quindi difficile che Marsilio, già morto, potesse
cinquant’anni dopo uccidere il Peraga. E fa meraviglia come il Tiraboschi di ciò
non si accorgesse. D’altra parte sembra che lo stesso Cortese volesse correggere
in qualche modo i suoi errori scrivendo altrove del medesimo porporato: “Hic
doctrinae sanctitatem adiecit, ut pro Martyre fere colatur, a Carrariensi
Principe sagitta confixus cum Ecclesiae libertatem contra tyrannos tueretur”. Inoltre osserva bene al proposito
l’Eroli: “Il Tiraboschi come correttore di notizie è stimabile; ma come critico
spesso sdrucciola; ed anche in questo luogo gli accade. Primieramente Paolo
Cortese non fu solo a fare questo racconto; innanzi a lui il fecero altri.
Secondo, il Tiraboschi era uomo al certo di vastissima erudizione, [Pag. 39] ma non potea conoscere nè tutti i
libri stampati in Italia e fuori, nè tutte le carte degli archivi pubblici e
privati: con qual franchezza dunque asserisce che non vede tra gli scrittori di
que’ tempi memoria alcuna di quel fatto? Se il Cortese e altri non
contemporanei, raccontarono tal cosa, deesi ragionevolmente supporre che
l’apprendessero da qualche autorevole monumento, o documento esistente mentre
l’inventarlo sarebbe stato stoltezza. Terzo, se il Carrara stava in guerra con
altri, perchè non poteva stare in guerra anche con la Chiesa e col Papa? L’una
era guerra d’armi, l’altra di opinioni, per cui non eravi bisogno nè di
esercito, nè di denaro. Turbolenze fra principi secolari e il Papa furono in
tutti i tempi, ma specialmente in quelli del Carrara, e la maggior parte dei
Signorotti di allora facevangli accanita guerra. Il Carrara era uno degli
avversi, dunque avea potuto benissimo risvegliare il suo mal umore contro la
chiesa e la santa sede. Nè ad un principe che sia occupato in guerra manca il
tempo o la voglia d’altro. Quarto, se papa Urbano non fece risentimento, per
quanto sappiamo, contro alcuno per la morte violenta del Cardinale, si fu perchè
questa non si potè egualmente attribuire a persona certa, e la voce popolare,
quantunque forse vera, non autorizza un principe od un giudice, nè ad una
condanna, nè ad un rimprovero. E la prudenza portava che Urbano non dovesse
palesare nè manco un sospetto, se lo avesse avuto. Aggiungi che il titolo di
martire, venutogli per tale accidente, non può credersi essere stato a lui
concesso dai posteri, ma dai contemporanei che furon testimoni del fatto. E’
vero che nell’iscrizione sepolcrale non se ne fa parola, ma questo non n’esclude
assolutamente l’esistenza, ed i frati Agostiniani di Roma, senza sicuri
documenti non l’avrebbero ricordato nell’iscrizione del loro convento, nè lo
avrebbe ricordato l’antica pittura della Cappella di S. Lorenzo in Vaticano (6).
[Pag.
40]
Sottoscrivo pienamente alle savissime osservazioni dell’Eroli, e solo mi
permetto di aggiungere che se non fossero andati perduti buona parte dei Regesti
di Urbano VI, quelli dei nostri Generali, compresi pur quei dello stesso
Baduario, e molte altre cronache e documenti, non solo avremmo avuto certezza
assoluta di quanto ci tramandarono scrittori non sincroni e la veneranda
tradizione; ma molte e molte altre cose noi sapremmo dell’insigne Agostiniano,
che certamente rifulse per operosità e sapienza qual astro fulgente nella chiesa
di Dio. Debbesi ciò non ostante rendere al Tiraboschi la dovuta giustizia,
perchè quantunque ei proponesse i suoi dubbii, non ardiva per ciò “di togliere a
questo cardinale la gloria, di cui sinora ha goduto, di essere annoverato tra
quelli che per difesa dell’ecclesiastica immunità han data la vita; e per cui i
continuatori degli Atti dei Santi gli han dato luogo nell’opera loro (t. 2, iun.
ad d. 10)”
(7).
Intorno alla data della morte del
B. Bonaventura, per mancanza forse di un documento sincrono, gli storici son
discordi nel fissarne il giorno e l’anno. Vi è chi il dice morto nel 1385
appoggiandosi all’iscrizione che leggevasi sotto la sua effigie nei portici del
convento di S. Agostino, che poscia riporteremo. Vi sono altri che la pongono in
altro tempo che varia dal 1386 al 1399. Il P. Onofrio Panvinio invece dice che
morì il 10 Giugno 1389 (8), e con lui stanno il Ciaconio (9),
Bzovio (10) e tralasciando [Pag. 41] altri di minor conto, il P. Eubel (11),
ed il Cristofori (12). La gravità di questi scrittori mi
dispenserebbe dall’aggiungere altro; pure a maggiormente raffermare la loro
testimonianza valga la seguente osservazione. La conversione dei Lituani, di cui
sopra si è parlato ed in cui B. Bonaventura ebbe tanta parte, si compì appunto
nel 1387-9 (13). Dunque allora egli ancor viveva. Il dì 15
ottobre del 1389 morì il Papa Urbano ed il 25 dello stesso mese i Cardinali in
numero di dodici entrarono in conclave, ma tra essi non vi era il Cardinale di
Padova (14). Eletto il 2 Novembre dello stesso anno
Bonifacio IX, il nuovo eletto il 23 del mese seguente conferisce il titolo di S.
Cecilia, che era il titolo cardinalizio del Baduario, all’inglese Adamo Easton
(15). È dunque evidente che il B. Bonaventura in
questo tempo non era più tra i vivi. È quindi da ritenersi vero quanto asserisce
il Panvinio, il quale son sicuro, avrà avuto per le mani un documento certo per
asserirlo, non essendo suo uso d’inventare date o fatti non
esistiti.
________________________
(1) Opus preclarum Supplementum chronicharum
vulgo appellatum in omnimoda historia, Venetiis 1482, dove al f. 210v leggesi: “Bonaventura patavinus item
ordinis predicti (E. S. A.) olim generalis prior; et tituli sancte Cecilie
cardinalis presbyter: hisdem temporibus doctrina et eruditione maximo in precio
fuit. Qui cum acerrime ecclesie libertatem contra tyrannos tueretur: a
Carrariensi domino tandem sagitta transfixus martyrio coronatus
est”.
(2) Chronaca initii mundi, Nurimbergae 1493, f. CCXXVI, ove
riporta pure la figura del B. Bonaventura.
(3) IOANNIS DE TRITTHEHEM, Liber de Scriptoribus
Ecclesiasticis, Basileae 1494, f. 82.
(4) BERNARDINI SCARDEONI, De antiquitate Urbis Patavii, Basileae 1550, Lib. II, class. VII, p.
148.
(5) Cfr. Commentariorum Urbanorum RAPHAELIS
VOLATERRANI, Basileae 1559, Lib. XXI, p. 485. La prima edizione di quest’opera è
del 1526.
(6) Monumento Sepolcrale del Cardinale
Bonaventura da Peraga Padovano nel Museo Medioevale del Municipio di Roma
illustrato da GIOVANNI EROLI per
commissione dei sopraintendenti del medesimo luogo. Dissertazione edita nel Periodico: Il Buonarroti, Scritti sopra le arti e le
lettere, Roma 1879, pp.
49-59.
(7) TIRABOSCHI, l. c., p.
219.
(8) GIORGIO GARNEFELT,
Cartusiano, nella Vita del B. Nicola
Albergati, Colonia 1617, p. 177, scrivendo dei
cardinali illustri in santità ha quanto segue: “B. Bonaventura Patavinus ord. S.
Augustini Eremitarum, Cardinalis tit. S. Caeciliae vocatur a Trithemio Martyr, et a Possevino ex Iosepho Pamphilo.
Obliit anno 1389 Romae uti Onuphrius notat 10 Iun”.
(9) Vitae et gesta Summorum Pontificum nec non
S. R. E. Cardinalium M. ALPHONSI CIACONII Biacensis, Ord. Praed., Romae 1601, p. 783.
(10) Annalium Ecclesiasticorum post illustriss.
et Reverendiss. Dom. Caesarem Baronium S. R. E. Cardinalem Bibliothecarium,
authore R. P. F. ABRAHAMO BZOVIO Polono... Coloniae Agrippinae 1622, T.
XV, p. 135, an, 1389.
(11) Op. cit., T. I, p. 22 e
39.
(12) Storia dei Cardinali di S.
R. Chiesa dal sec. V all’an. 1888 compilata dal Conte FRANCESCO CRISTOFORI, Roma
1888, p. 68, ove però dice che il Baduario mori il 29 Luglio
1389.
(13) Annales Ecclesiastici P. ODERICI
RAYNALDI, T. XVII, ad an. 1387, n. 15; ORSI, Storia Eccl., Roma 1851, T. 38, p. 200 e seg. ed
altri molti.
(14)
Liber
obligationum, N. 48, fol. 92,
nell’Archivio Vaticano.
(15)
Cfr. lo
stesso libro Obligat., N. 48, f. 92.
CAP. VII
[Pag. 41]
E così
finisce quest’uomo veramente magnanimo. Con lui spariva una delle più belle
figure che abbiano onorato la sacra porpora, il sostenitore leale e virile di
Urbano VI, il difensore acerrimo della verità e della giustizia. Vissuto in
tempi pericolosi e corrotti egli seppe mantenersi religioso di costumi
intemerati, e pei suoi confratelli fu esempio e guida. Studioso e lavoratore
indefesso con la sua sapienza e dottrina fu lume a innumerevoli giovani [Pag. 42] che dalla cattedra di Parigi, di
Bologna e di Padova avidi ascoltarono le caste e meravigliose sue lezioni.
Oratore fecondo e illuminato per ben trent’anni spezzò il pane evangelico alle
turbe che fameliche correvano ad ascoltarlo. Prudente e saggio consigliere
governò l’Ordine suo con quella carità benigna e paziente, tanto saviamente
raccomandata dal nostro Patriarca S. Agostino nella sua Regola ai prelati
dell’Ordine, la quale anzichè coartare, alletta i sudditi all’osservanza
religiosa ed alla disciplina regolare. Durante la nostra narrazione noi lo
vedemmo onorato dall’amicizia dei dotti e dei santi, compiere con zelo oculato
difficili incarichi affidatigli da Sommi Pontefici, ardere di devozione per la
gran Madre di Dio, consigliare pace e prudenza al popolo Romano, compiangere i
traviati, difendere la Chiesa, farsi Apostolo ai popoli d’Italia ed
ultramontani. Onde a ragione l’eruditissimo Errera scrisse convenirgli assai
giustamente il seguente carme scritto da Filippo d’Elemosina pel Diacono
d’Orléans: “Corruit Ecclesiae sponsus, defensor honesti, / Mente Cato, lingua
Tullius, arte Numa. / Hic dum iura colit, libertatemque tuetur / Transigit
innocuum dextra cruenta latus. / O mala mens, scelerata manus, consensio prava,
/ Ictus atrox, audax impetus, horrida mens! / Mors patriae mors illa fuit, quae
sustulit illum, / In cuius causa patria tota cadit”. Il pianto universale lo
accompagnò alla tomba, e l’antica Chiesa di S. Agostino, a mio credere, ne
accolse le sacre spoglie. Da uno scrittore, quasi contemporaneo, sappiamo che la
salma di lui fu posta nel centro del presbiterio e propriamente innanzi
all’altare maggiore. Di questo scrittore giova qui riportare tutto il testo
essendo i suoi detti un altissimo elogio pel nostro Beato. Eccone il tenore: “Et
in primis, ut documentis nostris obtemperem, eum [recolo] gloriosum Bonaventuram
de Peraga, Patavum, qui tantum Sacrae Scripturae studium dedit, ut suo in
tempore eximium Magistratum, et sua cum eloquentia evangelizantium principatum
adeptus sit. Quas ob res Ecclesia Christiana [Pag. 43] in suarum virtutum praemia, in
eiusque ornamentum non parvum, maxima cum sollicitudine eum ad Cardinalatum
erexit. Cuius ossa in Ecclesia Eremitarum ante Altare Maius magno cum honore
quiescunt, et Beatus putatur” (1). Un monumento degno di tant’uomo, fu eretto
sopra il luogo ove riposavano le sacre ceneri. Era di marmo bianco di Carrara, e
sembra che avesse la forma di un’arca, o mausoleo con bassorilievi istoriati.
Una gran lastra quadrilunga, pure di marmo bianco, alta metri 2.05, larga 0.99,
avente scolpita nel centro la persona con sembiante di alta dignità, distesa in
funebre letto, con la testa mitrata e in riposo sopra un cuscino, vestita in
cappa magna e tenente innanzi a sè con ambo le mani un libro aperto, ricopriva
il mausoleo. In giro alla gran lapide sepolcrale fu scolpita in caratteri
gotici, la seguente iscrizione: “Hic Bonaventura est qui doctor dogmate sacro /
Augustine tuis Heremis iam prefuit Orbis. / Padua provectus ad solium cardinis
inde / Anni milleni decies septemque triceni / Additis his novem Christi
requievit in urbe / Celi cives animam tu possides ossa sepulchrum” (2).
_________________________
(1)
Cfr.
MICHAELIS SAVONAROLAE, Commentariolum de
laudibus Patavii edito dal MURATORI in Rerum Italic. Scriptores, T. XXIV, tra le col. 1135-1186. Leggesi
in fine: “Explicit Opus Michaelis Savonarole Patavini ad laudem Iesu. Ferrarie
actum M.CCCCXL”. Il passo riportato è nella col. 1153.
(2) Nella data di questa
iscrizione, scritta in vero in modo strano, lasciando da parte coloro che
leggendo semplicemente l’anno 1379 supposero che indicasse l’anno della morte
del cardinale Bonaventura, il che è evidentemente errato, il P. Tomasso
Bonasoli, Priore del convento di S. Agostino che la ricopiò e descrisse (Cfr.
Cod. 46 della Bibl. Naz. di Roma f. 39) osserva: L’anno qui indicato 1379, è l’anno in cui fu fatto Cardinale,
mentre l’anno della morte è incerto”. L’EROLI, nel luogo citato, tiene la stessa
opinione, e la traduce nel modo seguente: “E qui Bonaventura, il quale, dottore
in teologia, presiedette una volta, o Agostino, ai tuoi Eremi sparsi pel mondo.
Quindi, negli anni di Cristo 1379, levato in Padova al soglio Cardinalizio, ebbe
riposo in Roma. Voi, cittadini del cielo, l’anima, e tu, sepolcro, possiedi le
ossa”. Ora quantunque presentemente i più affermino che il Baduario fosse eletto
cardinale nella prima creazione di Urbano VI, ed a questa affermazione io abbia
aderito, pure potrebbe pensarsi che il 28 Settembre 1378 soltanto lo creasse e
poi lo promulgasse nel Gennaio del 1379 e che quindi dicano il vero gli uni e
gli altri. Non sembrami poi ammissibile l’opinione dei Bollandisti (l. c. pag.
393), i quali supponendosi che in questa data invece di leggere: Additis his novem, debba leggersi: Additis bis novem, vennero a stabilire l’anno della morte
del Baduario nel 1388, il che mi sembra del tutto arbitrario, avendola tutti
letta nel modo da noi riferito, e l’EROLI non mancò di farne i calchi. E vero
che l’ “h” gotico può facilmente confondersi col “b” parimente gotico; ma mi
sembra assurdo che tutti quei che la trascrissero prendessero un sì facile
abbaglio. Essa fu riportata, alcune volte con arbitrarie trasposizioni ed
evidenti errori dallo SCARDEONI nella Storia cit. di Padova, nel Thesaurus Antiq. etc. IOANNIS GREVII,
nelle Vite dei Pontefici e Cardinali
del CIACONIO, nell’Alfabeto
Agostiniano dall’ERRERA, dai Bollandisti, dallo SCHRADERO (Monument. Ital., pag. 126); dal FORCELLA, Iscrizioni delle Chiese ed altri edifici di
Roma, Roma, Tip. Bencini 1874, T. V, pag. 5 e
da altri.
CAP. VIII
Del sepolcro
del grande Agostiniano e di una imagine di lui dipinta nel chiostro di S.
Agostino di Roma, ove è detto Beato e Martire.
[Pag.
44] E qui è
necessario dire alcunchè in particolare di questo sepolcro e della chiesa ove fu
collocato. Sul finire del secolo XIII, Egidio Lufredi, di nobile famiglia
romana, per la venerazione che avea verso il nostro Ordine, donò al medesimo
alcune case attigue all’antica chiesa di S. Trifone in Campo Marzio, con
l’obbligo di edificare colà una chiesa ed un convento. A sua volta Onorio IV con
una bolla dei 23 Marzo del 1286 concesse al medesimo Ordine la stessa chiesa con
l’ammessa parrocchia di S. Trifone che, pur essendo piccola e disadorna, fu
presa ad officiare dai religiosi (1). Ma non andò molto che una nuova chiesa fu
eretta lì appresso dedicata al gran dottore della Chiesa S. Agostino, [Pag. 45] e perciò detta Ecclesia S. Augustini ad S. Triphonem (2).
Nel presbiterio, ante altare maius, di questa chiesa fu dunque, giusta il
mio parere, posto il sepolcro del Baduario. E’ vero che gravissimi autori (3) ci
tramandarono ch’ei venne seppellito nella chiesetta di S. Trifone, [Pag. 46] ma io non so convincermene, perchè
la Chiesa degli eremitani, ove fu sepolto il B. Bonaventura come dice il
Savonarola, era allora quella di S. Agostino, ed in essa era la sepoltura comune
dei religiosi come evidentemente lo provano le tante iscrizioni sepolcrali
fedelmente raccolte dal P. M. Tommaso Bonosoli (4) e
moltissime edite dall’eruditissimo Vincenzo Forcella (5). Ma
comunque stia la cosa, il certo si è che, demolita l’antica chiesa di S.
Agostino ed eretta la nuova, i sacri resti del B. Bonaventura furono in essa
trasportati e collocati nel bel mezzo della Cappella di S. Nicola da Tolentino e
ricoperti con la gran lastra di marmo sopra descritta. Quindi l’antico monumento
venne disfatto e parte di esso venne incastrato avanti la porta maggiore
nell’interno della nuova chiesa, come si raccoglie della testimonianza del
GUALDI, vissuto nella prima metà del sec. XVII, il quale nella sua ragguardevole
silloge delle iscrizioni delle chiese ed altri edifici di Roma (Cod. Vat. Lat.
8253 al f. 13° della prima parte) nel descrivere quelle di S. Agostino, ha
quanto appresso: “In atrio eiusdem cenobii supra portam eiusdem: / Marmor quod
hic nunc vides sepulchrum / Olim fuit Bonaventurae illius qui / Ex nobilissima
Carrarior. Familia / Ortus Patria Patavinus Instituto Au/gustinianus. Dignitate
Cardinalis / Extitit ab Urbano VI creatus MC / CCLXXXV corpus in ecclesia et /
Spius in coelesti patria translatus / Gaudet (6).
[Pag.
47] Indi,
rimandando al foglio appresso, prosegue: “Era prima lapide grande avanti la
porta maggiore di detta chiesa per di dendro con figura di homo, habito
sacerdotale, mitria in testa. Targa a capo, arma un bove corrente di basso
rilevo; fu tagliata e guasta, lassato solo la sopradetta iscrizione, l’anno
1644”.
Considerando attentamente le due
riferite iscrizioni e le testimonianze che di esse ci hanno lasciato, noi ci
troviamo di fronte a due monumenti sepolcrali fatti per lo stesso soggetto,
esistenti contemporaneamente nella stessa chiesa, uno nella Cappella di S.
Nicola e l’altro avanti la porta maggiore nell’interno della chiesa; ma tolto di
lì, spezzato e l’iscrizione collocata sopra la porta dell’atrio del Convento.
Ora non è possibile che sulle venerande spoglie del Baduario venissero posti due
monumenti sepolcrali; stimo quindi che quello distrutto fosse parte dell’antico
mausoleo raffigurante il venerando uomo da qualche lato, o in qualche episodio
della vita. Del resto anco oggidì nelle porte laterali della chiesa attuale si
conservano parti di monumenti sepolcrali del sec. XIV e XV appartenuti
evidentemente alla chiesa antica.
La lapide con la figura del Beato
in basso rilievo che era nella cappella di S. Nicola, stette immota al suo posto
fino al 1759; e là videla il P. Bonasoli e la descrisse (7); ma
avendo in quel torno i Padri di S. Agostino deciso di rinnovare il pavimento
della Chiesa, caddero, disgraziatamente, nelle mani dell’architetto Nicola
Faggioli, il quale quantunque fosse valente nell’arte sua, era nondimeno niente
stimatore ed amante di conservare i monumenti della veneranda antichità. Lo
rileva il fatto che molte lapidi sepolcrali furono distrutte, molte alienate,
gran parte rimosse dai proprii luoghi e messe in altra parte; in breve commise
un vero disordine ed una vera distruzione (8).
[Pag. 48] Anco la lapide in parola
venne allora rimossa ed incastrata nel muro laterale della cappella, come si
rileva da un ms. dell’archivio dell’ordine (9),
nel quale è detto che “nella medesima cappella [di S. Nicola] vicino
all’altare vi è una gran lapide di marmo incastrata nel muro, nel di cui
contorno, a caratteri gotici, vi è l’iscrizione indicante alle ossa che
appartengono al sepolcro del cardinale Baduario, Agostiniano”. Fu in ultimo o
dai rivoluzionari del 1848, o negli ultimi restauri della chiesa, tolta di là e
trasportata altrove. Ora si trova nel Museo Medioevale di Roma a S. Giuseppe a
Capo le Case, a man destra di chi entra.
Debbo infine notare che io scorgo
una grande connessione delle lapidi sopra descritte con un altro monumento
esistito nel chiostro di S. Agostino. Andrea Vittorello nelle annotazioni ed
aggiunte che fa alle vite dei Pontefici e di Cardinali edite dal Ciaconio (10),
in fine della vita del nostro Bonaventura scrive quanto appresso: “Romae
in inferiori porticu Augustiniani coenobii optimi Cardinalis imaginem palmam
manu tenentem, elogiumque martyrium, et beatitudinem eius indicans adiectum
aspicies”. Pochi anni appresso il P. Agostino Oldoino della C. di G. rifuse il
lavoro del Ciaconio e del Vittorello, e dopo aver riportate le parole di
quest’ultimo, riferisce l’elogio, posto sotto l’indicata imagine, che è il
seguente: B. BONAVENTURA PATAVINUS GENERALIS MAGISTER / ET CARDINALIS / DUM
ECCLESIASTICAM LIBERTATEM TUERETUR / ROMAE SAGITTA CONFOSSUS PRO CHRISTI GLORIA
/ SUPREMUM IN TERRIS DIEM GLORIOSISSIME CONCLUSIT ANNO 1385 (11).
[Pag. 49]
Quest’elogio fu riportato
altresì, con qualche piccola variante, dal Piazza nella sua Efemeride Vaticana
(12)
scrivendo al proposito: “Fu sepolto, con molto dolore di tutta la Corte e del
suo Ordine, nella Chiesa di S. Agostino, nel cui Portico inferiore ancor si vede
l’Imagine di questo gran Cardinale con la palma di Martire in mano; col quale
titolo, in riguardo della difesa dell’Ecclesiastica libertà, fu da molti
scrittori nominato: cosi il nominò il suddetto Cortese, Tritemio, lo Scardeonio,
Enrico Spondano, il Volaterrano et il Possevino: illustrando col suo sangue la
Chiesa, con la sua intrepidezza d’animo la Sacra Porpora, con la sua dottrina e
virtù tutto l’Ordine Ecclesiastico, e con la sua divozione ai SS. Apostoli,
nella Visita de’ quali ei diede la sua vita a Dio, onorò questa S. Basilica. Nel
suddetto Portico evvi il seguente Elogio: B. Bonaventura Patavinus etc.”.
L’imagine qui descritta, se
ancor oggi esistesse, sarebbe per noi della massima importanza; ma pur troppo
non sappiamo se la medesima sia semplicemente scomparsa o sia stata distrutta, e
se fosse un graffito sul marmo, un affresco, una tavola od un semplice quadro ad
olio. Io per altro opino che fosse quell’imagine stessa che fu veduta e
descritta dal Gualdi al fol. 13v della sua Silloge. Se fosse così non si
potrebbe desiderare monumento più autentico del martirio del Baduario; ma altre
persone, da me consultate, ritengono che fosse una figura del tutto distinta
dall’accennata, fatta forse dipingere nel sec. XV o XVI per conservarci il tipo
autentico del B. Bonaventura e per la devozione che i nostri religiosi aveano
verso tanto insigne e glorioso loro confratello; e chi sa se un bel giorno non
si abbia la gradita sorpresa di sapere che tuttavia esista e si trovi in luogo
onorato? Comunque stia la cosa, questo è certo,
che dai monumenti sopra descritti, dalla tomba del B. Bonaventura chiara si
sprigiona una voce che suona: la memoria del giusto è sempre nella benedizione
di tutti, anzi che la stessa tomba è un altare a cui i credenti tengon fisso lo
sguardo e innanzi a cui si prostrano per ottener protezione nei loro
affanni.
_____________________________
(1) Cfr. EMPOLI, Bullarium Ord. Erem. S. Augustini, Romae 1628, pag. 161. Honorii Quarti Constit. V: “Meritis
vestrae Religionis”, Dat. Romae apud S. Sabinam, X Kal. Martii, Pont. an.
II.
(2) Sperando, quando che sia,
di dare alla luce una esatta monografia dell’antica e nuova chiesa di S.
Agostino di Roma, per ora basti sapere, che: a) l’antica, sulla distruzione della quale
nel 1480 circa il Card. Guglielmo d’Estouteville fece edificare l’attuale, era
poco più piccola della presente; b) che nel 1363 era già fabbricata come si
rileva da rogiti e testamenti esistenti nell’Archivio dell’Ordine, scritti su
pergamena e legati tra due tavolette di cipresso con la segn. A. e B.; scritti
su carta dal 1314 al 1527 sotto la segn. C. 10; scritti parimenti su pergamena
dal 1396 al 1524 in C. q., e nel Ms. Bb. intitolato Campione di Canoni, legati etc. composto
nel 1574 da Fr. Agostino Norma Romano che tra i ff. 111-121, dà un’ampia
descrizione della nuova chiesa con qualche notizia dell’antica, e come primizia
dell’interessante manoscritto, trascrivo dal f. 115 una nota che demolisce la
credenza fino ad oggi ritenuta da tutti, voglio dire la paternità dell’affresco
di Isaia profeta, attribuita a Raffaello; ed eccone le parole: “Cappella di S.
Anna in un pilastro mezzo la chiesa [dopo il restauro del 1760 questa cappella
fu traslocata alla seconda cappella a sinistra di chi entra] la quale per
l’opere e di Pitture e di Statua è
tenuta una delle Rare et Ecc. cose che siano nella Città di Roma, fatti da primi
valenti huomini d’Italia di quelle professioni, Andrea da Monte Sansovino in
Statue et Michelangelo Buonarroti nella pittura del Profeta; c) che la medesima ancora esisteva nel
1472, come si rileva dalla tavola prospettiva delineata in quest’anno da Ugone
Comminelli, tratta dal codice Vat. Urbinate e pubblicata da Giov. Battista de
Rossi nelle sue Piante iconografiche e prospettive anteriori al sec XV, Roma,
1879, pag. 90; d) e che ciò è affermato da innumerevoli
scrittori da Famiano Nardini ad Antonio Nibby.
(3) Tra gli altri il PANVINIO,
Romani Pontifices et Cardinales S. R.
E., Venetiis, 1557, p. 249, dove leggesi:
“Frater Bonaventura de Peraga Patavinus ord. eremitarum Presbyter Card. tit. S.
Caeciliae, obiit Romae anno MCCCLXXXIX. Sepultus in ecclesia S. Tryphonis post
ad S. Augustinum in capella S. Nicolai translatus”; il CIACONIO, Vitae et gesta Summorum Pontificum nec non
S. R. E. Cardinalium, Romae 1601, pag. 784, ove dice: “Obiit
autem anno 1389, sepultus marmoreo cum eius insigni effigie et inscriptione,
pilo in Ecclesia Eremitarum S. Triphonis, postea insigni Beati Augustini
Basilica conditus eodem in Sacello S. Nicolai Tolentinatis translatus”; ed il P.
LUIGI TORELLI, Secoli Agostiniani,
T. VI, pag. 228.
(4) Iscrizioni delle sepolture e depositi che
esistevano nella nostra Chiesa di S. Agostino di Roma del 1760, unite in questo
tomo dal P. M. TOMMASO BONOSOLI Priore nel 1778, cod. 46 Ms. Vitt. Eman. della Biblioteca
Nazionale di Roma.
(5) Cfr. FORCELLA nel luogo
citato.
(6) Si noti lo sbaglio di
questa epigrafe intorno all’anno dell’assunzione al cardinalato del
Baduario.
(7) Cod. 46 della Bibl.
Nazionale Vittorio Eman. di Roma. L’iscrizione è riportata e descritta a f.
39.
(8) Cfr. Posizioni e varie notizie dal 1700 al
1776 in D. J., p. 225, e Piante e Disegni
diversi in Bq., n. 25, conservati nell’archivio
dell’Ordine.
(9) Ragguaglio delle cose più notabili,
appartenente alla Venerabil Chiesa di S. Agostino di Roma, composto li 10 Febbr.
1828.
(10) Romae, Typis Vaticanis
1630, VoI. I, p. 990-991.
(11) Vitae et Res gestae Pontificum Romanorum et
S. R. E. Cardinalium... ALPHONSI CIACONII et aliorum opera descriptae cum uberrimis notis
ab AUGUSTINO OLDOINO recognitae,
Romae 1677, col. 260.
(12) Roma, Tip. Eredi
Corbelletti, 1687, p. 3346.
CAP.
IX
[Pag. 50]
Se ci è
riuscito difficile chiarire alcuni punti della vita di questo santo Cardinale, è
ancor più difficile accertare quali e quante siano le opere da lui scritte, di
cui certamente alcune sono edite e non poche conservansi manoscritte nelle
molteplici Biblioteche d’Europa; ma che facilmente si confondono con quelle del
Serafico Dottore S. Bonaventura, Vescovo di Albano, tanto per la omonimia di
questi due insigni personaggi, quanto ancora per l’identità dei titoli apposti
da loro ad alcune delle medesime opere. E’ certo, come vedremo, che il nostro
Bonaventura da Padova scrisse ragguardevoli opere e molti trattati; ma è pur
certo che non basterebbe la vita di un uomo con serii ed assidui studi a
rilevarne l’autenticità; perchè, oltre le ragioni accennate, a generare
un’indicibile confusione concorsero anco le seguenti cause: a) La maggiore notorietà del discepolo di S.
Francesco, onde molti copisti dei secoli XIV e XV e non pochi scrittori ed
editori dei secoli posteriori trovando e. g. un’opera od un trattato che portava
il semplice nome di Fr. Bonaventura senz’altra specificazione (e quasi tutti i
codici sono cosi intestati), senza pensare più che tanto, attribuirono al
Serafico Dottore quello che in realtà non era di lui; b) L’eccesisiva modestia del nostro
Bonaventura da Padova che dava alla luce le sue fatiche o anonime, oppur
contentandosi di apporvi soltanto il nome, come ad esempio in questo trattato
che è certamente suo: Tractatus
Bonaventure de conceptione b. Marie Virginis gloriose, che è nel codice 1587 della Biblioteca
Iagellonica di Cracovia; c) Lo
scarsissimo numero dei cronisti antichi di cose Agostiniane, onde molta oscurità
regna per le medesime. A suffragare quanto abbiamo fin qui esposto, vengono
intanto gli editori delle opere del Serafico Dottore, i quali dopo lunghe
ricerche e non meno lunghi studi, ne additano un numero assai considerevole o
come incerte o come non genuine, e molte come non sue o del tutto spurie. Ed ora
vediamo quali sieno quelle che i nostri cronisti ed i più accurati bibliografi
assegnano al Baduario. [Pag. 51]
Procediamo per ordine. Il B. Giordano di Sassonia, suo contemporaneo, di cui a
pag. 5, lo chiama innanzi tutto “vir magnae eloquentiae” e “vir magni studii”; e
dice che fece “multa opera utilia, scilicet: Sermones ad clerum ad
diversas materias pertinentes; super Canonica Iacobi fecit fructuosam
expositionem”. Il Coriolano, vissuto alquanto dopo, nell’opera citata, afferma
che Fr. Bonaventura “Super Sententiis commentarios egregios fecit: Canonicam
Iohannis eleganter interpretatus est: vitas Sanctorum descripsit: Sermones ac tractatus plurimos ad diversas
compilavit materias”. Il Tritemio, coevo del Coriolano, dopo averlo detto: “vir
in divinis scripturis eruditus, et secularium literarum non ignarus: ingenio
promptus et clarus eloquio: non minus conversatione, quam scientia reverendus”
(Cf. luogo cit.) specifica quest’altre due opere di lui: “1. Sermones de tempore lib. I Venit desideratus cunctis
gentibus...; 2. Sermones de Sanctis, Lib. I Mihi autem absit gloriari, et quedam alia”. Il Pamfilo nel
riportare, nel luogo citato, il catalogo delle opere scritte dal Baduario, si
esprime cosi: “Scripsit egregia, et valde utilia volumina, ex quibus ego
observavi: In libros Sententiarum Petri Lombardi commentaria, excussa in
Germania, tomis quatuor distincta: Meditationes in Vitam Christi etc.”. Altri
scrittori, come vedremo, gli assegnano la paternità di altre opere ancora, e
l’eruditissimo P. Denifle, dell’Ordine dei Predicatori, nel suo famoso Chartularium Parisiense, T. II, p. 536 in nota, non dubita di
chiamarlo: “Divinarum scripturarum et saecularium litterarum commendator
praefulgidus”. In fine l’Oudin, Commentaria de Scriptoribus Eccles., 1722, T. III, col. 1167: Lelong, Biblioth. Sacra, 1723, T. II, p. 622,
644, 668; Gandolfo, Dissertatio
Historica, 1704, p. 104-7; Warton nel Cave, Scriptores Eccles., 1744, T. II, parte Il, p. 76; Du Pin,
Nouvelle Bibliothèque, 1702, T. XI, p. 84; Ossinger, Bibliotheca Augustiniana, 1768, p. 96; Vedova, Scrittori Padovani, 1836, T. II, p. 78-81; Fabricius Mansi,
Bibl. Latina, 1858, T. I, p. 237; Ferrazzi, Bibl. Petrarchesca, p. 60; [Pag. 52] H. Hurter S. J., Nomenclator Litterarius, Oeniponte, 1899, T. IV, col. 554, ed
altri molti gli danno le seguenti opere:
1. Commentaria in quatuor libros
Sententiarum, Nuremberg 1479, in 4 tomi, ed ivi
l’anno 1491, in 2 tomi in 4.
2. Vita Christi, ovvero, Meditationes devotae in Vitam
Christi, lavoro diviso in 95 capitoli, Nuremberg
1472, è tra le opere di S. Bonaventura, edizione Romana 1588-96, T. VI, p. 349 e
seguenti. L’Oudin nell’opera citata col. 405 dice: “hoc opus compositum circa
medium vel finem saec. XIV et spectare videtur ad Bonaventuram Baduarium a
Peraga”; è poi ritenuta come opera spuria di S. Bonaventura da Bagnorea dal P.
Giov. Giacinto Sbaralea, dagli Editori Veneti e dal P. Bernardino Bonelli. Il
Fabricio nel luogo cit. ha quanto segue: “Eidem Meditationes de Vita Christi et in libros sententiarum tomos quatuor
tribui video a Holano apud Miraeum in auctorio de S. E. 81 et a Philippo
Elssio pag. 131 Encomiastici Augustiniani”. Un bel codice di quest’opera è nella
biblioteca Iagellonica di Cracovia sotto il N. 1356, ed un altro nella Bibl. di
Troyes sotto il N. 1322.
3. Speculum B. Mariae Virginis, Augsburg 1476 e Strasbourg 1476. Si
trova pure ms. nella Bibl. Imp. di Vienna ed in altre biblioteche, e secondo
Oudin, il Gandolfo, il Possevino, Warton, Fabricio, Ossinger, Dupin ed altri, i
quali tutti lo attribuiscono al nostro Bonaventura, lo dicono pure impresso con
le opere di S. Bonaventura, di cui gli Editori Veneti, il P. Giacinto Sbaralea,
il P. Bernardino Bonelli ed i Padri di Quaracchi lo segnalano come opera spuria
del Serafico Dottore, quantunque non indegna di lui.
4. Sermones de tempore, Zwoll 1479 in fol.; Hagenoae 1479.
Alcuni di questi sermoni sono con le opere di S. Bonaventura. Gli Editori Veneti
delle opere dei santo li riportano come spuri; Oudin come dubbi; Sbaralea li
dice non tutti genuini; Bonelli certi ma commisti con gli spuri. Questi sermoni
hanno avuto altre molte edizioni e si trovano in moltissimi codici. [Pag. 53]
5. Sermones de Sanctis liber I. Sono tra le
opere di S.
Bonaventura, di cui Casimiro Oudin li segnala come dubbi; gli Editori
Veneti come spuri, Sbaralea come non tutti genuini e Bernardino Bonelli commisti
spuri con certi. Il nostro Angelo Rocca nell’edizione Vaticana, nella lettera
dedicatoria a Clemente VIII, afferma di aver segregati i puri e genuini da quei
che erano di Bonaventura da Padova, di Pietro Aureolo e di Francesco Maironi,
che prima erano insieme commisti.
6. Sermones in Evangelia totius
anni, ms.
7. Sermones ad Clerum super diversas
materias, ms.
8. Vitae Sanctorum, ms.
9. Tractatus de Immaculata Conceptione B.
Mariae Virginis, di cui Giovanni de Meppis presso Pietro
de Alva in Bibliothec. Conceptionis
col. 1493, dice quanto appresso: “hic eruditissimus doctor, scilicet
Bonaventura de Peraga, compilavit Tractatum unum de Conceptione Immaculatae
Virginis qui ab aemulis in morte sua fuit subtractus, sed circa annum Domini
1464 per reverendum doctorem Ioannem de Agriis, civem Pergamensem,
reinventus fuit, et, ne nomen tanti doctoris ignotum remaneret, volui eius dicta
in medium referre etc.” e per più pagine riporta i suoi
detti.
10. In canonicam D. Iacobi Commentaria, ms.
11. In Canonicas D. Ioannis Commentaria, ms.
12. Breviloquium, “ubi procedit, dice il Graziano,
subtilissimo modo theolog. a prima causa ad suos effectus, sicut contra
philosophica deductio progreditur ab effectibus ad Deum”. Questo trattato gli
viene attribuito da tutti i nostri, da molti dei citati bibliografi e da altri.
Ve ne è un codice nella Biblioteca di Troyes del sec. XV sotto il N. 1514 così
intitolato: Cardinalis Bonaventure
Dialogus, in quo anima devota meditando interrogat, et homo interior mentaliter
respondet, sive breviloquium. I compilatori del Catalogo di quella
biblioteca, dopo aver segnalato le opere certe di S. Bonaventura ne indicano
l’autore così: Bonaventure (Le même?) Cf. Catalogue Général des manuscrits des
Bibliothèques des Départements,
Paris 1851, T. II, 634, e p. 1044.
13. Ternarium sive de trinum bonum regiminis
conscientiae. Anche quest’opera edita tra le opere di S. Bonaventura, dai
nostri bibliografi e da altri viene attribuita al Peraga. [Pag. 54] Se ne trovano molti ms., ma non so
se tutti identici o diversi tra loro. Gli attribuiscono ancora l’Itinerarium mentis ad Deum, ed altri Opuscula parva, Coloniae 1499; Nurimbergae 1499;
Venetiis 1478; Argentorati 1499 etc.
14. Sermo habitus in exequiis Domini Francisci
Petrarchae Poetae laureati a Reverendissimo Magistro Bonaventura de Padova
Ordinis Fratrum Eremitarum Sancti Augustini. Anno Domini MCCCCLXXIIII qui postea
e generali Ordinis factus est Patriarca Aquileiensis. Questa orazione
funebre è stata edita per la prima volta nella Biblioteca Petrarchesca dal Prof.
Antonio Marsand, Milano 1836, in 4. Non so se l’an. 1474 ivi stampato sia un
errore di stampa o del copista, perchè evidentemente dovrebbe essere l’anno
1374. Il Marsand nella prefazione a pag. XIX dice di averne avuta copia fedele
da Costanzo Gazzera; è quindi probabile che l’errore è da addebitarsi al P.
Gabriele Bucci, frate Erem. dell’Ordine di S. Agostino, che lo copiò tra i suoi
sermoni, come pure a lui devesi attribuire l’errore di averlo detto Patriarca di
Aquilea, quando il Bonaventura da Peraga non ebbe mai tale dignità. Il codice da
cui fu tratto era nella biblioteca di Torino, non so però se sia andato
distrutto dall’ultimo incendio, o se ancora esista. Il cod. era membranaceo del
sec. XV, ed il discorso del Baduario si trovava a carte 81 e seg. Il resto erano
tutti discorsi del Bucci. Intanto intorno alle opere di questo insigne dottore
non mi resta a dire altro che invitare persona assai più competente che io non
sia, e mettere in chiara luce quali esse siano e dove si ritrovino. Son sicuro
che tale fatica otterrebbe i più lieti risultati. Ma passiamo ad
altro.
CAP.
X
Del culto prestatogli. Il B. Angelico ne dipinge la nobile figura con l’aureola de’ Beati nella Cappella di Nicolò V in Vaticano. Prove dell’autenticità di questa pittura.
[Pag.
54] Ed ora
entriamo a parlare più di proposito del culto, propriamente detto, prestato a
questo servo di Dio dalla sua morte fino ai nostri giorni. Già vedemmo uno
storico Padovano, Michele Savonarola, [Pag.
55] che può dirsi quasi coevo del Baduario, attestarci nei suoi
Commentarii che il venerando corpo di lui venne collocato innanzi all’altare
maggiore della chiesa de’ suoi Eremitani, nel posto più onorifico del luogo
sacro, innanzi all’ara ove comunemente conservasi la SS.ma Eucaristia, quasi a
testimoniarci la sua perenne unione con Dio, e fin d’allora esser ritenuto per
Beato. I suoi confratelli stando quotidianamente innanzi al suo sepolcro, o per
assistere ai divini offici o per salmodiare in coro, aveano costantemente
innanzi ai loro sguardi quella tomba santa, da cui si elevava una mistica voce
di pietà e di religione, che parlando ai loro cuori nel raccoglimento della
preghiera, traevali quasi irresistibilmente alla più profonda venerazione, come
appunto avviene a chi ode un arcano suono o rimira con religiosa pietà una cosa
sacra, un’urna preziosa ripiena delle sante reliquie di chi, fatto tempio qui in
terra dello Spirito Santo, non dubitò di versare il proprio sangue in difesa dei
diritti della Chiesa, sua Sposa immacolata, che son pure i diritti di Dio. E
tale venerazione, tale culto questi Religiosi l’avevano scolpito nel cuore, e
seco lo portavano ovunque se ne fossero andati. Doveano quindi i medesimi spesso
rammemorare le gloriose gesta e le grandi virtù del loro santo Cardinale,
fossero stati in privato od in pubblico, tra le monastiche pareti o nelle aule
Vaticane, di dove dovea partire l’ordine della sua glorificazione (1).
[Pag.
56] Nicolò
V, venerando del pari per intima pietà, virtù e svariata cultura, non appena si
vide innalzato al Supremo Pontificato, si propose per altissima mèta di
glorificare la mistica sposa di Cristo, sotto il glorioso stendardo della croce,
col mezzo di rinnovellate energie e con le opere dell’arte e della mente (2).
I più eletti ingegni del suo tempo
furono quindi da lui chiamati attorno a sè per cooperare all’attuazione de’ suoi
nobili divisamenti. Tra questi fuvvi il celeberrimo B. Angelico da Fiesole,
genio stupendo che spiegò il volo verso il cielo per guidare con mite violenza i
cuori all’Eterno mediante il linguaggio dell’arte (3).
Per ordine del Papa dipinse egli in Vaticano lo studio, le camere del Pontefice
e le cappelle chiamate l’una di S. Nicola, o del SS.mo Sacramento e l’altra di
S. Lorenzo (4). La prima disgraziatamente fu distrutta sotto
Paolo III; [Pag. 57] la seconda
esiste tutt’ora ed è una delle maraviglie che più attrae il devoto visitatore
del Vaticano. Le storie della vita de’ Santi Stefano e Lorenzo che il pittore
raffigurò sulle pareti della cappella sono, secondo la frase un po’ rettorica di
molti suoi biografi, il suo testamento pittorico (5).
Queste pitture oltre il sommo pregio artistico, hanno ancora un grande interesse
storico, dappoichè il B. Angelico in esse riprese dal vivo illustri personaggi
viventi, o ritratti di uomini memorandi per santità da non molto defunti. Tra
gli altri nella persona di S. Sisto noi sappiamo che vien rappresentato Nicolò
V, e nella figura, che è sotto quella di S. Agostino, il B. Bonaventura Peraga
(6).
[Pag. 58] che è il soggetto di cui ci occupiamo. Fra i
molti che ciò attestarono, piacemi riportare la testimonianza di Francesco M.
Torrigio, Romano, cerimoniere pontificio, accurato raccoglitore di Diari e
Diarista egli stesso (7). Nella sua pregiata opera “Le Sacre Grotte Vaticane” (8)
nel descrivere il sepolcro di Niccolò V, esistente nelle cripte della
Basilica di S. Pietro, tra l’altro a p. 380 scrive: “E la sua effigie [di
Niccolò V] dal naturale in tutto simile a quella ch’è nel palazzo Vaticano nella
cappella dedicata a S. Lorenzo (dove già udivano (9) e
celebravano Messa i Pontefici, e fra gl’altri la S. Memoria di Pio V, il quale
vi faceva cantar Messa solenne il giorno di esso S. Lorenzo) dipinta per ordine
di Nicola da Fr. Giovanni da Fiesole, Domenicano, fatto venir a Roma a posta dal
Papa, e per la bontà della vita, vien chiamato Fr. Gio. Angelico. A veder tal
Cappella e pittura vi andò N. S. [Urbano VIII] con tre cardinali, et alcuni
prelati a dì XI gennaro 1632 e vi ebbe gran gusto. [Pag. 59] In detta Cappella vi sono dipinte
l’istorie de’ SS. Stefano e Lorenzo, gli quattro evangelisti, e S. Agostino e S.
Nicola Vescovi, S. Silvestro e Gregorio Pontefici, Tomasso d’Aquino, et il B.
Card. Bonaventura Peraga, qual fu ucciso per l’immunità ecclesiastica come
scrive il Pontanero nell’Hist. di Pavia. Vi è tal iscrittione: “Gregorius XIII
Pont. Max. egregiam hanc picturam a Ioanne Angelico Fesulano Ord. Praedicatorum,
Nicolai Papae V iussu elaboratam et vetustate pene consumptam instaurari
mandavit”. Et in terra si legge “Nicolaus PP. Quintus”.
Confermano le parole del Torrigio
il nostro P. Tommaso Errera con le parole riferite al principio di questo nostro
scritto, e che giova qui riportare nuovamente: “Ingens huius cultus monumentum
durat adhuc in veteri quodam Pontificum Sacello in Palatio Vaticano, in quo
Bonaventurae nostri effigies radiis Beatorum coruscat, et titulo Beati ab ipso
fere mortis tempore honestatur”. (10) Lo stesso P. Herrera in un’altra sua opera
conservataci ms. nel cod. 1118 (S. 3. 13) della Biblioteca Angelica di Roma
(cfr. Analecta Augustiniana, Vol. IV, N. VIII, 28 Octobr. 1911) la
quale ha per titolo: Annales seu
Chronicon Ord. Erem. S. P. Augustini, sotto l’anno 1379, 1° e 2° del
pontificato di Urbano VI, ha in proposito quanto appresso: “In Sacello veteri
Pontificum in palatio vaticano est antiqua imago B. Bonaventurae Patavini
Cardinalis cum splendoribus Beatorum: vidit Urbanus an. 1632 praesente Rev.mo
Sacrista, qui id mihi narravit. Codices p. 1210 et 1239”. Il P. Domenico
Gandolfo nelle sue Porpore Agostiniane, o
sia chiara e ristretta notizia de’ Cardinali dell’Ordine Agostiniano, Mondovì 1695, p. 23, attesta ancor egli
che del martirio del Baduario “ne fanno fede Raffaele Volterrano, Paolo Cortese,
Giovanni Tritemio, Ciaconio e numerosi simili. Quello che più rileva si è il
mirarsi in una antica Cappella del Vaticano dipinto con i raggi da Beato.
[Pag. 60] Possiedo io pure una sua
imagine scolpita in Fiandra molti anni sono con questo fregio: S. Bonaventura
Patavinus ord. Erem. S. Augustini Generalis, S. R. E. Cardinalis, Romae Martyrio
coronatus anno 1386”. Il P. Giuseppe di S. Antonio, Portoghese, nel suo Flos Sanctorum Augustiniano, Lisboa 1723, T. II, pag. 795, anch’egli
ci dice al proposito: “No que toca ao culto do Santo Cardenal, desde sua morte
logra o titulo de Bemaventurado, e com este, e as autras insignias de tanta
felicidade se vem suas imagens em varios conventos de nossa Ordem. O que mais he
em huā antiga Capilla Pontificia do Palacio Vaticano se via semelhante Imagem...
e no portico de nosso Convento da Cidade de Roma dura a Imagem, de que a cima
fazemos mencçao”. Tanto egli scriveva in fine del Compendio da Vida do Beato Boaventura
Patavino, Martyr, Cardenal da Santa Igreja Romana ibidem tra le pp.
791-796.
Anco nell’ Agiologio Italico, Bassano 1773, T. I, p. 358, si fa di
ciò mensione con queste parole: “Corpus [B. Bonaventurae] ad Ecclesiam S.
Augustini delatum in sacello S. Nicolai Tolentinatis conditum fuit, eiusque
imago titulo Beati insignita in veteri quodam Pontificum sacello in Palatio
Vaticano reposita fuit”; e Giuseppe Vedova, Biografia degli Scrittori Padovani, Padova, 1836, Vol. II, citando le Memorie storiche dei Cardinali del
Cardella, Roma 1793, T. II, p. 299, afferma che il B. Bonaventura “presentemente
riposa in quella Chiesa [di S. Agostino] nella cappella di San Nicolò da
Tolentino, dove nel manco lato dell’altare della medesima si vede espressa
rozzamente in pietra la sua effigie, incastrata nella prossima parete, con
intorno ad essa un’iscrizione di carattere gotico, insieme al suo stemma
gentilizio; la quale imagine poi si vede dipinta nella Cappella di S. Lorenzo
nel Palazzo Vaticano”.
Queste testimonianze credo sieno
più che sufficienti a dimostrare l’autenticità di questo monumento per noi tanto
importante; e ben si conveniva che la figura di colui che era passato tra i
solchi paludosi di questa misera terra senza macchiarsi di alcuna immondizia,
tenendo sempre fiso lo sguardo in Gesù Cristo, verso la Vergine senza macchia,
verso la luce indefinibile della beata eternità, venisse dipinta dall’angelica
mano del B. Giovanni da Fiesole. [Pag.
61]
Un santo che dipinge santi e
beati! Quale sublime concezione! Quell’anima casta e pura non potea raffigurarci
che tipi celestiali, quali egli li vedea con l’occhio della mente godere nel
cielo i gaudi eterni. E tale è la figura che egli dipinse, del nostro B.
Bonaventura Baduario nella Cappella di Nicolò V. Volle dipingerla su di un
pilastro simulato a man sinistra di chi appena entra, e propriamente sotto
l’imagine del S. P. Agostino, quasi a volerci dimostrare da qual Padre egli era
nato, ed esserne ben degno rampollo. Lo raffigurò dritto in piedi, come vigile
scolta sempre pronto a difendere gl’interessi della diletta sua madre, la
Chiesa. È rappresentato con la fronte spaziosa, propria dell’uomo di ingegno,
con lo sguardo sereno e pensoso, con la barba bianca copiosamente fluente, con
la bocca atteggiata ad un leggero sorriso, di modo che da tutta la fisionomia
parte un’espressione di bontà e di gravezza che incanta. Le sue mani, di un
disegno meraviglioso, sostengono aperto sul petto un libro, insegna della
potestà dottorale, nel cui tergo al centro della rilegatura evvi dipinto un
cuore fiammante, simbolo di amore, ed arme o stemma dell’Ordine Eremitano di S.
Agostino. L’abito piuttosto ampio con cappuccio nero, di cui è vestita la figura
del Beato, è proprio degli antichi eremiti di S. Agostino, simile in tutto ad
altre figure di Santi, Beati od uomini illustri Agostiniani, dipinte o scolpite
nei sec. XIV e XV nelle Chiese e monasteri dell’Ordine. La testa veneranda è
circonfusa da una bella aureola listata d’oro, e nel cerchio di essa sono ancora
visibili queste lettere: S. C. B...
M... VS. Ai piedi, dal lato destro vi è dipinto il cappello Cardinalizio
e sotto lo zoccolo vi è questa scritta: S. Bonaventura, la quale evidentemente
vi fu apposta in uno dei restauri dei secoli posteriori eseguiti in detta
Cappella, come ritengono il P. Tacchi-Venturi, il P. Francesco Ehrle, ambedue
della C. di Gesù, ed altre persone competenti da me
consultate.
[Pag. 62]
È avvenuto
intanto che quella semplice scritta, appostavi, a quanto sembra, un due secoli
dopo, abbia generato confusione sull’identità del personaggio rappresentato da
quella pittura. Qualche scrittore infatti delle cose Vaticane dei secoli XVIII e
XIX, non conoscendo altro S. Bonaventura che il Minorita, scrisse di quella
pittura, non pensando più che tanto, come se in vero rappresentasse il Serafico
Dottore. Ma le testimonianze da noi allegate e la scrupolosa descrizione della
pittura or da noi fatta, chiaramente dicono che quella rappresenti il nostro
Bonaventura da Padova e non altri. Vi son poi altre ragioni che su ciò non
lasciano dubbio. Quando il B. Angelico dipinse la cappella di S. Lorenzo e lo
studio di Nicolò V (an. 1448-51) tanto Bonaventura da Bagnorea quanto
Bonaventura da Padova si trovavano, per così esprimermi, in fatto di fama della
loro santità, anco ammettendo la maggiore notorietà del Balneoregese, nelle
stesse condizioni, perchè la Suprema Autorità Ecclesiastica nulla avea ancor
decretato nè per l’uno nè per l’altro. Ambedue erano conosciuti per due
cardinali insigni, dottori ambedue di Parigi, scrittori sapienti e commentatori
ambedue delle Sentenze ed ambedue venerati quali uomini sui quali avea aleggiato
lo Spirito di Dio. È noto che Bonaventura da Bagnorea fu canonizzato nel 1484 e
dichiarato Dottore da Sisto V. È altresì noto che questi fu Vescovo di Albano e
che morì nella fresca età di 53 anni. Ora non è presumibile che il B. Angelico,
che tutto ciò sapeva, dipingesse S. Bonaventura Minorita senza che ce lo
raffigurasse con qualche insegna della sua suprema autorità di pastore e della
pienezza del sacerdozio, come non è presumibile che invece di rappresentarci un
uomo vegeto, quantunque maturo, ce lo raffigurasse invece un vecchio,
commettendo per tal modo un attentato contro la storia. Ma vi ha di più. Esiste
ancor oggi nella R. Galleria Antica e Moderna di Firenze, un quadro dello stesso
B. Angelico rappresentante la Vergine circondata da Santi e nel gruppo di destra
sono dipinti S. Antonio, S. Francesco e nel mezzo di essi un Santo Vescovo.
Questa tavola fu da lui dipinta per il Convento di San Bonaventura al Bosco nel
Mugello in Diocesi di Firenze, convento dell’Ordine dei Minori. Il Rio crede che
il detto quadro sia posteriore agli affreschi dipinti dall’Angelico in Vaticano
[Pag. 63] (Vedasi B. SUPINO, B. Angelico da Fiesole, Firenze 1898, pag. 101). Ma il P.
Ferretti, Parroco di S. Domenico di Fiesole, erudito Domenicano e profondo
conoscitore dell’arte del B. Angelico, essendo stato consultato nel Maggio del
1909 in proposito dall’Ill.mo e R.mo Mons. Agostino Zampini, attuale Sagrista di
Sua Santità Pio X ed allora Provinciale degli Agostiniani di Toscana, è
d’opinione che il B. Angelico dipingesse quel quadro fra il 1435 ed il 1445,
prima cioè che fosse stato chiamato a Roma da Niccolò V, ma certamente dopo che
avea incominciato a dipingere le diverse figure in gruppi distaccandosi dalla
sua prima maniera. Aggiunse inoltre esser egli d’avviso che tale pittura non
fosse eseguita dall’Angelico dopo il suo ritorno da Roma, come crede il Rio,
perchè l’Angelico tostochè fu in Firenze, venne eletto Priore nel convento di S.
Marco, e come religioso osservantissimo dovette essere molto occupato nel suo
ufficio, in quei tempi certamente assai importante. Potette quindi poco
occuparsi di pittura e si crede che in quel torno soltanto altre due o tre
tavole ei dipingesse. Comunque stia la cosa, questo è certo che il santo vescovo
ivi dipinto tra i santi Antonio e Francesco rappresenta il serafico dottore S.
Bonaventura, sì perchè sotto il lungo rocchetto o camice si vede chiaramente la
porpora cardinalizia e sì perchè il convento o chiesa per cui il quadro fu
dipinto s’intitolava appunto dal suo nome. Ora in questa tavola il santo è
rappresentato in aspetto di una età piuttosto fresca, quantunque matura,
corrispondente esattamente all’età in cui morì il Serafico Dottore. L’autore lo
raffigurò sbarbato, con la testa mitrata, col pastorale in mano e con la cocolla
francescana. Ciò esposto sembrami assurdo il pensare che il B. Angelico,
nell’intervallo di pochissimi anni, dipingesse lo stesso personaggio sotto due
tipi totalmente diversi, cioè nel Vaticano in un modo e nella tavola di cui
abbiamo discorso in un altro. Resta così assodato che la figura esistente nella
cappella di S. Lorenzo in Vaticano che ha sotto la scritta S. Bonaventura, non
rappresenta altri che il B. Bonaventura da Padova Agostiniano, come appunto
scrissero il Torrigio, l’Errera, i Bollandisti e gli altri su riferiti. [Pag. 64] Ma altre figure, altre imagini e pitture,
con l’aureola di Beato, esistono del nostro Santo Cardinale, fatte dipingere o
scolpire dalla pietà e dalla venerazione per lui dei suoi confratelli o di
altri.
__________________________
(1) Il P. DANIELE PAPEBROCHIO
della C. G. scrivendo negli Acta
Sanctorum, Mense Iunii X, T. II, p. 392, intorno
ad un bellissimo affresco che è nella Cappella di S. Lorenzo in Vaticano dipinto
dal B. Angelico, rappresentante, giusta parecchi autorevolissimi scrittori,
il nostro B. Bonaventura, nell’investigare chi avesse potuto suggerire al Papa
tra gli Agostiniani che lo circondavano di far dipingere colà questo nostro
Beato, fa le seguenti supposizioni: “Invenio apud eumdem Herreram, littera D,
inter ministros Pontificum, pro anno MCCCXCI, Dietricum de Nuremberga,
Pontificium Cappellanum: nam ab antiquissima memoria munus istud apud Ordinem
Augustinianum manet... Istius ergo Dietrici cura, videri posset ex sensu
Onuphrii sic pictus dicto loco B. Bonaventura, sub oculis ipsius Pontificis,
Bonifacii scilicet Papae IX, quod Beatitudinis expressae vim haberet. Verum ex
Francisci Taurisii libro de Cryptis Vaticanis pag 380 discimus Ioannem Angelicum
Dominicanum, de quo plura ad Vitam B. Ioannis Dominici infra, accersitum fuisse
ad istius sacelli picturas faciendas, a Nicolao V; cuius Pontificis nomen
subscriptum legitur tabulae, a Gregorio XIII instaurari iussae: et consilium
Bonaventurae sic ibi pingendo cum sanctis Stephano, Laurentio, Evangelistis
quatuor, Augustino, Nicolao, Silvestro, Gregorio ac Thoma Aquinate, suggessisse
potuit vel Ioannes Petri (si hic Nicolai Capellanus fuit, sicut fuisse scitur
proxime succedentis Callisti III) vel Franciscus Pauli, qui teste apud Herreram
Possevino, ipsi Nicolao fuit a concionibus sacris”. Io invece ritengo che chi
potè suggerire al Papa tale idea non dovette essere altri che l’Agostiniano P.
Rodolfo da Città di Castello, uomo di singolare pietà e dottrina, vissuto molti
anni e fin da giovanetto nel convento di S. Agostino di Roma, eletto nel 1437
Priore dei Penitenzieri Pontificii, nel 1440 Sagrista, Confessore e
Bibliotecario del Sommo Pontefice, e 18 Marzo 1441 Vescovo della sua patria,
rimanendo però sempre nell’esercizio di quei tre importantissimi uffici, presso
i Pontefici Eugenio IV, Nicolò V, Callisto III e Pio II dai quali fu grandemente
amato e stimato e che morì il 9 Giugno 1460. (Cfr. LANTERI, Eremi S. August., Part. I, p. 175.
(2) Cfr. LUDOVICO PASTOR, Storia dei Papi, Traduzione italiana del Benedetti,
Trento, 1890, vol. I, p. 282.
(3) Cfr. PASTOR, opera cit.,
vol. I, p. 33.
(4) Cf. ONOFRIO PANVINIO, De praestantia Basilicae S. Petri, Cod. Vat. Lat. 7010, p. 115 e 283 ove
ci dice: “Nicolaus V sacella duo fecit, quorum unum Sancti Nicolai a Paulo III
dirutum est, aliud Sancti Laurentii, quod adhuc superest, atque cameras,
triclinia et cubicula multa fecit”. Cfr. altresì il MAI, Spicilegium Romanum, T. IX, p. 375; EUGENIO MUNTZ, Les Arts à la Cours des Papes pendant le XV
et XVI siècle, Paris 1878, p. 112; GIORGIO VASARI, Vite dei più eccellenti pittori, Firenze 1878, Vol. II, p. 516 ove
leggesi: “Per questi tanti lavori essendo chiara per tutta Italia la fama di Fr.
Giovanni, Papa Niccolò V mandò per lui, ed in Roma gli fece fare la cappella del
Palazzo, dove il papa ode la messa, con un Deposto di Croce ed alcune storie di
S. Lorenzo, bellissime. Quest’edizione delle Vite del Vasari fu curata dal
MILANESI, il quale scrive in nota: “La Cappella di Niccolò V nel Palazzo
Vaticano è contigua alle stanze dipinte da Raffaello, e vi si ha l’accesso per
quella detta di Costantino. Le pitture del B. Angelico sono in buono stato e
sono state intagliate in XVI tavole da Francesco Giovan. Giacomo Romano e
pubblicate in Roma nel 1811”.
(5) Cfr. GUGLIELMO PACCHIONI,
Gli ultimi anni del B. Angelico, nel periodico: L’Arte, Rivista di Storia dell’Arte
Medioevale e Moderna, An. XII, Roma 1909, p.
5.
(6)
Quasi tutti
gli scrittori nella vita del B. Angelico, dal Vasari e Frosino Lapini al Supino,
hanno parlato dei ritratti dipinti dall’Angelico tanto in S. Marco di Firenze,
quanto nelle due cappelle vaticane; e lo storico Paolo Giovio li fece copiare e
disegnare per la sua famosa collezione di ritratti di illustri personaggi, tra’
quali vengon segnalati quei di S. Antonino Arciv. di Firenze, di Flavio Biondo,
di Ferdinando di Aragona, re di Napoli, dell’imperatore Federico II, venuto a
Roma sotto Niccolò V, e dello stesso Pontefice; ed ENRICO COCHIN nel suo
pregiato lavoro: Il Beato Angelico Fra
Giovanni da Fiesole (1387-1455) Roma, Desclée e Comp. editori 1907, a p. 218, ci fa sapere che “come
c’erano dei ritratti nella cappella del SS.mo Sacramento, ce ne sono pure nello
studio di Niccolò V, e i Bollandisti ne segnalano uno; è un Beato Bonaventura da
Peraga, generale degli Agostiniani, morto in odore di santità nei primi tempi
dello Scisma. Se si conoscessero meglio le cose, se ne troverebbero altri senza
dubbio. I gravi personaggi di tipo monastico, che circondano il Papa, non sono
forse quei Cardinali dei quali Vespasiano ammirava la dignitosa maestà? Tutti
ammettono che il Papa che consacra S. Lorenzo, ha i tratti di Nicolò V; i
suoi occhi vivi, il suo grande e sottile naso, il suo pallore; la cosa sembra
certa”.
(7)
FRANCESCO
MARIA TORRIGIO, Maestro delle Cerimonie Pontificie, Appunti di alcuni diari dei passati
Cerimonieri e di altre materie. Sono nel Cod. Vat. Lat. 7838, cart. in 8° in due volumi, (vol. 1° di cart.
300, vol. 2° di cart. 185) autografi;
per la descrizione del contenuto cfr. FORCELLA, Catalogo dei mss. relativi alla storia di
Roma, volume I, p.
129-131.
(8)
Di
quest’opera furono fatte due edizioni, la prima in Roma appresso Iacomo
Facedotti, MDCXXXV, con licenza dei superiori; la seconda parimenti in Roma,
appresso Vitale Moscardi, MDCXXXIX, con licenza de’ superiori. In ambedue
l’edizioni il passo da noi riportato è a p. 380.
(9)
PARIDE
GRASSI nel suo Diario (Arch. Seg. Pont.) sotto la data del
15 Agosto 1517 ricorda al proposito la “Capella parva superior, in qua papa [Leo
X] quotidie parvam missam audit, quaeque dicata est S. Laurentio et
Stephano.
(10)
Cfr. Alphabetum Augustinianum, T. I, p. 96.
CAP.
XI
[Pag. 64]
Quello
stesso Artman Schedel, vissuto anch’egli nel secolo XV, poco dopo il B.
Angelico, che, come vedemmo, fu tra i primi a narrarci la storia del martirio
del Baduario, fu anche tra i primi a tramandarci nella stessa opera da noi
citata, e nello stesso foglio 226v la figura di lui, ponendolo tra i dottori più
famosi del tempo in cui visse.
Avendo poi già parlato della
effigie del B. Bonaventura esistita nel portico del convento di S. Agostino di
Roma fatta dipingere o scolpire, come si disse, dai suoi correligiosi forse sul
principio del sec. XVI, ed avendone riportata ancor l’iscrizione che lo indicava
qual Beato e Martire, non credo opportuno tornarvi sopra; ma non posso astenermi
dall’indicare un ritratto dello stesso santo cardinale, di un valore storico ed
artistico non discutibile, esistente ancor oggi in Padova, sua patria, nella
famosa Aula Zabarella. Appresi la notizia dell’esistenza di questo ritratto
nell’erudita opera di Giacomo Zabarella, che ha per titolo: Aula Heroum sive Fasti Romanorum ab Urbe
condita ad annum Dom. 1674, Patavii, typ. Frambotti 1674, p. 286,
ove, dopo che l’autore ci ebbe narrato la vita ed il martirio del B.
Bonaventura, si legge: “Patavii in insigni Aula Zabarella visitur ipsius
effigies cum hoc elogio ipsi a Ioanne Cavacia erecto: “Bonaventura Alberti (1)
frater ex Matre, et ipse Augustinianus [Pag.
65] eidem religioni addictus familia nobili Peraghina ortus
doctoratus insignia adeptus Augustinianae religionis summum regimen diu
retinuit: postea Romae primus ex Patavinis in Collegium Summorum Sacerdotum
cooptatus titulo D. Caeciliae. Scripsit quamplurimas orationes, tum in laudes
nobilium virorum, tum etiam contra hostes Ecclesiae, vitae integritate nemini
suorum temporum postponendus, ex qua et aliis virtutibus dignitates illas
consecutus est. Romae super pontem S. Angeli sagita occulta manu missa
interficitur et in numerum Martyrum relatus”.
Standomi sommamente a cuore di
avere una fotografia, o almeno sicure notizie di questo ritratto perchè molto
antico e probabilmente con segni del martirio e con l’aureola di beato, mi
rivolsi all’uopo all’illustre Prof. Moschetti, Direttore del Museo Civico di
Padova, il quale il dì 17 Febbr. 1912, cortesemente mi rispose: “Il ritratto del
cardinale Bonaventura Badoer, che a Lei interessa, fu dipinto nell’Aula Zabarella, sala appartenente ad un palazzo che fu
di Iacopo Zabarella (ora casa Wollmann, via S. Francesco, n. 21), attiguo ad un
grandioso edificio (n. civ. 19) che era di proprietà di Giovanni, fratello di
Iacopo, e che oggi viene designato col nome di palazzo Zabarella. “Ioannes domum magnam
a turre habebat, quae olim Carrariensium fuerat...; Iacobus autem domum suam
apud primam a turre habebat” [Pag. 66]
(V. Aula Zabarella sive Elogia
illustrium patavinorum... ex historicis chronicisque collecta a Ioanne Cavaccia
nobile patavino et a comite Iacobo Zabarella equite aucta et illustrata.
Patavii, typis Iacobi de Codorinis, 1670, pag. 1).
“Malauguratamente, le pareti
dell’Aula Zabarella sono state
rivestite di tavola, talchè i ritratti vi rimangono nascosti”. Ed è veramente da
dolersi che tanti tesori di storia e di arte sieno oggi tolti allo sguardo dei
dotti e dei periti nelle arti. I sommi elogi che fanno di quest’Aula il Cavaccia
e lo Zabarella ci dicono chiaramente che essa costituiva una delle meraviglie di
Padova. Essa fu dipinta prima del 1540 per commissione di Giulio Zabarella dal
celebre pittore Gualterio, emulo del Tiziano. Ne scrisse gli elogi e la
descrisse lo stesso Giovanni Cavaccia (V. l’opera cit. p. 2-3) nobile Padovano,
il quale c’indica pure a p. 154 il luogo preciso dove ritrovasi il ritratto del
Peraga: “His viris transactis (cioè i due famosi Marsili da Padova) est ultima
fenestra, et inde incipit murus partis vespertinae et occidentalis; propeque
ipsam fenestram conspicitur imago Bonaventurae de Peraga cum hoc elogio”. Riferisce quindi l’elogio or ora
riportato, e lo Zabarella aggiunge che essendo egli stato ucciso nel 1389 per
difendere la libertà ecclesiastica, tamquam Martyr inde cultus est. Facciamo voti che quanto
prima l’attuale padrone ai quell’insigne monumento faccia togliere l’ingombrante
tavolato, e l’aula sia restituita nel suo antico
splendore.
Molte cose intanto venivano
travolte nell’oblio dal vorticoso corso del tempo; ma la memoria e la
venerazione pel nostro Beato anzichè perdersi o scemare crebbe sempre di più. E
mentre l’illustre nostro storico P. Girolamo Romano nel 1569 si meravigliava,
come vedremo, che la Chiesa non avesse ancor decretato di farne l’ufficio, come
avea fatto con S. Tommaso di Cantorbery, ambedue uccisi per la stessa causa, un
altro Agostiniano, il P. Pietro Moyayo Aragonese, nel 1610 ne faceva incidere la
bella figura col titolo e l’aureola di beato, su grandi tavole di rame, insieme
ad altri Santi e Beati dell’Ordine, le quali han per titolo: Patriarchatus Magni Patris Augustini cum
suae praecipuae religionis ornatu, dedicate “Rev.mo P. Mag. Fr. Io.
Baptistae de Aste Genuensi totius Augustinianae Religionis Pastori
Vigilantissimo” [Pag. 67] con
l’approvazione del Vicario Generale dell’Archidiocesi d’Aragona e del teologo
Domenicano che si sottoscrivono nel modo seguente: “Petrus Ant. Ghib. V. G. - M.
Corn. Tirob. Praed. Ord. The. Vid.”.
Queste tavole si trovano quasi in tutti i nostri conventi, e la figura del
Baduario ha sotto la seguente scritta: “B. Bonavenctura Patavin.s P. G.lis et Patriac. ab Hereticis quos
comprimebat, sagitta transfossus est”.
Poco dopo, nel 1614, il 1 Maggio, altre grandissime tavole venivano date
alla luce, delineate e scolpite in Roma, con l’approvazione dei Superiori, da
Oliviero Gato Piacentino “opera ac studio R.morum P.um F.um Marci Antonii Vianii
Bonon. et Fr. Pauli Vadovitae Poloni” che l’intitolarono: Misticae Augustinensis Sacrum gloriae
decorisque theatrum. Queste tavole furono poi fatte riprodurre verso il 1680
dal P. Generale Domenico Valvasori, il quale le dedicò al Sommo Pontefice
Innocenzo XI, al re Carlo II di Spagna ed al Card. Paluzio Altieri. Gli autori
divisero le figure in tante classi e nella prima di esse che intitolano:
“Cardinalium Augustinensium qui lumine probatae vitae et miraculis elucentis
conversationis, splendore purpurae, gloria magna S. R. E. illustrarunt, quibus
et Archiepiscopi cohaerent” tra le figure del B. Egidio Romano e Guglielmo di
Cremona, vi è il nostro Baduario con questa iscrizione: “B. Bonaventura
Patavinus ab Urbano VI an. 1384 Cardirialis S. Caeciliae creatus, tandem ob
defensionem libertatis Ecclesiasticae a Principe Patavino peremptus 1397 iacet
Romae in Ecc. S. Aug.”
Bellissima, e molto somigliante a
quella dipinta dal B. Angelico, è poi l’imagine del nostro Beato fatta incidere
su rame in Liegi dal P. Maigret, di cui fa menzione negli Acta Sanctorum l’eruditissimo P. Daniele
Papebrochio con queste parole: “Habeo autem libellum iconum, Martyres Eremitani
Ordinis scalpro eleganti repraesentantium, et Leodii curatum anno MDCXII per
Georgium Maigretium: ubi, post Martyres Afros saeculi V adscriptos Ordini velut
S. Augustini discipulos, primus exprimitur B. Bonaventura, cum Palma et
Diademate”. [Pag. 68] Il libro a cui
qui si accenna ha questo titolo: Reiettons / sacrés / Pullulants de la /
Palme triumphan / te des premiers / Martyrs de l’Or / dre dit des Freres /
Eremites de / S. Augustin / Recueillis / Par F. George Maigret Buillonoy / Doct.
The. et Prieur du mesme Ordre / au Convent de S. Augustin lez Liege. Chez
Christian Ouwerx Impr. iuré de S. A. 1612, ed ha in fine l’approvazione del suo
Provinciale P. Thomas de Grace e del Rev.mo Jean Chapeaville Vicaire
de Liege, il quale attesta di permetterne la stampa: “à la plus
grande gloire de Dieu, à l’honneur de ses
saincts Martyrs, et à l’utilité spirituel de tous ses fidels serviteurs”. Il Beato è raffigurato in piedi,
innanzi ad uno sfondo in cui si scorge il Tevere scorrente, le case e le ville
di Roma da una parte, il Castel S. Angelo dall’altra e due arcieri che hanno
scoccato una freccia confitta nel petto della figura del beato, che è rivestito
con l’abito monacale, e precinto con la cintura; ha poi il rocchetto ed il
cappello cardinalizio, il diadema intorno alla testa, la palma del martirio
nella destra, mentre la sinistra l’ha poggiata sul petto; ha lo sguardo pensoso,
la barba spiovente. Tutta la figura ispira devozione e pietà, e al disotto
leggesi: “Le B. Bonaventure, Cardinal de l’Eglise Rom. de l’ordre des Erem. de
S. Augustin martyrisé en Rome, l’an. 1396”. Il Maigret al foglio C ne scrive poi la biografia, che, se
non è troppo esatta per la cronologia, risulta tuttavia un bell’elogio del
Baduario. L’autore tradusse poi in latino il suo lavoro che ripubblicò nel 1620;
e nel 1625, arricchendolo di molte altre notizie, lo dette nuovamente alla luce
in Anversa, dedicandolo ad Urbano VIII, sotto questo titolo: Martyrographia Augustiniana. La
biografia del B. Bonaventura è tra le pp. 41-43.
In questa occasione il P. Agostino
Sabozio, pur esso Agostiniano, fece scolpire una finissima tavola Xilografica
dal celebre Carlo Collaert, allo scopo, forse, di farla inserire nella Martyrographia, innanzi alla vita del B. Bonaventura,
ciò che per altro non avvenne, quantunque al Maigret la dedicasse. In questa
tavola adunque, in undici bellissimi tondini, facenti corona alla figura
principale, il P. Sabozio faceva rappresentare tutta la vita religiosa del B.
Bonaventura, [Pag. 69] che vien
costantemente figurato con la testa redimita con l’aureola dei santi. Giova
darne un cenno riproducendo le iscrizioni che egli sottopose ad ogni
tondo.
Rappresenta il primo il Peraga
fanciullo, col capo chino e le mani giunte, in ginocchio innanzi all’altare del
crocifisso mentre fa rinunzia al principato (2) e
veste l’abito Agostiniano che gl’impone il Priore di S. Agostino di Padova,
assistito da altri religiosi, con questa iscrizione: “Mundi Principatum fugiens
Augustinianam religionem amplectitur”. Segue il secondo raffigurandolo seduto
nella cattedra, circondato da discepoli, mentre spiega il Maestro delle Sentenze
in Parigi: “Theologiam decem annis Parisiis docet”. Nel terzo è rappresentato
parimenti seduto nella cattedra, rapito in soave contemplazione delle cose
celesti, e par che vivo parli ai confratelli di cose divine: “Incredibili
charitate omnium saluti prospiciens saepius de divinis ita cum fratribus
loquitur, ut in coelestia raperetur”. Il quarto lo figura inginocchiato innanzi
ad un prelato, Preside del Capitolo Generale, dopo essere stato eletto a pieni
voti Priore Generale dell’Ordine: “Propter eximium vitae splendorem omnium votis
fit Prior G.ralis”. [Pag. 70]
Illuminato, nel quinto, da un fascio di luce divina mira Gesù Crocifisso e ne
scrive la vita come pure scrive quella della SS.ma Vergine e dei Santi: “Divino
afflatus spiritu subtilissimos de vita Iesu Christi, B. Mariae et Sanctorum
scribit tractatus”. Rappresenta nel
sesto il B. Bonaventura in colloquio con S. Caterina, quando cioè trattava seco
lei, ed anco per lettere, delle cose della Chiesa e di Dio: “Nunc ore nunc per literas cum S.
Catharina Senensi de coelestibus agit”.
Il soggetto del settimo è Urbano Sesto che gl’impone il cappello
Cardinalizio: “Cardinalis S. Caeciliae consecratur ab Urbano sexto”, mentre nell’ottavo vi rappresenta il
Beato innanzi a Francesco Carrara opponendoglisi virilmente, perchè perturba la
cristiana repubblica: “Francisco Carrariensi Duci Paduano Rempubl. Christianam
perturbanti se opponit”. Nel nono
tondo è parimenti figurato in piedi circondato da un consiglio di cardinali ai
quali espone le ragioni più valide per difendere la libertà ecclesiastica,
minacciata di esser violata dal Carrarese: “Conciliis urgentissimis in caetu
Cardinalium pro tuenda libertate ecclesiastica Francisco Carrariensi se
opponit”. È ritratto nel decimo vicino al ponte Sant’Angelo, colpito da una
freccia, scoccata da un arciere a cavallo che veloce fugge sul ponte: “Sagitta
per pontem S. Angeli Romae missa, graviter vulneratus occumbit”. Trasportato il cadavere nella chiesa
del S. P. Agostino e deposto in un mausoleo, vari fedeli, uomini e donne,
genufiessi ricorrono a lui per aver grazie e favori ed egli risplende con la
virtù di molti miracoli: “In Ecclesiam S. Augustini delatus, multis miraculis
splendet”. È questa la figura
dell’undecimo tondo. Nel centro poi come in una apoteosi egli è in piedi,
redimita la testa con raggi di beatitudine, con la palma del martirio sulla mano
destra, con la sinistra sul cuore quasi a comprimere le ardenti fiamme della sua
carità, mentre a lui di dietro, in posizione di chi
riposa e lo ammira, è il forte Iagellone principe di
Lituania, già convertito alla fede di Cristo. L’iscrizione che ha sotto è
semplicissima: “D. Bonaventura Patavinus ord. Eremit. S. Augustini Generalis S.
R. C. Cardinalis et Martyr”. [Pag. 71] Un
esemplare di questa Xilografia è posseduta da Mons. Gian Paolo Berti, Canonico
di Padova, che, per mezzo di una gentile Contessa Padovana, me ne favorì una
fotografia. Un’altra fotografia della medesima ritrovasi pure nella raccolta
iconografica del Museo Civico di Padova. Altra splendida figura del nostro Beato
fu delineata dal P. Raffaele Pasini, Veneto, nel 1629. È raffigurato a sedere
innanzi ad un crocifisso in atto d’insegnare o di scrivere, suffulto il capo da
raggi di gloria. Questa figura è nel Cod. 1267 della Biblioteca Angelica di Roma
nel libro III, ff. 368v-369. L’opera in cui si contiene è intitolata: Iconum S. P. Augustini, aliorumque Sanctorum
ac venerabilium Patrum Eremitarum, quibus medici, poeticique flores ex ortis
heremitanis decerpti aspenguntur. Libri tres. Auctore R. P. F. Raphaele Pasino,
Veneto Eremita, ed è dedicata al Papa Urbano VIII. Sotto la figura l’autore
tesse una piccola biografia del Beato, e tra l’altro dice: “Bonaventura
Peraginus Patavus, vir egregius, theologusque praestantissimus... tamquam sol
mundum, totam rempublicam Augustinianam, patriamque suam exiimis virtutum ac
Sanctitatis radiis collustravit”. In
qual conto fosse tenuto il P. Pasini dai PP. Bollandisti, basta sol citare
quello che di lui scrissero nella vita di S. Pietro Confessore, Agosto 31, T. V,
Ant. 1743, p. 640. Ne riporto fedelmente le parole:
“Porro exactior vita noscitur esse illa, quam scripsit P. Raphael Pasini
Venetus, Ordinis S. Augustini, habitans in Frosinone an. 1624, in viginti
quatuor capita distinctam cum figuris totidem eleganti calamo et arte
elaboratis, et Olivanti Cecconio Trebensi oppidano dedicatam, quae nunc
conservatur in archivio ecclesiae simul cum originali, quod hic postea
transcribitur”.
Al pari del Pasini e del
Maigret, un altro celebre istoriografo Agostiniano, Cornelio Curzio, nel 1636
dava alla luce in Anversa Virorum
illustrium ex ordine Eremitarum D. Augustini elogia cum singulorum expressis ad
vivum iconibus, ed a p. 48 vi è quella del Baduario
delineata dall’accurato J. Francquart incisore, ed ha sotto scolpita la seguente
iscrizione: “B. Bonaventura Patavinus Ord. Erem. S. Augustini,
scriptis, legationibus clarus, Cardinalis S. Caeciliae, pro ecclesiastica
libertate in ponte S. Angeli Romae telo confixus fuit...” a p. 49 e seg. ne scrive poscia in elegantissima
forma la vita.
[Pag. 72]
Un quadro,
o meglio, un ritratto ad olio del nostro Beato, dipinto in questo stesso tempo,
o non molto dopo, ma certamente nel bel mezzo del secolo XVII, esiste nella
sagrestia di S. Agostino di Roma. Ha una bella cornice del tempo con una targa
ove leggesi la seguente iscrizione: “B. Bonaventura Baduarius Patavinus Martyr
S. R. E. Cardinalis Ord. S. Aug.”. Il ritratto è di dimensioni al naturale; la
figura ha la faccia sbarbata, la berretta rossa in testa che è circonfusa
dell’aureola dei Beati, e tutto insieme ne fa un uomo giunto a virilità
avanzata. È in piedi e sembra che detti delle lezioni agli scolari, perchè ha il
volto elevato, un libro nelle mani a pie’ d’un crocifisso, e sotto il libro un
teschio umano, mentre un puttino gli presenta la palma del martirio. Chi rimira
questo quadro si sente mosso a venerazione e pietà. Un altro quadro, di
dimensioni assai più grandi del naturale, dello stesso B. Bonaventura, dipinto
anch’esso in questo secolo, è nel refettorio del nostro convento di Münnerstadt
nella Baviera. Il Beato è rappresentato morente sorretto al di dietro da un
religioso, mentre un famiglio gli estrae dal costato il dardo scoccato. Ha la
fronte e lo sguardo rivolto al cielo e tutto il suo volto è illuminato da una
luce spiovente dall’alto. È un quadro fatto dipingere dalla pietà dei suoi
confratelli e posto in luogo pubblico, affinchè ogni religioso s’ispiri a quel
gran modello di virtù ed in sè le ricopi.
Traversando l’oceano, ed entrando
nell’oratorio del nostro convento di S. Agostino di Lima nel Perù, noi ci
troviamo innanzi ad una splendida tela, dipinta senza dubbio verso la metà del
seicento, perchè tutto l’insieme del dipinto la fissa in tal epoca, che
rappresenta ancor essa il nostro Beato. È dipinto in piedi con lo sguardo
rivolto su in alto verso un angelo che tra le nubi gli mostra una corona,
simbolo d’immarcescibile gloria. Ha la berretta in capo, ed è rivestito
dell’abito cardinalizio; con la destra sorregge un libro sul petto e con la
sinistra la palma del martirio. Di mano dello stesso pittore è scritto sotto i
piedi della figura: “S. Buenaventura Patavin. 16...” il che sembra [Pag. 73] volerci dire esser di scuola
Spagnuola e forse del tempo del Ribeira, detto comunemente lo Spagnoletto.
Persone per altro assai competenti in materia ai quali ho mostrato la fotografia
del medesimo, mi dicono che il quadro è di scuola italiana, e forse fatto
dipingere qui in Roma. La circostanza poi ch’esso è in un oratorio pubblico, e
che la figura ha, oltre il titolo, tutti i segni di santità, ci porge uno dei
più solidi argomenti del culto prestato al nostro insigne
Cardinale.
Ritornando poi in Europa, e
recandoci in Germania e propriamente in Magonza, nel visitare i portici del
nostro antico Monastero dal titolo di S. Agostino, o altrimenti detto della
SS.ma Trinità, tra una ventina di quadri rappresentanti Santi e Beati
dell’Ordine, ve n’ha ancor uno di assai fine pennello dipinto nel 1751, che ha
sotto questa iscrizione: “B. Bonaventura Pad. M.”. Vi è altresì il nome del
Pittore e l’anno in cui fu eseguito. La figura del Beato è in piedi, con le mani
aperte, trafitto al petto da una freccia ed in aspetto di chi placidamente viene
a mancare. Le figure di un religioso e di un famiglio par che lo sostengano, ed
un putto dipinto ai suoi piedi, sembra voglia indicargli coll’indice della mano
sinistra il cielo, ove la bell’anima di lui è destinata.
Mi sembra in ultimo di non dover
tralasciare di segnalare un affresco esistente nella Basilica di S. Nicola in
Tolentino. Mi è stato riferito che quell’affresco è stato dipinto di recente,
forse un trenta o quaranta anni or sono, ed anco la figura di questo affresco ha
l’aureola di Beato e sotto scritto: “B. Bonaventura
Baduarius”.
Facendo più accurate indagini sono
sicuro che altre pitture, altre figure dipinte o scolpite in diversi tempi e per
diversi luoghi si troverebbero; ma per lo scopo che ci siamo prefissi, credo che
siano più che sufficienti quelle da noi or ora descritte, per provare di quanta
venerazione fosse la memoria di lui presso l’Ordine Agostiniano, di cui fu uno
dei più belli modelli di Santità.
_____________________________________
(1) Per quanto è a mia conoscenza posso affermare
che il B. Bonaventura non ebbe altri fratelli Agostiniani che il P.
Bonsembiante, di cui già si parlò. Ritengo quindi che il Cavaccia erri nel dirlo
fratello di Alberto, forse ingannatosi nel leggere questi due nomi uniti insieme
verso il fine della nona Rapsodia Ennead. di Marco Antonio Coccio Sabellico dove
scrive: “Claruit cum his Augustinus Anconitanus Eremitice observationis qui, et
ipse scite, et utiliter multa scripsit: Bonaventura, et Albertus, uterque
Patavinus, hic evangelica praedicatione, ille martyrio clarus”. Quando nacque
Bonaventura, Alberto era già morto in Parigi da nove anni. Fu uomo di grandi
virtù, ebbe acume d’ingegno singolarissimo ed una grandiloquenza meravigliosa. I
suoi concittadini gli eressero nel civico palazzo una statua di marmo
dedicandogliela con queste parole: ALBERTO EREMITARUM PATRI SINGULARISSIMO VITAE
/ CONTINENTISSIMAE PATRIA PATAVINO STUDIORUM / COLUMNAE ET REIPUBLICAE
CHRISTIANAE / SUMMO SPLENDORI.
(2)
Il Prof.
GIUSEPE CAPPELLETTI nella sua Storia di
Padova, 1876, Vol. II, pag. 19, dice che i
Peraga erano Signori di Mirano, grossa terra di antica origine, castello
fortificato, appartenente al distretto di Arquà, ottenuto dai Peraga nel 1325, e
di dove il Petrarca, ospite di loro, sembra che scrivesse la lettera, da noi
riportata, al P. Bonaventura. Il P. ANGELO PORTENARI, nella sua opera La Felicità di Padova Libri Nove, in Padova 1623, p. 390, ci descrive lo
stemma gentilizio del nostro Cardinale nei seguenti termini: “L’arma della
famiglia Peraga è divisa per il lungo dello scudo in due parti eguali, la quale
a sinistra di chi guarda ha tre ruote gialle, per il lungo di esso scudo in
campo bigio, ed alla destra ha sei traversi, obliguamente posti, uno rosso e uno
bianco, comincia di sopra il rosso, e sopra li traversi è un leone rampante di
color giallo, come si vede nel Ciaccone, ed anco nel secondo Claustro del
Monastero degli Heremitani di Padova sopra la porta di dentro, dove anche si
legge questo distico: Sceptrum Augustini clara cum stirpe Peragae / Cardineumque
ostrum stemmata pulchra tibi”.
CAP. XII
Del titolo di
Beato e di Santo datogli dall’universalità degli
scrittori.
[Pag. 74]
Come i
pittori e gli artisti or lo chiamarono col titolo di Beato ora di Santo, così gli scrittori di tutti i
tempi, di tutte le nazioni, che ebbero occasione di scrivere di lui, parimenti
or Beato ed ora Santo l’appellarono. Senza soffermarci ad
esaminarli uno per uno ne riferiremo alcuni dei
principali.
Potremmo incominciare a riferire
nuovamente la iscrizione posta nel sepolcro di lui, nella quale è detto che gli
abitatori della celeste Sionne ne possiedono l’anima grande; seguir poscia col
Savonarola che nel 1440 lasciava scritto, come si è veduto, esser il P.
Bonaventura ritenuto già per Beato, e per Beato ritenerlo nel 1482 il P. Filippo
Giacomo da Bergamo Agostiniano, il quale attesta che il grande suo confratello:
“cum acerrime ecclesie libertatem contra tyrannos tueretur, a Carrariensi domino
tandem sagitta transfixus martyrio coronatus est”; ma per non esser tanto
lunghi, li accenniamo soltanto. Come sol pure accenniamo a quanto scrisse lo
Schedel nel 1493 nelle sue Chronaca
initii mundi, l’abbate Tritemio nel 1494 ne’ suoi
libri De scriptoribus
Ecclesiasticis, e Paolo Cortese nel 1510 nel suo libro
De Cardinalatu perchè scrivendo essi
del nostro Baduario si espressero quasi con le identiche parole del P. Filippo
Giac. da Bergamo. Il Volaterrano nel 21° libro dei suoi Commentariorum Urbanorum editi nel 1526,
nel parlare del Card. di Padova quantunque errasse intorno alla professione
religiosa di lui ed al tempo in cui visse, pure attesta che egli “doctrinae
sanctitatem adiecit, ut qui pro martyre fere colatur, a Carrariensi Principe
sagitta peremptus: dum Ecclesie libertatem contra tyrannos tueretur”. Nel 1551 il nostro celeberrimo Card.
Seripando, allora Generale dell’Ordine, publicò coi tipi del Blado le nostre
costituzioni e vi unì un Commentario della storia dell’Ordine Agostiniano
composto dal non meno celebre Panvinio. Ora in fine di questo Commentario vi è
un lungo elenco di Santi e Beati del nostro istituto, ed il 18° è il B.
Bonaventura Patavinus Cardinalis.
[Pag. 75] Girolamo Roman nel 1569 anche egli lo
appellava beato in questi termini: “Beato Buenaventura cardenal, general y
martyr y doctor”, così a f. 147 della sua Chronica de la Orden de los Eremtanos, ed a f. 73v. dice che egli “es llamado de todos los
authores martyr, y no sey come no se podia celebrar su fiesta como la de Sancto
Thomas Cantueriense: pues si aquel murio por la deffension de las libertades de
la yglesia particular, este otro por las de la universal”.
Anche il P. Simpliciano Torrini,
Agostiniano, nel suo Libro delle Grazie
et Indulgenze concesse alla Compagnia de’ Cinturati, Bologna 1578, al f. 38, nel tessere il
catalogo de’ Santi e Beati dell’Ordine, lo chiama: “B. Bonaventura Patavinus,
Generalis, Cardinalis et Martyr”; il che fece altresì il P. Girolamo Nolano nel
suo Libro delli Privilegi, Gratie et
Indulgenze concesse dalla Sacro Santa Sede Apostolica alli Padri, Frati ecc.
dell’Ord. Erem. di S. Agostino edito
l’anno 1586. Cinque anni prima Mons. Giuseppe Panfilo, Vescovo di Segni
pubblicava in Roma le sue Chronica Ord.
Fratrum Erem. S. Augustini, ed al f. 67v asseriva che, a giudizio dei buoni, il
Card. Bonaventura dovea esser annumerato tra i Santi Martiri come il fratello di
lui Buonsembiante tra i Santi Confessori: “Hunc iudicio bonorum in Martyres
annumerare decet, sicut eius fratrem Bonsemblantem inter sanctos confessores”. E martire fu chiamato dal P. Ciaconio
nelle Vite de’ Pontefici e
Cardinali, da noi citate, e date alla luce nel
1601; dal Possevino nel suo Apparato
Sacro, Venezia 1606, T. I, p. 248 e 635; dal
Cartusiano Giorgio Carnefelt nelle Memorie del B. Nicola Albergati, in Colonia 1617, ove, in Appendice p.
177, rammemora “Cardinales aliquot sanctitate illustres, qui post annum M.
floruerunt”, tra’ quali pone anco il nostro: “B. Bonaventura Patavinus”. Col titolo di Martire e di Beato fu
pur chiamato dal P. Giorgio Maigret nella sua Martyrographia Augustiniana, Antuerpiae 1625, p. 41, ove in un lungo
elogio usa queste espressioni: Beatus,
Divus, Doctor, Martyr; dal P. Abramo Bzovio, dell’Ordine de’ Predicatori,
che nei suoi Annali Ecclesiastici, Conoliae 1622, T. XVI, dedicati a Gregorio
XV, p. 135, ne fa l’encomio, [Pag. 76] e nell’indice dello stesso volume,
lo indica così: “S. Bonaventura Baduarius occiditur, 1389”; dal P. Nicola
Crusenio nel Monasticon
Augustinianum, Monachii 1623, p. 163 della III Part.,
ove non solo lo dice “Beatus”, ma che “merito a Scriptoribus inter Martyres Dei
recensetur, talique nomine decentissimam sepulturam Romae in Ecclesia Ordinis
obtinuit”. Beato lo disse pure il P.
Tommaso Herrera nella sua Responsio
Pacifica, Bononiae, 1635, p. 355, e nell’Alphabetum Augustinianum, Matriti 1644, T. I, p. 94; il P.
Cornelio Curzio nei Virorum Illustrium ex
Ord. Erem. D. Augustini elogia, Antuerpiae 1636, p. 49; il P.
Simpliciano San Martino, che nella Histoire de la Vie du glorieux S.
Augustin... et de plusieurs SS. BB. et autres hommes illustres de son
Ordre, Tolose 1641, p. 671, ne tesse la vita e
l’histoire de son glorieux
martyre, chiudendola con queste parole: “On void
à Rome, au petit Portique de notre Monastere de Saint Augustin, l’image de ce
tres-virtueux Cardinal, tenant une palme en la main, avec un eloge qui marque
son martyre, et la gloire dont il est à croire qu’il jouyt”.
Chi per altro, compreso della
grandezza del nostro Cardinale, ne scrisse la vita con vero entusiasmo, fu
l’illustre Vescovo d’Autun Ludovico Doni d’Attichy, che nel 1640, dando alla
luce in Parigi i suoi celebrati Flores
Historiae Sacri Collegii S. R. E. Cardinalium, nel T. I, pp. 407-9, con elegante
dettato ci lasciò una bellissima ed accurata biografia di lui, che vorrei qui
trascrivere per intiero; ma me ne astengo per non ripetere cose già dette. Pure
non posso non trascrivere qualche passo degnissimo di nota: “Praeclarus, egli
principia, inter claros extitit Bonaventura Baduarius a Peraga, duplici nempe
claritate sanguinis, hoc est nobilitate generis, illustrisque martyrii, ac
merito inter purpuratos Ecclesiae Proceres sedere iussus. Sed quid dignum eo
loqui possumus, cuius, ut cum Divo Ambrosio loquar, B. Agnetis Romanae virginis
et martyris encomium ac trophaeum celebrante, ne nomen quidem vacuum est luce
laudis? Bonaventura siquidem, non casu sed Dei providentia iure est appellatus
quod felicibus auspiciis, faustoque omine iuxta sui nominis etymon, Ecclesiae
natus, et datus est, pro qua ad sanguinem usque constantissime decertans
felicissimum sanctae et innocentis vitae cursum et agonem confecit, factus
ecclesiasticae libertatis victima, ut mihi videatur non hominis habuisse nomen,
sed oraculum martyris, quo indicavit quod esset futurus”. [Pag. 77]
Lo dice in seguito: “Splendidissimum Ecclesiae sydus dignus
qui tamquam servus fidelis et prudens super plura constituentur”, onde “non modo
Sacrum Collegium sapientiae ac sanctitatis suae radiis vehementer illustravit,
sed etiam proprii sanguinis purpura decoravit”, quando “tacentibus caeteris, ac
dissimulantibus, ipse tamquam sanctae libertatis assertor vindexque acerrimus,
opposuit se impiis Francisci [Carrariensis] conatibus, velut adamantinum murum
pro domo Domini”, per cui “sagitta tranfixus Ecclesiae authoritatem, suo
sanguine, quasi atramento, sigilloque apposito confirmavit”, e che “variant
certe authores de eius transitus ac passionis tempore. Sed quidquid sit de
tempore gloriosae ipsius necis, hoc constat omnium pene scriptorum testimonio,
qui res S. R. E. Cardinalium, aut Eremitarum S. Augustini posteritati
consignarunt, fuisse illam in conspectu Domini pretiosam, et Bonaventuram
Baduarium inter Sanctos Martyres, qui pro Ecclesia Dei gladiis impiorum
occubuerunt, numerari Beati titulo honestari”.
Dopo sì bella testimonianza
di un Vescovo tanto insigne qual fu il D’Attichy, le altre di autori minori
potrebbero sembrar superflue; piacemi nonpertanto recarne in mezzo qualche
altra, solo per far vie meglio constatare la continuità della venerazione in cui
il santo cardinale fu da tutti tenuto.
Il P. Luigi Torelli nel Ristretto delle vite de gli huomini e delle
donne illustri in santità, Bologna 1647, con l’approvazione
dell’Em.mo Card. Ludovisi, arcivescovo di Bologna, p. 273, ne scrive la vita
sotto questo titolo: “Del B. Bonaventura da Padoa Card. e Mart.”, il che fa pure
nei suoi Secoli Agostiniani, Bologna 1680, T. VI, p. 228; il P.
Filippo Elssio nell’Encomiasticon
Augustinianum, Bruxelles 1654, p. 130, narra anch’egli
le gloriose gesta di lui, e lo dice Beato, come pur tale lo chiama il P. I.
Aurelio Knippinga [Pag. 78] nella sua
Ephemeris Sanctorum Ord. Erem. S. P. Augustini, Antuerpiae 1672, p. 44, ponendo sotto
il nome di lui questi tre distici: “Illustrem duplex ornavit purpura Patrem, /
Una haec Virtutis, sanguinis una fuit. / Hanc livor tinxit pro libertatis amore / Praesulis
hac virtus condecorata fuit. / Sic bona, quae coelo toties ventura petisti, / Libertas, virtus et dedit
invidia”.
Nei Fasti Cardinalium omnium S. R. E. auctore
Io. Palatio I. U. D., Venetiis 1703, Superiorum permissu, nel
Vol. II, fol. 70, tessendovisi la vita del Baduario, l’autore principia: “Ecce
ego mitto ad vos Prophetas et sapientes et scribas, et ex illis occidetis, et
crucifigetis. Matth. 23” e scrittane un’accurata biografia, conchiude: “Rornae
in inferiori porticu Augustiniani coenobii, imaginem Bonaventurae palmam manu
tenentem, elogium, martyrium, et beatitudinem eius indicans adiectum aspicere
est. In Indice Sanctorum et Beatorum Ordinis Augustiniani Eremitarum, Beati
titulo, cum Alexandro Oliva Cardinali Pii II decoratur: teste Victorello”. Girolamo Gigli poi nelle annotazioni
alle Opere di S. Caterina da
Siena, Siena 1707, p. 217, scrivendo di lui,
non dubita di asserire “che comunemente dagli scrittori viene onorato del titolo
di Beato”. Meritamente quindi il P.
Giuseppe dell’Assunzione, Portoghese, nel suo Martyrologium Augustinianum, Ulisippone 1749, cum facultate
Superiorum, Part. II, p. 174, ne fa il seguente elogio: “IV Idus Iunii, X Romae
in Ecclesia S. P. Augustini natalis B. Bonaventurae Patavini, e nobilissima
familia orti, qui saeculi blandimenta despiciens, adolescens factus religionem
amplexus est; virili firmitate, ubi se Deo votis alligans, mirabili constantia
perseverans, exiit in litteris, et virtutibus consummatus. Ob quae, prius plura
Ordinis munia exercens ab Urbano VI ad Cardinalitiam dignitatem evectus est. Cum
tamen libertatis Ecclesiasticae intrepidus esset assertor, ortis inter eum, et
Franciscum Carrariensem Patavinum Regulum ob Ecclesiasticam Libertatem
simultatibus, impiis Principis conatibus constantissime se opposuit. [Pag. 79] Quare iratus Carrariensis Princeps
clam per occultos sicarios egit, ut dum pontem Aelium transiret, sagitta ab
incerto emissa tranfixus interficeretur: sicque contigit hac die, sepultusque
est prius in Ecclesia S. Triphonis, postea, translatus est ad Ecclesiam S. P.
Augustini ubi requiescit in sacello S. Nicolai de Tolentino”.
Già dicemmo che i Bollandisti ne
scrissero la vita nei loro Acta Santorum
nel T. II del mese di Giugno, p. 392, e che nell’Hagiologium Italicum, Bassani 1773, T. I, p. 358, die X
Iunii, assai decorosamente si favella: “De B. Bonaventura Cardinali Ord. S.
Augustini Romae”, e che tanti e tanti altri ne scrissero, tutti chiamandolo col
titolo di Beato fino ai nostri giorni, come facilmente può riscontrarsi nelle
opere loro, che saremo per catalogare in appendice, e che addurli qui tutti
riuscirebbe troppo fastidioso per il lettore. Nutro pertanto fiducia che quanto
fino a questo punto abbiamo scritto, sia più che sufficiente a dimostrare la
grande personalità del Baduario, la grande santità di lui, la pietà,
l’elevatezza di mente e di cuore, la forza ed altezza di animo, la carità, la
giustizia, l’attaccamento alla S. Sede e tutte quelle virtù che risplenderono in
lui come in un vero eroe della chiesa di Dio. Si spera quindi che queste stesse
virtù che lo fecero venerar come Beato in tutti i secoli, e che oggi fanno
desiderar che vengano messe in più chiara luce dalla Suprema Autorità della
Chiesa con un decreto col quale si approvi il culto prestato a tant’uomo ab immemorabili tempore, sieno il fulcro adamantino su cui
vogliono poggiare tutti coloro che aspirano al cielo.
CAP.
XIII
Principali
autori citati nel corso di questa biografia o che scrissero delle gesta del
nostro Beato.
Arpe
Augustinus: Pantheon Augustinianum, Genuae, Franchelli 1709; Memorie dei Beati Agostiniani (s. an.); Giornale dei Santi e Beati Agost. Genova 1722, 1 Semestre, p. 323. [Pag. 81]
Aubery
Antonius: Histoire generale des Cardinaux, Paris 1642, T. I, p.
635.
Baluzii
Stephani:
Vitae Paparum
Avenionensium, Parisiis
1693, T. I, col. 1047 et passim.
Bergomensis
Jacobi Philippi: Supplementum Chronicarum, Venetiis 1482, fol. 210v.
Bonasoli
Tommaso: Iscrizioni delle sepolture e depositi che
esistono nella chiesa di S. Agostino di Roma prima del 1760,
Ms. Vitt. Em. 46, f. 39°
della Bibl. Nazion. di Roma.
Bzovii
Abraham: Annalium Ecclesiasticorum, Coloniae Agrip. 1622, T. XV, p.
135.
Cardella: Memorie storiche de’ Cardinali, Roma 1793, T. II, p. 299.
Cherle
Prosper: Eremi Thaumaturgae, 1685, p. 107 in ling.
germ.
Ciaconius
Alphonsus: Vitae et gesta Summorum Pontif. Romanorum et
S. R. E. Cardinalium, Romae 1601, T. II, p.
783.
Contelorius
Felix: Elenchus Em. et Rev.m S. R. E. Cardinalium, Romae 1641, p. 109.
Coriolanus
Ambrosius:
Chronica Ord. Fratr. Erem.
S. Augustini, Romae
1481.
Cortesii
Pauli: De
Cardinalatu,
1510,
l. I, f. 38.
Crusenius
Nicolaus: Monasticon
Augustinianum, Monachii
1623, Part. III, p. 161-63.
Curtius
Cornelius:
Virorum Illustrium ex Ord. Erem. D.
Augustini elogia, Antuerpiae 1636, p.
49-51.
Doni
d’Attichy Ludovicus: Flores Historiae S. Collegii S. R. E.
Cardinalium, Lutetiae Parisiorum 1650, T. I, p. 407-9.
Elssius
Philippus: Encomiasticon Augustinianum, Bruxelles 1654, p. 130.
Eroli
Giovanni: Monumento Sepolcrale del Card. Bonaventura
da Peraga Padovano, nel periodico il Buonarroti, Roma 1879, p. 49-59.
Eubel
Conradus: Hierarchia Cath. Medii Aevi, Monasterii 1898, T. I, p. 22-39.
Ferret
P.: Faculté de Théologie de Paris el ses
Docteurs les plus celebres, Paris 1896, T. III, p.
504.
Filippini
Aurelio: Giardino odorifero delle gratie... dei
Cinturati, Cesena 1603, p.
40.
Forcella
Vincenzo: Iscrizioni delle Chiese ed
altri edifici di Roma, Roma
1874, T. V, p. 5-6.
Fracassetti
Giuseppe:
Lettere senili di Francesco
Petrarca volgarizzate e dichiarate con note, Firenze 1870, T. II, p.
178-186.
Gandolfo
Dom. Ant.: Dissertatio hist. de ducentis Augustinianis
Scriptoribus, Romae 1704, p. 104.
Garnefelt
Georgius: Vita B. Mem. Nicolai Albergati, Coloniae 1617, in appendice p.
177.
De Gataris
Andrea:
Cronaca di Padova
in Rerum Ital. Scriptores, Mediolani 1730, T. XVII, col.
503.
Ghirardacci
Cherubino: Della Storia di Bologna, Bologna 1657, Vol. II, p. 278 e
404.
Gigli
Girolamo: Le opere di S. Caterina da Siena, Siena 1707, Vol. II, p.
212-18.
Gloria
Andrea:
Monumenti dell’Università di
Padova (1318-1405),
Padova 1888, T. I, p. 548-50.
Gratianus
Thomas: Anastasis Augustiniana, Antuerpiae 1613, p.
53.
Hagiologium
Italicum in quo compendiosae notitiae exhibentur
Sanctorum Beatorumque ad Italiam spectantium, Bassani 1773, T. I, p.
358
De Herrera
Thomas: Responsio pacifica ad Apologeticum de
praetenso Monachatu S. Francisci, Bononiae 1625, p. 355; Alphabetum Augustinianum, Matriti 1644, T. I, p. 94-96.
Hormanseder
Anselmus: Himmlische Eremiten, Scaarets 1733, p. 401.
Iordanus de
Saxonia: Liber qui dicitur Vitas Fratrum, Romae 1587, p.
173.
Iosé de
Santo Antonio: Flos Sanctorum Augustiniano, Lisboa 1723, T. II, p.
791-96.
Iosephus ab
Assumptione: Martyrologium Augustinianum, Ulysippone, T. II, p.
174.
Knippinga
Aurelius: Ephemeris Sanctorum Ord. E. S. Aug., Antuerpiae 1672, p.
44.
Lanteri
Ioseph: Postrema Saec. sex Relig.
Augustinianae, Tolentini 1858, Vol. I, p. 263; Eremi Sacrae Aug., Romae 1874, Vol. I, p. 255-59 e in Nicolai Crusenii Monasticon
Additamenta, Vallisoleti 1890, p. 369.
Maigret
George: Reiettons Sacrés Pullulants de la palme
triumphante des primiers Martyrs de l’Ordre dit des Freres Erem. de S.
Augustin, Liege 1612 e in Martyrographia Augustiniana, Antuerpiae 1625, p.
41.
Marsand
Antonio: Biblioteca Petrarchesca, Milano 1836, p.
33-38.
Mazzetti
Serafino: Memorie storiche sopra l’Università di
Bologna, Bologna 1840, p.
295.
Naevius
Ioannes: Eremus Augustiniana, 1638, p. 308.
Oldoinus
Augustinus: Vitae et res gestae Pontificum Roman. et S.
R. E. Card., Romae 1677, T. II, col.
659.
Ossinger Io.
Felix: Bibliotheca Augustiniana, Ingolstadii et Augustae Vindel. 1768, p.
94.
Palatius
Io.: Fasti Cardinalium S. R. Ecclesiae, Venetiis 1703, Vol. II, col.
70.
Pamphilus
Ioseph: Chronica Ord. Fratrum
heremit. S. Aug., Romae
1581, p. 67v.
Panvinii
Onuphrii: Romani Pont. et Card. S. R. E., Venetiis 1557, p.
249.
Papadopoli
Commeni: Historia Gymnasii Patavini, Venetiis 1726, T. II, p.
157.
Papebrochio
Daniel: Acta Sanctorum, Iunii X, Venetiis 1742, p. 392-94.
Piazza Carlo
Bartolomeo: Efemeride Vaticana, Roma 1687, p.
334-36.
Portenari
Angelo: Della Felicità di Padova, Padova 1623, p. 390.
Portillo
Sebastian: Chronica Espiritual
Augustiniana, Madrid
1732, T. II, p. 431.
Possevini
Antonii: Apparatus Sacer, Venetiis 1606, T. I, p. 248 e 635.
Rainaldi
Oderici: Annales Ecclesiastici, T. XVII, Romae 1659, an.
1375-81.
Roman
Hieronymo: Chronica de la Orden de los Erem. de San
Augustin, Salamanca 1569, f.
73v.
Ruscelli
Ieronimo: Indice degli Uomini
Illustri, Venetia
1572, fol. 29.
Sanderi
Antonii: Elogia Cardinalium, Lovanii 1626, p. 413-14.
Savonarola
Michael: Commentariulum de laudibus Patavii in Rerum Italic. Scriptores, T. XXIV, col.
1152.
Scardeonii
Bernardini: De Antiquitate Urbis Patavii, Basileae 1560, p.
148-49.
Simplician
Saint Martin: Histoire de la vie de S. Augustin et de SS.
et BB. de son Ordre, Tolose 1641, p. 671-72.
Spondani
Antonii: Annalium E.mi Card. Baronii
Continuatio, Lutetiae Paris. 1647, p.
587.
Shedel
Hartaman: Chronica initii mundi, Norimbergae 1493, f.
CCXXVI.
Szajnocha
karola: Iadwiga i
Iagiello.
Szujski: Dzieje Polski (in opere complete),
Krakow 1894, T. II, p.
19-23.
Tiraboschi
Girolamo: Storia della Letteratura Italiana, Venezia 1823, T. V, parte I, p.
215-18.
Torelli
Luigi: Secoli Agostiniani, Bologna 1680, T. VI, p.
228-231.
Torrigio
Francesco: Le sacre grotte Vaticane, Roma 1635, p.
380.
Trithemius
Ioannes: Liber de scriptoribus
ecclesiasticis, Basileae 1494, f.
82.
Vedova
Giuseppe: Biografia degli Scrittori Padovani, Padova 1836, Vol.
II.
Voloterrani
Raphaelis: Commentariorum Urbanorum, Basileae 1559, p.
485.
Warthon
Enricus: Appendix adhistoriam Literariam Guillelmi
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Zabarella
Iacobus:
Aula Heroum sive Fasti
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