STORIA DELLA POLEMICA INTORNO ALL’IDENTITÁ

DELLE OSSA DI SANT’AGOSTINO

VESCOVO E DOTTORE DELLA CHIESA

scoperte l’anno 1695 nella Basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia

REGIA UNIVERSITÁ DI PAVIA

FACOLTÁ DI LETTERE

Tesi di Laurea di

Cleonice Baggini

 

INTRODUZIONE

La storiografia pavese, per chi l’esamina con amore di studioso e interesse d’italiano, presenta una quantità di problemi interessanti e pure insoluti nella maggior parte, così che possiamo dire che gli studi sulla storia dell’alto Medio Evo della città di Pavia di fronte a quelli di altre minori città del settentrione, si trovano, salvo pochissimi casi, in un periodo che si può chiamare quasi mitico. Per l’alto Medio Evo e l’età Comunale, che sono i periodi più interessanti della storia della città delle cento torri, il Pessani (1) e il Robolini (2) infatti sono ancora i giudici più attendibili, secondo me. Una delle cause di questo male deriva dal fatto, che la città di Pavia manca quasi del tutto di scrittori locali, di cronisti, di eruditi, i quali tramandassero di secolo in secolo i ricordi della loro città. A questa deficienza aggiungasi poi la dispersione degli archivi cittadini, causata più che dall’incuria degli uomini, dalla loro mania devastatrice. Ciò premesso, è con un senso di soddisfazione che tutto quanto, più o meno direttamente, serve a lumeggiare questioni poco rischiarate della storia pavese, ad onta della sua esiguità, viene accolto da noi volentieri, poichè ci dà la speranza di colmare qualcuna delle grandi lacune che esistono in essa. Si era appena sopita una garrula polemica cittadina la quale, rintuzzando lo spirito campanilistico di Cremona e Pavia, voleva stabilire ad ogni costo il primato d’una di queste due città (3), quando sul finire del secolo XVII si manifestò un altro caso di simili ardori polemici, a proposito dell’autenticità delle ossa di S. Agostino, in quello scorcio di secolo. Questa polemica durò sette lustri ed ebbe l’onore di produrre centinaia d’opuscoli in pro e in contro, per i quali la dimenticanza sarebbe degna tomba se, attraverso le questioni di fede e d’interessi monastici che la determinarono, non fossero stati chiamati a raccolta argomenti di carattere storico, archeologico, paleografico. Per queste ultime considerazioni ed anche per l’autorità del Muratori e del Fontanini, che non sdegnarono parteciparvi, crederò di non aver fatto lavoro inutile a ricostruire la storia di questa polemica, nella speranza di poter trattare e risolvere varie questioni che, esorbitando dai limiti della polemica stessa, entrano direttanente nel campo della storia. In una parola, io mi proporrei di tessere una pagina di storia della cultura locale, redatta occasionalmente dal ceto ecclesistico della provincia per altri scopi. A raggiungere tale intento ho seguito il metodo che ora esporrò. Premetto alcuni accenni sull’origine e vicende di S. Pietro in Ciel d’Oro, sotto le cui volte severe è custodito il corpo del grande Africano; origine e vicende le quali dimostrano come sin dal 1331 i germi d’un antagonismo monastico già s’erano manifestati e nel progresso dei secoli accresciuti a dismisura, coll’estendersi del prestigio dell’Ordine di S. Agostino. Arrivo all’epoca dello scoprimento delle ossa del grande Dottore (1695), il quale fatto dà nuovo fuoco alle animosità che turbavano la pace degli abitatori di S. Pietro in Ciel d’Oro. Entro in tal maniera direttamnte nella questione che costituisce il tema del presente lavoro. Espongo le ragioni dei partigiani dell’identità delle ossa di S. Agostino con gli argomenti contrari, passo in rassegna la più parte di questi polemisti, il valore delle loro affermazioni, la lealtà delle loro intenzioni, per avere così agio di fare la critica dei loro argomenti, critica alla quale ho il piacere di portare un contributo nuovo di carattere archeologico che, per le scarse cognizioni in tale materia, a quel tempo non poteva essere addotto. Il materiale storico, di cui mi sono servita per trattare il mio tema, è stato di due sorta: edito ed inedito. Il primo è costituito dall’enorme congerie di opuscoli polemici (4), scritti tra il 1695 e il 1728, più i recenti volumi del Codice Diplomatico di S. Agostino, curati da R. Maiocchi e N. Casacca e da quanto altro fu scritto, sia direttamente che indirettamente, su S. Pietro in Ciel d’Oro. Il secondo è costituito da numerosi documenti, da me ricercati nei seguenti archivi, che man mano cito nel corso del mio lavoro. Essi sono: Archivio Museo Civico di Pavia; Archivio Notarile di Pavia; Archivio Curia Vescovile di Pavia; Archivio di S. Pietro in Ciel d’Oro; Archivio Generalizio Agostiniano di Roma; Biblioteca Universitaria di Pavia - Ticinensia; Manoscritti.

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(1) P. PESSANI, Dei Palazzi reali che sono stati nella città e territorio di Pavia, Pavia 1774.

(2) G. ROBOLINI, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1826.

(3) E. LEVI, Una contesa di precedenza tra Cremona e Pavia nei secoli XVI-XVII-XVIII, in Bollettino della Sociatà di Storia Patria, fasc. I e seg., Pavia 1904.

(4) Il MAIOCCHI ne annovera circa 130, a p. 12, in nota, del "De laudibus civitatis ticinensis", in MURATORI, Rerum Italic. Script., t. XI, Città di Castello 1903.

 

CAPITOLO I

LA BASILICA DI S. PIETRO IN CIEL D’ORO E LE COMUNITA’ RELIGIOSE

CHE LA ABITARONO FINO AL 1695

Gli annali di Pavia menzionano frequentemente la Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, l’importanza della quale sembra quasi aver eguagliata quella di S. Michele Maggiore (5). Data l’importanza di questa Basilica non deve far meraviglia che intorno alla sua storia si abbia una ricca letteratura, a cominciare dagli scarsi accenni degli scrittori e cronisti medievali fino alle dotte monografie di Storia e d’Arte apparse in questi ultimi anni. Gli antichi storici pavesi ritennero che la Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro sia stata fondata ai tempi di S. Siro, vescovo della città. Il Bossi (6) dice: "La Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro fu da S. Siro, nostro primo Vescovo, edificata circa l’anno 70 di nostra salute" e P. Romualdo (7) afferma: "Postquam Apostolorum Principes Neronis gladio Christi litaverunt divinitati, divus Syrus protoepiscopus Ticinensis divi Petri memoriae templum hoc construxit, anno salutis 70, quod ex eiusdem nomine nuncupavit". Però questa affermazione pare non abbia alcun serio fondamento. Infatti non solo nella vita di S. Siro non si trova alcun argomento che rafforzi l’accennata tradizione, ma è dubbio persino il tempo dell’episcopato di S. Siro, che da alcuni si vuole assegnare al secondo o terzo secolo, da altri alla seconda metà del sec. IV (8). S. Siro lo dicono trapassato nel 96 e gli assegnano 56 anni d’episcopato. Sulla data della fondazione di S. Pietro in Ciel d’Oro non si può dire nulla di preciso. Paolo Diacono sotto l’anno 604 dice "apud Ticinum quoque in Basilica beati Petri Apostoli Petrus Cantor fulmine ictus est" (9). Siccome esistevano in Pavia anticamente quattro chiese denominate S. Pietro, sembrerebbe difficile stabilire a quale di esse voglia alludere Paolo Diacono. Però si ritiene con nolta probabilità (10) che egli voglia alludere a S. Pietro in Ciel d’Oro. Così si può ammettere che la Basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro esistesse già al principio del secolo VII. Secondo il Merkel (11), le origini di S. Pietro in Ciel d’Oro sono remote. Il Prof. Romano (12) dice a questo proposito: "Certo la Basilica esisteva prima che Liutprando vi aggiungesse il Monastero […] e non mancano buone ragioni per farne risalire la costruzione fino al VI secolo". Liutprando nel 722 (13) la riformava e l’adornava di pregi così meravigliosi d’esserne ritenuto dai posteri fondatore. Secondo Paolo Diacono il medesimo re fondò il monastero di S. Pietro in Ciel d’Oro: "Hic (Liutprandus) monasterium beati Petri quod foras muros Ticinensis civitatis situm est, et coelum aureum appellatur, instituit" (14). Il titolo di "coelum aureum" apparisce in questo momento per la prima volta, il che permette supporre che la chiesa dedicata a S. Pietro, fu allora, se non fondata, almeno ricostruita ed abbellita. Questa chiesa fu tra le più favorite da imperatori e da papi (15). Essa ci richiama alla memoria indirettamente un periodo glorioso della storia dei Comuni, quando questi, cominciato ad avere coscienza dei propri diritti, rintuzzano gagliardalente la prepotenza imperiale. Enrico II la sera del 14 maggio 1004 nella sommossa fra i suoi soldati e i cittadini, veduto incendiato il proprio palazzo e furente il popolo, riparava a stento in S. Pietro in Ciel d’Oro e nella fuga, buttandosi dalle mura, si rompeva una gamba, donde il nome di "zoppo" (16). Federico Barbarossa (1167), investito dalle armi lombarde, si fermava qualche istante a S. Pietro, e qui, a cavallo, si rifocillava, mentre ingiungeva alle sue soldatesche di passare nel territorio piacentino. La celebrità di questo tempio ci è espressa a chiare lettere da tre grandi scrittori, quali furono Dante, Petrarca e Boccaccio. Il Petrarca (17) lo chiama "devotum piumque consortium". Dante vi dedica una celebre terzina (18) del suo Paradiso, ed il Boccaccio ne fa menzione nel suo capolavoro "Il Decamerone" (19). Questa chiesa aveva anche larghi possessi. Il Pennotti (20) riporta una lettera di Pasquale II del 1105 ad Anselmo abate di S. Pietro in Ciel d’Oro, dove il Pontefice conferma tutti i beni che il monastero di S. Pietro aveva avuto in dono da Papi, Principi e privati, e questi possessi non sono soltanto in Diocesi di Pavia, ma anche in altre (21). Della prosperità e dei possessi di questa chiesa parla anche il Prof. G. Romano (22). La celebrità di questa basilica viene accresciuta da un altro avvenimento importantissimo per il regno di re Liutbrando: la traslazione delle reliquie del grande Vescovo di Ippona dalla Sardegna a Pavia. Paolo Diacono (23) ce la narra in questo modo: "Liutprand quoque audiens, quod Saraceni, depopulata Sardinia, etian loca illa, ubi ossa sancti Augustini Episcopi propter vastationem barbarorum olim translata et honorifice fuerant condita, foedarent, misit et, dato magno pretio, accepit et transtulit ea in urbem ticinensem, ibique cun debito tanto Patri honore recondidit" (24). Siccome però Paolo Diacono non ci tramandò l’anno preciso dell’avvenuta traslazione, è un po’ dubbia questa data. Non si può stabilire l’epoca esatta. Il Muratori dice: "La verità si è che l’anno è incerto ma certissima la traslazione." Questa traslazione accrebbe la fama della Basilica, alla quale volgeva uno sguardo riverente tutto il mondo cattolico, che invidiava a Pavia il privilegio di di possedere un così grande tesoro. E la città di Pavia ogni anno celebrava con gran festa il giorno della traslazione. Date queste brevi notizie sulla basilica, è bene parlare un poco delle comunità religiose che vi abitarono e che più o meno contribuirono ad accrescerne il lustro.

I primi abitatori di S. Pietro in Ciel d’Oro furono i nonaci Benedettini (25), i quali furono eziandio i primi custodi del corpo di S. Agostino. E durante questo tempo la basilica era così famosa, che papa Zaccaria, venuto alla capitale longobardica, vi sostava (2-3 giugno 743) a celebrare i sacri uffici prima d’entrare in città (26). L’anno 997 all’ombra di questo tempio riparava un papa fuggiasco da Roma, Gregorio V. Quivi sebbene profugo raccoglieva un Concilio, in cui promulgava decreti di vario genere sopra argomenti che riflettevano le chiese di Germania e di Francia, raffermava la supremazia papale, e riguardo alla sua cacciata con una calma piena di dignità richiese che i vescovi tedeschi confermassero la scomunica contro l’invasore e predatore della Chiesa (27). Nel 1049 S. Pietro in Ciel d’Oro ebbe l’onore di ospitare un altro sommo pontefice, Leone IX, che vi celebrò un concilio (28). Eugenio III nel 1148 visitò Pavia e sembra abbia onorato il monastero e la basilica con la sua presenza (29). Nel 1167 Federico Barbarossa si fermò a S. Pietro in Ciel d’Oro (30). Nel 1191 l’imperatore Enrico IV emanò un ordine in favore di S. Pietro in Ciel d’Oro (31). Ma ai tempi di Innocenzo III successero gravi disordini nel monastero. Per la cattiva amministrazione e la scarsa disciplina esso si trovò gravato di debiti; inoltre i monaci giunsero a tal segno d’indisciplinatezza, che non volendo sopportare le correzioni del loro abbate, a tradimento l’uccisero. In seguito a questi fatti il Pontefice Gregorio IX sciolse la comunità (1213) ed allontanò i monaci Benedettini da S. Pietro in Ciel d’Oro, affidando le sorti del convento ai Canonici Regolari di S. Crooe di Mortara dell’Ordine di S. Agostino, i quali si stabilirono in S. Pietro in Ciel d’Oro l’11 agosto 1221 (32). Il Pontefice Giovanni XXII con una sua Bolla da Avignone del 23 gennaio 1327 concede agli Erenitani dell’Ordine di S. Agostino di stabilirsi in S. Pietro in Ciel d’Oro. Ma soltanto nel 1331 questi monaci poterono fare ingresso in S. Pietro in Ciel d’Oro e iniziare la fabbrica del loro convento e partecipare all’ufficiatura della basilica. Contemporaneamente gli Eremitani stipulavano coi Canonici certi patti, tra cui si obbligavano a rispettare la giurisdizione e i possessi di questi e a non chiedere, nè accettare privilegi, che potessero in qualche modo ledere i diritti dell’Ordine preesistente (33). Questi religiosi si trovavano già in Pavia antecedentemente officiando nella chiesa di S. Mostiola, la quale mentre prima era povera e lasciata in abbandono, divenne per opera di questi monaci fiorente e ricca. Essi furono reputatissimi e in gran fama tenuti dai Pavesi; e colle loro virtù esercitarono un così gran fascino su ogni ceto di persone, che i membri di altri Ordini Religiosi si sentivano attratti ad abbracciare l’Istituto di S. Agostino; e questo entusiasmo fu tale, che il Vescovo di Pavia nel 1258 fu incaricato ad intervenire per moderare tale passaggio (34). Entrati in S. Pietro in Ciel d’Oro gli Agostiniani, non vennero meno nè le loro virtù, nè la loro fama. Anche i principi mostrarono la loro benevolenza verso il Monastero degli Eremitani; fra questi ricordiamo il Marchese di Monferrato, il quale nel 1358 fa generose offerte per la fabbrica del convento (35), Galeazzo II Visconti conferma le offerte del Comune a S. Agostino e fa altre concessioni ai Religiosi (36); la moglie di lui, Bianca di Savoia, nel suo testamento destina un ricco legato al convento degli Agostiniani (37); e lo stesso Gian Galeazzo fa al convento annualmente una offerta nella festa di S.Agostino (38). Gli Agostiniani, mercè la generosità di questi principi e signori, poterono abbellire con opere pregevolissime S. Pietro in Ciel d’Oro, la più insigne delle quali fu l’arca monumentale che costò 4.000 fiorini d’oro, pari a un quarto di milione delle nostre lire italiane. Ed all’Ordine Agostiniano appartennero anche uomini illustri per santità, dottrina ed amor di patria. Fra i molti basti ricordare Giacomo Bussolaro al quale Pavia nel maggio del 1356, più che al Beccaria e al Marchese di Monferrato dovettela sua liberazione (39). Narra infatti il Villani che è lui, il quale concepisce il disegno di assalire il nemico, lui che conforta il popolo a prendere le armi, divide le squadre, distribuisce gli uffici e prepara ogni cosa per la vittoria; e Bonifacio Bottigella di nobilissima famiglia pavese, consigliere e confessore di Bianca di Savoia, professore di Teologia e Filosofia morale nella nostra Università, il quale fu l’iniziatore dell’Arca (40). In quel secolo XIV tutto l’Ordine Eremitano vive e palpita per S. Pietro in Ciel d’Oro, ed anche per tutto il secolo XV le glorie agostiniane pavesi continuano (41). Il Collegio Teologico dell’Università pavese annovera più di 66 Eremitani, i quali nel corso di poco più di cento anni, recarono uno splendido contributo dell’attività scientifica dell’Ordine Agostiniano all’Università di Pavia (42). Ed essi si segnalarono non soltanto nel campo degli studi, ma anche in quello della pietà. Da ciò ne seguì la grande stima con cui i cittadini si strinsero a loro, ne risultò un gran numero di donazioni, offerte, legati e testamenti fatti a favore degli Agostiniani. Un’altra dimostrazione onorifica verso di loro la troviamo nella premura e sollecitudine con cui ogni classe di cittadini si procurava sepoltura nella chiesa e nel Chiostro di S. Agostino. Anzi alcuni disponevano anche d’essere sepolti vestiti dell’abito dei Religiosi Eremitani. Così il nobile Giov. Antonio Strada (43), la nobile Elisabetta Moruzzi (44). Continuando nella nostra successione, nel 1509 cessarono di appartenere alla basilica di S. Pietro i Canonici Regolari della Congregazione di Mortara, e ad essi succedettero i Lateranensi, i quali vi rimasero fino al 1781 (45). Non bisogna però credere che fra le due comunità religiose, officianti nella medesima chiesa, non sorgessero contese ed attriti. Essi infatti s’iniziarono colla venuta dei Religiosi Eremitani nel 1331. Gli Eremitani si adoperarono grandemente per abbellire la chiesa e promuovere opere spettanti al sacro culto, tanto più che in quel tempo il convento di S. Agostino ci si presenta molto ricco (46). In complesso si può dire che possedeva circa una dozzina di case in Pavia e le sue terre nel contado raggiungevano l’estensione di circa 2.000 pertiche, apportando al convento una rendita annua di circa 60 sacchi di frumento, oltre il vino, e circa 1.000 fiorini d’oro in denaro, senza contare tutto quello che al convento proveniva per elemosine, funzioni, offerte e legati testamentari. Ma sorsero tra Canonici ed Eremitani attriti che andarono sempre più inasprendosi. Gli Agostiniani avevano avuto incarico dalla Bolla di Giovanni XXII del 1327, di onorare in particolar modo il santo fondatore, inoltre avevano il diritto di fondarsi un convento presso S. Pietro in Ciel d’Oro ed anche quello di comprarsi il terreno dai Canonici Regolari. Per alcuni contrasti sorti relativamente al prezzo, i Canonici Regolari ricorsero al Pontefice Urbano VI (47) e si ebbe il famoso processo del 1385, che si prolungò sino alla fine del secolo. La sentenza del 1392 di condanna per gli Eremitani fu in seguito riformata dal Tribunale superiore. Bonifacio IX nel 1394 cassò la parte più gravosa della sentenza del Vescovo di Pavia e l’altra parte non cassata fu dal Papa rimessa all’arbitrio del Card. Cosimo Migliorati, il quale temperò ancora di più la sentenza del 1392 (48). Nel 1509 s’introdussero i Canonici Regolari Lateranensi (49), i quali stabilirono patti e convenzioni con gli Eremitani, e allora si hanno liti ancora più clamorose. I Canonici Regolari ottengono che il senato si interessi in loro favore e stabiliscono nuovi patti cogli Eremitani; nonostante questo, scoppiano nuove liti, il che era da prevedersi, in quanto che è impossibile che fra due comunità religiose, officianti nella stessa chiesa, non sorgano delle contestazioni, sia pure in casi di lieve momento. Del resto, questo è sempre avvenuto anche altrove. All’Archivio di Stato di Milano vi è tutta una serie di pergamene riguardanti le controversie che per secoli si svolsero tra i Religiosi ed i Canonici offìcianti insieme in S. Ambrogio di Milano. Il Talini dice che quello era il secolo dei litigi (50). Cita quello chiassoso tra Bollandisti e Carmelitani. Fra i due Istituti religiosi esistevano già ab antiquo, controversie riguardanti la precedenza d’origine da S. Agostino, volendo l’uno dimostrarsi più agostiniano dell’altro (51). Sorge poi la questione per l’ubicazione del corpo di S. Agostino, ed i malumori e le discordie fra le due corporazioni, facendosi sempre più aspre, dovettero provocare all’uopo Bolle pontificie. Gregorio XIII nel 1580 spedì lettere ad Ippolito Rossi, le quali inibivano qualunque ricerca intorno al corpo di S. Agostino, sotto pena d’una maggiore scomunica (52). Nel 1600 comparve il Libro Rosso di Giovanni Imperatore, il quale metteva dubbi sull’esistenza del corpo di S. Agostino nella cripta della detta Chiesa (53). Uscirono poi opuscoli diretti appunto a scalzare la generale credenza che S. Agostino esistesse nella cripta, vennero fuori iscrizioni (54); si ebbero anche scrittori, i quali finirono col piegarsi dinanzi a tanti dubbi come il Breventano, Bernardo Sacco, il Pennotti (Canonico Regolare), e negarono che il Corpo scoperto l’anno 1695 fosse quello di S. Agostino. I Canonici Regolari per far trionfare la loro opinione ricorsero anche ad altri mezzi. Glicerio Landriano, preposito nell’anno 1627, cercò un altro S. Agostino nel sotterraneo di S. Pietro in Ciel d’Oro, sotto un sasso segnato in conformità del famoso Libro Rosso (55): "sotto l’altare di S. Appiano e sotto il luogo segnato dalla bianca pietra si trovò un’arca di mattoni ed entro ad essa si trovarono alcune ceneri ed ossa di morto…, ma perchè non si trovò scrittura alcuna, si lasciarono così nel suddetto luogo per alcuni giorni, ma considerando che stando così in quel luogo aperto e conosciuto avrebbero potuto patire qualche danno, comandai che le dette ossa e ceneri fossero levate da quel luogo e consegnate a me alla mia camera" ecc. Dice poi che fece fare una cassetta di legno dentro alla quale in uno "scatolino di piombo ho fatto riponere una carta pergamena per memoria del fatto con le infrascritte parole: "Ossa et Cineres in sacello sancti Appiani sub lapide signata reperta sunt, ubi fama fert, opinio suadet reliquias fuisse magni Patris Augustini ubi manet sepulcrum, pignora novissimae, hic sunt translata ad laudem dei, qui gloriosus in omnibus sanctis suis". E questo fece a suo arbitrio, contro ogni disciplina ecclesiastica e canoni pontifici. In seguito a questi fatti, l’urto che già da tempo esisteva fra i due Ordini si inasprì sempre più, e Urbano VIII nel 1635 (56) intervenne per sedare le discordie e stabilì l’ufficiatura alterna dei due Ordini. Dati adunque tutti questi antecedenti si può immaginare quale sia stata la condizione degli animi degli uni e degli altri contendenti all’epoca dello scoprimento delle ossa di S. Agostino. Ed ora veniano e trattare appunto di questo scoprimento.

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(5) DE DARTEIN F., Étude sur l’architecture Lombarde, Paris 1865-1882, pag. 26.

(6) Biblioteca Univer., Ms Tic. n. 182 - Chiese, pag. 626 (Ms Ticin.).

(7) GHISONI P.R., Flavia Papia sacra, part. I, p. 77.

(8) MAIOCCHI R., Le tradizioni sull’apostolicità di S. Siro, Pavia, Fusi, 1901; MAGNI, Cronotassi dei Vescovi di Pavia, 1894, pag. 898.

(9) P. DIACONUS, Historia Longobardorum, lib. IV, n. 31 in MGH, Ed. Waitz et Bethmann - Scriptores, pag. 12 e segg.

(10) CAPSONI S., Memorie storiche di Pavia, t. III, CLXXX.

(11) MERKEL, Epitaffio d’Ennodio, 1876, p. 99.

(12) ROMANO G., Carlo IV di Lussemburgo a Pavia, in Bollettino della Soc. Pav. di Storia Patria, 1905, pag. 380.

(13) TALINI P., Scritti di Storia e d’Arte, Milano 1881, p. 150.

(14) P. DIACONUS, Historia Longobardorum, lib. VI, cap. 58, in MGH, Ed. Waitz et Bethmann - Scriptores, pag. 12 e segg.

(15) Vedi o.c., LANZANI A., Le concessioni immunitarie a favore di monasteri pavesi nell’alto Medio Evo, in Bollettino della Soc. Pav. di Storia Patria, fasc. I - II, 1910, pag. 22 e segg.

(16) QUINTAVALLE F., La sommossa e l’incendio di Pavia nell’anno 1004, in Bollettino della Soc. Pav. di Storia Patria, fasc. IV, 1901, pag. 12.

(17) De rebus senilibus, 1, V, Ep. 1.

(18) DANTE A., Divina Commedia, Par. X.

(19) Gior. decima, n. X.

(20) PENNOTUS, Historia tripartita, pag. 202.

(21) Nel vescovado pavese a Villarasca aveva possessi, così pure a Lardirago; nel vescovado milanese, in quello di Como, di Lodi, di Piacenza, di Tortona, di Vercelli, di Parma, ad Alpeplana e perfine a Firenze.

(22) ROMANO G., Archivio Storico Lombardo, 1895, ser. III, vol. IV.

(23) P. DIACONUS, Historia Longobardorum, lib. VI, n. 48, in MGH, Ed. Waitz et Bethmann - Scriptores, pag. 12 e segg.

(24) Le parole di Paolo Diacono sono desunte dal Ven. BEDA, Chronicon sive de sex aetatibus huius saeculi, 4680 - in Mon. Hist. Britannica, vol. I, pag. 101.

(25) MAIOCCHI R. – CASACCA N., Codex diplomaticus Ord. S. Augustini, vol. I, Introd., pag. XV.

(26) Liber Pontificalis, Ed. Duchesne, vol. I, pag. 430.

(27) GREGOROVIUS, Storia della Città di Roma nel Medio Evo, trad. ital., vol. 3, p. 511

(28) JAFFE-LOEWENFELD, Regesta pontificorum romanorum, vol. I, p. 531.

(29) ROBOLINI, Notizie, vol. III, pag. 111; JAFFE-LOEWENFELD, Regesta pontificorum romanorum, vol. II, p. 58, n. 9274.

(30) OTTONE M., Anonymus de rebus laudensibus, in MGH, vol. 18, pag. 608.

(31) Manosc. Bossi, Chiese, fol. 634 Biblioteca Univ. di Pavia.

(32) Dalla Bolla di Onorio III, 13 giugno 1221, in PENNOTTI, Gen. Can. Reg. Historia tripartita, lib. I, cap. 62, n. 1.

(33) ROMANO G., Eremitani e Canonici Regolari in Pavia nel sec. XIV, in Archivio Storico Lombardo, cit., 1895, p. 11; Ms Bossi, Chiese, Biblioteca Univ.

(34) Doc. in Arch. di Stato di Milano, Sez. Storica, Autografi, Vescovi di Pavia.

(35) TORELLI L., Secoli Agostiniani, vol. VI, p. 39.

(36) Arch. Museo Civico, Atti di provvisione, pacoo 28.

(37) DELL’ACQUA S., Bianca Visconti di Savoia, Pavia 1893, pp. 101-107.

(38) Museo Civico di Storia Patria, Pavia, Arch., pacco 208.

(39) ROMANO G., Eremitani e Canonici Regolari, cit. , in Archivio Storico Lombardo, cit., 1895, p. 20.

(40) Ms Bossi, Chiese, Biblioteca Univ.

(41) Codex diplomaticus, cit., vol. II, Introd., pag. V.

(42) Ms Bossi, Studio, Biblioteca Univ.

(43) Arch. Notarile di Pavia, Atti di Giov. Ant. Strada.

(44) Arch. Notarile di Pavia, Atti di Agostino Gravanago.

(45) TALINI, o.c., pp. 136-137; Manosc. Bossi, Chiese, Biblioteca Univ. di Pavia.

(46) Codex diplomaticus, cit., vol. II, Introd., pag. XXIV.

(47) ROMANO G., Archivio Storico Lombardo, 1895, Eremitani e Canonici, pag. 33.

(48) Archivio di Stato di Milano, S. Pietro in Ciel d’Oro, Libro Rosso, fol. 133v – 139r.

(49) Ms Bossi, Chiese, Biblioteca Univ.

(50) TALINI, o. c., pag. 137.

(51) Codex diplomaticus, cit., vol. V, VI, doc. 1018.

(52) Ms Bossi, Chiese, Biblioteca Univ.

(53) Riguardo a questo libro, che si trova nella Bibl. Univ. fra i manoscritti n. 32, osservo come non sia degno di molta fede, in quanto che narra la traslazione Basiliana che è falsa, poiché i Canonici Regolari non esistevano ai tempi di Carlo Magno (774). Inoltre infine vi è una memoria la quale fa notare come un diploma del 918 sia falso.

(54) Ms Bossi, n. 190.

(55) Ms n. 428 Bibliot. Univ. , Del S. Corpo, Chiesa ed altare di S. Agostino, cartella senza busta A. n. 15.

(56) Ms Del Corpo di S. Agostino, Bibliot. Univ., n. 428, con busta A.

 

CAPITOLO II

SCOPRIMENTO DELLE OSSA DI S. AGOSTINO AVVENUTO IL 1° OTTOBRE 1695

NELLA CHIESA DI S. PIETRO IN CIEL D’ORO

E POLEMICHE CHE NE DERIVARONO INTORNO ALL’IDENTITÁ

L’anno 1695 per i restauri della Basilica alcuni muratori stavano lavorando nello scuruolo o Confessione della Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, quando rompendo un muro, si venne a scoprire un’urna in laterizio, tra l’altare e il porro (57). Caduto quell’involucro, apparve una cassa di marmo con scrittovi sopra AUGUSTINUS, racchiudente un’urnetta d’argento contenente ossa e polvere. L’apertura della cassa di marmo, sigillata ai quattro angoli con clavicole di ferro, venne fatta alla presenza di due superiori di S. Pietro e di S. Agostino, quindi venne chiamato Mons. Vicario ed il Cancelliere, e per aprirla si dovette rompere un pezzo di marmo ai quattro angoli (58). Si procedette poi ad altre visite successive e all’esame delle ossa fatto da Carlo Gualla, Chirurgo, eletto dal R. Vicario. In un baleno si diffuse la nuova che s’era trovato il corpo del grande Africano e un grido generale di gioia rispondeva a questo annuncio. Senonchè sorsero subito dubbi per non avere altri documenti importanti sull’identità del medesimo corpo. Intanto il preposito dei Canonici Regolari di S. Pietro in Ciel d’Oro ed il Priore degli Eremitani del convento di S. Agostino fecero istanza presso la Curia Vescovile, perchè desse un giudizio sull’identità del corpo del Santo Dottore. E per alcuni anni "si continuò la causa d’identità di quelle ossa con quelle di S. Agostino contro il fisco opponente con sommo valore, ed agivano a favore di essa identità unitamente le due religioni avendo perciò eletto di commune consenso per avocato a favore dell’identità il padre Michael Colli, barnabita" (59), come lessi in un documeato (presentato Idibus novembris 1704, firmato T.C. Zacchias papiensis) dove si perora dinanzi al tribunale che si prosegua la causa dell’identità, benchè il moderno preposito di S. Pietro si fosse ritirato dalla comunanza della causa. Intanto che questa causa veniva discussa davanti al tribunale, cominciarono a diluviar libri grossi e piccoli, in italiano ed in latino, eruditi e sciocchi, di buona e mala fede, e qualcuno non scevro di frizzi poco benevoli (60). Alcuni autori scrissero sotto il loro vero nome, altri si nascosero sotto pseudonimi. La questione della scoperta del corpo del grande Dottore africano infervorò talmente gli animi che anche illustri storici scesero nella lotta e ruppero qualche lancia a favore degli uni o degli altri. Per gli Agostiniani il Fontanini, e per i Lateranesi il Muratori (61). E accanto a questi due principali, numerosissimi altri polemisti (62), che pur mantenendosi quasi in tutto nell’orbita dei due capi-scuola, sostennero l’una o l’altra tesi. A por termine a tutte queste controversie intervenne la santa Sede (63). Papa Benedetto XIII incaricò il Vescovo di Pavia, Francesco Pertusati, di riassumere la lite e di finirla. Dopo sei mesi di accurato esame, dopo aver tenuto conto dei pro e dei contro, presentati nel processo e dopo aver sentito il parere favorevole di illustri uomini, il 19 luglio 1728 dichiarò "erser quello il corpo di S. Agostino, dottore della Chiesa", ed il Pontefice ratificò il 22 settembre siffatta sentenza (64). Nonostante la sentenza del Pontefice, favorevole all’identità, rimase ancora qualche dubbio intorno ad essa. A me spetta appunto esaminare le ragioni addotte dai sostenitori e dai detrattori a sostegno della propria tesi, e vedere quali di essi abbia ragione, o almeno per chi si potrebbe propendere, ed alla luce della critica di oggi, vagliare i documenti da essi portati, lumeggiarne alcuni trascurati, ed altri nuovi rintracciati. Esamino a tale scopo le ragioni addotte dai due principali polemisti: Muratori e Fontanini, per formarsi poi un giudizio esatto intorno a questa questione, non trascurando al tempo stesso, man mano che mi si presenterà l’occasione, di volgere lo sguardo anche agli altri polemisti e vedere se in qualche cosa si staccano dai due principali. Il Fontanini pubblicò la sua opera "De corpore sancti Augustini" (65) a Roma coi tipi di Rocco Barnabò l’anno 1728. Il libro del Muratori fu divulgato durante il dibattimento della causa e sparso in molte copie (66). Questo 1o ricavo da un manoscritto (Biblioteca Univ. pacco 428) "che i Canonici Regolari mandarono le opere del Fontanini e Gregorio di S. Elpidio a persona dottissima perché li facesse pronta risposta".

1° - Tanto il Muratori che il Fontanini si accordano nell’ammettere l’avvenuta traslazione delle ossa a Pavia per opera di Liutprando, e di questo fatto abbiamo concordi tutti gli storici che parlano di proposito o ne accennano (67).

2° - Il Fontanini scrive (68) che la basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro fu costruita dal re Liutprando "ob unum Augustini corpus in eius confessione deponendum" (69) e in questo non mi sembra esatto, come noi abbiamo notato in principio. Infatti il Muratori cita la testimonianza di Paolo Diacono (70), il quale dice che, regnando re Agilulfo circa l’anno 605 "apud ticinum in basilica beati Petri Apostoli Petrus cantor flumine isctus est", e siccome non aggiunge "quae ad vincula dicitur", sembra appunto riferirsi alla chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, la quale sarebbe stata edificata prima di Liutprando. E noi abbiamo visto al Capitolo I del nostro lavoro quale sia il parere dei dotti intorno a questa data.

3° - Riguardo al luogo dove furono deposte le ossa, il Fontanini cita la confessione (71), e porta come testimoni l’anonimo Strozziano, S. Rodobaldo e Vincenzo Belluacense. Ma il Muratori (72), fa osservare che di questi scrittori il primo scrisse dopo 500 anni dalla traslazione (la sua storia pare condotta fino al 1200), S. Rodobaldo scrisse la sua cronaca l’anno 1236 e Vincenzo Belluacense non fa che ripetere quanto ha detto l’anonimo Strozziano. Per noi queste testimonianze possono avere importanza, in quanto che ci attestano quale era l’opinione pubblica relativamente al sacro deposito all’epoca in cui scrissero i sunnominati scrittori, ed osserviamo che questo argomento del Muratori indebolisce troppo l’autorità che a questi scrittori spetta, mentre poi nel caso particolare, come risulta dal contesto, essi determinarono esattamente il luogo preciso ove nel 1695 venne scoperto il sacro Corpo. Il Muratori dice (73) che esiste la costante tradizione che le ossa di S. Agostino giacciano in S. Pietro in Ciel d’Oro, ma non "inter puteum et altare"; però il Fontaniai ed i sostenitori dell’identità (74) portano a loro appoggio la Bolla di Bonifacio IX del 1400, dove si dice "et quoniam per individum veniunt altare maius et altare inferius iuxta corpus beati Augustini" (75). Sebbene il Muratori obietti che questo "iuxta" è un’indicazione molto vaga, invece si ricava come questa indicazione sia esatta in quanto che dalla consultazione dei vocabolari "iuxta" significa: presso. Ed ancora 13 Sommi Pontefici, da Pasquale II a Urbano VIII, cioè dall’anno 1105 fino al 1635, hanno sempre parlato con un medesimo tenore sopra l’identità e notoria esistenza del corpo del Santo nel luogo stesso in cui fu trovato (76). Inoltre Giovanni XXII dichiara solennemente in un suo diploma dell’anno 1326, che in tale luogo era sepolto (77).

4° - Un argomento importante per i sostenitori dell’identità è quello della cassa d’argento in cui si trovarono racchiuse le ossa controverse, la quale secondo il Fontanini attesta la magnificenza di Liutprando; inoltre egli cita una lunga serie di casse d’argento fatte per le reliquie dei principali patroni delle chiese (78). Il Muratori di riscontro (79) oppone che le casse di argento servivano anche a venerare le reliquie non soltanto dei re, ma anche di vescovi, abati, ed altri fedeli. D’altra parte, dice, tale cassa è poco conveniente alla magnificenza di un re e al merito singolare dell’insigne Dottore della Chiesa: "E’ vero ch’essa è d’argento, ma di piccola mole e di rozza fattura". Il Fontanini (80) attribuisce la fabbrica della cassetta d’argento a Liutprando, dicendo che per testimonianza del padre Monfaucon e del Padre Romualdo al di fuori della cassa ORBICULARIS FERE POSITA ERAT SUPRA CRUCEM EX LAMULIS COMPACTAM, CUI CRUCI SIMILES TRES ALIAE VISAE CUM EFFIGIE SALVATORIS ET CUM LITERIS I. C. (IESUS CHRISTUS). Il Muratori (81) di riscontro osserva di non poter credere che il nome o il volto di Gesà Cristo fosse un distintivo di re Liutprando, quando esso è sempre stato comune a tutti i fedeli e comparisce in parecchi monumenti dell’antichità cristiana come osservano il Bosio, l’Aringhi e altri. A questo riguardo G.A. Sassi (82) dice: "compacta ex caelato argento arca, Crucibus et vultu Salvatoris munita, quod familiare signum erat Liutprando iconoclastis summopere infenso". Noi a nostra volta possiamo osservare riguardo alle dimensioni della cassetta: era di piccola mole, poiché le ossa non facevano uno scheletro, ma erano riunite in modo da occupare il piccolo volume di un recipiente che fosse atto al trasporto. D’altra parte se non mi sembra del tutto esatto quanto il Fontanini dice delle teche d’argento destinate ai patroni delle chiese e del loro speciale valore e preziosità, come delle insegne e monogrammi di Liutprando sulla cassa di S. Agostino, è però inesatto che una custodia d’argento poco conviene alla magnificenza di un re, e al merito singolare dell’insigne Dottore della Chiesa. Questa cassa d’argento, lunga m. 0,70, larga 0,37 e alta 0,27, pesa once 220. Tenuto conto del valore dell’argento e dell’oncia, si ha che il prezzo di detta cassa è di circa 1.100 lire, al tempo di Liutprando valeva almeno il decuplo. Adunque non era un valore tanto disprezzabile. Riguardo agli ornamenti esteriori e alla forma della cassetta, ch’io ho potuto vedere attraverso la grata dell’altare maggiore, dirò che, esaminando diligentemente la forma della cassetta rettangolare con coperchio a tetto di quattro pioventi, e specialmente se si considerano le crocette d’argento dorato infisse ai fianchi ed ornate ad impressione con rozze facce umane, il nostro pensiero è portato a un’arte poco elevata, quale poteva essere sensibile o nell’Africa settentrionale o anche nelle isole del Tirreno prima del dominio dei pirati Saraceni (83). Aggiungo poi un altro argomento, intendo cioè parlare della cassa di marmo racchiudente quella d’argento. Questa cassa da me visitata ed osservata al Museo Civico di Pavia, è una cassa robusta della lunghezza di metri 1,87, della larghezza di m. 0,64 e dell’altezza di m. 0,94. Essa è costruita in modo che serve a racchiudere appunto l’altra cassetta, quella d’argento. Ai quattro angoli si scorge la rottura che vi si fece per sollevare le chiavicole di ferro. Sul coperchio della tomba, in epoca posteriore, vi fu incisa l’immagine di S. Agostino in abito vescovile, figura che si ritiene della fine del secolo XV. A metà del coperchio vi è poi una croce longobardica, da nessuno notata sin qui, della medesima forma di quelle che si trovano sulla cassetta d’argento (84) e nelle collezioni dei Musei di Brescia, Pavia e Cividale, aventi cioè le braccia colle estremità che vanno leggermente allargandosi (85). Questa croce, secondo me, indicherebbe che la cassa di marmo è dell’epoca longobardica, al pari di quella d’argento; e questo mi sembra un valido argomento per l’identità delle ossa di S. Agostino.

5° - Il Fontanini parla poi del nome AUGUSTINUS scritto sulla calce al di sopra della cassa e ancora sul coperchio di essa (86). A questo proposito mentre prima il Muratori (87) dichiara di trovarsi anch’egli immerso in una gran notte, in seguito discute sul nome Augustinus e sulla più o meno leggibilità di queste lettere. Aggiunge inoltre che nella prima visita non s’era trovata alcuna iscrizione né memoria. E’ vero che il nome di Agostino non fu trovato dal Vicario Generale, perchè quando egli venne, già era stata tolta tutta la parte superiore di mattoni e di calce, ove queste lettere si erano ritrovate e sparite sotto i colpi di martello degli inesperti muratori, ma queste lettere furono vedute da parecchi, anche dal preposito dei Canonici Regolari (88), e dal Priore degli Agostiniani. Ed è per questo che essi indussero testimoni, che anche in presenza del promotore fiscale confermarono quanto avevano veduto e letto. Il Fontanini è esatto nell’asserire che le lettere non erano di carattere gotico, poiché come ho esaminato negli Atti autentici episcopali, questo aggettivo qualificativo di gotico i testimoni citati non l’hanno mai affermato (89); come pure il Muratori cita alcune frasi, ripetute dai testimoni inesattamente, poiché egli le ebbe dal Padre Bellini che io ho riscontrato non conforme agli atti (90).

6° - Il Fontanini (91) dice che i corpi dei Santi e di S. Agostino, secondo i riti della Chiesa, sono sepolti nella confessione sopra terra, fra la parete e l’altare, e porta esempi adatti a tale proposito. Il Muratori cita un passo dell’Anonimo Ticinese (92) in cui si dice "corpus beatissimi Augustini in profundo et secretissimo loco incluserunt ne sibi ab ullis regibus vel principibus auferretur". Ed inoltre la cronaca di S. Rodobaldo "in fundo confessoris". Il Muratori (93) fa notare come negli antichi tempi vigesse la pessima consuetudine di rubare le reliquie dei santi per arricchire le chiese o per venderle. Che i Longobardi furono avidissimi in questo, che i Tedeschi e i Francesi poi andavano continuamente cercando di ottenere simili sacri pegni dall’Italia, di qui avveniva per necessità che i servi di Dio e gli abitanti delle città per timore dei nemici trasportavano altrove questi sacri pegni e facevano questo occultamento, e cita egli pure esempi. L’Anonimo Ticinese citato, che anche secondo il Muratori è degno di fede, sia per la sua antichità, sia per l’esperienza delle cose di Pavia, scrive però parecchi secoli dopo avvenuto il fatto, quindi egli induce una leggenda che esprimeva il timore in cui si viveva durante le guerre, che veramente le reliquie dei santi fossero trasportate altrove; ma che quel "profundo" debba significare luogo al di sotto del pavimento e quel "secretissimo" luogo del tutto ignorato, non si potrebbe spiegare come mai si fosse stabilito che s’andasse a visitare il sepolcro del Santo una volta la settimana, come narra in seguito lo stesso Anonimo Ticinese (94). Riguardo alla cronaca di S. Roboaldo occorre vedere l’opera del Boni e del Maiocchi (95). In essa leggesi: "In confessore iacet corpus gloriosi doctoris ecclesie b. Augustini episcopi", non "in fundo confessoris", come appare nel codice del Robolini e presso alcuni altri polemisti. Il Fontanini al capo 29 sembra deridere coloro che ritenevano trovarsi i corpi dei Santi in luogo profondo e segretissimo. Al Muratori (96) sembra strano che un sepolcro isolato sopra terra e come abbandonato in una cripta che tutti i ladri avrebbero saputo trovare e toccare, possa convenirsi ad un Santo della grandezza di Agostino, tenendo inoltre presente che negli antichi tempi la Basilica dove si conserva un così gran tesoro era fuori della città e perciò senza difesa. Io che ho potuto visitare lo scurolo attuale e vedere il luogo dove giaceva il prezioso deposito, ritengo che non si possa dire che il sacro pegno fosse esposto ad ogni sorta di ladri o di predatori. Per accedere allo scurolo vi sono solidi cancelli di ferro e questi esistevano già ab antiquo, come appare dai disegni che lo rappresentano, dell’epoca dello scoprimento, ed anteriori ad esso; si vede inoltre come esistesse un’altra cancelleta pure di ferro, che separava l’altare dai fedeli. Come io ho veduto, vi è poi un’arca in mattoni, la quale ne conteneva un’altra di marmo molto pesante e solidissima, chiusa ai quattro angoli da chiavicole di ferro, la quale cassa di marmo non si sarebbe potuta aprire se non con grande sforzo e rumore, come avvenne nella prima visita fatta dal Vicario vescovile in cui si dovette lavorare molto per aprirla. All’apertura di detta cassa, avvenuta nel 1695, si dovette inoltre rompere il marmo medesimo (come appare ai quattro angoli della cassa di marmo da me pure osservata al Museo Civico di Pavia). Dentro a questa cassa finalmente si trovava la cassetta d’argento, la quale poteva dirsi, a mio parere, abbastanza ben protetta e salvaguardata. E che detto corpo fosse "sufficientemente custodito in quell’arca di marmo, chiusa non soltanto dal muro, ma anche legata con quattro cinghie di ferro coi sigilli impiombati" ce lo dice il De Collibus (97), eletto a difensore dell’autenticità delle reliquie nel processo del 1695 da entrambe le comunità religiose.

7° - Alcuni autori sia favorevoli che sfavorevoli alla identità, dalla cronaca di Brescia ricavano che per timore dei Galli, il corpo dal Santo fu levato dall’arca da due santi uomini, il beato Basilio e Fiorenzo e posto nello stesso oratorio sotto l’altare. Da quell’oratorio poi, secondo i medesimi autori (98), il corpo del Santo, dopo quarant’anni sarebbe stato riportato nella Confessione, dove venne scoperto nel 1695. E riguardo ad essi stiamo col Muratori, il quale dice che non sa con quale fondamento essi scrivessero di tempi tanto da loro lontani. D’altra parte essi cadono in contraddizioni non sapendo asserire con sicurezza l’epoca del trasferimento e della restituzione al luogo primitivo. La traslazione nell’oratorio di S. Appiano delle sacre reliquie sarebbe avvenuta sotto Carlo Magno per opera dei Canonici Regolari, i quali non esistevano in S. Pietro in Ciel d’Oro in quel tempo (99), e da questo risulterebbe che è falsa. Il Fontanini non vi da alcuna importanza. Noi a nostra volta dobbiamo asserire ch’essa è del tutto infondata, soprattutto perchè ricavata dalla cronaca di Brescia, della quale il Callini, ch’è appunto uno degli autori sfavorevoli all’identità dice (100): Questa cronaca o è quella di Guerrini Cerreto, o è la compilata da Bonifacio o Paolo Borelli, i quali scrittori sono per nulla degni di fede.

8° - Il Muratori (101) dice che nel secolo XVI si riteneva occulto il sepolcro del Santo, "Anzi perchè maggiormente s’intenda che la comune opinione della città era la stessa che quella dei sopra mentovati storici, sappiasi che nella sala del Collegio dei Padri della Compagnia di Gesù in Pavia si mira tuttavia una pittura, giudicata del medesimo secolo sesto decimo, che rappresenta l’occultazione del sacro corpo di S. Agostino, che si pretende fatta da Liutprando coll’iscrizione: Tumulos Divo Augustino in Basilica divi Petri extruxit tres ecc.". Questa pittura non fa altro che corrispondere alla leggenda di alcuni di questi scrittori, ma non è storica, ma fantastica, per questa ragione che i religiosi Agostiniani e Canonici Regolari colà dipinti presenzianti la sepoltura di S. Agostino, non esistevano in S. Pietro in Ciel d’Oro in quel tempo.

9° - Il Fontanini e gli altri sostenitori dell’identità (102) citano come prova la lampada accesa davanti all’altare dello scurolo e allegano per questo l’autorità del Padre Mabillon (103), il quale trovandosi nel 1686 in Pavia dice "Attamen in cripta sub altari, ubi corpora sanctorum olim solebant, mausoleum extat ex lapidibus coctis, et lampas ardens ante mausoleum". Il Muratori però fa osservare che trascurò il passo in cui si dice (104): "Liutprandus auctor fuit transferendi ex Sardinia Ticinum corporis sancti Augustini quod modo ibidem incerto loco latet". Secondo il Muratori (105) "quella lampada così solitaria altro lume non può spandere che contro le moderne pretensioni di chi scrive in favore dell’identità". Ma questa asserzione del Muratori è gratuita come risulta da documenti, poiché la lampada era tenuta per il corpo di S. Agostino. Ed il Mabillon allora non fa altro che ripetere quanto aveva udito dagli stessi Canonici Regolari e letto in quegli autori che riportano la leggenda, per alcuni libri comparsi nei quali si spargevano dubbi, per alcune iscrizioni inesatte o false lette nella basilica e per un supposto corpo di S. Agostino veduto altrove. Che la lampada servisse realmente per indicare la presenza colà del corpo di S. Agostino è confermato invece da molti altri argomenti (106).

10° - Il Muratori (107) dice che per testimonianza del Gualla, dell’Anfosso e di altri storici pavesi, Liutprando con le ossa di S. Agostino, riportò dalla Sardegna altri corpi di Santi, alcuni di questi vennero a Pavia e secondo lo stesso Muratori potrebbe darsi che alcuno di essi sia stato posto anch’esso nello scurolo. Ma queste sono semplici sue supposizioni, perché sappiamo i luoghi precisi dove sono sepolti tutti i corpi dei Santi ritrovantesi in S. Pietro in Ciel d’Oro, autenticamente riconosciuti dalla cronaca di S. Roboaldo.

11° - Il Muratori (108) fa osservare come sia strano che, dopo aver deposte le ossa di S. Agostino in un luogo, come egli dice, così inadatto alla sua grandezza, non si sia voluto neppure con un segno attestarne la presenza; inquantochè "un giudice saggio non deve certamente prestar fede alla parola "Agostino" disegnata con carbone" - ma a me sembra che il Muratori si contraddica, perchè altrove dice che il corpo del Santo venne sepolto in un luogo profondo e segretissimo, affinchè durante i tempi burrascosi a cui fu sottoposta Pavia, non cadesse in mano di ladri o di predatori; ora qui vorrebbe che in un sepolcro dozzinale (com’egli lo chiama) sopra terra, si ponesse un indizio il quale avrebbe potuto acuire maggiormente la cupidigia dei predatori.

12° - Il Muratori (109) parla della indecente incamiciatura di mattoni che non si conviene punto ad un tale Santo, e passando inoltre a trattare (110) della povertà della tomba, dice che "consiste essa in una semplice arca di marmo levigato, non riguardevole per ornamento od intaglio o segno veruno indicante un tantino quel memorando pegno che ivi si pretende rinchiuso". Ma non potrebbe essere stato questo un mezzo per poter distogliere l’attenzione dei più e far credere che si trattasse di una tomba comune, non di quella di un grande Santo?

13° - Secondo il Muratori (111) un altro fatto comprovante essere fino al 1695 incerto dove giacessero le sacre ossa di S. Agostino, è questo: che i Portoghesi per onorare un sì grande e prezioso deposito decretarono "Bis mille aureos ad duodecim lampadas perpetuo: fovendas coram altari inferioris Sacelli, ubi sacratissima magni Parentis nostri Augustini ossa condita sunt". In seguito però non più d’una lampada arse dinanzi al santo luogo, poiché informati del come stavano le cose, il loro zelo svanì. Ma questo fatto potrebbe essere, a mio parere, avvenuto per la non esecuzione del legato, oppure per altre ragioni ad esso referentisi.

14° - Il Fontanini (112) parla delle ampolle che si trovano nella cassetta d’argento e dice ch’erano "vacuas, nullum tincturae vestigium referentes, quodam oleo plenas fuisse", mentre alcuni difensori dell’identità (113) non negarono essere stati questi tinti di sangue. Questo, secondo il Muratori, indicherebbe che si tratta di un martire e non di un confessore. Il Fontanini (114) dice che esse, come risulta dagli atti, erano vuote, sebbene un tempo avessero contenuto dell’olio. Altri (115) sostengono che erano vuote, non tinte di sangue. Non si può negare che contenessero olio e neppure si può asserire che contenessero sangue, perché nelle visite non vi si accenna (116). Il Sacchi (117) dice che il vescovo di Pavia nel 1832 aprì la cassa ove stavano raccolte le ossa e le visitò, ed aggiunge: "quello che non mi pare doversi scordare è, che si trovarono in quella cassetta le due ampolle cause di tante controversie fra il Muratori e il Fontanini e gli altri. Esse sono due, una più piccola dell’altra. Monsignore le prese e le mostrò ai circostanti sperandole contro il lume. Da questa ispezione siamo persuasi che in quelle ampolle non è mai stato sangue, e pare che quelle si ponessero assieme a quelle sacre ossa con olio e credo con maggiore verosimiglianza con aromati o essenze odorose, come era costume degli antichi". In un altro libro (118) si dice: "il dodici ottobre 1842 si schiuse per la dodicesima volta, dopo il decreto di Benedetto XIII, il venerato sepolcro del Vescovo d’Ippona". E qui si fa l’esame delle ossa e si enumerano. Fra l’altro si dice: "avendo immerso le ossa del Santo nella soluzione di silicato di potassa calda, nel dì seguente la prima immersione, la camera in cui era chiuso il venerato deposito, manifestò la più gradita fragranza; il che dimostra che le sante reliquie avevano assorbito qualche sostanza aromatica e che probabilmente a contenere questa erano state ordinate le due ampolline che erano (e che sono tuttora) nell’urna, come primamente si sospettò". Da accurati studi risulta che l’archeologia (119) oggi non può asserire, come criterio generale, che le ampolle conservate accanto ai corpi santi o ritenuti come tali, siano indizio di martirio, perché non è certo che abbiano quelle contenuto sangue, a meno che non si provi chimicamente tale presenza. Questo sangue non fu trovato affatto nelle ampolle del sepolcro agostiniano. Fu giudicato invece dai periti esservi contenuta piuttosto qualche materia untuosa.

15° - Il Muratori (120) fa notare che come indizio contrario all’identità si deve tener conto anche delle rose, che insieme col volto del Salvatore, si mirano scolpite sulla cassetta d’argento, le quali rose furono prese fin dai primi tempi della chiesa come simbolo di martirio. Cita le parole di S. Cipriano: "ecclesiae floribus eius nec lilia nec rosae desunt". E anche S. Ambrogio il quale dice che negli orti della chiesa "rosae martyrum sunt". Il Fontanini non parla affatto di queste rose. In un’altra scrittura (121) si dice, dopo aver parlato delle croci che si trovano sulla cassetta "in dictis crucibus adsunt quatuor signa impressa in formam stellulae seu rosae". Si vede dunque che non si parla veramente di rose. Infatti, come ho potuto osservare, il disegno di queste rose si può prendere anche come la rappresentazione di altri fiori, perchè è indeterminato, come pure potrebbe essere un motivo geometrico.

16° - Un altro argomento che milita in favore dei sostenitori dell’identità è quello della mancanza del braccio, che si osservò appunto nella visita delle ossa, eseguita da Carlo Gualla, Chirurgo (122). Il Muratori non tratta questo argomento. Ne parlano invece altri sostenitori (123) e citano la testimonianza di Guillelmus Malmesburiensis e del Baronio, i quali attestano che Egelnoto nel 1022, tornando da Roma a Pavia, comperò od ebbe in dono per cento talenti d’argento e un talento d’oro un braccio del Santo. Gli avversari invece (124) disputano intorno al braccio, sostenendo che nell’esame delle ossa si trovò che mancava l’adiutorio, mentre invece i sunnominati scrittori lo chiamano "brachium". Perciò a torto si sostiene che sia quello scoperto il corpo di S. Agostino, poiché ad esso non manca un braccio che venne dato ad Egelnoto, ma l’adiutorio sinistro come risulta dall’esame. Riguardo a tale questione osserviamo che dal Vocabolario italiano del Fanfani abbiamo "braccio s. m. v. g. membro dell’uomo, che incomincia dalla spalla e termina alla mano […] in più stretto significato, braccio dicesi dagli anatomisti quel membro che va dalla spalla al gomito. La questione dunque cade. Come dissi innanzi, i vari polemisti, dei quali quasi tutti (125) scrissero prima di questi due esaminati, trattano in fondo le medesime questioni. Anzi si può dire che i primi due riassumono nelle loro opere tutto quanto era stato discusso in favore o contro l’identità. Ad ogni modo tra di essi meritano di essere ricordati a parte il Beretta e il Sassi; il Bellini ed il Gallini, che sostennero con grande forza le proprie ragioni. Passiamo ora alla terza parte del lavoro, nella quale intendo presentare tutta una tradizione favorevole all’identità, servendomi a tale scopo della testimonianza di scrittori autorevoli, di documenti pubblici e privati, i quali tutti varranno a sostenere la mia tesi.

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(57) Collectio actorum atque allegatorum quibus ossa sacra Ticini in Confessione S. Petri in Coelo aureo anno 1695 reperta esse S. Augustini Hipponensis Episcopi etc., Venezia 1729; TALINI P., Scritti di Storia e d’Arte, Milano 1881, pag. 156.

(58) Collectio actorum, cit., pag. 41, V. 1.

(59) Ms 428 (con busta B. Ticinensis), Biblioteca Univ. di Pavia.

(60) TALINI, o. c., pag. 157.

(61) Per quanto abbia esteso il campo delle mie ricerche su tutto l’epistolario del Muratori, per sapere quali furono le cause che indussero questo illustre storico a partecipare alla polemica, nulla di positivo m’è stato possibile di raccogliere, salvo la presente congettura: che il Muratori scendesse in lizza solo per rintuzzare l’ardore polemico del Fontanini, il quale già in altra occasione (i diritti della Chiesa sul possesso di Comacchio) si era misurato col grande storico di Vignola.

(62) V. Bibliografia speciale della polemica.

(63) TALINI, o. c., pag. 158.

(64) TALINI, o. c., pag. 158.

(65) FONTANINI, De corpore S. Augustini Ticini reperto in confessione aedis Sancti Petri in Coelo aureo, disquisitio, Romae 1728.

(66) Una copia manoscritta (V. Ticinensia, pacco 428) e l’altra "Motivi di credere tuttavia ascoso ecc.", senza data, colle parole "in risposta alle scritture pubblicate questo anno 1728, in favore dell’identità di esso corpo (trovasi in Arch.di Pavia) e un’altra ancora (B. U.), "Motivi di credere ecc", Trento 1730 in Bibliot. Univers.

(67) Beda, Paolo Diacono, Mabillon ecc.

(68) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., cap. XVIII.

(69) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 25.

(70) P. DIACONUS, Historia Longobardorum, lib. IV, cap. 32, in MGH, cit.

(71) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pagg. 24-25.

(72) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 16.

(73) Ibid. pag. 20.

(74) De Collibus, Beretta ecc.

(75) Biblioteca Univ., MS n. 428, cart. A, n. 36.

(76) Ragioni per l’identità del corpo di S. Agostino. Estratte dalla Disquisizione latina di Giusto Fontanini, Roma 1728.

(77) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 64. TORELLI, Secoli Agostiniani, V, pag. 412.

(78) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 52.

(79) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 5.

(80) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 42.

(81) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 8.

(82) Josephi Antonii Sassii Collegio ac Bibliothecae Ambrosianae Praefectus, Epistola apologetica, 1728, pag. 29.

(83) TARAMELLI V., Arte Sacra, Esposizione di Torino, 1898, n. 23, pag. 177.

(84) Dal calco a matita di una di esse su carta velina, che si trova al Museo Civico, ho potuto avare queste dimensioni: lunghezza cm. 14,49, larghezza 11,52, ampiezza dell’estremità delle braccia da 4,50 a 4.

(85) VENTURI A., Storia dell’Arte italiana, Milano 1901.

(86) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 41.

(87) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 14.

(88) Collectio actorum, vol. I, pagg. 63-67.

(89) Atti esistenti in Curia Vescovile di Pavia.

(90) BELLINI V., Dubia ecc., cap. XVI e Collectio actorum, da pag. 65 a 70.

(91) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 38.

(92) Anonymus Ticinensis, Liber de laudibus papiae, in MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., I, XI parte, I, pag. 40.

(93) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 38.

(94) Anonymus Ticinensis, in MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., vol. XI, pag. 41, 1-2. Riguardo al "profundo" notiamo che può significare: alto, sublime, oppure molto oscuro, impenetrabile.

(95) Il Catalogo Rodobaldino dei Corpi Santi di Pavia, Studi e Ricerche dei sacerdoti G. Boni e Maiocchi, Pavia 1901, pag. 25.

(96) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 44.

(97) DE COLLIBUS, Rationes et iura in causa identitatis sacrarum ossium D. Augustini, Agosto 1698.

(98) PENNOTUS, R. GHISONI ecc.

(99) V. test. pag. 13.

(100) CALLINI, Motivi di credere ecc., p. 244.

(101) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 50.

(102) DE COLLIBUS, BERETTA ecc.

(103) MABILLON, Iter italicus, p. 219.

(104) Ibid.

(105) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 70.

(106) Visita di privati ed anche di personaggi illustri, come si ricava dall’esame dei testimoni (Collectio act., I, pagg. 79-81); vi si va a cantare l’antifona.

(107) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 59.

(108) Ibid., pag. 62.

(109) Ibid., pag. 66.

(110) Ibid., pag. 68.

(111) Ibid., pag. 70.

(112) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 73.

(113) DE COLLIBUS, Identitatis reliquiarum corporis S. Augustini, 1697.

(114) FONTANINI, De corpore S. Augustini, o. c., pag. 65.

(115) Vedi alcune considerazioni sopra la causa ora pendente circa l’identità fatte da un religioso Agostiniano.

(116) Collectio act. I, pag. 470.

(117) SACCHI D., L’arca di S. Agostino, Pavia 1832, pag. 12.

(118) I tre venerabili sepolcri di S. Siro, S. Agostino e Severino Boezio nella cattedrale di Pavia, riconosciuti ed ordinati dal vescovo di Pavia, Pavia Fusi 1885, pagg. 64-69.

(119) MARUCCHI, I sepolcri dei martiri nelle catacombe romane; KRANC F., Die Blutampullen der romischen katakomben; MARTIGNY, Dictionnaire des antiquites chretiennes.

(120) MURATORI, Rerum Italic. Script., cit., pag. 84.

(121) De Sacris D. Augustini ecclesiae doctoris reliquiis Anno 1695 Papiae inventis, reperitur in actis tribunalis curiae episcopalis Papiae 1782.

(122) Collectio actorum, cit., vol. I, pag. 42.

(123) DE COLLIBUS, Dell’invenzione del sacro corpo di S. Agostino, e in altri suoi scritti; Ragioni per l’identità del corpo di S. Agostino estratte dalla Disquisizione latina di G. Fontanini, Roma 1728, senza nome dell’autore.

(124) CALLINI M. (Canonico Reg.), Motivi che sforzano a dubitare se le reliquie scoperte… siano identiche, ecc. Cremona 1703.

(125) BAUDINI G., Beretta, Bellini, Callini ecc.

 

 

CAPITOLO III

ESPOSIZIONE DELLA TRADIZIONE FAVOREVOLE ALL’IDENTITÁ

Narra Paolo Diacono (126) che Liutprando acquistò il corpo di S. Agostino in Sardegna e lo portò al Ticino: "Liutprandus quoque audiens, quod Saraceni, depopulata Sardinia, etiam loca illa ubi ossa S. Augustini episcopi propter vastationem barbarorum olim traslata et honorifice fuerant condita, foedarent, misit et, dato magno pretio, accepit et transtulit ea in urbem ticinensem, ibique cum debito tanto patri honore condidit". Questo fatto avvenne tra il 721 e il 725; non si può stabilire l’epoca esatta. "La verità si è che, dice il Muratori, che l’anno è incerto, ma certissima la traslazione". Le parole di Paolo Diacono sono desunte dal Venerabile Beda, il quale ne tratta nella sua Cronaca (127) e nel Martirologio (128). E di questa traslazione avevano già parlato altri martirologi, come quello d’Usuardo (129), che la fissa al 28 Agosto, mentre altri la fissano al 28 febbraio, giacchè la fama di questa traslazione aveva oltrepassato i confini del regno longobardico, spandendosi ovunque nel mondo cattolico, che invidiava a Pavia l’onore di custodire le spoglie del più grande genio del Cristianesimo. Ne avevano trattato anche cronisti. Infatti Sigeberto, l’anno 721 (130) scrive: "ossa sancti Augustini Hipponensis episcopi olim translata ad Sardiniam, vastata modo a Saracenis Sardinia, Liutprandus rex Longobardorum, dato magno pretio transfert Papiam". Dall’anno 734 (131) abbiamo: "Liutprandus rex Longobardorum audiens, quod Saracenis depopulata Sardinia, etiam loca illa foedarent, ubi ossa sancti Augustini episcopi propter vastationem barbarorum olim translata, et honorifice fuerant recondita: misit et dato pretio magno accepit, et transtulit ea in Ticinis, ibique ea cum debito tanto patri honore recondidit". Intanto traevano al sepolcro d’Agostino i fedeli d’ogni parte del mondo. Celebre è la visita di Papa Zaccaria, che giunto sulle rive del Po, fu incontrato dagli ottimati del regno, che lo condussero con solenne accompagnamento in S. Pietro in Ciel d’Oro, dove il giorno dopo, festa del titolare, celebrò solennemente i pontificali alla presenza del re Liutprando; e alla tomba di S. Agostino attinse quella forte eloquenza, che valse a piegare l’animo del re recalcitrante e adirato contro l’esarca Eutichio (132). I pellegrini che passavano per Pavia si soffermavano alla tomba del Santo. E ne abbiano prove negli itinerari e nelle sillogi epigrafiche del secolo VIII e IX (133), che con le memorie di Roma, recano pure quelle del loro omaggio reso al grande Dottore della Chiesa. Wandalbert, monaco Prumiense, che fioriva circa l’anno 851, così celebra la festa della traslazione del corpo di S. Agostino: "Augustine Pater, festo celebraris eodem, Aurea quem servant Italia nunc templa sepultum" (134). Nell’anno 1022 Benedetto VIII celebra un Concilio (135) in S. Pietro in Ciel d’Oro alla presenza di Enrico Imperatore. In tale circostanza il Papa fece solenne ricognizione delle reliquie di S. Agostino, togliendole momentaneamente dal luogo dove erano state deposte da Liutprando. Dinanzi al corpo del Santo, il Papa si prostrò con viva pietà, come pur fecero l’imperatore, i vescovi ed un immenso popolo accorso allo straordinario evento. Fu in tale occasione che Egelnoto, Arcivescovo di Canterbury, ottenne la famosa reliquia agostiniana dell’omero sinistro, custodita dapprima a Coventry (136) e poi all’Abbazia di Gladstone (137). Leone IX sulla tomba di S. Agostino celebra un Concilio il 14-20 maggio 1059 (138). Avvenimento di grande importanza per la basilica di S. Pietro è la solenne consacrazione della medesina, fatta da Innocenzo II agli 8 di Marzo 1132, com’egli stesso ne scrive all’abate Anselmo il 4 Giugno del medesimo anno (139), ciò che dimostra sempre più la venerazione per questa chiesa ove giacciono le insigni reliquie di S. Agostino. Del 1187 abbiamo la testimonianza di Gottifredo (140): "Imperatorem Leonem iniquum et incoregibilem totam Italiam a suo imperio discedere persuasit. Eo tempore reliquie sancti Augustini de Sardinia in Papiam a Liutprando, rege Longobardorum deportantur". Filippo Premonstratense ci è testimonio circa il 1200 della importanza e preziosità del sacro deposito: "Mallem in eclesia nostra (S. Petri in Coelo Aureo) conservari pretiosas reliquias Augustini, quam pomposas Craesi divitias" (141). Galvaneo Fiamma (142) circa lo stesso anno 1200, esce in questa esclamazione: "Ecce perdidisti carochium tuum, expecta quod cito exportabimus rigorosium et postea exportabimus beatum Augustinum et ponemus eum apud beatum Ambrosium". Gregorio IX in una Bolla del 1228 ai Canonici Regolari, motivata dalla loro riluttanza in riconoscere questo monastero come centro della loro congregazione mortariense "Cum igitur quatuor sunt, quae specialiter videatur exigere, videlicet reverentia S. Augustini cuius corpus requlescit ibidem (in S. Pietro in Ciel d’Oro) autoritas loci, devota cleri et populi Papiens…" (143). L’anno 1236, quando "Dominus Rudubaldus episcopus fecit inquirere corpora sanctorum quae erant in civitate Papie", fu trovato il corpo di S. Agostino nella chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro: "In Confessione iacet corpus Beati Augustini", come furono trovati tutti gli altri fuori della cripta (144). Vincenzo Belluacense circa l’anno 1244 scrive (145), dopo aver parlato della traslazione fatta da Liutprando: "quod autem in praedicta ecclesia corporis eius pretiosus thaesaurus reconditus est stupendo et evidenti miraculo elucexit; siquidem in crypta in qua iacet, puteus est qui aliquot annis in die festi superandus totam cryptam supereffluxit". L’anonimo Ticinese, che viveva nel 1330, racconta che mura di Pavia vennero ampliate (146) "propter illum (Augustinum) intra nobis septa servandum, a parte illa per murum tertium tantum terrae spatium incluserunt, quod illud monasterium sancti Petri nunc intra urbis moenia retinetur". L’anno 1327 Papa Giovanni XXII concedendo agli Eremitani di stabilirsi in S. Pietro in Ciel d’Oro colla Bolla "Veneranda Sanctorum Patrum doctorum" dice: "Dignum arbitramur et congruum, ubi tanti doctoris corpus et praesulis tumulatum quiescere dicitur... specialiter honoretur, quatenus inibi tamquam membra suo capiti, filii patri, magistro discipuli, duci milites coherentes deo et ipsi sancto, auctoritate apostolica precordialius iubiletis, ubi et Preceptoris vestri Patris, Ducis et capitis Augustini, noveritus reliquias fore sepultas". Lo scopo del Papa è quello di accrescere il culto al Santo e di riunire i figli al padre, il cui corpo sanno là essere sepolto (147). L’anno 1329 il Capitolo Generale di Parigi commette di trattare coi Canonici per l’edificazione del convento di S. Agostino e: "de custodiendo corpus gloriosum doctoris beati patris Augustini", il che prova che la comune credenza riteneva che appunto lì fosse il corpo di S. Agostino (148). L’anno 1330 l’anonimo Ticinese dice chiaramente che il corpo di S. Agostino esiste nella cripta (149): "Et est sciendum quod visitantes altaria et archas sanctorum corporum, presertim beatorum confessorum Syri et Augustini, qui sunt in cryptis ecclesiarum". E più avanti: "Toto anno feria secunda in ecclesia Sancti Petri in Coelo aureo, ubi est corpus beati Augustini". Qui si obbietta l’altro fatto seguente che dice essere sepolto il corpo di S. Agostino non nella cripta, ma in "profundo et secretissimo loco per talem artificium quod auferri non possent, etiam si illic multi per multum temporis laborarent". Ma qui le parole dell’anonimo non riportano che la leggenda popolare durata sino alla invenzione delle sacre reliquie (1695). D’altra parte ho prima discusso intorno al "profundo" e "secretissimo". Pure dell’anno 1330 abbiamo la testimonianza di Francesco Petrarca (150) il quale in una lettera a G. Boccaccio dice: "Vidisses ubi sepulchrum Augustinus, ubi exilii senilis idoneam sedem vitaeque exitum Severinus invenit, urnisque nunc geminis sub eodem tecto iacent, eum Liutprando rege, qui ipsum Augustini corpus e Sardinia in hanc urbem transtulit, devotum, piumque consortium clarorum hominum…". E continuando la nostra rassegna negli anni, abbiamo un manoscritto (151) dell’anno 1331, in cui dopo aver parlato della chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, si dice: "ubi corpus beati Augustini residet tumulatum". Pure del medesimo anno 1331 abbiano all’Archivio di Stato di Milano (152) un documento in cui si parla della Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro: "ubi corpus eiusdem beati Augustini residet solemniter tumulatum". Nell’anno 1335 Benedetto XII in una concessione agli Eremitani dice, parlando della chiesa di S. Pietro: "ubi corpus gloriosi confessoris Augustini venerabiliter requiescit" (153). L’anno 1338 il Torelli (154) riferisce che il Capitolo Generale di Siena dispone che: "ogni anno si dovesse recitare alli 5 di giugno l’ufficio della Reunione dell’Ordine nostro al sacrosanto e venerando corpo del nostro glorioso Patriarca S. Agostino, e tutto ciò perché in detto giorno fu dato all’ordine nostro il possesso d’un sito appresso la chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia, nella quale riposa il detto corpo". Questo fatto serve ad attestarci che la tradizione confermante l’esistenza del corpo di S. Agostino in S. Pietro in Ciel d’Oro dura tuttavia; abbiamo infatti che nell’anno 1342 (155) "fu ordinato dai pavesi per legge municipale che nell’avvenire ogni anno per fare onore alla festa del gloriosissimo dottore della Chiesa S. Agostino, nel mese d’agosto, et per sussidio delle spese del pane et vino, et altre vitovaglie di companatico per i frati Eremitani di quell’ordine si avessero a pagare in elemosina libre 50 imperiali delle entrate della Republica di Pavia". L’anno 1362 si iniziano i lavori dell’arca sotto il priorato del P. Maestro Bottigella (156). Dell’anno 1366 si ha un documento dell’Archivio Segreto Vaticano (157), nel quale i religiosi supplicano il Pontefice Urbano V a dì 6 luglio 1366, che avendo essi fatta fare "quamdam archam ponendam super sepulchrum corporis antedicti doctoris S. Augustini et Canonici […] impediant […] dignetur Sanctitas sua mandare dictis Canonicis, ut dictum opus nullatenus audeant impedire". Nel 1378, secondo il Bossi (158), fu tanto il concorso della gente per la festa di S. Agostino che bisognò prendere precauzioni perché non mancasse il pane in Pavia. Nei Regesti dei Priori Generali Agostiniani troviamo frequentemente concessioni fatte ai religiosi che facevano domanda di visitare i sepolcri dei SS. Pietro e Paolo in Roma e di S. Agostino in Pavia. Così nel 1389 addì 2 Febbraio "concessimus licentiam Fr. Sanni Tebot visitandi limina apostolorum Petri et Pauli et corpus beatissimi patris Augustini" (159). L’anno 1393, "die quinti Iulii […] concessimus licentiam fratri Mariano Mathei de Senis eundi Papiam visitandum corpus beati Augustini" (160). Pure del Gennaio 1393 abbiamo un documento in cui si dice: "in ecclesia S. Augustini" (161). L’anno 1394 gli Eremitani supplicano il papa Bonifacio IX che ad essi compatisca "ob reverentiam beatissimi Augustini, cuius corpus in dicta ecclesia (S. Petri) honorifice requiescit" (162). Pure dello stesso anno 1394 in una bolla di Bonifacio IX si ha: "in qua quidem ecclesia […] sacrum corpus eiusdem sancti (Augustini) conservari sollemniter et tumulatum fore dicebatur, prout dicitur". Usa le medesime espressioni di Giovanni XXII, di cui proprio qui cita la bolla (163). L’anno 1395 Gian Galeazzo Visconti si mostra grazioso agli Eremitani concedendo loro l’esenzione delle tasse di successione "ob reverentiam beatissimi Augustini, cuius corpus in eorum ecclesia requiescit" (164). L’anno 1399 il medesimo Gian Galeazzo dispone in testamento "quod arca marmorea, qui est in ecclesia S. Augustini […] compleatur et corpus S. Augustini, quod esse dicitur in ipsa ecclesia, reponatur in archa predicta" (165). Nella Bolla di Bonifacio IX del 21 aprile 1400 si dice: "et quia ex eo quod praefata ecclesia in qua corpus eiusdem sancti Augustini venerabiliter requiescit". E relativamente al luogo del sepolcro: "et quoniam altare maius et altare inferius iuxta corpus ipsius beati Augustini per indivisum veniunt" (166). L’anno 1404 l’Università degli artisti e dei medici delibera di presentare ogni anno nel giorno della sua festa una offerta a S. Agostino, cioè evidentemente per onorare il sepolcro del glorioso Santo (167). Giacomo Dal Verme nel suo testamento dell’anno 1406 lascia il prezzo di una casa in Pavia allo scopo: "quod arca nova existens in sacristia dictae ecclesiae, Augustino corpori debeat superponi in loco debito" (168). Nella cronaca di S. Antonino (169) dell’anno 1459 si legge: "cum autem corpus sacratissimum beati Augustini de Afhrica fuisset translatum in Sardiniam et postea in processu multi temporis inde translatum Papiam in ecclesia, quae dicitur sancti Petri de coelo aureo". L’anno 1462 gli ambasciatori di Firenze, venuti a Pavia per congratularsi con Luigi XI di Francia per la sua esaltazione al trono, visitano la basilica di S. Agostino, dove vedono la sepoltura del corpo Santo: "vedemo in Pavia nella Chiesa di S. Augostino sotto le volte del choro, direto a un altare che è in una cappella di sotto la chiesa (cioè la cripta), la sepoltura dov’è il corpo di S. Augostino", e nella Sagrestia vedono pure una bellissima sepoltura in marmo ovvero alabastro, in colonne con volta ed intagli a figure, la presente arca monumentale, fatta per mettere detto corpo, che non ci fu messo mai" (170). Il Causidico Antonio Preoltoni nel suo testamento del 1471 lascia "conventui sancti Augustini Papiae florenos quinquaginta monete currentis […] convertendos et quos converti vult et iubet in ornatum sacri sepulcri corporis sancti Augustini existentis in confessorio ipsius ecclesiae" (171). Lo "Egregius et sapiens gramatice professor Dominicus magister Cosimus de Colexinis", nel suo testamento del 1487, prescrive che si celebri "singulo anno, perpetuo in die vigilia festi omnium sanctorum cuiuslibet anni, missam unam in cantu in ecclesia sancti Augustini predicti, situm in confessore eiusdem ad honorem et gloria S. Augustini". Il medesimo Cosma Colesini in un altro testamento posteriore del 1499, modificando il giorno della messa da celebrarsi, stabilisce che "singulo anno perpetuo in die immediate precedenti diem vigilia festi S. Augustini", si celebri "unam missam solempnem in cantu in ecclesia S. Augustini Papiae, in confessore et ad altare ubi de presenti dicitur fore corpus sancti Augustini predicti, et si in futurum continget ipsum corpus translari et seu reponi in alio loco, quod missa ipsa celebreretur et celebrari debeat ad altare ubi repositum fuerit ipsum corpus" (172). Anche qui si ha una prova palmare che il corpo del Santo fosse lì nella cripta "in confessore" e dietro l’altare col quale formava quasi una sola cosa "ad altare ubi de presenti eicitur fore corpus sancti Augustini". Abbiamo anche la testimonianza di scrittori. Così Agostino Ticinese, Canonico Regolare Lateranense, l’anno 1500, riferisce (173): "Canonicis etiam pertinebat ornare lampadibus et coelum eius in confessione, ubi sanctissimi Patris Augustini corpus iacet". Il Gualla pure nel 1500 (174) parla della confessione: "Liutprandus ipse […] multo Papiae populo summa cum veneratione illud sacratissimi corpus usque Ticinum eiusdem regni domicilium deferri fecit eoque in aureo templo decenti conferroris loco pretiosis mirailiter ornatum locavit". Bernardino Baracchi nel suo testamento del 14 Giugno 1501 decretò un rublo di olio in perpetuo alli RR. PP. di S. Agostino per illuminare il corpo di S. Agostino (175). Il Bossi (176) sotto l’anno 1503 riferisce che Pavia oppressa dalla peste fa un voto a S. Agostino e viene liberata; riporta l’iscrizione, in lettre maiuscole, pinte nella sala ove risiedono i Decurioni della Città, le quali sono di sotto dell’immagine (177). Abbiamo poi dell’anno 1507 una deliberazione del Comune di Pavia, ove è ricordato che "De anno curso 1503, dum vigeret acerbissima pestis […] cives tunc astantes cum officialibus devotissime reverentes ad prelibatum gloriosissimum corpus veniendo ac votum faciendo" si ordina che nel dì della festa del Santo che li ha liberati... "fiat omnimodo dicta oblatio […] et invitetur populus et deferantur dicte torcie et oblationem predictam" (178). Nell’anno 1509 sini i Patti e Convenzioni tra gli Eremitani e i Canonici Lateranensi entrati in S. Pietro in Ciel d’Oro, dove si dice: "item quod si contigerit aliquam expensam fieri in campanilli, aut circa altare maius, aut altare Beati Augustini et sepulchrum eius inferius [...] expensae sint et debeant esse communes" (179). I nobili coniugi Terzaghi l’anno 1521, fanno una donazione agli Agostiniani "ob singularem devotionem et amorem quam et quem habuerunt et habent Divo Augustino, cuius gloriosissimum corpus iacet in dicto monasterio seu eius ecclesia" (180). Dell’anno 1526 abbiamo il testamento della nobile Elisabetta Beccaria-Giorgi, col quale "dat et legat sacristie, seu monasterii sancti Augustini Papie, pellem unam olley olio singulo anno, pro illuminari faciendo per fratres dicti monasterii, in lampadibus beatum corpus divi Augustini Doctoris ecclesie et eidem sacristie seu monasterio dandam et tradendam singulo anno in perpetuum per infrascriptos eius heredes pro illuminando dictum corpus, gravans priorem et fratres dicti monasterii de dicto olleo ad illuminandum dictum corpus" (181). Dell’anno 1570 esiste un documento (182) riguardante la lite del 1569 per i vespri di S. Nicola: "et perchè sono più de ducenti anni che li Eremitani godeno detto monasterio da essi fabbricato et tantum assi Canonici non sono più de anni 53 che sono in detto monasterio como mansionarii et gli è il corpo del gloriosissimo Augustino". Pure del 1570 esiste un documento (183) in cui si dice: "li Agostiniani sono istituiti padroni per la bolla di Papa Giovanni XXII, dicendo che havendo loro il corpo di S. Agostino nella Chiesa di Pavia". Del 1571 vi è una lettera al papa del Senato di Milano, in cui si dice: "in eo templo iacet ac religiosissime colitur corpus S. Augustini" (184). Dello stesso anno in "Deliberazioni e lettere del Comune per S. Pietro in Ciel d’Oro si dice: "Corpus Divi Augustini, diligentia Liutprandi olim Longobardorum regis, translatum fuit" (185). Nella visita del vescovo Angelo Peruzzi a S. Paolo e S. Agostino del 21 Ottobre 1576 si dice: "ecclesiam sanctorum Petri et Pauli in caelo aureo Papiensi in qua (ut dicitur) corpus beati Patri Augustini est reconditum" (186). Dell’anno 1575 è il decreto del capitolo generale degli Eremitani, in cui si dice: "Prima autem omnium Provincia nostra Lusitana bis mille aureos nummos exposuit, ad duodecim lampades fovendas coram altari inferioris sacelli ubi sacratis magni Parentis nostri ossa condita sunt" (187). L’anno 1580 il Pontefice Gregorio XIII vieta le ricerche del corpo di S. Agostino ed il vescovo di Pavia intima il breve pontificio. Comanda che si infliggano punizioni e scomuniche "Canonicis Regularibus ac Fratribus ordinis Heremitarum sancti Augistini, istius civitatis Papiensis, et quibusvis aliis personis ne ullo praetextu aut quovis quaesito colore, sudeant vel praesumant quicquam in eadem ecclesia aut alibi innovare, quaerere, fodere, seu rem aliquam movere, circa inquirendum corpus sancti Augustini, sed omnia, prout erant antequam hoc attentaretur, in suo pristino statu stare hac manere permittant et nihil prorsus sine expressa licentia nostra, in criptis concedenda, de super quoquomodo fieri sinas" (188). E più avanti: "opinionem illam in cripta ecclesiae ubi secundum historias et privilegia summorum Pontificum corpus beati patris Augustini honorifice est reconditum". In un documento del Comune di Pavia dell’anno 1581 si ha: "e tanto più essendo state portate d’Africa e Sardegna, con devozione e spesa incredibile et arricchita essa città delle santissime reliquie di S. Agostino protettor nostro et capo della sua Religione" (189). L’anno 1583 in una lettera del Comune di Pavia al Priore Generale degli Agostiniani, si dice: Essendo agli anni passati priore del monastero di S. Agostino di questa nostra città il Rev. P. M. Giov. Ant. Marinone hebbe lettere da Roma che in essa città erano stati depositati danari in assai buona qualità per far fare un lampadario d’argento che di continuo si tenesse nel luogo ove si trova riposto il corpo di S. Agostino gloriosissimo nostro particolare protettore" (190). Ed anche: "trovandosi il Rev.mo ed Ill.mo Card. Paleotto insieme con Mons. nostro rev.mo et molti signori della città a torre la perdonanza al detto glorioso corpo". Nel 1588 abbiamo una lettera del Comune che rinnova le istanze per il Capitolo Generale in Pavia (191). Dicesi: "In hac civitate nostra, cum in ea et in ecclesia dictae religionis sint reconditae reliquiae beatissimi patris Augustini doctoris almi catholicae ecclesiae et protectoris nostri". Del 1579 abbiamo la relazione di Mons. Bastoni (192) in cui si dice: "Ex puteo prope sepulchrum Sancti Augustini doctoris cuius corpus ibidem extitit aquam haustam bibentes devote ad febres expellendas prodesse plurimum existimant eum ipsum inter patronos ipsius civitatis venerentur". Del 1601 abbiamo un documento (193) intorno alla denominazione della chiesa in cui si dice: "de tollenda dicta ecclesia […] predicta et illam Divo Augustino dicare qui contentatur corpus eius sepeliri in ipsius apostolorum principis dicto templo", ed anche: "dicit quod licet in cedulis fuerit dicta ecclesia appellata S. Augustini ex hoc non tollitur dedicatio […] negatur cum dicta ecclesia fuerit dicata Divo Petro et etiam ita appellari, sed ob depositionem corporis predicti divi patris Augustini et ita millies etiam in conventionibus inhitis dicitur". Nel 1603 abbiano delle convenzioni (194), in cui si conviene sull’ufficio della traslazione del 28 Ottobre: "E più alli 28 di Febbraio nella seconda traslazione del P.re S. Agostino si dichi questa orazione: Deus qui transmisisti populum tuum pro mare rubro et sanctissimi tui doctoris Augustini corpus supra marinis verticis transferri voluisti et in loco tibi placito collocari, concede quesum illius precibus nos de morte ad vitam transire, cuius hodie translationem celebramus". L’anno 1605 (195), Guglielmo Bastoni, vescovo pavese, chiama la Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro "ecclesiam Sancti Sancti Augustini", il che dimostra appunto il continuare della tradizione favorevole. L’anno 1607 (196) il consiglio maggiore della città, parlando della chiesa di S. Agostino, dice: "verum etiam ad maiorem animi gratitudinem ostendendam eandem ecclesiam in qua sanctissimae eius reliquiae iacent". Pure del 1607 in un documento (197) in cui si tratta della denominazione di S. Agostino data a S. Pietro in Ciel d’Oro, dicesi: "(la città di Pavia) essendo arricchita di un tanto tesoro inestimabile, che sono le reliquie di sì gran dottore". E più avanti: "tanta semper fuit huius ticinensis civitatis pietas ac devotio in divum Augustinum, cum tanti doctoris sanctae ecclesiae luminis sit ornata reliquia". In un documento dell’anno 1606 (198) si dice: "benchè la città nostra mal volentieri s’intromette in affari de’ religiosi, niente di meno la devotione grande qual porta al glorioso corpo di S. Agostino suo diffensore che in essa giace". Nell’anno 1617 il Ripamonti (199) dipinge la magnificenza della cripta e dice: "non si poteva assegnare a un tanto dottore della Chiesa, posto in arca d’argento, luogo più onorevole". Dell’anno 1620 si ha un documento: "Pratiche e difficoltà per l’offerta del Comune di S. Agostino" in cui si dice: "et deportare in ecclesia in qua requiescit gloriosissimi praefati sancti corpus" (200). Dell’anno 1627 abbiamo una lettera al M. Rev. Procuratore generale del Michelangelo di Pavia per i pontificali celebrati da don Glicerio Landriano preposito di S. Pietro in Ciel d’Oro nella festa di S. Agostino (201), in cui si dice: "essendo l’uso che in detta festa i Padri Canonici cantino a mezza mattina in circa una messa nello scurolo sotto al choro loco dove giace il corpo del glorioso Padre". E più avanti: "Al vespero essendo l’uso di incensare l’altar maggiore dello scurolo sotto al choro dove giace il corpo del P. S. Agostino". Urbano VIII in una sua Bolla del 10 ottobre 1635 (202) dice, dopo aver parlato della chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro: "in qua S. Corporis S. Augustini ecclesiae doctoris eximii venerantur". Andrea Scotto (203) nell’itinerario del 1655 dice: "A Liutprando Rege D. Petri, coelum aurem coenobium in quo D. Augustini corpus ab eodem a Sardinia deportatur, altissimo et marmoreo sepulchro servatur". Il medesimo trovasi in Franciscus Scottus (204). Mario Pirogalli l’anno 1655 (205) dice: "Correva il giorno seguente la festività del gran Dottore della Chiesa Agostino Santo il cui corpo riposa nella stessa chiesa al santo dedicata nella medesima città di Pavia". E più avanti: "Mons. Vescovo fece varie processioni; la prima fu alli 19 Settembre, visitando tutte le Chiese, nelle quali riposano le reliquie dei Santi Vescovi di Pavia e il corpo di S. Agostino". Francesco Scoto nel suo Itinerario dell’anno 1659 (206) dice: "Fu edificato da Liutprando re il Monastero di S. Pietro in Cielo aureo ove riposa il venerando corpo di S. Agostino che l’haveva quivi fatto portar di Sardegna", il quale "si custodisce con gran riverenza in una artificiosa sepoltura di marmo". Per attestare che la tradizione favorevole all’identità continua, cito la testimonianza dello scrittore pavese Bartolomeo Pietragrassa, il quale l’anno 1667 (207) dice: "la deposizione delle dette sacre ossa fatta dal re Liutprando fu in quel sacrario intendasi lo scurolo, o sia la confessione di detta chiesa". Finalmente dell’anno 1682, e cioè tredici anni prima della scoperta del sacro Corpo, ho potuto avere dall’Archivio Generale di Roma un documento del P. Gen. Valvassorio Domenico, il quale nella santa visita in Pavia dispose che il santo sepolcro di S. Agostino fosse più decentemente ornato e meglio decorato (208). Eccone il tenore: "Die sabbati XV Augusti et e aegre ferentes quod sacra sordescerent Magni Parentis altare, et sepulchrum, ut decentius ibidem excoleretur Augustini Bustum, iussimus P. Secretarium Ord., una cum P. Bacc. Livio Petra ad P. D. Hieronymum Folbertum praepositum S. Petri in coelo aureo et una nobiscum operam suam impenderit quo honestius a fidelibus veneraretur prompte promisit acturum cum Canonicis, ut tam insigne pietatis opus, ad finem perduceret. Centum argenti scuta pro parte nostra erogari iussimus. Multa hoc super negotio praesentita fuere". Si vede adunque che se si ordina di ornare il sepolcro di S. Agostino tredici anni prima del 1695, non si ignora il luogo di esso, come si vorrebbe da coloro che mettono in dubbio l’identità, m che è ben conosciuta dai medesimi Canonici Regolari.

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(126) P. DIACONUS, Historia Longobardorum, lib. VI, n. 48, in MGH, Ed. Waitz et Bethmann - Scriptores, pag. 12.

(127) BEDA, Chronicon sive de sex aetatibus… cit., vol. I, pag. 101.

(128) Martyrologium Bedae, in Acta Sanctorum, Augustus, t. VI, p. 365: die 28 Augusti "in Africa S. Augustini Ep. qui primo de sua civitate propter barbaros Sardinia translatus, nuper a Liutprando rege Longobardorum Ticinis relatus et honorifice conditus est".

(129) Martyrologium ab Usuardo emandatum, Pavia 1487. Biblioteca Universitaria. Trovasi tra gli incunaboli (112-A-39). In tre luoghi commemora la traslazione di S. Agostino dalla Sardegna a Pavia. 1) Pridie chalendas martias (28 Febbraio) "Papie translatio reliquia sanctissimi doctoris et patris nostri Augustini episcopi et confessoris". 2) Quinto kalendas Septembris (28 Agosto): In Africa civitate Iponensi natale sanctissimi patris nostri Augustini episcopi ecclesiae, doctoris eximii; cuius melliflua doctrina et sanctitate tota splendet ecclesia; qui primum de sua civitate propter barbaros Sardiniam traslatus est; postea a Liutprando rege Papiam delatus et honorifice conditus est". 3) Quinto idus Octobris (11 Ottobre) "Papie translatio et reconditis corporis sanctissimi patris nostri Augustini episcopi et confessoris".

(130) SIGISBERTUS GEMBLACENSIS, Chronografia, in MGH, Scriptores, vol. VI, pag. 330.

(131) MARIANUS SCOTUS, Chronicon, in MGH, Scriptores, vol. V, pag. 546.

(132) Liber Pontificalis, Ediz. Duchesne, vol. I, pag. 430.

(133) Nel DE ROSSI, Inscriptiones Christianae Urbis Romae, vol. II, parte I, pag. 38, an. 715-731, abbiamo un’epigrafe greca: "Deum verbum intuemini auro divinitus sculptam petram in qua stabilitus non concutior". Si può leggere nell’abside maggiore, recentemente riprodotta dal pittore Prof. Loverini di Bergamo.

(134) POTTHAST V.A., Wegweiser curch die Geschichte Waeche d. Europ. Mittelalt., Berlino 1862, pag. 568.

(135) JAFFE’-LOEWENFELD, Regesta Pont. Roman., vol. I, pag. 512. BOSISIO, Concilia Papiensia, pag. 66.

(136) GUILLELMUS MALMESBURIENSIS, De gestis Pontif. Angl., in MGH, Scriptores, vol. X, pag. 454.

(137) BERETTA G., Lychnus chronol. iudid., 198.

(138) JAFFE’-LOEWENFELD, Regesta Pont. Roman., vol. I, pag. 551.

(139) v. PENNOTTI, Historia tripartita, pag. 204; ROBOLINI, Notizie, vol. III, pag. 254; JAFFE’-LOEWENFELD, Regesta Pont. Roman., vol. I, pag. 856.

(140) GOTIFRIDUS VITERBIENSIS, Pantheon, in MGH, vol. XXII, pag. 200.

(141) PHILIPPUS BONA, Spei abbas, Vita S. Augustini in Opera omnia, cap. 33, pagg. 706-707.

(142) GALVANEUS FLAMMA, Chronicon Majus, in Miscellanea di Storia Italiana, Dep. di St. Patria, t. VII, pag. 750, Torino 1869.

(143) PENNOTTI, Historia tripartita, I, pag. 62.

(144) Catalog. Rodobaldino, Boni e Maiocchi, pag. 25.

(145) VINCENTIUS BELLOVACENSIS, Speculum Historiale, L.XXIII, cap. 148 in MGH, Scriptores, vol. XXIV, pag. 164.

(146) MURATORI, Anonimus Ticinensis, De laudibus Papie, in Rer. Ital. Script., vol. XV, p. 41, Città di Castello 1903; ROBOLINI, Notizie, v. III, p. 310.

(147) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. I, doc.7.

(148) Ibid., doc. XV.

(149) Anonimus Ticinensis, De laudibus Papie, in MURATORI, Rer. Ital. Script., p. 40.

(150) Bibl. Univ. Pavia, codice 428, cartella A, n. 4.

(151) Bibl. Univ., Pavia, codice 428, pergamena S. Agostino.

(152) Archivio di Stato di Milano, Pergamene di S. Pietro in Ciel d’Oro.

(153) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. I, doc.27.

(154) TORELLI, Secoli Agostiniani, vol. V, p. 518.

(155) Bibl. Univ. Pavia, Ms Pietragrassa n. 133.

(156) Manosc. Bossi, Chiese, n. 182, Biblioteca Univ. di Pavia.

(157) Codex diplomaticus OSA, cit., pag. 295.

(158) Manosc. Bossi, Chiese, n. 182, Biblioteca Univ. di Pavia.

(159) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. IV, doc. 89bis.

(160) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. IV, doc. 101bis.

(161) Archivio di Stato di Milano, Agostiniani, pacco 6.

(162) Archivio di Stato di Milano, Pergamena di S. Agostino.

(163) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. I, doc. VI-VII.

(164) Bibl. Univ. Pavia, cod. n. 428, Pergamena di S. Agostino.

(165) OSIO, Documenti Diplomatici, vol. I, pagg. 337-338.

(166) Archivio di Stato di Milano, Libro Rosso di S. Pietro in Ciel d’Oro.

(167) Bibl. Univ., Pavia, codice 428, pergamena S. Agostino.

(168) MAGENTA C., I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, vol. I, pag. 164.

(169) Cronaca di S. Antonino, parte III, cap. XIV, p. 807.

(170) Arch. Stor. Ital., serie 3, tomo I, p. 45, Firenze 1865.

(171) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. II, doc. 359.

(172) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. II, doc. DCXVI-DCXXX.

(173) AUGUSTINUS TICINENSIS, De situ orbis, pag. 4 ; PENNOTUS, Historia tripartita, parte III, p. 667.

(174) GUALLA J., Sanctuarium Papiae, l. IV, cap. XIII.

(175) Bibl. Univ., Pavia, codice 428, cat. A, senza fodera.

(176) Bibl. Univ. Pavia, Ms Bossi n. 182, Chiese.

(177) Anno 1503. Urbe nostra sevissima peste affecta irritoque humano auxilio Patres Patrie divo Augustino celesti protectori duodeviginti faces abas quotannis oblatum nuncupato voto, salubrem stato inpetravere.

(178) Arch. Museo Civico di Pavia, Atti di Provvis., pacco 5.

(179) Bibl. Univ., Pavia, codice 428, pergamene S. Agostino.

(180) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. II, doc. 285.

(181) Arch. Notarile di Pavia, Atti di G. F. Regina.

(182) Archivio di Stato di Milano, Pergamena di S. Pietro in Ciel d’Oro.

(183) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. IV, doc. 1025.

(184) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. IV, doc. 1027.

(185) Arch. Museo Civico di Storia Patria, Pavia.

(186) Arch. Curia Vescovile, Pavia. Visita del Vescovo Angelo Peruzzi, vol. I.

(187) Collectio actorum, vol. I, pag. 135.

(188) Archivio di Stato di Milano, Agostiniani, pacco VI.

(189) Arch. Museo Civico di Pavia, Atti di Provvis., pacco 29.

(190) Arch. Museo Civico di Storia Patria di Pavia, pacco Religiosi.

(191) Arch. Museo Civico di PV, Atti di Provvis., pacco 31; Arch. Notarile Ammin. Munic., pacco 1586-93.

(192) Bibl. Univ. Pavia, Ms n. 408, Cartella A n. 12.

(193) Arch. Notarile di Pavia, Atti di G. B. Valenti.

(194) Archivio di Stato di Milano, Agostiniani, pacco n. 129.

(195) Archivio di Stato di Milano, Agostiniani, pacco n. 130.

(196) Archivio di Stato di Milano, Agostiniani, pacco n. 129.

(197) Arch. Museo Civico di Pavia, Pacco Religiosi, Atti di Provvis., pag. 35.

(198) Arch. Museo Civico di Pavia, Pacco Religiosi.

(199) RIPAMONTIUS J., in decade I, Historiarum ecclesiae mediolanensis, lib. IX, pag. 563.

(200) Arch. Notarile e del Museo Civico di Pavia.

(201) Archivio di Stato di Milano, Agostiniani, pacco n. 29.

(202) Bolla di Urbano VIII, vedi testo infra.

(203) SCOTTI A., Itinerarium Italia Amsterdam, 1655, pag. 49.

(204) SCOTTUS F., Itinerarium Nobiliorum Italiae Regionum, Vicentiae 1601, pag. 130.

(205) PIROGALLI M., Le glorie di Pavia dallo stretto assedio e liberazione di essa riportate contro l’armi di Francia, di Savoia, di Modena, Pavia 1655, pagg. 218-298.

(206) SCOTO F., Itinerario…, Padova 1659, pag. 143.

(207) PIETRAGRASSA B., Narrativa della traslazione del corpo di S. Agostino, pag. 13.

(208) Arch. Gen. OSA, Roma: Regestum 121, 1682, pag. 203.

 

 

CAPITOLO IV

SI SPIEGA COME MAI SIANO POTUTI SORGERE DUBBI INTORNO ALL’ESISTENZA DEL VERO CORPO DI S. AGOSTINO NELLA CRIPTA DI S. PIETRO IN CIEL D’ORO

Stabilita tutta questa tradizione favorevole all’identità, ci si può domandare come mai siano pututi sorgere dubbi intorno ad essa, come mai a questi abbiano dato appoggio scrittori quali il Sacco, il Gualla ed altri. Bisogna rifarci ai tempi in cui sorsero le prime controversie fra le due comunità religiose ufficianti nella stessa chiesa. Noi sappiamo che i Canonici di Mortara entrarono in S. Pietro in Ciel d’Oro addì 11 Agosto 1221 e gli Eremitani dell’Ordine di S. Agostino in seguito alla Bolla di Giovanni XXII poterono, l’anno 1331, fare ingresso in S. Pietro in Ciel d’Oro ed iniziare la fabbrica del loro convento. Da allora incominciarono a sorgere controversie ed attriti fra le due comunità religiose ufficianti nella medesima Chiesa, le quali andarono sempre più inasprendosi. Nell’anno 1509 entrarono i Canonici Regolari Lateranesi, che succedettero ai Canonici Regolari di Mortara, ed allora si ebbero liti ancora più clamorose. Queste liti riguardano la loro origine da S. Agostino, l’abito e la figura del patriarca. Comincia poi a nascere la questione riguardante l’ubicazione del corpo di S. Agostino, che secondo l’antica e costante tradizione è sempre stato "in confessorio iuxta altare". La questione è suscitata dai Canonici Regolari, i quali pongono dubbi intorno all’esistenza del corpo di S. Agostino nella confessione. E questi dubbi che iniziano fin dal principio, così che nel 1336 abbiamo un ricorso al Pontefice di protesta contro i Canonici, si fanno più forti verso la metà del 1500. Si ebbe la leggenda della traslazione delle sacre ossa dalla confessione in S. Appiano, fatta per timore dei Galli. E ad avvalorare questa leggenda, nella cappella di S. Appiano i Canonici avevano poste iscrizioni che son riferite dal Bossi. Vi era un’iscrizione "in ambitu oratorii" (209): "Sacellum hoc olim D.D. Basilii et Florentii Canonicorum regularium oratorium, eum in eo Augustini, Patris eorum, corpus sublatum ab ipsis de mausoleo in quo primum a Leoprando rege conditun fuerat; Gallorum ob metum clam sub altari defossum quadraginta quievit annos nunc demum instauratum est VII Kal. iul. MDLXXVI et compluribus Divorum reliquiis lucupletatum". Un’altra iscrizione diceva: "In hoc sacrario quievit corpus S. P. Augustini annis quadraginta" (210). Ve n’era un’altra pure nella cappella di S. Appiano, dove si dice che S. Siro "vixit sub divo Marco Evangelista Canonico Regulari" (211). Un’altra diceva: "Hic conditur corpus divi Patris Augustini". Vi era inoltre sopra una pittura rappresentante Liutprando che seppellisce il corpo di S. Agostino, presente un Canonico Regolare ed un Eremitano, questa iscrizione (212): "Nos Flavius Liutprandus Longobardorum rex salutis DCCXX, et Regni nostri XI, nonis martii, sedente in Pontificatu Gregorio II, cum Petro Episcopo Papiensi et Lucido Praesbytero huius ecclesiae S. Petri multisque suis canonicis Regularibus, corpus eorum Patris Augustini nostrique, in hoc sacrario deposuimus". Tutte queste iscrizioni non hanno nessun valore storico e dimostrano abbastanza bene quale sia stata l’origine e la nessuna serietà e consistenza dei dubbi sorti intorno all’identità del glorioso corpo di S. Agostino. Infatti in una di esse si parla di Canonici Regolari esistenti al tempo di Carlo Magno, mentre noi sappiamo che i Canonici Regolari entrarono in S. Pietro in Ciel d’Oro l’anno 1221. In un’altra si dice: "S. Sirus vixit sub divo Marco Evangelista, canonico regulari". In un’altra ancora si parla di Canonici Regolari esistenti sotto Liutprando. A provare che i Canonici Regolari esistessero in S. Pietro in Ciel d’Oro fin dal tempo di Liutprando, essi lo dimostrano con argomenti non veri. Si appellano ad una lapide che porta questa iscrizione (213): "Prope schallas chori Liutprandus Longobardorum rex inclitus ob translatum divi Augustini corpus, Templum hoc simul et abatiale coenobium canonicis regularibus […] instauravit". A questa iscrizione si contrappone quella rogata dal Notaio Aurelius De Magistris (214) dell’anno 1607 in cui si dice: "Liutprandus […] templum hoc simul et abatiale coenobium Religiosis inibi degentibus cum dote instauravit". Invocano inoltre una pittura in una sala del Collegio dei Gesuiti in Pavia, relativa all’occultazione delle sacre reliquie, con un’iscrizione sopra "tumulus divo Augustino in basilica divi Petri extruxit tres". Questa pittura, per testimonianza di Bernardino Ciceri pittore di Pavia (215), è giudicata opera di Pittore posteriore a Michelangelo e Raffaele d’Urbino, inoltre intorno al carattere dell’iscrizione sovrapposta si dice che sono del tutto simili a quelle che si usavano al tempo dello stesso pittore, cioè circa il 1728. D’altra parte i Canonici regolari e gli Agostiniani presenzianti l’occultazione delle sacre ossa del santo non esistevano in quel tempo in S. Pietro in Ciel d’Oro. Gli stessi Canonici riferiscono che secondo una indemoniata (1579) (216), il corpo di S. Agostino si trovava "sub lapide signato" verso S. Appiano. In seguito a questo fatto, dall’anno 1580 i Canonici Lateranensi cominciano a distrarre altrove la devozione del popolo, facendo credere che le reliquie di S. Agostino fossero dalla parte della cappella di S. Appiano. Abbiamo prima del 1580 delle lettere (217) responsive del P. Generale degli Eremitani al P. Preposito di S. Pietro di Pavia per certi indizi dati da una indemoniata: che il corpo di S. Agostino sia verso S. Appiano. In esse si lamenta come mai abbiano potuto prestar fede alla parola di una spiritata, la quale voleva far esistere il corpo di S. Agostino in parte diversa dallo scurolo. Si oppongono gli Eremitani ed il loro Priore protesta per mano di notaio (218): "Dico quod transgressi estis transactiones et in poenas ibi positas incurritis; et in primis transactionem festi beati Patris Augustini similiter festum beati Patris Augustini [...] ad nos spectat nec in aliquo vos intromittere debetis, et nihilominus inusitate exornastis coppellam illam in qua diabolus reliquias Augustini esse proclamavit, ut ad id credendum populum paulatim inducatis". Si lamentano cioè contro i Canonici perché contro i patti stabiliti, si intromettono e disturbano la festa di S. Agostino, ornando fuori dell’usato una loro cappella, per attrarre da quella parte la gente e persuaderla a poco a poco che ivi sono le reliquie di S. Agostino. Ma non protestano contro questo tentativo gli Eremitani soli, ma il Comune stesso di Pavia, il quale tre anni dopo e cioè nel 1583 in una lettera indirizzata al R.mo P. Generale degli Agostiniani (219), dopo aver parlato della visita fatta dal Card. Paleotto "per torre la perdonanza al detto glorioso corpo" si esprime così: "et hora havendo fatto li canonici una bellissima cappella cum lampada accesa continua nel loco dove cercaveno già da tre anni il detto corpo (220), et per caver via il suspetto dei plebei che hora stan in dubio sia nel loro consueto, o sia nella lor cappella, avendo detto il predicator in pulpito, raccomandando un’indulgenza ottenuta per quella cappella che lui tiene sia là" si prega il P.Generale che dia esecuzione ad un lascito del Portogallo, col qual si doveva ornar con lampade, il vero sepolcro di S. Agostino. E fu il medesino Comune di Pavia, il quale il 22 Gennaio dello stesso anno aveva con atto solenne deliberato "quod porrigantur preces ill.mo et excell.mo Principi et alibi ubi expediens erit, ad effectum ut imponatur silentium ipsi negotio perquirendi dictas sanctissimas reliquias" (221). Così si ebbe il Breve di Gregorio XIII, che proibiva di far ulteriori ricerche intorno al corpo di S. Agostino. A dare un impulso maggiore a tutti questi dubbi comparve circa l’anno 1600 il libro rosso (222), compilato da un Canonico Regolare, Giovanni Imperatore. Esso (223) metteva dubbi sull’esistenza del corpo di S. Agostino nella confessione, narrando la traslazione all’altare di S. Appiano fatta dai beati Basilio e Fiorenzo. Infine come coronamento e per dare maggiore fondamento a tutti i dubbi suscitati, si ritrova un corpo che viene ritenuto per quello di S. Agostino. Glicerio Landriano, l’anno 1627, contro la disposizione dei Papi, in conformità del famoso Libro Rosso, fece scavare sotto l’altare di S. Appiano e sotto il luogo segnato dalla bianca pietra e trovò (224) "un’arca in mattoni e dentro ad esso si trovarono alcune ceneri ed ossa di morto" senza scrittura alcuna. Egli poi, di suo arbitrio senza l’intervento delle autorità, fece racchiudere le dette ossa in una cassa di legno e vi fece porre le seguenti parole: "Ossa et cineres in sacello sancti Appiani sub lapide signata reperta sunt, ubi fama fert, opinio suadet reliquias fuisse magni patris Augustini ubi manet sepulchrum pignora novissime, hic sunt translata ad laudem dei qui gloriosus in omnibus sanctis suis". Questo fatto adunque è tutt’altro che regolare e se si considera come mai si sia dubitato intorno alle ossa, scoperte l’anno 1695, racchiuse in triplice cassa, contenute finalmente in una cassetta d’argento, si capisce come sia del tutto inverosimile e falso che le ossa del glorioso Padre della Chiesa si siano trovate racchiuse in una indecente cassa di legno senza iscrizione e che la loro scoperta non sia stata riconosciuta da nessuna autorità. Riesce naturale adunque come di fronte all’attività esercitata dai Canonici Lateranensi per metter dubbi intorno all’esistenza del corpo di S. Agostino e con pitture e con iscrizioni e con scritti all’uopo composti e divulgati e collo scoprimento di altre ossa che si volevano far credere per quelle del Santo, alcuni scrittori di quei tempi dubitassero anch’essi intorno all’autenticità della ossa, e di fronte a tanti fatti, fossero più propensi a inclinare dalla parte dei dubbi che non da quella della verità. Così si spiega come il Sacco, il Breventano, il Pennotti ed anche stranieri come il Mabillon abbiano potuto scrivere in maniera dubbia, narrando anche la leggenda delle tre fosse (225). D’altra parte non sempre gli scrittori ed i cronisti sono immuni da errori e da contraddizioni. E a questo proposito citerò un esempio d’un fatto tanto incredibile e paradossale quale non si potrebbe ammettere che dovesse accadere ai lumi della critica d’oggi. Nella guida Treves dell’anno 1910-11 fra tutti gli errori ch’ivi sono registrati, fra i quali quello di dire che nella Piazza Grande si trova il Mercato Coperto, che il Duomo è un edificio in forma di croce greca, che la chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro ha la facciata in stile Romano, si riferisce del Duomo: "L’interno è semplice, ma grandioso. Nella terza cappella a destra è l’Arca di S. Agostino, uno dei lavori più pregevoli di scultura gotica, ornato di circa trecento figure" (226). D’altra parte noi, a questi scrittori che mettono dubbi intorno alle vere ossa di S. Agostino abbiamo da contrapporre tutta una tradizione favorevole coi suoi scrittori quali il Gualla, Agostino Ticinese, il Pietragrassa, il Torelli, ecc. Le due comunità stesse tredici anni prima della scoperta delle sacre ossa fanno il riconoscimento del locus loci, come appare dal documento della visita fatta del Generale Agostiniano al sepolcro di S. Agostino, per ornare il quale presero insieme gli accordi il medesimo Generale ed il proposito dei Canonici. I Canonici riconoscono essere là ove fu trovato il corpo di S. Agostino anche per mezzo dei loro storiografi. Infatti Agostino Ticinese dell’anno 1500 primo cronista dei Canonici Lateranensi dice: "Fons autem in ipso D. Augustini Sacello exortus est ubi corpus eius fuerit reconditum". E poco dopo: "Quibus Canonicis etiam pertinebat altaria ornare lampadibus, et locum in confessorio, ubi corpus SS. P. Augustini iacet". Dal breviario dei Canonici Lat. ad essi concesso nell’anno 1570 si ricava che (227): "Fons indeficiens, in loco in quo primum sacellum corpus depositum fuit exuberare coepit". Infine lo confermano col fatto che essi andavano a cantare l’antifona nella cripta, ove fu rinvenuto il corpo di S. Agostino.

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(209) Bibl. Univ. Pavia, Ms Bossi n. 190, pag. 16.

(210) Ibidem , pag. 16.

(211) Ibidem , pag. 15.

(212) Ibidem , pag. 29.

(213) Ms Bossi n. 19, Inscriptiones, pag. 13, n. 6.

(214) Bibl. Univ. Pavia, Ms n. 428, Cartella A n. 13.

(215) Vedi Ms n. 428, con busta B.

(216) Collectio actorum, vol. I, pag. 395.

(217) Ms n. 428, cart. C, senza busta. Bibl. Univ. Pavia.

(218) Codex diplomaticus OSA, cit., vol. IV, pag. 85.

(219) Arch. Museo Civico di Storia Patria, Pavia: Pacco Religiosi.

(220) E si riferiscono a a questa circostanza le iscrizioni del Bossi.
(221) Codex cit., vol. IV, pag. 74.

(222) Vedi Collectio actorum cit. vol. I, pag. 130. Trovasi in Bibl. Univ. Pavia MS 32 Ticinensis: il Bossedi nota che questo è un esemplare o forse il primo abbozzo della cronaca di S. Pietro in Ciel d’Oro, detta il libro rosso, compilata verso il 1300 da Giovanni Imperatore, Canonico Lateranense. Manca del principio e di alcuni altri fogli.

(223) Pag. 10, cap. 10.

(224) Bibl. Univ. Pavia, MS. 482, cart. senza busta A, n. 15.

(225) SACCUS, De ital. rerum variet., pag. 104ss; BREVENTANUS, Hist. Ticinens., lib. 3, cap. 21; PENNOTUS, Hist. tripartita, cap. 37.

(226) E’ vero che l’anno 1799 fu trasportato nella Cattedrale (MAIOCCHI, L’arca di S. Agostino, pag. 22), ma fu riportata in S. Pietro in Ciel d’Oro l’anno 1900 dopo che la basilica venne riaperta al culto.

(227) Collectio actorum cit. vol. I, pag. 135.

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La BIBLIOGRAFIA GENERALE è citata nel testo.

1. FONTI EDITE: CRONACHE E DOCUMENTI

MURATORI L. A., Rerum Italicarum Scriptores:

ANONIMUS TICINENSIS, De laudibus Papiae, vol. IX, con commento di Maiocchi,

Città di castello 1903.

M. G. H., Hannover 1878, Scriptores rerum Longobardorum et italicorum, sec. VI-IX:

PAOLUS DIACONUS, Historia Longobardorum.

Scriptores: SIGEBERTUS GEMBLACENSIS, Cronografia, vol. VI.

MARIANUS SCOTUS, Chronicon, vol. V.

WILLELMUS MALMESBURIENSIS, De gestis regum anglorum, vol. XIII.

WILLELMUS MALMESBURIENSIS, De gestis pontificum anglorum, vol. X.

VINCENTIUS BELLOVACENSIS, Speculum historiale, vol. XXIV.

GOTFRIDUS VITERBIENSIS, Pantheon, vol. XXII.

OTO MORENA, Anonimus de rebus laudensibus, vol. XVIII.

JAFFE’-LOEWENFELD, Regesta Pontificum Romanorum ab condita ecclesia

ad annum post Christum natum., Lipsia 1888.

BOSISIO, Concilia Papiensia, Pavia 1852.

S. ANTONINUS, Chronicorum opus in tres partes divisum, Lugduni 1586.

PHILIPPUS BONAE SPEI ABBAS, Opera Omnia. Vita S. Augustini, Duaci 1621.

USUARDO, Martyrologium ab Usuardo emendatum, Pavia 1487.

BEDA, Martyrologium, in Acta Sanctorum, Anversa 1668.

COLLECTIO ACTORUM atque allegatorum quibus ossa sacra Ticini in confessione S. P. C.

et anno 1695 reperta esse S. Augustini Hipp. Episcopi et Ecclesiae Doctoris

exuvias probatum est etc., Venetiis 1729.

MAIOCCHI R. – CASACCA N., Codex diplomaticus Ordinis S. Augustini, vol. I-IV, Pavia 1905-1913.

ARCHIVIO STORICO LOMBARDO, vol. IV, sez. 3, Milano 1895.

ARCHIVIO STORICO ITALIANO, vol. I, sez. 3, Firenze 1865.

BOLLETTINO DELLA SOCIETÁ PAVESE DI STORIA PATRIA, Pavia 1904-1905.

BOLLETTINO DELLA SOCIETÁ PAVESE DI STORIA PATRIA, fasc. I-II, Pavia 1910.

OSIO L., Documenti Diplomatici tratti dagli archivi Milanesi, vol. I, Milano 1864.

2. FONTI INEDITE: DOCUMENTI

Archivio di Stato di Milano

Archivio Museo Civico di Pavia

Archivio Notarile di Pavia

Archivio di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia

Archivio Curia Vescovile di Pavia

Archivio Generale OSA di Roma

Manoscritti Ticinensia, Biblioteca Universitaria di Pavia

3. BIBLIOGRAFIA PARTICOLARE DELLA POLEMICA AGOSTINIANO-LATERANENSE

GHISONI R., Flavia Papia Sacra, part. II, 1696.

MATHIS P., Dell’invenzione del sacro corpo di S. Agostino nel dì 1 Ottobre 1695, Pavia sine anno.

(scrive appena dopo il Ghisoni).

DE COLLIBUS M., Opuscoli vari dal 1696 al 1698, raccolti nel Museo Civico di Pavia, segnatura x G. 5:

- Identitatis corporis S. Augustini Episcopi et Ecclesiae Doctoris noviter inventi die primo octobris 1695. Iuris A. 1696.

- Identitatis reliquiarum corporis S. Augustini. In templo S. Petri in Coelo aureo Papiae. Nuper casu inventarum die prima novembris 1695. Summarium A. 1697.

- Identitatis reliquiarum seu ossium S. Augustini. Discorso A. 1698.

- Ex depositionibus testium examinatorum. Rationes et iura in causa identitatis Sac. Ossium D. Augustini, noviter inventorum in ecclesia S. Petri in Coelo aureo Papiae. Agosto 1698.

- In dicta causa identitatis reliquiarum S. Augustini Resolutio. Motivorum Fisci. 10 ottobre 1698.

- Responsio novis motivis Fisci cum productione omnium spectantium ad identitatem ven. ossium S. Augustini noviter inventorum. Sub die 17 Februarii 1699.

- Iuris allegationes post totum Processum causae iam consignatum, ponendae, concernentes ultimae Fiscalis exceptiones insubsistentium. Super Scriptura, signata c. in actis pruducta. In causa identitatis Sac. Ossium D. Augustini Ep. et Doct. Regiae civit. Papiae Protectoris noviter inventorum. Sine anno.

- Compendium totius processus, constructi in causam identitatis sacrorum ossium S. Augustini Episcopi et Ecclesiae Doctoris eximii, nec non Regiae civitatis Papiae insignis Protectoris, concordatum cum scripturis in actis dimissis. 7 marzo 1699.

- In causa identitatis sacrorum ossium D. Augustini Sanctae Ecclesiae Doctoris noviter inventorum sub die prima octobris 1695 in crypta S. Petri in caelo aureo. Novis et brevis discursus. Sine anno.

- Ultimus Discursus. Em.me et Rev.me Princeps, praesul vigilantissime. Sine anno.

- Sommario o sia compendio di tutte le ragioni addotte sin’ora, nella causa dell’identità di S. Agostino. All’Em.mo e Rev.mo Signor Card. Morigia, Vescovo di Pavia e giudice ecc. In Pavia. Sine anno.

- Summarium. Ex depositionibus testium productorum. In causa identitatis sacrorum ossium D. Augustini noviter inventorum. Anno 1728.

- JULIUS BAUDINUS, Tumulus S. Patris Augustini illustratus. Dissertatione historica canonica. Pavia 15 Aprile 1698.

- NICOLAUS RUBINUS. Ad Rev. Dom. D. M. De Collibus. Dal Collegio Borromeo. Milano, Ottobre 1699.

- BELLINI I. M., Dubia quibus rationes pro tumulo et reliquiis nuper compertis die 1 octobris anno 1695. Milano 1700.

- J. G. BERETTAE, Liehnus cronologicus juridico. Sine loco, idibus augusti 1700.

- BELLINI I. M., Responsio apologetica ad Liehnum. Lugduni 1702.

- MONFANCON B., Diarium Italicum, Parigi 1702.

- CALLINI M., Motivi che sforzano a dubitare se le reliquie scoperte… siano identiche, ecc. Cremona 1703.

- Vota clarissimorum theologorum in causa identitatis ecc. Sine n. et a.

- Votum in causa identitatis sacri corporis Divi Augustini, Ecclesiae Doctoris, in Sacello inferiori Ecclesiae S. Petri in caelo aureo Papiae. Sine n. et a.

- J. FONTANINI, Archiepiscopi Ancyrani, Disquisitio. De Corpore sancti Augustini, Hipponensis Episcopi et Ecclesiae Doctoris, Ticini reperto in confessione aedis sancti Petri in caelo aureo. Romae 1728.

- J. DE GREGORIIS, In causa identitatis corporis S. Augustini scriptura facti et iuris. Ad ill.mum Rev. Franciscum Pertusati. Sine anno.

- I. F. BELLELLI, Alcune considerazioni sopra la causa ora pendente circa l’identità ecc. (in risposta al Callini), Pavia 1728.

- Adnotationes super iis quae hucusque allata sunt pro identitate sacrorum ossium repertorum in S. Petri in caelo aureo Papiae de anno 1695 cum veris Reliquiis eximii sancti Patris Augustini. Sine n. et a.

- Altre poche considerazioni aggiunte alle prime, sopra la causa ora pendente circa l’identità del corpo di S. Agostino, fatte da un religioso Agostiniano (Fulgenzio Bellelli), Pavia 1728.

- J. A. SAXII, Epistola apologetica pro identitate corpore ecc. Ad D. Franc. Pertusatum episcopum ticinensem. Mediolani 1728.

- Ragioni per l’identità del corpo di S. Agostino estratte dalla disquisizione latina di Giusto Fontanini. Roma 1728.

- DE-HO MELCHIOR, Reperitur in actis Tribunalis curiae episcopalis Papiae. 16 luglio 1728.

- LUCENTI G. A., Votum pro veritate ecc. 29 novembris 1728.

- De sacris D. Augustini Reliquiis. Posteriores atque diligentissimae Recognitiones. Anno 1728.

- CASTELLANO A., Identitatis sacrorum ossium ecc. Parenesis. Sine anno.

- Motivi di credere tuttavia ascoso e non iscoperto in Pavia l’anno 1695 il corpo di S. Agostino Dottore della Chiesa, scritti da Lodovico A. Muratori. In risposta alle scritture pubblicate quest’anno 1728 in favore dell’identità d’esso corpo.

- Constitutio Benedicti XIII ea sacrum S. Augustini depositum. Papiae 1728.

- RUBINUS N., Vota theologorum in causa identitatis sacrorum ossium S. P. Augustini. Sine anno.

- Della dichiarazione fatta da Mons. Pertusati circa il sacro deposito del P. S. Agostino scritta a Mons. Battistelli. Sine anno.

- ARTEGIANI A. G., Della dichiarazione fatta da Mons. Pertusati, vescovo di Pavia, circa il sacro corpo del P. S. Agostino. Sine anno.