Tomo V - ANNO 1282

Anni di Christo 1282 – della Religione 896

1 – [V, p. 17] Havendo nell’Anno scorso Abaga gran Cham de Tartari data una gran rotta a Saracini nell’Asia; et essendo in quest’Anno ritornato con un poderoso Esercito per finire di debellarli, isieme col Soldano di Babilonia loro Signore, restò egli miseramente estinto col veleno, per opera dello stesso Soldano, per gran disgratia di tutto il Christianesimo; imperochè, essendoli successo nell’Imperio Tanghedor suo fratello, questi rinegando ben tosto, con empia perfidia, la Christiana Fede, fecesi Turco, e si chiamò Maometto, non cessando poi di perseguitare i Christiani con continua guerra per fin ch’ei visse.

2 – Il Pontefice Martino hebbe occasione in quest’Anno di fulminare la tremenda Scommunica Maggiore contro due Principi grandi, cioè contro Pietro Re d’Aragona per essersi intruso Re nella Sicilia, doppo l’horribile Vespro Siciliano, di cui parlassimo nell’Anno scorso, se bene alcuni vogliono, che succedesse in quest’Anno con gran pregiuditio di Carlo d’Angiò, che n’era leggitimo Signore; e contro D. Sancio primogenito di D. Alfonso Decimo Re di Castiglia, per havere egli, con detestabile esempio, scacciato il Padre dal suo Regno, et occupatolo egli con somma perfidia; e molti vogliono, che ciò avvenisse ad Alfonso per giusto Giudicio di Dio; imperochè essendo egli un grand’Astronomo, e stimandosi anche maggiore di quel ch’egli era, più volte haveva havuto ardire di censurare la sapientissima creatione degli Astri e de’ Cieli.

3 – E’ fama, che in quest’Anno con una santa morte terminasse il corso di sua santissima vita, un gran Servo di Dio nella Toscana, chiamato col nome di Torello, quale stimasi da alcuni classici Autori, che anche fosse di Casa Torelli; e non sarebbe gran fatto, imperochè gli è certo, che ne’ tempi andati costumavasi da molti il chiamarsi col nome del proprio Casato; e ciò specialmente hanno usato di fare quelli della Casa Torelli, non solo ne’ tempi antichi, ma anche ne’ moderni, posciachè io ho havuto un Zio et un Fratello, li quali amendue chiamavansi col nome di Torello; e se bene alcuni Autori dell’Ordine Francescano, come il Vadingo, e F. Arturo di Munster, quegli nel Tomo 2 de’ suoi Annali de’ Minori sotto il numero 3 di quest’Anno 1282, e questi, nel suo Martirologio Francescano sotto il giorno 16 di Marzo, lo predicano per Tertiario di sua Religione; et all’incontro Girolamo Monaco di Vallombrosa, con altri Autori della Toscana si studiano nelle loro Croniche manoscritte, e stampate, di farcelo apparire con molti argomenti, per Commisso dell’Ordine di Vallombrosa; ma io però quantunque inclini non poco, con l’erudito Bollando sotto il giorno 16 di Marzo, a credere, che il B. Torello, non solo fosse Religioso, né di Vallombrosa, né di S. Francesco, ma ne anche di veruna Religione; tuttavolta poi, quando lo volessi ammettere per Religioso di qualche Ordine, più tosto mi darei a credere, che fosse stato Tertiario di nostra Eremitana Religione, imperochè quel P. Girolamo Autore della Cronica di Vallombrosa manoscritta, citato dal Vadingo nel Tomo 7 sotto il num. 22 dell’Additioni al Tom 2, espressamente dice, che il B. Torello fu Eremita, e che fece vita Eremitica, e non mai lo chiama né Alunno di sua Religione, né tampoco di quella di S. Francesco; laonde quando non sia stato né dell’una, nè dell’altra, et essendo poi stato Eremita, non si specificando quello, né altro Autore antico, se fosse Eremita Regolare, o Secolare, resta sempre, che potesse essere stato Tertiario dell’Ordine nostro, o per lo meno Mantellato.

4 – [V, p. 18] Ma perché, come ho accennato, di sopra, io tengo per costante insieme col mentovato Bollando, che non fosse Religioso d’alcun’Ordine approvato dalla Chiesa, perciò non mi affaticarò di provarlo, con apparenti ragioni, come potrei, di nostra Religione in qual si sia dell’accennate forme; che poi non fosse d’alcuna Religione approvata Professore, si cava con evidenza dalla Vita, che di lui scrisse Silvano Razzi in volgare, e fu poi tradotta in Latino dal P. Vadingo, il quale appunto dice sotto il numero 3 del sopracitato Anno 1282, che essendosi ritirato il B. Torello, doppo la di lui maravigliosa Conversione in un picciolo Eremitorio, cosa d’un miglio fuori di Puppi sua Patria, a fare asprissima Penitenza in habito di Eremita, andarono ben tosto li suoi Parenti, et Amici a visitarlo, li quali atterriti per una così rigida, et austera vita, che faceva, si diedero seriamente ad ammonirlo, et a pregarlo ancora, che se pure era risoluto di volere lasciare il Mondo con tutte le sue vanità, si contentasse di ciò fare entrando in qualche Religione approvata, e non vivere in quella guisa, quasi che un’huomo selvaggio, ne’ Boschi e nelle Selve; dunque (conclude qui fondamente il Bollando) il B. Torello non erasi fatto Religioso né di Vallombrosa, né di S. Francesco, ma era un semplice Eremita, né ad alcun’Ordine soggetto, ma totalmente libero. Ma siasi la cosa, come si voglia, sia stato questo Servo di Dio Religioso di Vallombrosa, o di S. Francesco, o pur anche, se piace a Dio, di nostra Eremitana Religione, o sia stato finalmente semplice Eremita secolare, io per tanto, in qualsivoglia modo, per essere egli stato di Casa Torelli, sono tenuto di tesserne in questo luogo compendiosamente la sua santa e gloriosa Vita.

Vita mirabile, Attioni stupende, Miracoli grandi, e Morte gloriosa del B. Torello da Puppi Eremita.

5 – Nacque il B. Torello dunque nella nobil Terra di Puppi nel Casentino di Toscana, poco lungi dal sagro Monte dell’Alvernia; e perché da fanciullo fu forse educato da suoi Parenti con troppa morbidezza, quindi n’avvenne, che essendo morto il di lui Genitore nel più fresco fiore della sua adolescenza, si diede poi egli di così fatta maniera in preda ad una vita tutta licentiosa e sensuale; che ben pareva, che fosse stato nudrito non in una Casa honesta e costumata, ma in un pubblico Lupanaro; ma ecco, che mentre, così a briglia sciolta, il nostro Torello correva per la strada d’ogni vitio a precipitarsi in fine nel Baratro Infernale, il pietosissimo Iddio, quale di già fino ab eterno, l’haveva destinato a dovere con la sua Santità illustrare grandemente la sua Patria e Famiglia, l’arrestò finalmente un tal giorno, con modo veramente prodigioso, dall’infelice corso delle sue laide sceleraggini; e fu questo, che passando egli un giorno per una strada, all’improviso volò da una finestra un Gallinaccio, o voliam dire Pollo d’India, su le sue spalle, et ivi fermatosi per qualche tratto, per tre volte horridamente cantò, e poscia se ne volò altrove.

6 – Torello ciò volendo, e sentendo, più atterrito rimase nel Cuore e nell’Anima, che nel Corpo; imperochè dal prodigioso, e triplicato canto di quel stolido animale, intese egli, alla maniera del buon Pietro, la voce del suo Dio, il quale amorosamente lo chiamava a piangere le sue colpe passate, et a farne un’asprissima penitenza; et in effetto tostamente portatosi al Monistero di S. Fedele dell'ordine di Vallombrosa situato nella sua Patria, e trovato l’Abbate di quello, prostratosi a suoi piedi, [V, p. 19] fece con gran copia di lagrime, e con un’infuocata Contritione, la Confessione Generale de’ suoi peccati, e da esso altresì havutane l’assolutione, ricevè appresso con gran tenerezza e consolatione dell’Anima sua la Santissima Communione; indi consultato con l’Abbate il modo che intendeva di tenere nel corso della sua penitente vita, che era di ritirarsi in un luogo solitario un solo miglio lontano dalla sua Patria, e questo approvato dall’Abbate, finalmente colà si portò; e poco doppo dispensate le sue facoltà parte a Poveri, e parte a Parenti, e fattosi nel luogo sopradetto un’angusto Tugurio, e comprato appresso di quello un picciolo sito per formarne un povero Orticello, ivi per lo spatio di 30 anni, e più, attese a menare una vita così aspra, rigida ed austera, che come faceva giubilare gli Angeli del Paradiso, così faceva inorridire, e fremere di rabbia Satanasso con tutte le sue diaboliche Squadre.

7 – Il quale non potendo sopportare di vedere una tanta virtù in colui, che poco dianzi già stimava haverlo guadagnato, per dovere essere suo perpetuo Cortigiano nella tenebrosa sua Reggia dell’horrendo Abisso, si pose per tanto in cuore d’assalirlo con tante e tali potentissime machine, fin chè tornasse di nuovo a farlo militare sotto le di lui infernali Bandiere; et in effetto sapendo quanto fosse Torello inclinato alle sensuali delitie, e di giorno, e di notte con terribili tentationi, e con apparirle anche tal’hora in forma di bellissima Donna, procurava a tutto suo potere d’espugnare la Rocca del suo già contrito e convertito cuore; ma il tutto sempre in vano, imperochè il buon Servo di Dio Torello, conoscendo molto bene l’arti maligne del crudele Nemico, coraggioso se gli opponeva con l’Armi poderose d’un continuo, e sopra modo rigoroso digiuno, a segno, che per ordinario non si cibava che di quattr'oncie di Pane, e poch’Erbe senza verun condimento, e ben anche sovente stando due giorni intieri di non cibarsi, e ben ispesso, quando la tentatione più lo stringeva, imergendosi ignudo nell’acqua fredda e gelata, et hora rivoltandosi negli acuti spinai, et hora flaggellandosi con durissime catene, con gran spargimento di sangue, mortificava in così fatta guisa la sua, per altro, estenuatissima carne, che non potendo questa haver quasi tanto fiato per respirare, non li restava poi campo da potersi ribellare alla ragione; e così restava l’empio nemico debellato e confuso.

8 – E perché l’oratione è un’arma anch’ella potentissima per superare il Demonio; onde disse S. Gio. Chrisostomo: Nihil est homine orante potentius; quindi il nostro Torello, ciò molto bene sapendo, all’armi de’ digiuni, e dell’astinenze, vi aggiungeva queste dell’orationi, imperochè doppo il brieve sonno di tre hore sole, spendeva tutto il rimanente della notte orando, e contemplando le Celesti cose, e nel giorno lo stesso anche faceva, onde non trovandolo mai il Demonio otioso, anzi mai sempre santamente occupato in questi santi esercitj, arrabbiato se ne fuggiva, lasciando in questa guisa godere al Santo Eremita una specie di Paradiso in Terra.

9 – Arrivato, che vidde Iddio il suo buo Servo Torello, a così alta cima di perfettione, volendoli dare, quasi che una caparra, et un saggio delle delitie, che preparate gli haveva in Paradiso, li mandò dal Cielo un’Angelo, che per sua parte gli dicesse, che in contracambio della sua santa servitù, quali Sua Divina Maestà giornalmente prestava li dovesse chiedere, così per se, come per altri, qualsivoglia gratia, che li sarebbe stata indubitatamente concessa; e per tale effetto poi ogni giorno quell’Angelo li compariva per vedere se alcuna gratia bramava; per la qual cosa il B. Torello incoraggito, e fatto santamente animoso, cominciò a chiedere gratie al Signore, e quante ne seppe [V, p. 20] chiedere, tante per appunto n’ottenne. La prima poi fu, che essendo una povera Donnicciuola uscita fuori di Puppi per lavare alcuni suoi panni in un vicino fiumicello, et havendo seco condotto un suo picciolo Fanciullino di tre anni, ecco, che mentre quella sta lavando nel fiume i panni, e questi siede su la Ripa del fiume, se n’esce di repente da una vicina Foresta un’affamato Lupo, di quella razza, che mangia carne humana, e tostamente afferrato co' denti l’innocente Bambino, via rapidamente se lo portò; gridando, piangendo, strillando, quanto più mai poteva, e correndoli dietro; ma però invano, la misera, e sconsolata Madre, hor via correndo altresì il Lupo alla volta del Bosco, per divorare l’involata preda, arrivò, per Divino volere al Tugurio del nostro Santo Eremita, il quale alla vista d’un così compassionevole spettacolo, tutto impietosito, ripieno di santa confidenza, alla fiera Bestia rivolto, imperiosamente li comandò, che lasciar dovesse quell’innocente Creatura, e subito il fiero Animale ubbidì; a cui il Santo Eremita comandò di vantaggio, che per l’avvenire, né esso, né altri di sua pessima razza havesse mai più ardire di nuocere ad alcuna persona di Puppi, e di tutto il suo Territorio, anzi per ogni lato d’intorno fin dove giungeva il suono della Campana dell’Abbatia di S. Fedele; il che inteso dalla Bestia vorace, abbassando il capo in segno di riverenza velocemente andò ad inselvarsi con l’altre bestie di sua pessima specie.

10 – Ma non hebbero qui fine l’alte maraviglie di Dio, per mezzo del suo Servo Torello, imperochè fatto portare, doppo la partenza del Lupo, nel suo Romitorio il Fanciullo mezzo sbranato, e già quasi che palpitante nell’angustie della morte, e fatta per esso brieve sì, ma però fervosa Oratione al Signor Dio, lo restituì ben tosto nella primiera salute, con liberarlo affatto dalle ferite impresseli dalle crude zanne di quel feroce Animale; ed ecco, che in questo mentre giunge correndo l’afflitta, et affannata Madre del Fanciullo al Romitorio, in traccia del Lupo, e vedendo il S. Eremita, li chiede se ha veduto per avventura il Lupo col suo figlio in bocca; a cui egli Religiosamente sorridendo rispose: sì che l’ho veduto, e gli l’ho levato di bocca; e prendendo il Bambino per la mano, e consegnandoglielo disse: ricevi buona Donna il tuo figlio, e vattene in hora buona alla tua Casa, con rendere al tuo Signore le dovute gratie per un tanto beneficio, e fa che alcuno non sappi dalla sua bocca, ciò, c’hai veduto, et inteso; ma la Donna, doppo il rendimento di mille gratie al Padre, a Puppi se ne ritornò, ove giunta, a piena bocca manifestò a ciascheduno li Miracoli operati da Dio per mezzo del suo Servo Torello nella persona del suo Figlio.

11 – Essendo un’altra volta arrivato a Puppi un certo Conte dello stesso paese per nome Carlo, molto ben conosciuto dal B. Torello, nell’ultimo giorno di Carnevale, si compiacque di mandare al Beato, per un suo Scudiere, un Canestro di Carne; e per il medesimo alcune Signore della Terra mandarono parimente alcune altre Vivande allo stesso Servo di Dio, il quale ogni cosa ricevendo dallo Scudiere, con lieto sembiante per amor di Dio, li disse il Servo Padre: come farete a mangiare da per voi solo tutta questa robba? A cui rispose il Beato, aspetto il mio Compagno, il quale è un gran mangiatore, e so di certo, che non lasciarà avanzare alcuna cosa; ciò inteso dallo Scudiere, si licentiò e finse di ritornare a Puppi; ma non fu così, imperochè nascostosi in un Boschetto, che era quasi contiguo al Romitorio, stette ad osservare chi fosse questo Compagno del B. Torello a cui dava l’animo di divorare tanta Carne; et ecco che poco appresso se n’esce un Lupo dal Bosco, il quale accostatosi alla Porta del Religioso Habituro, urlando, e percuotendo con [V, p. 21] una zampa la detta Porta, venne, e gli aperse Torello, il quale postali tutta quella carne nella bocca vorace del fiero Animale, in un balleno divoratala, cominciò poi alla maniera d’un Cane, ad adulare il Servo di Dio, con leccarli le mani, e con porli leggiermente i piedi sul petto, quasi che più pastura da esso aspettasse; ma il Santo li disse, basta ciò, c’hai mangiato, vanne hora ad inselvarti, e fa, che per l’avvenire, né tu, né altri di tua pessima razza, habbia mai più ardimento di nuocere ad alcuna Creatura della Terra e del Territorio di Puppi, per ogni lato intorno, fin dove udire si potrà il suono della Campana di S. Fedele; il che inteso dal Lupo, chinando, in segno di riverenza, il capo, via se n’andò. Lo Scudiere in tanto, che da quel nascondiglio, in cui erasi appiatato, il tutto haveva veduto, stupitosi grandemente di ciò, tostamente se ne tornò a Puppi, manifestando a tutti l’alte maraviglie Divine, che haveva vedute operare dal B. Torello con l’accennato Lupo.

12 – E già, che habbiamo registrati due Miracoli del B. Torello operati ne’ Lupi, aggiungiamo il terzo, che non sarà meno prodigioso di quelli; ed è questo, che essendosi incaminata una Donna Aretina per nome Dorotea con un suo Figlioletto di nove Anni verso la Terra di Bibienna, ecco che nel camino s’incontra la misera in un feroce Lupo, il quale furiosamente rapito il Fanciullo, via veloce se lo portava nel Bosco per divorarlo; hor mentre la povera Madre con strilli e clamori, quasi disperata, faceva d’ogn’intorno l’aria risuonare, ecco, che passando per colà vicino il B. Torello, che appunto anch’egli a Bibienna n’andava, e richiesta ad alcuni, che ciò viddero, e risaputa da quelli la causa di que’ dolorosi clamori, subito genuflesso pregò humilmente Iddio, che non volesse permettere, che quel fanciullo restasse da quella Bestia ucciso; e subito udì una voce, che li disse: Sta di buon’animo, o Torello, perché la tua oratione è stata esaudita da Dio; comanda pure al Lupo ciò che più ti piace, e sarai da esso prontamente ubbidito; il che havendo fatto, subito la Bestia lasciò il fanciullo in terra, ma però così mal concio, e ferito, che già già quasi stava per spirar l’Anima. La turba intanto d’alcuni huomini di quel contorno, li quali seguivano correndo la traccia del Lupo rapitore, essendo arrivati, ove era restato il Fanciullo, e trovatolo in così misero stato, lo presero ben presto, e lo portarono insieme con la Madre ai Medici, li quali dandolo per spedito, e perciò incredibilmente lagnandosi la povera Genitrice, fu consigliata da alcune buone Donne a portare il suo figlio al B. Torello, che già era giunto in Bibienna; il che havendo fatto, il Servo di Dio, non così tosto lo vidde, che mossossi a pietà non meno della Madre, che del figlio, si pose in oratione, e poscia levatosi in piedi, et ungendo con la sua propria saliva le ferite mortali, ricevute da gli acuti denti del crudelissimo Lupo, incontanente guarì, e così sano, e gagliardo lo rese alla sua buona Madre, la quale soprafatta da incredibile allegrezza non si satiava di rendere le dovute gratie a Dio, et al suo Servo, per una gratia così singolare.

13 – Ne fu così partialmente affettionato il B. Torello alla sua Patria, et alla Toscana tutta, che anche tal’hora non diffondesse i raggi delle sue pietose, e miracolose gratie fuori di quelle parti. Ben lo provò molto abbondevolmente una nobilissima Dama di questa nostra Patria di Bologna, per nome Vittoriana, la quale essendo passata con due suoi figlioli di tenera età, accompagnata da numerosa Servitù, a visitare il sagro Monte dell’Alvernia, non così tosto fu colà giunta, che furono assaliti li detti suoi figliuoli da una febbre così acuta, e maligna, che ben tosto ne disperarono i Medici la salute; per la qual cosa rimase cotanto afflitta, et addolorata la divota Signora, che non poteva, [V, p. 22] né voleva accettare alcuna consolatione; per la qual cosa trovandosi ivi presenti alcune buone Donne di Puppi, le quali erano venute alla divotione di quel sagro Monte anch’esse, mosse a pietà di quella povera Dama, l’esortarono a doversi trasferire insieme co’ suoi figli al Santo Romitorio del B. Torello, che non era molto d’indi lontano, perochè si rendevano certe, che per mezzo di quel buon Servo del Signore haverebbe ottenuta da Dio la sanità de suoi figli; non fu sorda Vittoriana, ma subito fattasi colà condurre ov’era il Beato, con humili preghiere, lo supplicò a volere porgere calde orationi al Signore, acciò si degnasse di restituire a suoi cari pegni, la già quasi disperata salute, il che havendo con molta carità fatta il Beato, ripieno di molta confidenza, fece prestamente attingere un poco d’acqua fresca da un Fonte ivi vicino, e datala a bere alli due Infermi Fanciulli, restarono instantaneamente liberi dalla febbre, e sani come prima; e nota l’antico Scrittore della Vita del Beato, che servì poi, per longo tratto di tempo, l’Acqua di quel Fonte per liberare molti Divoti del Servo di Dio da varie, e diverse infirmità.

14 – Soggiunsero finalmente due altre gratie miracolose, che operò il Beato Torello ancor vivente, imperochè il volerle tutte quivi ad una ad una registrare, sarebbe un non mai finire. La prima poi fu, di risanare, e quasi liberare dall’evidente pericolo della morte un Muratore, il quale mentre stava coprendo il tetto del Romitorio del Beato, fu gettato dall’invidioso nemico del genere humano in terra, ove diede così fiera stramazzata, che già quasi stando per morire, fu dal B. Torello, doppo brieve oratione, liberato da ogni male, e fattolo ritornare sul tetto, terminò poi felicemente, mal grado del Demonio, l’opera incominciata. Liberò parimente dal Diavolo una povera Giovinetta, la quale, per le Fatucchierie d’un’empio Stregone, era forzata ad amare un Giovine disonesto, il quale, per haverla in sua balia, l’haveva fatta da quel malvagio affatturare.

15 – Ma torniamo a favellare delle grandi penitenze, e rigorose austerezze fatte per lo spatio di trent’anni, e più dal Beato Torello, le quali furono così grandi, e così aspre, massime li digiuni, l’astinenze, e le discipline, che erasi ridotto il di lui Corpo a così gran debolezza, et estenuatione, che se caminava, se orava, e se faceva altra cosa, il tutto stimavasi da ogn’uno, che fosse fatto per miracolo, e non perché havesse forza di farlo; il che era così vero, che conoscendolo anch'esso, si rivolse d’allargare un poco più la mano nel ristorarlo, il che proseguì poi di fare fino alla fine della sua vita, cioè a dire, all’Anno ottantesimo di sua età; al quale essendo già vicino, gli apparve un giorno, che fu il sestodecimo di Febraio di quest’Anno 1282, un’Angelo (e forse fu quello che giornalmente gli appariva, per sapere, che gratia desiderava dal Signore, come più sopra accennammo) e da parte di Dio li disse: Rallegrati, o Torello, perché di già è arrivato quel tempo felice, che tu hai tanto desiderato di venire, cioè in Paradiso, a godere con gli Angeli, e co’ Santi il premio già preparatoti da Dio per le tue asprissime penitenze, et appunto doppo trenta giorni, e precisamente nel giorno sestodecimo di Marzo dovrai fare questo fortunato passaggio dalla Terra al Cielo; il che inteso dal Beato, rimase di tal sorte soprafatta la di lui Anima da un'immensa allegrezza, che quasi in se stesso non capendo altro non faceva, che piangere per tenerezza, e ringratiare il suo potentissimo Signore, che pure una volta erasi degnato di chiamarlo alla fruitione della sua eterna Gloria; poscia raddoppiando più che mai le sue consuete austerezze, stette quasi tutti que’ trenta giorni di non mangiare, sempre assorto in altissime contemplationi delle cose Celesti, [V, p. 23] et arrivato finalmente il giorno del suo beato Transito, chiamò il suo Compagno, che Pietro chiamavasi, e li manifestò la sua vicina morte, la quale appunto seguir doveva in quel medesimo giorno; per la qual improvisa novella rimase tanto addolorato il buon Pietro, che dirottamente piangendo, al Beato Padre diceva: Deh Padre benedetto, dunque egli è pur vero, che voi vi vogliate da me separare? e che farò io solo senza di voi? a chi potrò io palesare le tentationi del Demonio, l’afflittioni dell’Anima per regolarmi? da chi riceverò consiglio, e direttione nelle cose dubbiose? e chi finalmente m’insegnarà la vera strada della perfettione, come voi facevate? Ma il Santo Vecchio consolandolo con dolci parole, li diede molti avvertimenti, e ricordi, per mezzo de' quali ottimamente proseguire poteva l’icominciata carriera; e poscia prostratosi in terra con le ginocchia ignude, ed alzate le mani al Cielo, pregò Nostro Signore, che non volesse permettere, che alcuna persona della sua Patria di Puppi, e del suo Territorio, fosse mai oltraggiata da alcun Lupo fin dove si poteva sentire il suono della campana di S. Fedele, come già un’altra volta pur supplicata n’haveva la sua Divina Bontà; doppo di che apparendoli l’Angelo consueto, li disse, che già Iddio esaudito l’haveva; il che inteso dal Servo di Dio, incontanente spirò l’Anima beata nelle mani di quell’Angelo benedetto, da cui fu ben tosto portata in Cielo a godere eternamente il frutto delle sue immense fatiche.

16 – Né così presto hebbe egli terminato il B. Torello il felicissimo corso di sua santissima vita, quando subito tutte le Campane, così della Terra di Puppi, come quelle di tutte l’altre Chiese delle sue Ville, da per se stesse suonarono per longo tratto; laonde, tanto li Preti, quanto li Monaci, sentendo e vedendo un così gran prodigio, s’imaginarono ben tosto, che questo fosse un segno del loro Beato Concittadino Torello; per la qual cosa tutti colà frettolosamente correndo, massime li Preti, e vedendo morto il Sant’Huomo, nacque subito fra di loro una grave contesa, pretendendo ciascheduno di loro di portare quel Santo Cadavere a sepellire nella loro Chiesa; ma ecco, che mentre stavano in questa guisa gareggiando, e contrastando, sopragiunse l’Abbate di S. Fedele con i Monaci suoi, il quale come sentì, che così fra di loro garrivano que’ Preti, bramoso di quietare un tanto rumore, propose loro questo bel partito; che a chi dava l’animo di porre, da per se solo, il Corpo del Beato nel suo Feretro, dovesse poi portarlo nella sua Chiesa a seppelirlo; la qual proposta essendo stata da tutti volontieri accettata, cominciarono ad uno ad uno a provarsi, di trasportare il detto Corpo nel loro Feretro, conforme l’accordato; ma non havendo mai potuto alcuno di loro conseguire l’intento, per quanto vi s’adoprassero con tutte le sue forze, alla per fine l’Abbate istesso, fatta brieve oratione, e raccomandatosi di buon cuore a Dio, s’accostò al Corpo Beato, e con grandissima facilità levatolo di dove era, su la Barra lo pose, e con grande allegrezza nella sua Chiesa di S. Fedele col seguito di tutti i Preti, e del Popolo, lo trasferì.

17 – Ma qui e’ fa di mestieri, che io riferisca un prodigio ben grande, che successe prima, che il sagro Corpo entrasse nella Terra; imperochè, mentre già stavasi per entrare con quello dentro la porta, ecco venire correndo all’improviso in Lupo con un Porchetto in bocca, il quale passando fra le truppe di quelli, che in gran copia, accompagnavano il Santo Cadavere, giunto finalmente al Feretro, ivi lasciò l’Animale intatto, e poi subito fece ritorno verso colà, di dove era venuto; con il qual’atto, veramente stupendo, e tutto prodigioso, volle per avventura dare ad intendere quel feroce Animale, che nel miglior modo, che egli poteva, voleva anch’egli, con l’offerta di qel [V, p. 24] Porchetto, celebrare i Funerali a quel gran Servo di Dio.

18 – Così dunque proseguendo il loro viaggio verso la Chiesa di S. Fedele con il B. Defonto, ecco che chiunque era oppresso in quella Terra da qualche malore, frettoloso correva da ogni parte per toccare il Santo Corpo; e di vero niuno di essi rimase deluso, e defraudato dalla concepita speranza di guarire; imperochè, dice l’Autore della Vita antica manoscritta del Beato, prodotta dal Bollando, che tutti quegli Amalati, che ciò fecero, rimasero tutti sani, e gagliardi: Terram denique intrant Puppij cun corpore B. Torelli. Aegroti autem constuentes ad Feretrum undique illud tangebant, et de suis languoribus sanabantur. Così pure anche prosiegue a narrare, che essendo stato seppellito in una Tomba assai riguardevole dall’Abbate, quanti Infermi, e cagionevoli delle vite loro, passavano per divotione, sotto la detta Tomba, tutti miracolosamente ricuperavano la sanità; il che durò fin tanto, che un certo Abbate lo fece trasportare in un altro luogo della Chiesa, e ciò tanto dispiacque a Dio, et al Beato, che il detto Abbate fu da S. D. M. castigato con tanti, e tali infirmità, che indi a non molto terminò miseramente la vita. Come poi doppo la morte operasse altri Miracoli stupendi, oltre li sopra narrati, in varie persone, da esso lui liberate da’ Lupi, dalle febri, e da altre infirmità; e come altresì apparisse in sogno ad un Pittore che bramava dipingerlo al naturale, egli si facesse vedere, tal quale appunto quegli desiderava, et altre cose simili; lo descrivono ben a lungo gli Autori da noi citati nel principio di questo brieve Compendio, cioè a dire Silvano Razzi, Luca Vandingo, Girolamo Radiolani, il Bollando, et altri, quali si possono vedere appresso l’istesso Bollando; e con ciò poniamo fine alla Vita, et a i Miracoli del nostro Beato Torello, quale divotamente con tutto il cuore preghiamo a volersi degnare di tenere protettione di noi, e della nostra povera Famiglia, dalla quale forse trasse l’origine sua.

19 – Ma già che quasi habbiamo, così per accidente, presa a narrare la Vita del B. Torello, per havere havuto, e portato così il nome, come anche il cognome della nostra Famiglia de’Torelli, io tal occasione mi conosco obbligato a registrare altresì in questo luogo la non meno nobile, che antica origine di questa Casa, e ciò servirà per pagare in qualche parte il debito di gratitudine, che io devo a gli Antenati miei, i quali doppo Dio, m’hanno dato l’essere, e fatto nacere in questo Mondo; et in ciò fare non dovrò io essere da’Critici, o da qualunque altro tacciato d’ambitiosa giattanza, imperochè ho io preteso d’imitare in questo affare molti altri Personaggi più di me saggi, e prudenti; e fra gli altri mi giova di mentovare il famoso Cardinal Baronio, il quale ne’suoi Annali, con buonaoccasione fa un ben lungo, e serio discorso dell’origine antica, e nobile della sua Famiglia; et anche il nostro Padre Errera nel Tomo secondo del suo Alfabeto Agostiniano, parlando di se stesso, fa altresì honorata memoria de’suoi nobili Progenitori; e per dare hoggimai principio a questa, non così facile, impresa, io mi servirò di quanto hanno scritto della Casa Torelli, così gli Antichi, come moderni Genealogisti Italiani nelli loro Nobiliarj; et in ispecie m’avvalerò di ciò, che ne ha dato ultimamente alle Stampe il Sig. Pompeo Scipione Dolfi mio dolcissimo Amico, e Parente, nel bel Libro intitolato Cronologia delle Famiglie Nobili di Bologna, etc. nel quale appunto a carte 406, 7, e 8, scrive di questa Famiglia ciò che siegue cioe.

20 – La Famiglia de’ Torelli, secondo l’opinione d’alcuni, si crede derivata dall’antica Famiglia Taura Romana, e che per trasmutatione della lingua prendesse tal nome, della quale il Crescentio dice, che Torello fossr uno di [V, p. 25] que’ tre Capitani, che con 300 Cavalli e 50 Fanti di Piacenza, servirono a Tito e Vespasiano nell’impresa di Palestina altri vogliono, che fosse una di quelle, che del 685, fondarono la Città di Ferrara, ma questi di tal Casa tengono venire d’Alemagna da uno per nome Torello, valoroso Soldato, seguace, et anche parente d’Ottone Imperatore, quale hebbe cinque figliuoli, cioè Alberto, Guido, Aloisio, Amuratto, et Estavasio, dal quale sia derivata tal Famiglia, che poisi è diramata per molte Città d’Italia, si della Romagna, come della Lombardia; et anche in Polonia, credendosiRoberto Arcivescovo di Gesna, di natione Italiano, di Patria, Mantovano, mandato colà da Papa Giovanni XIII a quella Residenza per istruire quei Popoli nella Fede Christiana, che poco avanti havevano abbracciata, sotto il Prencipe Miecislao del 972 esser stato di tal Famiglia; et in oltre il Possevino nell’Historia Gonzaga fol.51, fa mentione di un Giacopino del 1049. E finalmente a Salinguerra Torelli del 110 fu concessa l’Investitura di Ferrara dalla Contessa Matilde, quale ne fece partire Pietro Torelli, per sospetto, che tentasse di ridurre detta Città al suo Dominio; essendovene stati tre Salinguerri, l’ultimo de’quali, non potendo recuperare Ferrara, del 1315, si ritirò in Mantova; diramata poi in Parma, Milano, e Napoli, da’quali il più segnalato fu il Conte Guido figlio di Marsilio, che fu investitomdalli duchi di Milano di molti Feudi, con titolo di Conte, e di Marchese, non vi essendo rimasto in tal Stato al presente, altro, che la Casa del Marchese Gio. Antonio a Pavia, quale è Marchese di Casè, e Cornale, e Conte di Torello, fabbricato dal detto Conte Guido, e di Zeccone del Vicariato di Settimo, essendosi persa Guastalla, et altri Feudi, che hasveva la Casa di Milano, e di Parma; havendo anco havuto nobilissime Parentelle, cioè con li Signori d’Onara per Soffia figliuola d’Ezzelino da Romano Tiranno di Padova, con Visconti, Pallavicini, Rossi,Gonzaga, Orsini, Bentivogli, e Castiglioni, et altri, e questo è Marito della marchese Maria Trivustia, sorella del Marchese Alessandro, Cavaliere moltostimato in Milano.

21 – Ma per tornare a Pietro, quale partitosi di Ferrara per causa della Matilde, se nepassò a Bologna, da cui discese del 1141, Antonio Console della Città, e Capitano de’Bolognesi contro Modenesi. Del 1145, Azzo fu Ambasciadore a Corrado Imperatore, e del 1153, Console della Città. E del 1188, torello, con Alberto Bianchetti Capitani di 2 milla Fanti contro il Soldano d’Egitto, 1209, Pietro Podesta di Reggio, 1258; Azzone creato Cavaliere da Odoardo re d’Inhilterra. 1286; Bernardino degli Antiani. 1294; torello del Consilio delli 2 mila. 1337; Merigo Ambasciatore a Fiorenza. 1360; Toniolo Capitano ad espugnare la Bastia di Casalecchio. 1363; degli Antiani, e del Consiglio delli 400 come Pietro, Rolandino, et Azzo; questa Famiglia fu della Fattione Raspante, e venne all’armi con la Nobil Famiglia Balduini, 135; Enrico di Mattiolo fu degli Antiani, e Mariti di Giovanna Pepoli, essendo anco congiunta con Beccadelli, Garisendi, Zambeccari, et altre Nobili Famiglie. 1397; Galeazzo Contestabile di Lancie, andò in aiuto de’Mantovani. 1409; Guido fu Capitano d’Ottobuono Terzi Signore di Parma. 1445; Pietro fu in aiuto di Galeazzo Marescotti contro Canetoli; e 1531; Giulio fu Dottore di Filosofia, e Medicina. Ma agitata dalla Fortuna, e sostenuta qualche poco dal Ramo del P. Maestro Aloisio Trelli Agostiniano, huomo, e per Dottrina, di cui ne fanno fede i Gradi, che ha havuto nella sua Religione, e di lui Scritti, e Secoli Agostinini, e per la bontà di vita, e soavità di costumi, a tutti molto riguardevole.

22 – [V, p. 26] Fin qui arriva la Ginealogia, o vogliam dire origine della Famiglia Torelli, raccolta da varj Autori, e Genealogisti dal Sig. Dolfi sopracitato, alla quale mi giova d’aggiungere alcune cose, e specialmente sopra la Terra di Casè, o Caseto, della quale è Marchese Gio. Antonio Torelli; come è Tradittione antichissima di quella Terra, che quando fu portato iil Corpo del nostro Gloriosissimo Padre Sant. Agostino dal Regno di Sardegna in Pavia, per opera del gran ReLuitprando de’Longobardi, riposasse una notte nel sudetto luogo, nel quale appunto fu poi fabricata una picciola Chiesa, overo Oratorio, in cui fino al giorno d’hoggi vi si vede dipinto il Santo a giacere un Feretro.

23 – Aggiungo di vantaggio in proseguimento della Genealogia, overo Descendenza della Famiglia Torelli in Bologna, che F. Luigi ultimo nominato dal Sig. Dolfi Autore di questi Secoli, fu figlio di Francesco, che nacue nell’Anno 1549, e morì del 1609, a 14 d’Agosto, nel qual’Anno appunto nacque F. Luigi a 15 d’Aprile; la Madre poi del sudetto F. Luigi, fu Girolamafiglia d’Ercole Presidoni, e LauraZenzibari, Famiglie ambe molto chiare, cospicue, et antiche, delle quali la prima era sostenuta da Francesco hora defonto, e senza figli; L’altra poi de’ Zenzibari, è rimasta estinta nell’Anno del 1673, nella persona della Contessa Teodora mia Cugina, che fu già Moglie del Co. Carlo Piatesi, de’quali nacque una figlia per nome Picciola, hoggidì maritata nel Senatore Alberto Guidotti. Nacque poi la sudetta Girolama nell’Anno 1571, e morì nell’Anno infausto del 1630 di Contggio, e dello stesso malore morirono quattro suoi figliuoli miei fratelli, cioè, Cesare, e Torello, Angela, ed Orsina ambe maritate, la prima in Camillo Anselmi, e la seconda in Michele Crescimbeni; come morirono ancora alcuni Anni doppo Ercore, e Lucretia, questa maritata in Christoforo righi, d’Appoplesia, e quegli sotto le Mura di Barcellona sviscerato da una Canonata, mentre militava per la cattolica Maestà in qualità di Capitano d’Infanteria, et erano più di 30 Anni, che serviva quel Monarca hora d’Alfiero, hora d’Aiutante di varj Regimenti, e finalmente di Capitano in varie guerre d’Italia, di Spagna, di Fiandra, e di Germania. Di Francesco fu ancora figlio Girolamo havuto dalla prima delle tre Mogli, che hebbe di Casa Vascelli Famiglia antica, e Nobile, il quale nacque l’Anno l’Anno 1592 , e morì l’Anno 1640, in età di 48 Anni, hebbe quattro Moglie, cioè Frigida Montecalvi, Ippolita Carnali, Cattarina Lazzari, e Cattarina Folchi; dalla prima hebbe Ercole, il Quale fu Marito d’Ertia Benni, figlia di Marc’Antonio Benni, e di Margaritta Suzzi, Donna di gran bontà, senno, e prudenza, la quale lipartorì due figli maschi, l’uno de’quali è Religioso dell’Ordine de’Servi, e si chiama F. Gioseffo Maria, hoggidì Baciliere, e l’altro è Ercole figlio postumo, hoggidì Dottore dell’una, e dell’altra Legge, in compagnia di cui hora vive la Madre sudetta, con raro esempio di vedovile constanza; fu questa Signora Nipote del P. Maestro F. Francesco Benni dell’Ordine sudetto de’Servi, il quale per la sua molta Dottrina, e sapere, fu creato da Clemente VIII Vescovo di Scala, e Ravello nel Regno di Napoli l’Anno 1598, e morì poi l’Anno 1617, a 19 di Genaio. Della seconda Moglie Ippolita Carnali Famiglia Nobile, non hebbe alcun figlio. Dalla terza hebbe una figlia, per nome Brigida, la quale morì in età di 13 Anni. La quarta Moglie si chiamò, come habbiam detto, Catterina, dell’antica, e Nobile Famiglia de’Folchi, di cui fu Illustre Rampollo S. Folco de’Folchi, che essendo stato Arcivescovo di Ravenna per qualche tratto di tempo, ricominciò poi quell’insigne Metropoli, per Divina ispiratione, come si crede, [V, p. 27] e si ritirò a far vita solitaria nella Villa di Saleto nel Territorio di Bologna, ove intorno a gli Anni di Christo 510 come scrive il Masini nella prima Parte della sua Bologna del Mese di Settembre alli ……a c.453. Hoggidì questa Famiglia si conserva ancora nella Persona di Maddalena, sorella della sudetta Cattarina, che fu Mogli di Bartolomeo Baldi, de’quali è figlio Girolamo Camillo Baldi, qual è marito della Contessa Leonora, figlia del già fu Conte Rinaldo Ariosti, e Nipote di Monsignore Axzzo Ariosti, ultimamente Arcivescovo d’Avignone in Francia. Di Cattarina poi hebbe Girolamo due figlioli, l’uno per nome Francesco Salinguerra, e l’altro Giacomo Filippo, li quali hoggidì vivono, e sono Religiosi Agostiniani, il primo, col nome di F. Agostino, il qualedoppo essere stato Maestro di Studio, e poiRespondente in alcuni Studj della Religione, hora gode l’honorevole grado di Bacciliere nel suo Convento di S. Giacomo di Bologna, di cui è figlio; l’altro poi chiamasi col nome di F. Girolamo del Convento di S. Nicolò di Ravenna.

24 – Viveva altresì in questo tempo istesso un altro gran Religioso nella Germania per nome F. Arrigo Pavone, a cui , mentre stava una notte dormendo, apparve ben tre volte il Glorioso S. Martino, e gli ordinò, che procurasse di fondare un Monistero del suo ordine nella sudetta Città di Maddeburgo, e non si quietasse fin’a tanto, che non havesse ottenuto l’intento; svegliato dunque il Servo di Dio Arrigo, e ripensando alla Visione, stimò di dovere ubbidire in ogni conto all’Oracolo Celeste, e così ricorrendo al Re d’Alemagna, cioè a dire, all’Imperatore, a Cardinali di Roma, ed anche al Papa istesso, finalmente per mezo loro, ottenne il bramato intento, e fondò il Monistero in quella Città, conforme comandato gli havea il Santo predetto. Riferisce questa nobile, e fino a questi nostri tempi, isconosciuta Historia, ip P. Maestro F. Arrigo Vuoltero da Colonia, Religioso della nostra Provincia di Fiandra, Vescovo di Erfordia, e Suffraganeo dell’insigne Metropoli Elettorale di Magonza, nel suo Libro intitolato il Primate di Maddeburgo nella Vita, che egli fa dell’Arcivescovo Arrigo, ove dice haverecavato da una Cronica antica manoscritta di quella S. Chiesa, le seguenti parole: Huius Archiepiscopi tempore (scilicèt Enrici) Anno 2 (inquiunt Cronica) receptus est locus Fratrum Ordinis Eremitarum S. Augustini in Civitate magdeburgi, ad preces Domini Papae, et Dominorum Cardinalium, ac etiam Regis Alemania; et hoc per intercessionem S. Martini Gloriosi, qui trina visione de hoc revelavit Viro Magna Religionis Fratri Enrico, dicto Pavoni, quoad receptionem eiusdem intendere deberet, et negotium constanter prosequi ad effectum, quod et fecit; Unde de hoc sunt versus scripti in Conventu.

25 – Questo fu appunto il nobile principio, che hebbe il Convento di Maddeburgo, il quale e stato incognito fin’hora, come parimente è stata incognita la notitia della persona del Venerabile Fondatore Arrigo Pavone, il quale ben’è da credere, che fosse grandemente caro al Signore, mentre a lui solo fra tanti Illustri, e Santi Religiosi della Germania, si compiacque di commettere la Fondatione del suddetto Monistero di Maddeburgo; e per conseguenza potiamo piamente stimare, che egli fosse grandemente divoto di S. Martino, mentre egli fu quello, che ben tre volte apparendoli in sogno, gli comandò da parte di Dio, che dovesse intraprendere l’altra impresa della fabrica di quel Monistero. Quando poi egli terminasse di vivere questo gran Religioso, in qual luogo si ritrovi il suo Corpo, [V, p. 28] ed in quali virtù principalmente egli si rendesse più illutre, e più cospicuo, non lo potiamo asserire, perochè di vantaggio non ne scrive il sopracitato Vuoltero.

26 – Fu dato parimente in quest’Anno principio, allo scrivere dall’eruditissimo Errera nel primo Tomo del suo Alfabeto, alla fabrica della Chiesa del nostro Convento di S. Agostino della Città dell’Aquila, la di cui pprimaPietra, doppo essere stata con le solite cerimonie benedetta dal Vescovo di quella Nobilissima Patria, fu poi anche solennemente gettata nelli Fondamenti dal medesimo Vescovo a 21 del Mese di Marzo di quest’Anno presente del 1282. Non dice però se prima vi fosse ivi Monistero, e se questa fosse la prima Fondatione; peroche il dire, che fu in quest’Anno gettata la prima pietra della fabrica della nuovaChiesa, non toglie il campo di giudicare, che prima, o ivi, o in altro luogo dentro, o fuori havessero dimorato per qualche tempo li nostri Padri, ma come non vi è luce più chiara, così non potiamo arrischiarci a discorrere di vantaggio, per non togliere ad indovinare; Errera nel Tomo primo dell’Alfabero, Panfilo, et altri.

27 – Solo qui posso aggiungere, che questo Monistero à sempre in ogni secolo havuti Religiosi Illustri, tanto nella Santità, quanto nella Dottrina, et in altre rare qualità; fra quali li più cospicui, e chiari sono stati ol B. Antonio della nobilissima Casa Turriani di Milano, il quale però, per longhissimo domicilio fatto da esso in questo Convento, communemente viene chiamato dall’Aquila; morì pieno di meriti grandi l’Anno 1482. L’altro fu il Reverendissimo Padre Maestro Giacomo dall’Aquila, il quale essendo Procuratore Generale, fu altresì per i suoi molti meriti promosso al Generalato l’Anno 1470. Et hoggidì vive per la Dio gratia, l’Illustriss. e Reverendiss. Monsig. F. Gioseffo Eufani, pure Aquilano il quale, doppo essere stato Reggente di varj Studj principali della Religione, e poi eletto ancora l’Anno 1667, dal Concilio Generale, in sua assenza, Procuratore Generale di tutto l’Ordine, fu poi eletto altresì in fine dalla Santa memoria di Clemente IX, Sagrista di Sua Santità, e Vescovo d’Eleonopoli; E dalla Santità parimente di Clemente X, non solo confirmato nell’ufficio di Sagrista, ma di vantaggio promosso al Vescovato più utile, ed honorevole, di Porfirio; et hoggidì serve puranche nell’istesso Ufficio Innocenzo XI hora Regnante. A questo gran Prelato poi si confessa in sommo grado obbligatissima tutta la Religione Agostiniana, per haver egli impetrati, et ottenuti dalla S. Sede, e dalla somma benignità del Gran Pontefice Clemente X sopramentovato, favorì così grandi, beneficj così singolari, e gratie così segnalate, che stetti quasi per dire, che da i tempi felici del suo gran Fondatore S, Agostino, non ne ha ricevuti di simil sorte da qualsivoglia altro Soggetto, per grande, che sia stato, laonde dovrebbe ogni Monistero ergere in honore di questo gran Prelato, tanto di tutto l’Ordine benemerito, una Statua in segno della dovuta gratitudine. Né suoi tempi, e ne suoi luoghi scriveremo, così di questi, come anco d’altri Soggetti di questa Casa più diffusamente. Fu anche celebrato in questo nobile Convento il Capitolo Generale l’Anno di Christo 1440, in cui fu eletto Generale, in luogo del defonto Bartolomeo da Venetia, Maestro Nicola Saracini da Cassia.

28 – Riconosce altresì da quest’Anno il suo principio il Convento di Sulmona, Città situata nella Provincia dell’Abruzzo; e ciò non d’altronde apparisce, fuori che da una Pietra antica, che stà su l’orlo del Pozzo, di detto Convento, nella quale vi sono intagliate alcune parole, che dichiarono essere stato quel Monistero edificato in quest’Anno del 1282. Chi poi ne fosse [V, p. 29] il Fondatore, chi aiutasse, e promovesse detta Fondatione, con altre circostanze, non v’è chi ne scriva pure una sola parola; solo si sa di certo, che prima del 1358, era membro della Provincia di Puglia; poscia essendosi divisa quella Provincia, rimase sotto quella d’Abruzzo, e poi finalmente divenne della Congregatione di Perugia; le quali cose, più chiaramente ne’suoi proprj luoghi, e tempi, spiegaremo; solo ci resta di aggiungere, che anticamente chiamavasi di S.Martino, ma poscia forsi con l’occasione di rifabricare la Chiesa, lasciato il vecchio titolo, prese quello del nostro Padre S. Agostino. Errera nel Tomo 2.

29 – Ha partoriti questo Convento anch’egli alcuni Religiosi degni di memoria, ma il più Illustre, et il più insigne, fu il Vener. Servo di Dio Fr.Benedetto da Sulmona, che fu Nipote della Beata Gemma pure da Sulmona, la quale, doppo essere stata Monaca Agostiniana, passò poi alla Religione Francescana. Questo Servo di Dio poi, mentre stava di stanza in Foligno, hebbe ordine da Dio di passare in Perugia, per ivi fondare un nuovo Monistero di sua Agostiniana Religione; il che havendo tostamente fatto, mentre stava ivi preparandosi all’opera comandatali da Dio, gli apparve la Beata Vergine, e li disse, in che luogo dovea fare la Fondatione del nuovo Convento, con insegnarli ancora la forma, et il disegno di quello; il che poi prontamente eswquì con la facoltà di papa Martino V, come ne’suoi proprj luoghi, e tempi, ampiamente a Dio piacendo riferiremo con tutte le circostanze, che concorsero a cotesta Celeste Fondatione del detto Convento, che poisi chiamò di Santa Novella, e fu membro della Congregatione Perugina fino all’Anno 1643, nel quale, per cagione delle Guerre, fattine sortire i Religiosi, vi furono introdotte alcune Monache, che stavano fuori della Città; passando li Padri ad habitare, per all’hora, per modo di provisione, vicino alla Chiesa di S. Bevignate; di donde partirono, e passarono ad habitare nel Monistero di S. Matteo in Merulana di Roma, per concessione del Reverendiss. Padre Maestro Paolo Luchini da Pesaro Generale. Credesi, che morisse il detto Servo di Dio intorno a gli Anni di Christo 1440. Vedi il Iacobilli ne’suoi Santi di Foligno.

30 – La Consecratione, che dicessimo essere stata fatta nell’Anno 1278 dal Vescovo Baradiense della nostra Chiesa di Marchek nella Provincia dell’Austria, fu anche in quest’Anno confirmata dall’Arcivescovo di Patavia; e nello stesso tempo fu alla stessa Chiesa, e Convento donata una Vigna, in un luogo chiamato Schokomdorf, da un certo Ulrigo. Così scrivono il Milensio, il P. Errera, e Crusenio, et altri.