Tomo V - ANNO 1286

Anni di Christo 1286 – della Religione 900

1 – [V, p. 49] Habbiamo in quest’anno varj accidenti, e tutti ben strani, occorsi nella Chiesa e nel Secolo; imperochè, il Sommo Pontefice Honorio supresse et estinse un’Ordine Mendicante, il quale chiamavasi col solenne Titolo d’Apostolico, tutto perché era stato istituito doppo il Gran Concilio Lateranense, e prima di quello di Lione, e non era mai stato dalla S. Sede confirmato; laonde in vigore del Decreto fatto dal sudetto Concilio di Lione, doveva subito rimanere estinto, come habbiamo, In capite Religionum de Religiosis Domibus in sexto, etc.

2 – Lo stesso Pontefice fulminò la Scommunica contro li due Figli di Pietro Re d’Arragona, già ucciso in Guerra, cioè contro Giacomo, il quale, senza il consenso della S. Sede, erasi fatto Coronare Re di Sicilia; e contro d’Alfonso, perché tuttavia riteneva in prigione Carlo Re di Napoli, detto il Zoppo, che era Feudatario di S. Chiesa; ambi questi accidenti riferisce il Bzovio sotto di quest’anno.

3 – Aggiunge questo medesimo Autore, che li Tartari, stimolati dalla fame, fecero una così horribile irrutione nel Nobilissimo Regno della Polonia, che doppo havere fatta una crudelissima strage per tutte le Provincie, condussessero poi via tanti Schiavi, che fra quelli vi si contarono sopra venti mila Verginelle innocenti, cosa in vero molto compassionevole e deplorabile. Racconta parimente il detto Autore, che Alessandro Re di Scotia, mentre stava maneggiando un Cavallo, cadè di repente, con così fatta stramazzata, che frantosi il Capo, tostamente morì.

4 – [V, p. 50] Quanto alle cose dell’Ordine habbiamo, che li Padri della Romana Provincia, fecero il Capitolo Provinciale nel Convento del Castello della Pieve, il quale fu poi ultimamente dichiarato Città da Clemente VIII. In questo Capitolo, perché non v’era Egidio, in cui per ordinario solevano i Padri Capitolari compromettere ogn’anno l’elettione de’ Provinciali, et anche dell’altre cose alla Provincia spettanti, perché di già se n’era passato a leggere in Parigi, come vedessimo nell’anno scorso; volendo pure proseguire il consueto stile, di fare l’elettione del nuovo Provinciale per via di Compromesso; elessero per tanto per Compromissarj due Padri de’ più gravi, li quali erano stati amendue Provinciali di quella Provincia, cioè F. Horandino da Narni Lettore, il quale era anche attualmente Vicario generale del Capitolo; e F. Filippo da Montelupone, li quali entrambi invocato lo Spirito Santo, elegerunt iterum (dice l’antico Registro di quella Provincia) Fratrem Matthaeum de Felicibus Romanum, che è lo stesso, che dire, che lo confirmarono per un altr’anno, essendo stato eletto pure per Compromesso l’anno avanti nel Capitolo di Toscanella, come in quel tempo notassimo.

5 – Dobbiamo qui notare, che li due Monisteri mentovati, cioè di Toscanella e di Castello della Pieve, erano in questo tempo, non solamente in stato buono, mentre vi si celebravano Capitoli Provinciali, ma erano anche antichi di qualche tempo nella Religione, se bene non si puole precisamente sapere quanto fosse grande la loro antichità; come né meno da chi fossero fondati, né che huomini di stima habbino havuti; questo si bene della Pieve hoggidì ha un Predicatore di buon talento e virtù, nostro dolcissimo Amico di molto tempo, cioè, il P. Maestro Andrea Mancini, il quale ha servito la Religione molti anni ne’ migliori Pulpiti di quella.

6 – Giunse in quest’anno, secondo il computo del P. Errera nel primo Tomo del suo Alfabeto Agostiniano a car. 5 al desiato Porto del Paradiso, il Beato Servo di Dio F. Angelo da Foligno; del quale, se bene gli Autori raccontano poche cose, sono però quelle in sostanza così gravi, che per esse viene da tempo immemorabile honorato col titolo glorioso di Beato; hor di questo gran Servo di Dio registraremo ancor noi quivi quel poco, che habbiamo potuto raccogliere dagli Autori, che di lui trattano, il che anche facessimo nel nostro brieve Ristretto degli Huomini Illustri in Santità dell’Ordine del nostro Gran Padre e Patriarca S. Agostino a car. 160.

Brieve saggio della santa Vita e gloriosa Morte del B. Angelo da Foligno

7 – Il Glorioso servo di Dio F. Angelo da Foligno, nacque in questa nobilissima Città di Parenti molto Nobili, perochè, come scrive il Iacobilli, erano Conti di Turri e di Vignole, Castelli del Territorio di Foligno, et anche di S. Angelo in Pontano nel Territorio di Fermo nella Marca, non nell’Anno 1425 come per errore scrive il P. Crusenio, ma ben sì due Secoli prima, cioè, nell’anno del Signore 1226 all’hora appunto, quando morendo al Mondo, rinacque eternamente al Cielo, nella sua Patria d’Assisi, otto miglia distante da Foligno, il Serafico P. S. Francesco.

8 – Pervenuto all’età di vent’anni, o fosse che a se lo trahesse la fama gloriosa del nostro B. Gio. Buono da Mantova, il quale, come a suo tempo scrivessimo, operava meraviglie Celesti nelle nostre parti della Romagna, [V, p. 51] o pure, perché caminando fuori della sua Patria venisse a capitare ove il Santo sudetto dimorava, havendolo visitato, ed insieme il suo santo procedere osservato, con la Celeste et Angelica vita, che menava co’ suoi osservanti Religiosi, innamorato anch’egli di quel Santo Istituto, humilmente lo supplicò a volerlo accettare nel numero di que’ Servi di Dio, perché così sperava certamente, sotto la sua scorta, di far notabile avanzamento nella via del Signore.

9 – Giovanni Buono, il quale, e per la lunga isperienza, e perché anche haveva il dono sopranaturale di conoscere l’interno degli altrui cuori, conobbe subito, che la sua vocatione veniva veramente da Dio, e che quel puro Giovinetto haveva da riuscire un gran Servo dell’Altissimo, et haveva grandemente da illustrare con la sua Santità la Religione del Gran Padre S. Agostino. Provato per tanto, com’è da credere, e come indispensabilmente costumavasi in questi tempi Beati, il suo Spirito, alla perfine gli diede, con la sua indicibile consolatione, l’Habito Agostiniano nell’anno 1246 prendendo con felicissimo presaggio il Celeste nome di F. Angelo, come quello appunto, che dovendo vivere in terra da Angelo, haveva poi anche da gire colà su fra gli Angeli a godere il perpetuo ed eterno premio della Gloria alle sue Angeliche operationi dovuto.

10 – Fatto in questa guisa, il buon F. Angelo Religioso, non si può credere, quanto da davero si dasse al servitio di Dio, e con quanto eroico coraggio egli intraprendesse l’acquisto importantissimo di tutte le virtù più rare e pellegrine. Niuno era più di lui solecito a frequentare il Choro; niuno più assiduo nella Santa Oratione; niuno più humile nell’esercitio de’ più bassi, et abietti servigi del Monistero; niuno più puntuale osservatore del Claustrale Silentio; niuno più ardente nelli atti di Carità, e d’Amore verso Dio et il Prossimo; niuno insomma, che più corresse con veloce passo, verso la più alta cima della Religiosa perfettione; per la qual cosa il B. Giovanni insieme con gli altri Religiosi, ne sentivano estrema allegrezza, e né ringratiavano grandemente il Signore.

11 – Scorso l’anno dell’Approbatione, ed ammesso con applauso universale alla solenne Professione, non solo, doppo di quella proseguì l’incominciatta carriera, ma se fu possibile, procurò, come si conobbe, già per obligo di Professione tenuto, di maggiormente rinforzare i passi; fu in somma così grande il profitto, che egli ben presto fece nella Santità, che essendone volata la Fama, come mi persuado, nella sua Patria, richiesero, con istanza, i suoi Cittadini il B. Giovanni, che volesse loro inviare il buon F. Angelo, perché volevano darli luogo opportuno da fondare un Monistero per la sua Religione, il che inteso il Santo Padre, non ostante, che F. Angelo non havesse più che ventidue anni d’età, lo vidde talmente radicato nella religiosa perfettione, che non hebbe punto di scrupolo di mandarlo così giovine, come era ad intraprendere una così importante impresa, perché lo conosceva attissimo, non solo per terminarla felicemente, ma d’intraprenderne dell’altre, molto di questa maggiori; e non s’ingannò punto, perochè essendo colà passato, diede subitamente tal saggio della sua Santità, che ben presto gettò le Fondamenta del nuovo Monistero, e non passò poi guari, che anche lo indusse all’ultima perfettione, e ciò successe, come all’hora anche scrivessimo, nell’Anno del Signore 1248.

12 – Li Folignati dunque conoscendo di quanto profitto spirituale era per essere nella loro Città la presenza di un tanto Religioso, non vollero mai più permettere, che via da loro si partisse; laonde, e si crede per certo, che per tutto il rimanente di sua vita egli si rimanesse in quel Convento, che haveva egli stesso fondato, che [V, p. 52] fu lo spatio di ben 38 anni intieri, nel corso del qual tempo hebbe largo campo di far conoscere, non solo a suoi Concittadini, ma all’universo tutto, quanto egli fosse d’ogni più vera virtù ricco et adorno. Fu grandemente dato all’Oratione et al Digiuno; e fu, allo scrivere del Ven. P. F. Alfonso d’Orosco, così maravigliosamente amatore della santa virtù della patienza, qual disse S. Paolo essere così necessaria a' Christiani, quanto maggiormente a' Religiosi, che in essa egli si rese quasi più ammirabile che imitabile.

13 – Alla perfine, doppo havere per così lungo spatio di tempo lasciata un’eterna memoria di tante sue gloriose operationi, pieno di meriti infiniti, in età di 60 anni, nella Vigilia del Glorioso P. S. Agostino, lasciando in terra la sua Salma mortale, se ne volò alle Celesti Sfere a ricevere la Corona immarcessibile della Gloria; e fu il suo Corpo Beato sepellito con grand’Honore, quale appunto si conveniva ad uno, che essendo sempre da Santo vissuto, era anche santamente morto. Concorse (allo scrivere del Iacobilli nel suo Cattalogo de’ Santi di Foligno) al sagro Funerale di questo Servo di Dio, una moltitudine innumerabile di Popolo, e dice il Romano, che in vita, e doppo morte, egli fece molti stupendi Miracoli, li quali, perché non furono registrati da que’, troppo in vero, semplici Padri, non si possono da noi trascrivere in questo luogo; questo è ben chiaro, che egli fin dal tempo della sua Morte beata, è sempre stato chiamato col glorioso titolo di Beato, benchè hora non si sappia ove precisamente si giaccia il suo Santissimo Corpo.

14 – Ma tempo è hormai, che qui registriamo le Gratie concesse in quest’anno dal Sommo Pontefice Honorio IV alla Religione, tanto in universale, quanto in particolare. E quanto al primo, ritroviamo, che egli concesse a’ 23 di Maggio un nobile Privilegio a tutto l’Ordine, di potere celebrare le Messe, e recitare li Divini Officj a Chiese aperte, in tempo di Generale Interdetto nella Vigilia e Festa del Glorioso P. S. Agostino, e non solo i nostri Religiosi, ma etiandio li Chierici Secolari, pur che prima si scaccino di Chiesa li Scommunicati, e niuno de’ Privilegiati, non habbi dato causa di fulminare il sudetto Interdetto. Fu data in Roma appresso santa Sabina nell’anno, e giorno sudetto, e leggesi registrata nel Bollario Agostiniano a carte 160, et è appunto del seguente tenore:

Honorius Episcopus Servus Servorum Dei.

15 – Dilectis filijs Generali, et alijs Prioribus, ac Fratribus Ordinis Eremitarum S. Augustini, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Pro reverentia B. Augustini Confessoris, cuius profitemini Regulam, necnon pro sanctae conversationis, et vitae vestrae meritis, delectamur vos prosequi dono gratiae specialis. Hinc est quod nos vestris supplicationibus annuentes, vobis auctoritate praesentium indulgemus, ut cum generale fuerit Terrae Interdictum, in Vigilia, et Festo S. Augustini Confessoris, vos una cum alijs Religiosis et Clericis saecularibus, qui tunc in Ecclesijs, et Oratorijs vestris conunerint, apertis ianuis, Excommunicatis dumtaxat exclusis, Divina Officia ibi solemniter celebrare possitis, dummodo vos causam non dederitis Interdicto, nec id vobis, et eis contingat specialiter interdici. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae concessionis infringere, vel ei ausu temerario contraire; si quis autem hoc attentare praesumpserit indignationem Omnipotentis Dei, et Beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum. Datum Romae apud Sanctam Sabinam, decimo Kalendas Iunij Pontificatus nostri Anno secundo.

16 – [V, p. 53] Con questa occasione giovami di produrre il contenuto d’un’altra Bolla somigliante alla poco dianzi trascritta nel numero passato, la quale fu dallo stesso Pontefice concessa ad un Monistero di Monache di S. Chiara, fuori della Città di Bologna, non perché ella appartenga punto all’Ordine nostro in quanto alla sostanza et a soggetti di quella, ma per una certa particola, che nell’Iscrittione si legge, la quale a me pare, che indichi non so che spettante a noi. Contiene questa Bolla, pur anch’ella, un Privilegio a favore di dette Monache, di potere così esse celebrare, in tempo d’Interdetto generale, li Divini Officj, come anche d’udire et ascoltare la S. Messa dal loro Capellano ordinario, pur che né questi, né esse habbiano data causa al medesimo Interdetto. Il Titolo poi, od Iscritione di questa Bolla, è il seguente: Honorius Episcopus Servus Servorum Dei. Dilectis in Christo Filiabus, Abbatissa, et Conventui. Monasterij Heremitarum de Cathena iuxta circulos Bononienses Ordinis Sanctae Clarae, etc. Datum Romae apud S. Sabinam Idibus Octobris Pontificatus nostri Anno 2. Hor che vuol gli significare quel Monasterij Heremitarum de Cathena? Io per me stimo, che in quel Convento, prima, che v’entrassero le dette Monache di S. Chiara, vi stassero alcuni nostri Eremiti, da’ quali prendesse di tal sorte questa denominatione, che non ostante, che questi non vi stassero più, anzi in sua vece vi habitassero le dette Religiose di diversa Religione, si chiamassero nulladimeno le Monache del Monistero degli Eremitani, e non è cosa nuova, perochè il Convento dove stavano hoggi giorno li Padri Guglielmiti in Parigi, non ostante, che essi vestino di negro, tuttavolta, perché prima di loro vi stavano i Frati di Santa Maria d’Areno, li quali vestivano di Bianco, e chiamavansi perciò communemente dal Volgo, li frati del Bianco Mantello; anch’essi fin al giorno d’hoggi vengono con nome tale impropriamente chiamati; tanto puole nel Volgo, massime un’uso antico, ed invecchiato. Chi poi fossero questi Frati Eremitani, che diedero il nome al sudetto Convento, quando ivi entrassero, e quando si partissero, non lo potiamo con verità asserire; solo basta a noi d’andare scoprendo le cose antiche, che a noi pare spettarsi alla nostra Historia; del rimanente, per non togliere ad indovinare senza proposito, rimettiamo il giudicio a più purgati, e più sottili ingegni de’ virtuosi e curiosi Lettori; questo ben si è certo, che prima di quest’anno s’erano già partiti i sudetti Religiosi Eremitani. Ritrovasi questa Bolla Originale nell’Archivio nostro di S. Giacomo di Bologna, il che ci ha fatto grandemente maravigliare, per essere ella concessa a Monache di diversa Religione.

17 – Dicessimo nell’anno scorso, che F. Giuvenale da Narni Vicario Generale per il Beato Clemente Generale dell’Ordine nella Gran Città di Parigi, haveva comprata una Casa dall’Abbate, e Canonici di S. Vittore, in un luogo detto il Cardineto, et anche due pezzi di Terra, uno cioè dal Capitolo di quella Cattedrale, et un altro da una Vedova per nome Agnese, il quale, perché pagava Canone a sudetti Canonici di S. Vittore, non haveva ottenuto da essi il necessario consenso; ma perché ne’ Contratti, così del Capitolo, come de’ Canonici Regolari, vi si era posta la conditione, che si dovesse dal detto F. Giuvenale procurare anche il consenso del Vescovo di Parigi, né havendolo questi mai volsuto prestare, per tanto fu necessario di ricorrere alla Sede Apostolica, affinchè essa con la sua sovrana Autorità, dasse la bramata licenza tanto necessaria; né fu vano il ricorso, perochè subito il Papa, conoscendo il bisogno de’ Frati, e costandoli, che havevano domandato al Vescovo, con ogni humiltà, la licenza, ed il consenso non ostante, che questo, [V, p. 54] non si sa per qual ragione, non gliel’havesse volsuta concedere, pensò egli di dovergliela concedere benignamente con tre Bolle, date tutte tre nell’istesso giorno, che fu il decimosettimo di Novembre di quest’anno 1286 appresso S. Sabina, e del suo Pontificato il secondo, e queste si leggono nel Bollario del Padre Empoli Agostiniano dalla pagina 154 fino alla 160, nelle quali vi sono ancora inserti gl’Istromenti de’ Contratti. La prima è in Confirmatione del Contratto fatto per la compra della Casa dall’Abbate, e Canonici Regolari; la seconda per la compra de’ quattro Arpenti di Terra venduti dalla Cattedrale; e la terza è in confirmatione dell’Arpento vendutoli da quella Vedova; ed in tutte tre si dichiara apertamente, che non ostante, che in detti Contratti non vi sia intervenuto il consenso, o licenza del Vescovo di Parigi, egli nulladimeno con la sua Apostolica Autorità, il tutto conferma e stabilisce, con questo però, che per l’avvenire non si facci più alcuno pregiudicio al detto Vescovo in conto alcuno; e le Bolle poi sono le seguenti:

18 – Dilectis filijs Priori Generali, e Fratribus Eremitarum Ordinis S. Augustini, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Petitio vestra nobis exhibita continebat, quod Abbas, et Conventus Monasterij S. Victoris Parisiensis, quandam Domum eorum sitam in Vico S. Victoris Parisiensis, Monasterio praedicto contiguam, Dilecto filio Fratri Iuvenali de Narnia vestri Ordinis Parisius Vicario, et Procuratori tuo fili Prior nomine tuo, et totius vestri Ordinis ad usus Fratrum ipsius Ordinis Parisijs Studentium ad annum censum cum omnibus iuribus, et pertinentijs suis perpetuo concesserunt, prout in patentibus litteris inde confectis, dictorum Abbatis, et Conventus sigillo munitis plenius continetur. Nos itaque vestris supplicationibus inclinati, quod super praemissis factum est, ratum, et gratum habentes, illud non obstante, quod Venerabilis Fratris nostri Episcopi Parisiensis in ijs Consensus minime intervenit, auctoritate Apostolica ex certa scientia confirmamus, et praesentis scripti patrocinio communimus. Nolentes, quod per hoc eidem Episcopo aliquod in posterum praeiudicium generetur. Tenorem autem praedictarum literarum de Verbo ad Verbum Praesentibus fecimus annotari, qui talis est. Universis praesentes litteras inspecturis frater P. Humilis Abbas S. Victoris Parisiensis, totiusque eiusdem loci Conventus, aeternam in Domino salutem. Notum facimus, quod cum nos haberemus, teneremus, possideremus, quandam Domum sitam Parisijs in fundo, et Dominio nostro, et Ecclesiae nostrae contiguam, ex una parte, Domui bonorum puerorum Parisiensium, et Domui nostrae Gemellae; quam habemus in vico S. Victoris ex altera, nos pensata utilitate nostra, praedictam Domum, sicut eam tenebamus, cum omnibus eius appenditijs, prout se comportat in longum, et latum, ante, et retro, a publica strata, usque ad alveum Beveris, dedimus, tradidimus, et concessimus ad annuum Censum capitalem Fratri Iuvenali de Narnia Vicario, et Procuratori Parsijs Religiosi viri Fratris Clementis Prioris Generalis Fratrum Eremitarum Ordinis S. Augustini nomine totius Ordinis ad quodcumque opus, et usus ipsorum Fratrum Parisijs Studentium, et totius Ordinis tenendam, et possidendam ab eisdem Fratribus in perpetuum in manu mortua, sine coactione ponendi extra manum mortuam, pro vigintiquatuor libris Parisiensibus annui redditus, nobis, et ecclesiae nostrae annuatim reddendis, et persolvendibus ab eisdem Fratribus, quatuor terminis Parisijs communiter consuetis. [V, p. 55] Et promittimus bona fede, quod contra donationem, et traditionem huismodi, et concessionem sub modo praedicto factam per nos, vel per alium non veniemus in futurum. Et quod dictam Domum prout se comportat cum omnibus eius appenditijs quietam, et liberam ab omni alio Censu, onere, obligatione, seu costumia, garentizabimus, liberabimus eisdem Fratribus, nomine quo supra, ad usus, et consuetudines patriae in manu mortua contra omnes. Salva auctoritate, et consensu Domini Parisiensis Episcopi in futurum impetrandis, et habendis (si haberi poterunt) alias nobis nullum praeiudicium generetur, et de dicta impotentia habendis, credetur nostro dicto, bona fide prolato. Volumus tamen, et tenore praesentium requirimus, ac etiam supplicamus, quod praesens contractus per quemlibet competentem Superiorem, nobis non requisitis valeat confirmari. Hoc salvo nobis, et retento, quod si processu temporis contingeret dictam Domum vendi, vel distrahi ab eisdem, in casu, in quo ventae debeantur, quod inde habemus ventas, sicut in alijs censivis Parisijs fieri consuevit. Sciendum est autem, quod dictum est, et conventum est expresse in contractu praedicto inter nos, et dictos Fratres, quod ipsi tenebuntur dictam Domum cum suis pertinentijs sustentare, tenere, et conservare in bono statu, in quo modo est, aut etiam meliori. Ita tamen, quod non poterunt cursum acquae Beveris in nullo impedire, sed in quantum dicta acqua per eorum porprisiam transitum faciet, ab immunditijs suis, prout decet, liberare. Pro qua Domo sustentanda, et tenenda in bono statu, necnon et pro dicto Censu nostro, ut dictum est, nobis annuatim reddendo dictus Vicarius, et Procurator, se, et Successores suos quoslibet, et omnia bona Ordinis suis mobilia, et immobilia, praesentia, et futura, et specialiter totam terram, quam a nobis, et ab alijs omnibus de novo emit sitam in Cardineto retro dictam Domum nostram, cum omnibus in eadem Terra, et eius pertinentijs, aedificijs construendis in eadem in posterum, nobis speciali titulo hypothecae, nomine quo supra in contraplegium obligavit, et obligata relinquit. Renuntians exceptioni rei non sic geste, doli mali sine causa, contradictioni litterarum, conventioni iudicum, et loci, et constitutioni de duabus Dietis, si contra eos super hoc contigerit impetrari. Ita quod si in solutione Census dictae Terrae nobis annuatim debiti, et in solutione dicti Census ratione dictae Domus nobis annuatim (ut dictum est) reddendi, et praemissis adimplendis, ipsi defecerint, nos, vel mandatum nostrum ad dictam Domum, et aedificia, in dictis terris tunc constructa, et ad bona in eis existentia, possimus libere, et sine contradictione assignare, et dicta bona, vel de dictis bonis tantum capere, et in manu nostra tenere, ac nostra facere quousque de dictis defectibus, seu aliquo eorundem nobis, vel mandato nostro fuerit plenarie satisfactum. Concedimus insuper, et quantum in nobis est, consentimus, quod in dicta Domo praedicti Fratres Oratorium possint habere, et construere, hoc adiecto, quod semper dictus Census, et redditus viginti quatuor librarum, et quaecumque sunt in integrum reserventur. Super dicta Domo, et alijs bonis mobilibus, et immobilibus, quaecumque in dicta Domo, et Cardineto, vel ubicumque contigerit eos quocumque modo, et quandocumque habere. Hoc etiam salvo nobis, et retento, quod ipsi Fratres in dicta Domo non poterunt Turres erigere, nec Campanile in dicto loco construere, nec Campanam ponere, seu pendere, nisi de voluntate nostra, et assensu. Promisit etiam, et convenit dictus Frater Iuvenalis nomine quo supra, fide data, quod infra tres Annos proximos venturos, faciet, et procurabit totum praesentem contractum, per Generale sui Ordinis [V, p. 56] Capitulum etiam approbari, et confirmari, ipsamque approbationem, nobis tradi, et assignari autenticarum litterarum testimonio roboratam. In cuius rei testimonium sigilla nostra praesentibus litteris duximus apponenda. Datum Anno Domini millesimo ducentesimo octuagesimo quinto, Mense Novembris. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae confirmationis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem attentare praesumpserit, indignationem Omnipotentis Dei, et Beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incursum. Datum Romae apud S. Sabinam decimoseptimo Kalendas decembris, Pontificatus nostri Anno secundo.

Honorius Episcopus Servus Servorum Dei.

19 – Dilectis filijs Priori Generali, et Fratribus Erem. Ordinis S. Augustini salutem, et Apostolicam Benedictionem. Petitio vestra nobis exhibita continebat, quod dilecti filij Ecclesiae Parisiensis, ipsius Ecclesiae diligenter utilitate pensata, quandam petiam Terrae, sitam in loco, qui dicitur Cardinetum ultra parum pontem infra muros Parisienses, dilecto filio F. Iuvenali de Narnia vestri Ordinis Parisiensis Vicario, et Procuratori tuo fili Prior, nomine tuo, et totius vestri Ordinis vendiderunt pro certa pecuniae quantitate, sibi nihilominus in praedicta petia Terrae quodam Censu annuo reservato, prout in patentibus litteris inde confectis dictorum Capituli sigillo munitis plenius continetur. Nos itaque vestris supplicationibus inclinati, venditionem huiusmodi ratam, et gratam habentes eam, non obstante, quod Venerabilis Fratris nostri Episcopi Parisiensis in venditione ipsa consensus minime intervenenit, Auctoritate Apostolica de certa scientia confirmamus, et praesentis scripti patrocinio communimus. Decernentes, quod per hoc eidem Episcopo nullum in posterum praeiuditium generetur. Tenorem autem praedictarum litterarum de verbo ad verbum praesentibus fecimus annotari, qui talis est. Universis praesentes litteras inspecturis Capitulum Parisiense, salutem in Domino sempiternam. Noveritis, quod nos, pensata, et considerata utilitate nostrae Parisiensis Ecclesiae, quandam petiam terrae continentem quatuor Arpenta terrae, vel circiter, quam habemus sitam in Cardineto ultra parvum pontem infra muros contiguam Terrae S. Benedicti ex una parte, et Terrae haeredum Auberti dicti ad Fabas ex altera, prout se Comportat a via supra Secavam, usque ad alveum Beveris, vendidimus, et nomine venditionis purae concessimus, quietavimus, tradidimus, et liberavimus in manu mortua ex nunc in perpetuum Fratri Iuvenali Vicario Parisijs, Religiosi viri Fratres Clementis Prioris Generalis Fratrum Eremitarum Ordinis Sancti Augustini, ementi vice, et nomine dicti Prioris, et totius Ordinis pro pretio quadrigentarum librarum Parisiensium, iam nobis a dicto Vicario, nomine dicti Prioris, et Ordinis praedicti, soluto, et tradito in pecunia numerata, de quo ad plenum nos, et Ecclesia nostra quietamus penitus Religiosos praedictos, tenentes nos bene pagatos, cedentes eis ex tunc, et perpetuo in eos, et eorum Successores sive ab eis causam habituros, penitus transferentes omne Ius, et Dominium, omnem possessionem, et propietatem omnes actiones reales, et personales, et quascumque alias, quae nobis et praedictae Parisiensi Ecclesiae competebant, et competere poterant quocumque modo in petia dictae Terrae, duntaxat retentis nobis in perpetuum duobus denarijs Capitalis Census in dicta petia Terrae, et super fundo eiusdem nihil aliud iuris, vel actionis nobis, vel dictae Ecclesiae Parisiensi de caetero retinentes. Praedictam autem terrae petiam prout se comportat secundum [V, p. 57] declarationem Fratrum praedictorum, ab ipsis Religiosis, et eorum Successoribus, seu ab eis causam habituris ex nunc perpetuo manu mortua sine coactione vendendi, aut extra manum suam quocumque modo ponendi, libere possidendam promittimus bona fide, et per stipulationem legitimam, nos dictis Religiosis, et eorum Successoribus, sive ab eis Causam habituris garentizaturos, liberaturos, et defensuros in manu mortua (ut dictum est) quotiescumque et quandocumque opus fuerit, et super hoc fuerimus requisiti, quitam, et liberam ab omni alia redeventia, onere, costumia, servitute, impedimento, obligatione, et exactione qualibet. Hoc excepto, quod si contingat dictos Religiosos dictam petiam Terrae vendere, et deducto de pretio eo, in quo locus venditus ex supra positis aedificijs, vel alias per dictorum Religiosorum quamcunque diligentiam, et culturam factus fuerit pretiosior, pretium infra quadringentarum librarum summam sit, vel eam non excedat, octo libras tantumodo vendarum nomine exigemus. Si vero quadringentas libras excedat venditionis pretium, de excessu illo vendas exigemus secundum consuetudinem, et Census naturam una cum dictis octo libris nomine vendere pro summa quadringentarum librarum, vel infra (ut dictum est) exigendis. Quantum vero locus ipsorum diligentia factus fuerit praetiosior, Sacramento Prioris dicti Ordinis Parisiensis, qui fuerit pro tempore, committimus dirimendum. Cum vero locus praedictus ab ipsis Religiosis translatus fuerit in alium, ex tunc in quamcumque personam alienatus fuerit, aut translatus idem sit de vendis, et Censu, quod supra dictum est hoc excepto, quod si quaestio fuerit quantum locus fuerit praetiosior alienantis aedificamento diligentia, vel cultura, boni viri arbitrio dirimatur. Et haec omnia, et singula promittimus, et promisimus (absentia Decani nostri non obstante) nos servaturos, et adimpleturos contra omnes, et praecipue contra Dominum Parisiensem Episcopum, Abbatem, et Conventum S. Victoris Parisiensis, nostris proprijs sumptibus, periculo, et expensis, et eos super ijs observabimus ab omni inquietudine, et molestia illaesos penitus, et indemnes, quodque adversus venditionem huiusmodi, vel praemissorum aliquod, nullam per nos,vel per alium veniemus in futurum. Obligantes dicto Vicario stipulanti vice, et nomine dictorum Prioris, et Ordinis pro praemissis omnibus firmiter observandis, nos, et nostros in dicta Ecclesia Successores. Volumus insuper, et concedimus, quod in dicto fundo Terrae vendito possint dicti Religiosi Ecclesiam, Oratorium, Coemeteriumque et quodcumque Sanctum constuere absque contradictione nostra, Successorumque nostrorum, dicto Censu nihilominus in integrum remanente. Renuntiantes in hoc facto exceptioni non numeratae pecuniae, doli actioni in factum beneficio restitutionis in integrum, omnibus litteris Apostolicis, Privilegijs, et Indulgentijs nobis actenus, seu Ecclesiae Parisiensi, aut Universitati Magistrorum, et Scholarium Parisiensium, a Sede Apostolica Indultis, aut in posterum Indulgendis, et Crucesignatis, et Crucesignandis, concessis, et concedendis sub quacumque forma verborum, contra praedicta facientibus, constitutioni de duabus Dietis Concilij Generalis, iudicum, et loci conventioni. Dicti autem duo denarij capitalis Census annuatim in Festo Nativitatis Domini persolvantur. Datum Anno Domini milesimo ducentesimo octuagesimo quinto, in Festo B. Augustini Episcopi. In cuius rei testimonium praesentes litteras sub eadem data, nostro sigillo fecimus roborari. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae confirmationis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesumpserit indignationem Omnipotentis Dei, et Beatorum Petri, et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum. [V, p. 58] Datum Romae apud Sanctam Sabinam, decimoseptimo Kalendas Decembris, Pontificatus nostri Anno secundo.

Honorius Episcopus Servus Servorum Dei.

20 – Dilectis filijs Priori Generali, et Fratribus Erem. Ordinis S. Augustini salutem, et Apostolicam Benedictionem. Meritis vestrae Religionis inducimur, ut vos, et Ordinem vestrum favore Apostolico prosequamur. Sane petitio vestra nobis exhibita continebat, quod cum Agnes relicta quondam Auberti dicti ad Fabas Civis Parisiensis Vidua, quodam Arpentum Terrae situm in loco, qui dicitur Cardinetum infra muros Parisienses, quod a Monasterio Sancti Victoris Parisiensis sub annuo Censu duodecim denariorum Parisiensium tenebat, dilecto filio Fratri Iuvenali de Narnia vestri Ordinis Parisijs Vicario, et Procuratori tuo fili Prior nomine tuo, et totius vestri Ordinis pro quadam quantitate pecuniae vendidisset. Demum dilecti filij Abbas, et Conventus eiusdem Monasterij venditionem huiusmodi approbantes, et acceptantes voluerunt, et concesserunt, quod dictus Vicarius nomine praefati vestri Ordinis praelibatum Arpentum Terrae tenere valeat, et perpetuo possidere; de praedictis duodecim denarijs, duobus sibi tantumodo reservatis annis singulis persolvendis; residuos decem vobis penitus remittendo. Pro huiusmodi autem approbatione, acceptatione, ac remissione dicti Abbas, et Conventus, prout habet etiam eorum confessio, quadraginta libras Parisienses a praedicto Vicario Nomine praefati vestri Ordinis receperunt, ipsamque converterunt in utilitatem Monasterij praelibati, sicut in patentibus litteris inde confectis dictorum Abbatis, et Conventus sigillo munitis, plenius continetur. Nos itaque vestris supplicationibus inclinati, quod super praemissis factum est, ratum, et gratum habentes, illud non obstante, quod Venerabilis Fratris nostri Episcopi Parisiensis in ijs consensus minime intervenit, auctoritate Apostolica ex certa scientia confirmamus, et praesentis scripti patrocinio communimus. Nolentes, quod per hoc eidem Episcopo aliquod in posterum praeiudicium generetur. Tenorem autem praedictarum litterarum de verbo ad verbum praesentibus fecimus annotari, qui talis est. Universis praesentes litteras inspecturis Frater P. Humilis Abbas Sancti Victoris Parisiensis, totusque eiusdem loci Conventus, salutem in Domino. Cum Agnes relicta defuncti Auberti ad Fabas Civis Parisiensis vidua vendiderit perpetuo, et quietaverit Fratri Iuvenali Vicario, et Procuratori Religiosi viri Fratris Clementis Prioris generalis Fratrum Eremitarum Ordinis S. Augustini nomine totius Ordinis, quodam Arpentum Terrae, quod habebat, et tenebat in Cardineto infra muros Villae Parisiensis, situm in censiva, et Dominio Ecclesiae nostrae ad duodecim denarios Censuales. Nos dictam venditionem volumus, laudamus, et approbamus tamquam Domini fundi illius. Volentes, et concedentes, quod dictus Vicarius nomine dicti Ordinis, et nomine quo supra, dictum Arpentum in manu mortua sine coactione ponendi extra mortuam manum teneat, et perpetuo possideat. De dictis duodecim denarijs Parisiensibus Census Capitalis, decem denarios remittentes, et quitantes penitus, et expresse; ita quod loco duodecim denariorum praedictorum, duos denarios in signum superioritatis annuatim pro dicto Arpento, dictus Vicarius, seu tenentes illud Arpentum, in Festo S. Remigij solvere tenebuntur; pro quibus quitatione, et remissione faciendis, confitemur nos ab eodem Procuratore, nomine quo supra, quadraginta libras Parisienses habuisse, et recipisse in pecunia numerata, iam nobis tradita, et soluta, et [V, p. 59] utilitatem Ecclesiae nostrae iam conversa. Promittentes bona fide, quod contra praemissa, vel aliquod de premissis per nos, vel per alium non veniemus in futurum. In cuius rei testimonium presentes litteras nostro sigillo fecimus roborari. Datum Anno Domini milesimo ducentesimo octuagesimo quinto Mense Novembris. Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae confirmationis infringere, vel ei ausu temerario contraire; si quis autem, etc. Datum Romae apud S. Sabinam decimoseptimo Kalendas Decembris Pontificatus nostri Anno secundo.

21 – Hor qui è da notarsi, che havendo letta questa repugnanza del Vescovo di Parigi in confuso, il Platina, né distinguendo il tutto dalla parte, e la parte dal tutto, scrisse senza molto avertire nella Vita d’Honorio IV, che egli confirmasse l’Ordine degli Eremitani in Parigi, come dianzi approvato non fosse, Ordinem Eremitarum apud Parisios improbatum confirmavit (sono sue parole) leggansi tutte quante elleno sono le costitutioni, e le Bolle, che fece nel suo tempo questo Pontefice, e non si trovarà mai altra conferma spettante all’Ordine nostro in Parigi, fuori, che la triplicata delli tre Contratti accennati, e trascritti in quest’anno; se questo appresso il Platina, vuol dire confirmar l’Ordine in Parigi, egli ha ragione; ma chi non vede il grande equivoco, che egli prende? Dal Platina poi hanno nelle loro Historie inserta questa favola senza punto esaminarla l’Igliescas, Nicolò Sandero, Genebrardo, Renato Copino, et alcuni altri. La contradittione dunque, che hebbero i nostri Padri in Parigi, e la conferma del Papa non fu intorno all’approvatione dell’Ordine, il quale era già stato prima fino al gran Concilio Lateranense per molti Secoli tacitamente, e poscia con solenne Bolla anche confirmato; ne tampoco intorno all’ingresso nella Città, perochè gli è certissimo, come habbiamo altrove dimostrato, che fino all’anno 1240, noi havevamo il primo Monistero fondato, al quale l’anno 1269, il Re S. Luigi lasciò nel suo Testamento non so quali Legati; ma solamente la controversia fu intorno la mutatione del sito, overo la Fondatione d’un nuovo Monistero.

22 – Potiamo aggiungere con il Ciaconio, che la controversia, o lite mossa in Parigi contro de’ nostri Frati, fu circa il leggere pubblicamente, e l’addottorarsi nell’Università di quel famoso Studio, come che stimassero inconveniente, che una Religione nata ne’ Boschi, e ne’ Deserti, fatta poi Cittadina, volesse anch’ella coronare i suoi rozzi Romiti con la Laurea Magistrale. Ecco le sue parole a car 625 ove appunto parlando d’Honorio IV dice: Idem Pontifex Ordini Eremitarum S. Augustini Sacram Sancti Triphonis Aedem Romae concessit; et ut eius Fratres in Gymnasio Pariensi publice profiteri, et Theologiae Doctores creari possent.

23 – Ottenuta dunque questa tanto bramata, e tanto necessaria conferma, cessarono li rumori, e quietossi il Vescovo; ed i Padri poi applicatosi di buon senno alla fabrica del nuovo Convento, vi passarono poi ad habitare nell’anno seguente, se bene vi si fermarono poco, come a suo tempo vedremo.

24 – Entrarono ancora in questo tempo i nostri Padri a fondare un Convento nella Real Città di Saragozza, Illustrissima Metropoli del Nobilissimo Regno d’Aragona (della quale hoggidì è Arcivescovo il nostro P. Maestro F. Francesco Gamboa, già famoso Cattedratico di Salamanca, e poi Confessore del Serenissimo D. Giovanni d’Austria, da cui fu promosso al Vescovato di Coira, e poi finalmente all’Arcivescovato di Saragozza) ed hebbero più che forse non speravano, propitio il Cielo, perochè la dove s’imaginavano di doverne fabricare da’ fondamenti un nuovo, né ritrovarono uno già bello fatto, e compito nel quale dell’anno 1219, infino [V, p. 60] a questo havevano dimorato i Padri dell’Ordine di S. Francesco, essendo essi passati a fabricarne un altro in un luogo dentro la Città più comodo vicino alla Porta Cineia. Tanto scrive appunto il P. Gonzaga già Generale di quell’Ordine, e poscia dignissimo Vescovo di Mantova nella sua terza parte della sua Cronica Francescana alla pag. 701, nel Convento secondo della Provincia d’Aragona; e lo stesso dicono ancora il P. Luca Vadingo nel Tomo 2, degli Annali de’ Minori sotto il numero 37, dell’anno 1278, F. Diego Muriglio nell’eccellenze di Saragozza nel Trattato 2, cap. 38, pagina 319; il Marquez, l’Errera, et Altri. Aggiunge il P. Gonzaga sudetto, che fu ceduto dall’Ordine suo a nostri quel Convento 67 anni doppo, che essi l’havevano edificato, con certe conditioni però, le quali da’ nostri Agostiniani fino a questi tempi nostri inviolabilmente si sono sempre osservate; osserva però intorno a queste conditioni il P. Marquez, che s’inganna all’ingrosso il detto Gonzaga, perochè hoggi giorno niuna di quelle conditioni s’osserva più; anzi come evidentemente si cava da una breve Cronica del Convento de’ Padri Francescani di quella Città, le dette conditioni, e patti, per poco tempo furono osservati da’ nostri Religiosi, come forsi fossero esorbitanti; e non è vano il mio giudicio, perché tra l’altre, una era questa, che li nostri Padri non potessero solennemente celebrare le Feste de’ Santi Innocenti, di S. Luca e di S. Matteo, la quale conditione, o patto, è certissimo, che non s’osserva più da tempo immemorabile, e con ragione, perché questa era una cosa immediatamente contraria e repugnante, non che alla Religiosa, ma anche alla Christiana pietà e devotione.

25 – Ma non posso far di meno di non riferire quivi ciò, che scrive nel suo Monasticon Agostiniano il P. Crusenio alla pagina 139 dice egli dunque, che non fu questo il primo Convento, che hebbe la Religione vicino, e per così dire, ne’ Suburbi di Saragozza, perochè prima di questo tempo un altro n’haveva posseduto, che poi doppo l’acquisto del sopradetto, cadde nelle mani d’alcune Monache di S. Domenico; e se bene il P. Errera mostra di far poco caso del detto di quest’Historico, come che dica non produrre di ciò alcun fondamento; tuttavolta io stando sul generale, dico assolutamente, che non posso credere, che la nostra Religione non havesse havuto, prima di questo tempo, alcun Convento ne’ contorni di una Città così illustre, dominata poi da un Re tanto amorevole suo, come sappiamo, che era il Re D. Giacomo detto il Debellatore, il quale ci concesse tant’altri Conventi in luoghi assai più inferiori, come habbiamo più volte per l’addietro accennato. Io dunque stimo, che per prima la Religione havesse, come dice il Crusenio, qualch’altro Monistero, e che poi in questo tempo nel quale in ogni parte si partiva dagli Eremi, ed entrava nelle Città, e luoghi popolati, lasciasse il vecchio, e venisse più vicino a Saragozza ad habitare in quello, che prima era stato de' Padri Francescani; in cui nota Girolamo Zurita nel Libro 2 degli Annali d’Aragona, che li PP. Francescani celebrarono in quello la prima Messa nella Festa del nostro Padre Sant'Agostino con felice presaggio, che fra poco tempo dovevano habitare i veri figliuoli di quel glorioso Dottore. E questo è uno de’ più insigni Conventi non solo di quella Provincia, di cui è capo Illustre, ma anche di tutta Spagna; e da esso poi sono in varj tempi usciti molti Padri insigni, de’ quali ne’ suoi proprj luoghi parleremo di proposito.

26 – Scrive altresì il P. Milensio nel suo Alfaberto Germanico Agostiniano, che Tristano Abbate del Convento Breunaviense dell’Ordine di S. Benedetto, col consenso di tutti i suoi Monaci, ed anche di Tobia Vescovo di Praga, per l’intercessioni efficaci del [V, p. 61] Re Vincislao, concesse liberamente a nostri Padri di Praga, non solo il Convento loro picciolo, di cui parlassimo nell’anno scorso, ma in oltre la Chiesa, il Cimitero, et anche tutto il fondo adiacente a quella consignò. Registriamo qui volontieri questo liberale, e caritativo dono fatto all’Ordine nostro da’ Padri Benedettini, affinchè il Mondo conosca, che li Religiosi Agostiniani furono sempre grati verso de’ loro Benefattori.

27 – Accade in questo mentre nella nobil Provincia dell’Umbria un’avvenimento, in vero grandemente maraviglioso; e fu, che trovandosi nel Castello del Poggio della Valtopina, Diocesi di Foligno, tre Vergini devote, le quali chiamavansi l’una Giacoma di Giacomo degli Offreducci, l’altra Giovanna di Giovannone pure dgli Offreducci, Cugina di Giacoma, e la terza Giovanna di Giovanuccio; e come tutte tre di commune accordo, altro non desiderassero fuori che di servire perpetuamente a Dio, e conservare intatto fino alla morte per amor suo il candido Giglio della loro virginale Purità, e sapendo all’incontro, che ciò malagevolmente in questo malvagio Bosco del Mondo, e del Secolo conseguire si puole; pregavano per tanto unitamente giorno e notte la Divina Bontà a volerli manifestare un luogo opportuno, nel quale, racchiuse in solitario e Religioso Chiostro, haver potessero largo campo di servirlo, come bramavano, per tutto il corso delle loro vite mortali.

28 – A queste così humili, devote, fervose, e perseveranti preghiere, non tardò guari a rispondere il loro Celeste Amante, con un modo in vero molto privilegiato; perochè un giorno, mentre più luminoso il Sole campeggiava per i spatiosi Campi del Firmamento, viddero le fortunate Donzelle una Stella scintillante, la quale tramandando verso di quelle luminosissimi raggi, e precorrendoli avanti, pareva, che con quelli, quasi con tante lingue di fuoco, le invitasse a seguirla; le pure Verginelle, che molto bene intesero il Celeste linguaggio, intrepide, e pronte la si posero a seguire; ed ecco, che essendo arrivate vicino alle mura della Città di Foligno, in un luogo detto volgarmente in quel tempo il Merangone, la loro guida Celeste, non altrimente immobile si stette, di quel che già si facesse quella maravigliosa Stella, che per Divino volere condusse già i tre Santi Magi Coronati al Presepio del Salvatore; e con ragione in vero concesse Iddio così alto favore a queste Giovinette; perochè anch’esse dovevano essere tre Regine felici, che per mezzo del sagro Velo, dovevano contrahere gli Sponsali eterni con il Sovrano Re del Paradiso.

29 – Conoscendo dunque le fortunate Fanciulle esser la volontà del Signor Iddio, che in quel luogo lo servissero con celeste coraggio, manifestato prima, come era necessario, il loro desiderio, fors’anche il grand’Arcano Celeste al Vescovo della Città, che in questo tempo chiamavasi Bernardo, incominciarono a fabbricare in quel luogo, dalla Stella accennato, un Monistero, ricevendo per ciò fare, grand’aiuti dallo stesso Vescovo, e fors’anche, come piamente mi faccio a credere, da que’ pietosi Cittadini; e se bene per all’hora altro non fecero, fuori che un poco di Casa, o Monistero, nel quale senza prendere habito alcuno particolare di veruna Religione, si fermarono; tuttavolta poi ottennero indi a poco, cioè a dire del 1292 dallo stesso Vescovo, di fabricare anche la Chiesa, e di prendere l’Habito nostro, come in quel tempo esattamente diremo. Vedi fra tanto il Giacobilli, e l’Errera nel Tomo primo dell’Alfabeto.

30 – Non posso far di meno, che io qui non registri similmente la memoria antichissima d’un’Immagine del nostro Glorioso Patriarca S. Agostino, la quale da tempo immemorabile, ma per lo meno di quest’anno del 1268 dipinta [V, p. 62] si ritrova nella Chiesa di S. Feliù, Collegiata secolare della Città di Girona, la quale già da un Secolo indietro, fu de’ Canonici Regolari di S. Agostino; hor quest’Immagine sta in una Cappella dedicata in honore dello stesso Santo, ed è vestito il sudetto con l’Habito bianco Claustrale nostro di sotto, e la Cappa nera di sopra, col Piviale, Mitra e Baccolo; la qual Cappella è situata nell’Ambito della Chiesa vecchia; la quale chimavasi già S. Maria extra muros; ed in questa Cappella stava pur anche, in que’ tempi antihi, sepolto il Corpo di San Narciso, e vi stette fin al tempo, che operò il gran Miracolo delle Mosche contro de’ Francesi, come appresso diremo, che fu appunto in quest’anno, e per essere state abbrugiate due volte le Scritture di quel Sagro Archivio da’ Mori, e da’ Francesi, non si può precisamente sapere, quando fondata fosse la detta Capella di S. Agostino, come né meno la Chiesa vecchia istessa; basta, che la Capella di detto S. Agostino è molto più antica di quest’anno. Produce questa memoria nel suo primo Tomo dell’Historia Generale Agostiniana il diligente Cronista Maestro Pietro del Campo a carte 562, della quale ne registra ancora una Fede autentica di due Canonici di quella S. Chiesa, ambidue anche Archivisti di quella, la quale fedelmente dalla lingua Cattalana, ed anche Castigliana, nella nostra Italiana trasportata, è del seguente tenore:

31 – Noi Michele Oliva, e Baldini Paolo, Canonici della Chiesa Colleggiata Secolare di S. Feliù di Girona, che prima fu dei Canonici Regolari di S. Agostino amendue Archivisti del Rever. Capitolo della detta Chiesa, facciamo fede, come in quella v’è una Capella antichissima chiamata di S. Agostino, la di cui Tavola, o Ancona, è del detto Santo, e la sua Imagine sta nel mezzo di quella vestita con l’Habito da Frate bianco sotto, e negro di sopra, col Piviale da Vescovo, il Baccolo, e la Mitra. Sta situata questa Capella nell’Ambito della Chiesa vecchia, che si chiamava già di S. Maria extra muros, et in questa Capella stette sepolto il Corpo di S. Narciso, finchè operò il Miracolo delle mosche contro li Francesi, che successe l’anno 1286 e per havere due volte abbrugiato li detti Francesi, et i Mori, gli Archivj, e le Scritture, non si sa l’antichità della detta Capella di S. Agostino, e della Chiesa dove sta, chiamata hoggidì S. Feliù. E così noi li detti Archivisti l’affermiamo di nostra mano a 2 di Maggio 1640.

32 – Questa per appunto è la Fede autentica, che fecero li due sudetti Canonici Archivisti intorno all’antichità di quella Capella, e figura di S. Agostino fatta dipingere in Habito di Frate Eremitano in que’ tempi antichi dagl’istessi Canonici Regolari di S. Agostino, li quali non mai in que’ tempi litigarono sopra il punto dell’Habito, perché sapevano benissimo, che il P. S. Agostino non era stato mai vestito se non con quell’Habito istesso Eremitano, che egli medesimo, prima di essere né Sacerdote, né Vescovo, haveva a' Frati suoi dato nel primo Convento di Tagaste, o come altri vogliono, e meglio, secondo il nostro sentimento, quale a suo tempo chiaramente provassimo, in Italia, ed in Milano; che le liti, che hoggidì vertono, sono state mosse dalla nuova Congregatione de’ PP. Canonici di S. Maria della Frisonaia, detti Lateranensi. Produce il sudetto P. Campo molte altre Fedi autentiche d’altre Imagini di S. Agostino, vestito da Frate Eremitano in molte altre Chiese di Spagna, che furono già anch’esse de’ canonici Regolari antichissime, molte delle quali n’habbiamo, già ne’ suoi tempi, luoghi, prodotte ancor noi, ed altre anche ne produrremo per l’avvenire, affinchè tutto il Mondo chiaramente conosca quanta poca ragione habbino questi Canonici Lateranensi d’Italia di provare d’intorbidare con vani siffismi, le nostre antichità.

33 – [V, p. 63] Ma perché poco dianzi dalla Fede autentica di que’ due Canonici di S. Feliù di Girona, habbiamo inteso, che nella sudetta Capella di S. Agostino vi stette sepolto il Corpo di S. Narciso fin’a quest’Anno del 1286 nel quale operò questo miracoloso Santo, o per meglio dire il Signor Iddio, il prodigio delle Mosche contro de’ Francesi, per vendetta degli oltraggi fatti da questi contro del suo Servo. Io stimo necessario il riferire in questo luogo, che Miracolo fosse questo di dette Mosche; tanto più, che questo fu fatto nella Capella di S. Agostino, il quale anch’egli dovette concorrere co’ suoi prieghi al Miracolo, mentre l’ingiuria era stata a lui anche con San Narciso commune, e perché alcuni Autori lo riferiscono alquanto diversamente l’uno dall’altro; io per caminar più sicuro seguendo la traccia dell’istesso Campo, riferirò quivi in Italiano quel tanto, che egli in Castigliano attesta havere scritto in lingua Cattalana il Santo Padre F. Antonio Vincent Domenech nella sua Historia Generale de’ Santi di Cattalogna, nella Vita appunto di questo Santo alla pagina 71, qual’Autore mi persuado, che per essere Cattalano, meglio degli altri havrà procurato di riferirla ancora con maggior certezza, e verità, dice dunque.

34 – Molto si conosce obligata non solo la Città di Girona, e la Cattalogna, ma anche tutto il Regno d’Arragona a questo B. Martire, cioè S. Narciso, come quello, che ha sempre intrapresa molto da senno la difesa loro contro de’ suoi fieri nemici; hebbero di questo una segnalata esperienza di Cattalani nel tempo del Re D. Pietro il Terzo di questo nome in Arragona, et il Secondo in Cattalogna; il quale essendosi impadronito della Sicilia per le ragioni di sua Moglie Donna Costanza, la quale era stata Figlia di Manfredi re già di que’ Stati. Don Carlo dunque chiamato ancor egli Re di Sicilia, venne con grand’Esercito in Cattalogna accompagnato da D. Filippo Re di Francia; li quali giunti a Girona s’impadronirono di quella, per haverli di buon concerto date le Chiavi D. Ramon Folch Visconte di Cardona col consenso dello stesso Re D. Pietro, il quale conosceva, che non poteva così presto portare a quella Piazza i necessari soccorsi per difenderla. Entrati dunque li Francesi nella Città, comisero in un tratto tante sceleraggini e malvagità, che li poveri Cittadini non le potevano in conto alcuno tolerare, perochè ogni cosa rubbavano alla peggio, et aggravavano in ogni maggior maniera li miseri ed infelici Vinti; e con tanta temerità, che per infino si diedero a profanare sacrilegamente l’istesse Chiese, facendo di quelle tante Stalle per i loro Cavalli, e doppo d’haverle saccheggiate, prendendo i Calici, et altri sagri Vasi, con poca riverenza di Dio, e gran strapazzo de’ Santi, spezzarono un braccio al Corpo di S. Narciso. Non volle più oltre dissimulare il Signore un tanto oltraggio fatto al suo Servo, anzi con un gran Miracolo castigò quella grand’insolenza in questa guisa; perochè uscirono dal Sepolcro del S. Martire sciami di Mosche mezze verdi, e mezze azzurre, con alcune liste rosse, le quali entravano su per le nari de’ Cavalli, e degli Huomini, e non ne uscivano fin tanto, che eglino non cadevano morti per terra, erano così velenose, che subito, che il Cavallo, o l’Huomo, era da quelle toccate, moriva, e fu così grande la stragge, che fecero que’ piccioli Animaletti ne’ miseri Francesi, che se bene erano venuti in grandissimo numero, delle tre parti le due, per lo meno, rimasero morte in Cattalogna, e que’ pochi, che rimasero se ne ritornarono fuggendo in Francia. Accade questo gran Miracolo nel Mese di Settembre dell’Anno 1286.

35 – Fin qui sono parole del sudetto Autore nelle Vite de’ Santi di Cattalogna, semplicemente da noi trasportate [V, p. 64] dalla Castigliana nella nostra Italiana favella; e se bene quanto alla sostanza del Miracolo, io stimo, che la cosa così per l’appunto passasse, come egli la racconta, tuttavolta ove dice, che in questa guerra vi si trovasse presente il Re Carlo di Napoli, non mi pare, che si aggiusti con la corrente degli altri Historici, li quali tengono per costante, che il Re Carlo morisse in Puglia dell’anno 1285, come accennassimo, e che non si trovasse in persona alla guerra di Cattalogna, può ben essere, che vi mandasse gente; ma egli di certo non vi andò; ben si è vero,che vi andò il Re Filippo l’Audace, ma questi morì pure dell’anno 1285 in Perpignano; et appunto il P. Bzovio registra in quell’anno il Miracolo delle Mosche, benchè molto in confuso. Hor siasi ciò successo o in quello, od in quest’anno, questo è chiarissimo attestato di tutti gli Autori della Spagna, ed altri ancora per Historia verissima; e fu questo castigo un gran documento a gli Huomini cattivi, che devono portar rispetto alle Chiese, ed a' Santi, se non vogliono provare ben tosto la giusta ira di Dio vindicatrice, la quale all’hora tanto più pesante, e grave li cade su l’esecrande teste, quanto più pare, che ella tardi a cadere, perochè come disse lo Spirito Santo: Altissinus est patiens redattor.