Tomo V

Anni di Christo 1290 - della Religione 904

1 - [V, p. 85] Venne in quest'anno a morte Agon Gran Kam de' tartari, e gli fu sostituito nell'Imperio Ragaito suo fratello, huomo totalmente dato a' lussi et applicato ai piaceri di Bacco, il quale perciò, come soggetto indegno d'un tanto Principato, fu poco appresso trucidato da suoi, ed in sua vece creato Baido, di professione Christiano, il quale essendo anch'egli in brieve tempo giunto al termine di sua vita mortale, hebbe per suo successore il famoso Cassano, il quale fu anch'egli Christiano; e tentò con buona sorte il riacquisto di terra Santa, come a suo tempo vedremo. Haiton. Bizar.

2 - Alberto intanto Duca d'Austria, armato un numeroso Esercito, entrò con quello furiosamente nel Regno dell'Ungheria, non si sa con qual ragione, e scorrendo per ogni lato, tutto che havesse qualche incontro con l'esercito del Re Ladislao, apportò però come più forte, e potente, grandissimi danni, e rovine a quel fioritissimo Regno; quali tanto maggiori riuscirono, quanto, che nel più caldo bollore di questi moti, venne, forse per il soverchio affanno, che si prese di così importuna invasione, a morte il Re Ladislao, nel di cui Trono fu subitamente inalzato Andrea, il quale non molto stette a rendere la pariglia ad Alberto ne' suoi Paesi dell'Austria; lo Spondano.

3 - Havendo il Santo Pontefice Nicola, con suo incredibile dolore, e rammarico eccessivo di cuore, intesa la funestissima ruina de' Christiani in Terra Santa, e volendo pure ad un male così grande, e quasi irreparabile, in qualche maniera applicare opportuno rimedio, stimò di dovere pubblicare una generalissima Crociata per tutto il Christianesimo, e massime in Italia, il che fece appunto nell'anno scorso, ma perché poco importava haver spedita la Bolla della Crociata, se non si destinavano Predicatori famosi, e zelanti, li quali con le trombe sonore delle loro Evangeliche Voci, la publicassero a' Popoli, ed efficacemente gli esortassero a prenderla, ed accettarla; per tanto il zelante Pastore ordinò a tutti i Generali de quattr'Ordini Mendicanti, ed anche ad altri, che dovessero sciegliere Soggetti atti, et idonei per un così importante Ministero, e mandarli a predicare la detta Crociata.

4 - Quest'è certo, che nel principio di quest'anno, cioè, a cinque di Gennaio, egli spedì una Bolla al Generale dell'Ordine nostro, nella quale, doppo havere nel principio di quella narrate in generale le miserie di Terra Santa, e soggiunteli, che per riparare in qualche parte, e risarcire un così grand'esterminio, haveva di già pubblicata la Crociata, la quale, perché era necessario, che da molti Religiosi, fosse a Popoli annonciata, e predicata, per tanto ordinava ad esso, che dovesse sciegliere tra suoi Frati 20 de' più idonei e de' più atti, li quali portati dal zelo della Causa di Dio, e stimolati dall'urgentissimo bisogno di tutto il Christianesimo, andassero per le Provincie e Città dell'Italia, predicando infaticabilmente a' Popoli, et esortandoli con efficacia a prendere il segno salutare della Santa Croce, e portarlo assiso su le spalle, e più impresso ne' cuori, stimandoli a portar presto soccorso, con le proprie persone, o per altri mezzi più opportuni, a que' Santi Paesi.

5 - Ed affinchè più volentieri i Popoli havessero occasione d'ascoltare i discorsi di detti nostri Predicatori, soggiunge, che, a tutti quelli, che verranno alle loro Prediche, li dà facoltà, possino concedere 100 giorni d'Indulgenza, pur che siano disposti, e Confessati prima de i loro peccati.

6 - E perché tal'hora potrebbe loro accadere di arrivare in luoghi interdetti, [V, p. 86] detti, li concede facoltà in questo caso di potere liberamente Predicare nelle Chiese anche Interdette, ed anche di officiare in esse, e celebrare, senza però suonare le Campane, escludendo anche prima li Scommunicati ed Interdetti ve ne fossero.

7 - Dichiarasi inoltre, che se per avventura alcuno di quelli (che mossi dalle loro efficaci parole si risolvessero, o di andare personalemente, o di mandare Soggetti in loro vece, atti, et idonei) fosse Scommunicato, per haver percosso, ed attualmente offeso, con diabolica violenza alcun Chierico Secolare, od anche Religioso (pur chè l'eccesso non sia troppo attroce, ed enorme, e che prima si dia competente sodisfattione alla parte offesa) o pure havere havuto prosontione di visitare il S. Sepolcro del Signore senza licenza, o accostarsi all'isola di Sicilia, o ad altre terre, o contrahere Matrimonj co' Siciliani, o ad altri, contro il divieto della Chiesa, pur chè per altro non gli habbino dato consiglio, aviso e favore contro della Chiesa Romana; o habbino portate, o mandate armi e mercantie prohibite a Saracini, dà facoltà allo stesso Generale con i suddetti 20 predicatori, di poterli assolvere dalle suddette Censure.

8 - E caso, che qualche Chierico volesse dare aiuto a questa santa Impresa ed essendo incorso in qualche scommunica fulminata, o dal Canone o dal Superiore, havesse anche amministrato i Sacramenti e fosse divenuto ancora irregolare, e perciò havesse, oltre l'assolutione della scommunica, bisogno ancho d'essere dall'irregolarità dispensato, concede il Papa ampia facoltà al Generale, et a 10 di que' 20 Predicatori da doversi destinare, e nominare da esso generale, col Consiglio d'alcuni Frati Discreti di poterli dispensare con ogni ampiezza.

9 - Ed affinchè i detti predicatori avessero occasione di affaticarsi più volentieri in quel santo esercitio della Predicatione, gli concede il Pontefice, per ogni volta, che Predicaranno a' Popoli 100 giorni d'Indulgenza; dichiarandosi ancora, che egli vuole, et intende, che delle stesse Indulgenze, che guadagnaranno quelli che si disporanno di andare, o di mandare al soccorso di terra Santa ne partecipino parimente gli stessi Predicatori.

10 - Conclude finalmente, che se gli havvenisse che alcuno de' suddetti 20 Predicatori, che si dovevano dal Generale eleggere per la Predicatione della Crociata o per la morte o per altra cagione, o perché anche così paresse bene al detto Generale, fosse rimosso dal Monistero suddetto, egli in tal caso gli concede di poterne in luogo di quelli, che mancassero, surrogarne degli altri sufficienti, et idonei. Fu data questa bolla in Roma appresso S. Maria Maggiore a' 5 di gennaio l'anno 2 del suo Pontificato e leggesi stampata anco nel Bollario del P. Empoli a car. 260 et è la seguente:

Nicolaus Episcopus Servus Servorum Dei.

11 – Dilecto Filio Priori Gener. Fratrum Heremitarum Ordinis S. Augustini, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Necessitates miserabilis Terrae Sanctae multiplices antiquas, et novas, non absque gravi amaritudine intra mentis nostrae praecordia recensentes, atque ad plenam liberationem ipsius, et interim ad subventionem locorum, quae in praesentiarum Christianitas obtinet, in eadem Nos, et Fratres nostri intensis desiderijs sospirantes, inter multa operosa studia, quae ipsi Terrae (Deo auspicie) fructuosa sedulo procurare, atque impedere studuimus, et studemus, de ipsorum Fratrum Consilio, per diversas Mundi partes Christicolis Verbum Crucis deliberavimus proponendum, ad exequendum in tota Italia deliberationem huismodi Te, ac Fratres Ordinis tui eo confidentius [V, p. 87] eligentes, quo magis ad id vestrae Religionis debitum vos invitat. Ideoque praedicandae ipsius vivificae Crucis misterium, in ipsa tota Italia, tibi, et viginti Fratribus eiusdem Ordinis maturis, et discretis, atque ad huiusmodi aptis Officium, quos de discretorum Patrum Consilio duxeris eligendos, praesentium auctoritate committimus; in remissionem pecaminum iniungentes, quatenus Tu, et ijdem eligendi Fratres in eodem officio iuxta datam vobis a Deo prudentiam procedentes, illud efficaciter, et prudenter (non obstante quod hoc idem alijs etiam sit commissum) exequi studeatis omnes, et singulos fidei orthodoxae cultores praedicationibus crebris, et sedulis exhortando, ut ad retundendos impiae gentis imperus, compescendos insultus, et superbiam conterendam, victoriosum eiusdem vivificae Crucis signum devote suscipiant, et illud proprijs affigentes humeris, ac magis cordibus imprimentes reverenter, et publice deferant, atque ad celerem praefatae Terrae succursum promptis animis, totisque viribus se accingant. Quod quidem Venerabile signum per vos concedi volumus cunctis devote petentibus, quibus Dominus inspirabit, ut illuc vel personaliter, vel de facultatibus proprijs ad tam pium negotium prosequendum velint subsidium impartiri. Insuper omnes qui hactenus idem signum pro eodem subsidio susceperunt, monere, ac inducere procuretis, ut illud (si forte dimiserint) resumentes alacriter, Terrae praefatae studeant efficaciter subvenire. Cum autem omnibus Christifidelibus, qui Cruce suscepta eidem Terrae succursum impendenderit oportunum, unicuisque secundum proprium meritum Indulgentiam salutarem, ac maxime illis, qui in ipsius Terrae subsidium, vel personaliter ibunt, vel Bellatores, vel alios viros idoneos, iuxta facultatum suarum exigentiam in proprijs sumptibus destinabunt, multiplicium gratiarum beneficia concedamus, sicut in alijs nostris litteris, quae universis diriguntur Christicolis, seriosius continentur, earumdem litterarum, tenorem per te, ac Fratres a te (ut praemittitur) ad praedicandae Crucis officium eligendos volumus, populis Christianis frequenter, et diligenter exponi; ita siquidem provide, quod et Beneficia supradicta, quae ipsis in terra concedimus, et copiosam mercedem, quae ipsis praeparatur in Coelis cognoscere valeant, et amare. Nec tamen ex verbis vestris concipiant, se aut plenam in Casibus, in quibus nequaquam conceditur, aut maiorem, quam concedatur, Indulgentiam pro mereri. Ipsos autem populos ad certa, et idonea loca, quoties expedire videritis convocandi ad Verbum Crucis salubriter audiendum, et omnibus vere poenitentibus, et Confessis, qui ad huismodi vestras praedicationes convenerint, et idem verbum audierint reverenter, centum dies de iniunctis eis poenitentijs relaxandi, vobis auctoritate praesentium concedimus facultatem. Si quando autem ad Ecclesias, Interdicto suppositas vos devenire contigerit, liceat vobis, ad ipsas populos convocare, ac Verbum Crucis proponere in eisdem; nec non Excommunicatis, et Interdictis exclusis, non pulsatis Campanis, submissa voce, ianuis clausis cum vestris socijs Divina officia celebrare. Ad haec, si qui proficiscentium in iam dictae Terrae subsidium, seu destinantium viros idoneos iuxta suarum exigentiam facultatum Excommunicationis essent vinculo innodati pro violenta iniectione manum in Clericos saeculares, aut etiam Religiosos (dumodo non fuerint excessus difficilis, et enormis, et passis iniuras satisfaciant competenter) sive pro eo, quod Sepulcrum Dominicum visitare, seu ad Siciliae Insulam, vel ad alias Terras accedere, vel cum Siculis, vel alijs quibuscumque communicare in Matrimonijs seu alijs modis contra prohibitionem Ecclesiae praesumpserint, dummodo ipsis contra Romanam Ecclesiam non dederint alias [V, p. 88] consilium, auxilium, vel favorem, nec arma, seu merces prohibitas portaverint Saracenis, absolvendi eos cum viginti Fratribus; ac dispensandi cum Clericis, qui cum Excommunicationis sententiam, latam a Canone, vel ab Homine incurrissent, irregularitatis notam immiscendo se Divinis Officijs contraxerint, tibi, ac decem ex praedictis viginti Fratribus praedicti Ordinis tui, quos ad hoc de Consilio Discretorum Fratrum, elegeris, concedimus potestatem. Porro quia dignus est operarius mercede sua, tibi, et Fratribus memoratis, in hoc Divino fideliter laborantibus opere, praeter mercedem aeternam, quam merito sperare potestis quotiescumque studueritis populis ad haec specialiter convocatis, proponere verbum Crucis, centum dierum Indulgentiam elargimur, ac vos Indulgentiae memoratae, quae transfretantibus in subsidium saepe dictum conceditur, iuxta laboris vestri mensuram, volumus participatione gaudere. Denique, si quos ex Fratribus, quos (ut supra dicitur) ad exequenda praemissa duxeris eligendos ab executione huiusmodi, sive per mortem, sive alias quomodolibet impediri, vel per tuam sorte providentiam removeri contigerit facultatem tibi concedimus, loco ipsorum alios subrogari. Datum Romae apud Sanctam Mariam Maiorem nonis Ianuarij Pontificatus nostri Annno.

12 – In questo medesimo anno ritroviamo, che lo stesso Santo Pontefice honorò il nostro Convento di Monte Granaro, la di cui Chiesa in questo tempo intitolavasi col nome de’ due Santi Apostoli Filippo e Giacomo, con un’ampia Bolla in forma di Mare Magno, nella quale, non solo li conferma gli antichi Privilegi, che li erano stati concessi da gli altri Sommi Pontefici suoi Predecesori, ed altri Prencipi, tanto Ecclesiastici, quanto Secolari, ma di vantaggio ancora glie ne concede degli altri, conforme l’uso consueto de’ Mare Magni. La Bolla poi fu data in Orvieto nell’anno terzo del suo Pontificato a 20 di Agosto, e si conserva nell’Archivio del nostro Convento di S. Agostino di Fermo, la di cui copia è la seguente:

Nicolaus IV Servus Srvorum Dei.

13 – Dilectis filijs Priori Monasterij SS. Philippi et Iacobi de Monte Granario, et ijsdem Fratribus, tam praesentibus, quam futuris Regularem vitam professis in perpetuum. Religiosam vitam eligentibus Apostolicum convenit adesse praesidium, ne forte cuiuslibet temeritatis incursus, aut eos a proposito revocet, aut robur (quod absit) sacrae Religionis infringat. Ea propter Dilecti in Domino filij vestris iustis postulationibus annuimus, et Monasterium SS. Philippi et Iacobi de M. Granario Firmanae Diocesis Abbatem proprium non habens, sed per Priorem solitum gubernari, in quo Divino estis obsequio mancipati, sub B. Petri, et nostra protectione suscipimus, et praesentis scripti Privilegio communimus. In primis siquidem Statuentes, ud ordo Canonicus, qui secundum Deum, et B. Augustini Regulam in eodem Monasterio institutus esse dignoscitur; perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter observetur. Propterea quascumque Possessiones, quaecumque bona idem Monasterium in praesentiarum iuste, ac Canonice possidet aut in futurum concessione Pontificum, largitione Regum, seu Principum, oblatione fidelium, seu alijs iustis modis praestante Domino poterunt adipisci, firma vobis, caeterisque Successoribus, et illibata permaneant. In quibus haec proprijs duximus exprimenda vocabulis. Locum ipsum in quo praefatum Monasterium situm in quo praefatum Monasterium situm est, cum omnibus pertinentijs suis, cum Terris, Pratis, Vineis, Nemoribus, Usuagijs, Pascuis, in bosco, et plano, in Acquis, et Molendinis, in Vijs, et Semitis, cum omnibus [V, p. 89] alijs libertatibus, et immunitatibus suis, sane novalium vestrorum, quae proprijs manibus, aut sumptibus colitis, de quibus aliqui hactenus non percepit, sive de vestrorum animalium nutrimentis nullus a vobis decimas exigere, vel extorquere praesumat. Liceat quoque vobis Clericos, vel Laicos liberos, et absolutos a saeculo fugientes ad conservationem recipere, et eos absque contradictione aliqua retinere. Prohibemus insuper, ut nulli Fratrum vestrorum, post factam in Monasterio vestro Professionem, fas sit, sine Prioris sui licentia, de eodem, nisi arctioris Religionis obtentu, discedere. Discendentem vero, absque communium litterarum suarum cautione, nullus audeat retinere. Cum autem generale Interdictum Terrae fuerit, liceat vobis clausis Ianuis, exclusis Excommunicatis, et Interdictis, non pulsatis Campanis, supressa voce, Divina Officia celebrare, dumodo causam non dederitis Interdicto. Crisma vero Oleum Sanctum, consecrationes Altarium, seu Basilicarum, ordinationes Clericorum, qui ad ordines fuerint promovendi a Diocesano suscipietis Episcopo, siquidem Catholicus fuerit, et gratiam, et Communionem sacrosanctae Romanae Sedis habuerit, et ea vobis voluerit, sine pravitate aliqua, exihibere. Prohibemus insuper, ut infra fines Parochiae vestrae, si eam habetis, nullus sine assensu Dioecesani Episcopi, et vestro, Capellam, seu Oratiorium de novo construere audeat. Salvis Privilegijs Pont. Roman. ad haec novas, et indebitas exationies ab Archiepiscopis, Episcopis, Archidiaconis, seu Decanis alijsque omnibus Ecclesiasticis, saecularibusve personis a vobis omnino fieri prohibemus. Sepulturam quoque ipsius loci liberam esse decermimus, ut eorum devotioni, et extremae voluntati, qui se illic sepeliri deliberaverint, nisi forte Excommunicati, vel Interdicti sint, aut etiam publici Usurarij nullus obsistat; salva Iustitia illarum Ecclesiarum a quibus mortuorum corpora assumuntur. Decimas praeterea, et Possessiones ad ius Ecclesiarum suarum spectantes, quae a laicis detinentur redimendi, et legittime liberari de manibus eorum, et ad Ecclesias, ad quas pertinet, revocandi, libera sit vobis de nostra auctoritate facultas. Obeunte vero nunc eiusdem loci Priore, vel tuorum quolibet Successorum, nullus ibi qualibet subreptionis astutia, seu violentia preponatur. Nisi quem Fratres communi consensu, vel eorum maior pars consilij sanioris, si ad eos duntaxat Prioris spectat electio secundum Deum, et B. Augustini Regulam providerit eligendum. Paci quoque et tranquillitati vestrae paterna in posterum solicitudine providere volentes, Auctoritate Apostolica prohibemus, ut infra clausuras locorum, seu vinearum vestrarum, nullus rapinam, seu furtum facere, ignem appponere, sanguinem fundere, hominem temere capere, vel interficere, seu violentiam audeat exercere. Praeterea omnes libertates, et immunitates a praedecessoribus nostri Romanis Pontificibus, locis vestris concessas, nec non libertates, et exemptionis Seculiarum, exactionum a Regibus, et Principibus, vel alijs fidelibus rationabiliter vobis indultas, Auctoritate Apostolica confirmamus, et praesentis scripti Privilegio communimus. Decernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat praefatum Monasterium temere perturbare, aut eius Possessiones auferre, vel ablatas retinere, minuere, seu quibuslibet vexationibus fatigare, sed omnia integre conserventur, eorum pro quorum gubernatione, ac sustentatione concessa sunt, usibus omnimodis pro futura. Salva Sedis Apostolicae Auctoritate, et Dioecesanorum Episoporum Canonica iustitia, si qua igitur in futurum Ecclesiastica, saecularisve persona hanc nostrae constitutionis paginam, sciens contra eam temere venire tentaverit, secundo tertiove commonita, nisi reatum suum congrua [V, p. 90] satisfactione correxerit, potestatis, honorisque sui careat dignitate reamque se Divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a Sacratissimo Corpore, ac Sanguine Dei, et Domini Redemptoris nostri Iesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine districtae subiaceat ultioni. Cunctis autem eidem loco sua iura servantibus sit pax Domini nostri Iesu Christi, quatenus, et hoc fructum bonae actionis percipiant. Amen, Amen, Amen. Ego, Nicolaus Catholicae Ecclesiae Episcopus S. Ioannis Laterani illumina faciem tuam super Servum tuum S. Petrus, S. Paulus. Nicolais Papa Quartus.

Ego F. Ioannes S. Caeciliae Presbit. Card.

Ego F. Matthaeus Ecclesiae S. Laurentij in Damaso Presb. Card.

Ego F. Ugo Eccl. S. Sabinae Presb. Card.

Ego Petrus Eccl. S. Marci Presbit. Card.

Ego F. Latantius Ostiensis, et Veletranus Episcopus.

Ego Gerardus Sabinen. Episcopus.

Ego Bernardinus Portuensis Eccl. S. Ruffinae Episcopus.

Ego Ioan. Tusculanus Episcopus.

Ego Matthaeus S. Mariae in Porticu Diac. Card.

Ego Iacobus S. Mariae in Via Lata Diac. Card.

Ego Neapoleo Sancti Adriani Diac. Card.

Ego Petrus Sancti Eustachij Diac. Card.

Datum apud Urbem Veterem per manum Magistri Ioannis Decani Borocensis S. Romanae Ecclesiae Vicecancellarij decimo Kalen. Septembris, Indictione tertia, Incarnationis Dominicae 1290. Pontificatus Domini Nicolai Papae Quarti Anno tertio.

14 – Non havendo in questo tempo la Religione Monistero nella famosa Città d’Acon, o vogliam dire di Tolemaida, e bramando pure li Padri della Provincia di Terra Santa di fondarvene uno, supplicarono con loro lettere il P. Generale dell’Ordine, affinchè porgesse un supplichevole Memoriale al Sommo Pontefice, acciò si degnasse d’ordinare al Patriarca di Gierusalemme, il quale in questo tempo appunto faceva la sua Residenza nella sudetta Città di Tolemaida, che vendere dovesse alli mentovati Padri della sudetta Provincia, il Monistero, che era stato de’ Padri Sacciti, già suppresso nel Concilio di Lione, il che havendo fatto il P. Generale, si compiacque Sua Santità di farle la gratia; che però spedì ben tosto una Bolla efficace a favore di que’ Padri, al Patriarca mentovato, data in Orvieto alli 8 d’Ottobre l’Anno terzo del suo Pontificato, e registrata si legge nel Bollario Agostiniano a car. 262 et è questa, che siegue:

Nicolaus Episcopus Servus Servorum Dei.

15 – Venerabili Fratri Patriarchae Hierosolymitano, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Ad Fratres Eremitarum Ord. S. Augustini habentes paternae compassionis affectum, eis libenter illa commoda procuramus, per quae ipsis status, et utilitas, secundum Deum valeant provenire. Dudum siquidem fel. record. Gregorius Papa X praedecessor noster, Ordines, qui non meruerunt auctoritate Apostolica confirmari, revocans (sacro Concilio approbante) prout in costitutione super hoc edita plenius continetur; confirmatos autem eadem auctoritate, quibus habendi Possessiones, seu redditus, ipsorum Regula, sive Constitutione obsistentibus, non erat facultas, sed victum per quaestum publicum incerta mendicitas ministrabat, subsistere voluit in hunc modum; videlicet quod nullum ex tunc ad eorum professionem admitterent, nec de novo Domum, aut aliquem locum reciperent, nec Domos, [V, p. 91] seu loca, quae habent, alienare valerent sine Sedis eiusdem speciali mandato, quas quidem Domos, et loca reservavit dispositioni Sedis eiusdem in Terrae Sanctae subsidium, vel pauperum, aut alios usus, per locorum ordinarios, vel eos, quibus ipsa Sedes committeret convertenda. Propter quod Prior Generalis, et Fratres Erem. dicti Ordinis. Nobis humiliter supplicarunt, ut cum in Domo, quam Fratres Paenitentiae Iesu Christi praedicti Ordinis, qui est unus de Ordinibus praedictis, quorumque professio quaestui necessariorum subiecta, non patitur eorum professores Possessiones, habere in Civitate Acconensi hactenus habuerunt, non nisi tres Fratres remansisse noscantur, Domum ipsam, et locum praedictis Fratribus Erem. qui alium locum in eadem Civitate non obtinent vendi, de benignitate Apostolica, mandaremus. Nos itaque utilitati, tam Fratrum Erem. et eorum Ordinis praedictorum, quos syncera in Domino diligimus charitate, quam dictae Terrae Sanctae de subsidio providere volentes, Fraternitati tuae per Apostolica scripta mandamus, quatenus praefatam Domum dictis tribus Fratribus ipsius Poenitentiae cedentibus, vel decedentibus, cum pertintentijs suis Priori, et Fratribus praedictis, vel eorum Procuratori ipsorum nomine auctoritate nostra vendas pro pretio competenti, convertendo in subsidium memoratum; dictaeque Domus emptorem, postquam huiusmodi pretium tibi fuerit integre persolutum, eorumdem Prioris, et Fratrum Erem. nomine, in eiusdem Domus corporalem possessionem inducas, et defendas inductum. Contradictores per censuram Ecclesiasticam appellatione postposita compescendo. Significaturus nobis quantocius per tuas litteras quid, et quantum pro venditione receperis memorata, et penes quos illud duxeris deponendum. Datum apud Urbem Veterem sexto idus Octobris, Pontificatus nostri Anno tertio.

16 – Quello che poi, che seguisse, io non l’ho potuto rinvenire appresso alcun’Autore; mi persuado però di certo, che fosse eseguita la Santa mente del Pontefice, e che i nostri Padri della Provincia di Terra Santa, ne prendessero il possesso; ma credo ancora, che ben presto si perdesse, insieme con quasi tutti gli altri, che teneva la Religione in quelle parti, quando indi a poco furono tutti li Christiani assediati, e presi dal Soldano d’Egitto; non ci arrischiamo però di scrivere alcuna cosa determinata intorno a questa materia, mentre più chiara luce non c’illustra la mente.

17 – L’ordine dell’Historia quivi richiede, che prima d’ogni altra cosa noi riferiamo quello, che si concludesse da' nostri Padri nel Capitolo Generale, che celebrossi quest’anno nel Monistero dell’insigne Città di Ratisbona nella Baviera. Nel tempo della Santa Pentecoste, essendosi in quel nobile Monistero radunati da tutte le parti dell’Ordine i Padri Capitolari, e colà parimente trasferitosi il Santo, e già molto vecchio, Generale Clemente, risoluto di non volere più oltre procedere in quel grave, laborioso Officio, nella prima sessione, che si fece, come anche in tutte l’altre, altro già mai non fece, che pregare i Padri, che si volessero una volta movere di lui a compassione; si compiacessero hormai di toglierli di sopra le sue deboli spalle il peso, così grave del General Governo di sì vasta Religione, et havessero riguardo alla sua già, non più vecchia, ma decrepita etade; considerassero, che egli era incapace di più esercitare quella Carica; haver egli per per lo passato, non già per suo gusto, come era noto ad ogn’uno di loro, ma ben sì, per pubblico beneficio dell’Ordine, servito volontieri lo spatio di molti anni; hora conoscersi affatto inhabile, non volere maggiormente aggravare la sua coscenza di nuovi mancamenti, quali sapeva di certo era necessitato a commettere, in riguardo [V, p. 92] della sua, pur troppo nota, inhabilità; protestarsi in fine, che se non lo assolvevano da quell’Officio, di tutti i mali, che fossero, per suo difetto, successi, n’haverebbero essi da rendere maggior conto di lui a S. D. Maestà; non vi essere meglio dunque, quanto che lasciarlo vivere que’ pochi giorni, che gli avanzavano di vita, con un poco di quiete, rivolge essi fra tanto gli occhi verso la moltitudine di tanti insigni Soggetti, che si ritrovavano in quella Generale, e Religiosa Assemblea, ed anche nel rimanente dell’Ordine, e fra tanti scieglierne uno il quale ristorasse i danni, che egli haveva all’istesso Ordine, con la sua poca attitudine, cagionati.

18 – Così parlava il Santo Generale, tutto infiammato nel volto di zelo, con tanto ardore, ed efficacia, che commosse tutto il Capitolo a piangere per tenerezza, ma non già ad eseguire quel tanto, che egli con così gran premura pretendeva; perochè tutti con una lingua sola (così erano in questo d’acccordo) gli risposero, che il Capitolo non voleva fare altra mutatione, perché non la conosceva al ben publico, non solo necessaria, ma né pure in un puntino giovevole; sapere molto bene per isperienza tutti i Padri, quanto fossero il suo governo a tutta la Repubblica Agostiniana utile, e necessario, non volere essi lasciare, a guisa del Cane di Esopo, la Carne per l’ombra, né abusare la gratia, che Iddio gli haveva fatta, concedendoli un così degno Superiore; essere pazzia il posporre ad un Bene certo, e conosciuto, un’incognito, ed incerto; essere insomma risolutissimi, o d’essere da lui vivente governati, o da nissuno; risolvesse per tanto di quietarsi, e proseguire nel suo officio, perochè così conformato si sarebbe col Divino volere, haverebbe sodisfatto al desiderio universale di tutti i Padri, e rinegando il suo proprio gusto s’harebbe acquistate muove Corone di gloria in Paradiso. Quanto a difetti, e mancamenti, che egli temeva di commettere per la sua vecchiaia, dichiararsene eglino infin dall’hora colpevoli, e rei appresso Iddio, sapere nulladimeno di certo, che poco castigo erano per havere da Sua Divina Maestà; si consolasse dunque, e stasse di buon’animo, perochè tutti dal primo fin all’ultimo, gli promettevano una continua, e fedele assistenza, e speravano nella Divina Bontà, che gli affari della Religione, come fin’a quel punto sotto il suo santo governo erano sempre passati di bene in meglio, così per l’avvenire dovessero più che mai al maggior segno avanzarsi; ed in questo salvatolo tutti a viva voce per loro Generale, lo confirmarono di nuovo per un altro triennio; ed egli non potendo, né sapendo altro fare, nelle spalle si strinse, e sottopose di nuovo il collo al gravissimo Giogo del Generalato.

19 – Non permise però Iddio benedetto, che una tanta humiltà dimostrata in questo Capitolo, se ne rimanesse irrimunerata anche in questo Mondo, ed in quel luogo istesso, ove l’haveva con tanta finezza esercitata; perochè come espressamente testificano il B. Giordano nel suo Libro delle Vite de’ Frati; il Coriolano nella sua Brieve Cronica; il Panfilo anch’egli nella sua poco più longa, e più automaticamente di tutti il B. Enrico d’Urimara, che si trovò presente in questo Capitolo, nel brieve Trattato dell’Origine dell’Ordine nostro, che il Signor Iddio honorò grandemente quella generale Radunanza, per amore di questo suo Servo glorioso e per fare maggiormente spiccare la sua Santità, con molti insigni, e stupendi Miracoli. Per quem Deus (dice il B. Enrico) multa Miracula ostendit in Capitulo Generali Ratisponae celebrato me praesente.

20 – Stabilito dunque questo primo punto tanto principale, ed importante, cominciossi appresso seriamente a trattare di fabricare nuove Costitutioni, perochè quelle prime, che già furono fatte nella grand’Unione in molte cose [V, p. 93] erano manchevoli, ed in altre non si osservavano più, e specialmente nella povertà eroica, nella quale già dall’istesso Alessandro, e molto più da Clemente IV e da altri ancora erano stati dispensati, quanto cioè, al possedere Beni stabili in commune, quali di già in que’ primi fervori dell’unione, erano da noi stati, anche con l’autentica d’una Bolla Apostolica, rifiutati, che già in vigore di Regola non ci sono proibiti; furono dunque fatte, e durarono poi fino al tempo del General Tomaso d’Argentina, come a suo tempo vedremo, nel quale furono in gran parte rinuovate, ed accresciute.

21 – Furono ancora fatte alcune Deffinitioni, e Decreti, fra quali due de’ più principali qui noteremo, spettanti entrambi al grand’Egidio Colonna. Il primo fu, che ad Egidio si dovessero assegnare 50 lire Turonensi dell’Entrate, e Beni del Convento, all’hora molto commodo, e ricco di Centocelle, e queste per sodisfare ad alcuni suoi debiti. Così appunto dice il Decreto: Deffinitum, quod Fratri Aegidio Romano Magistro nostro, pro debitis suis provideatur in 50 libris Turonensibus de Bonis Centumcellarum. E da qui si scorge la stima, che in questi tempi facevasi da' Superiori, e dalla Religione degli Huomini insigni, e Letterati, mentre erano proveduti a publiche ispese ne' loro bisogni, il che facevano affinchè più di buon cuore attendessero ad honorare la Religione con le loro virtù, e potessero scrivere, e divolgare i parti nobilissimi de' loro ingegni alla luce, per gloria di Dio, e decoro dell'Ordine.

22 – Il secondo Decreto fu anche più honorevole, per mio credere, perochè determinarono i Padri, che il sudetto Egidio havesse ampia facoltà, ed autorità di potere chiamare a beneplacito suo, Baccilieri dell’Ordine a Parigi per dovere ivi leggere le Sentenze, come egli stimerà più espediente per il publico beneficio; dichiarandosi però li Padri di ciò fare per mero rispetto di quel grand’Huomo, e non perché ciò passasse in esempio, affinchè da questo non ne habbi a succedere alcun pregiudicio all’Ordine; ecco le parole del Decreto: Item Deffinitum est, quod Frater Aegidius Roman. Magister noster habeat auctoritatem, ut possit Bacellarios Parisius ad legendum sententias vocare, prout sibi pro bono Ordinis videbitur expedire; quod facimus intuitu Personae, et hoc in consequentiam non trahatur, nec per hoc aliquod praeiudicium Ordini generetur. Et in questa parte venne Egidio ad havere un’autorità più dello stesso Generale, perochè i Baccillieri, che andavano a Parigi dovevano essere esaminati ne’ Capitoli generali alla presenza de’ Generali, e de’ Deffinitori, li quali poi gl’inviavano a quella famosa Accademia; ma era tanto grande la stima, che facevano, e con molta ragione, di questo famosissimo Dottore, così per la sua Santità, come per la sua Sapientia, che non dubitavano di spogliare se stessi della loro somma autorità, e darla ad esso.

23 – Fu anche in questo stesso Capitolo creato Procuratore Generale di tutto l’Ordine il Lettor F. Agostino da Monte Rubiano, di cui non trovo alcuna mentione appresso i nostri Autori, li quali doppo Tomaso Piemontese, che pongono Procuratore Generale sotto il 1257, non ne registrano più alcun’altro fino al 1298, nel qual’anno fanno poi memoria di F. Giacomino da Reggio, nel mezzo dunque di questi due si deve collocare il sudetto Agostino da Monte Rubiano, e forse anche vi fu avanti di lui, senza dubbio, alcun'altro; ma la poca diligenza, che in que’ tempi facevasi, tiene sepolte cose assai più degne, e rilevanti, che queste non sono, tutto che siano pur anche di molta importanza.

24 – Doppo il capitolo Generale, fu anche celebrato nel Convento sopranominato di Centocelle, il Capitolo Provinciale della Romana Provincia; nel quale fu Vicario per il P. Generale [V, p. 94] un certo F. Malachia della Provincia della Marca, il quale in questo tempo dimorava nella Curia Romana; e dice l’Autore dell’antico Registro di quella Provincia di Roma, che non così tosto furono i Padri Capitolari ridotti in Capitolo, ed invovocato l’aiuto dello Spirito Santo, quando subito, tutti di commune accordo, per ispiratione veramente Divina, elessero ad alta voce per Provinciale, un Venerando Religioso di santa vita, per nome F. Paolo da Perugia, il quale era assente, e lontano da quel luogo; le parole del Registro sono le seguenti: Eodem Anno Provinciale Capit. Centumcellis, etc. fuit ibi Vicarius Generalis F. Malachias de Marchia, qui tunc in Curia morabatur et Fratres unanimiter et concorditer, per Divinam inspirationem, alta voce, elegerunt Fratrem Paulum de Perusio absentem. Così suole tal’hora il benedetto Iddio publicamente honorare i Servi suoi, a quali in segreto non cessa di continuamente communicare specialissime gratie, e favori. Di questo F. Paolo, tornaremo, non andrà molto, a favellare con sua maggior gloria, et honore nell’anno seguente in cosa molto più di lunga mano grande, ed importante.

25 – Habbiamo in quest’anno opportuna occasione di sapere quanti Conventi havesse la Provincia Romana, perochè con l’occasione appunto delle Collette, che furono imposte a ciascheduno delli sudetti Conventi, vengono ad uno ad uno per il suo Ordine nominati in quell’antico Registro; li registrarò dunque prima in quel modo, e con quell’ordine, che stanno in quel Registro, e poi appresso discorrerò sopra ciascheduno di loro, per quanto comporterà la brevità, richiederà il bisogno, e la necessità dell’Historia; dice dunque il Registro sudetto:

26 – Conventus Provinciae, quibus hoc anno fuit imposita Collecta, fuerunt sequentes: Romanus, Viterbiensis, Urbevetanus, et Perusinus de primo gradu, solvant hoc anno octo florenos auri. Cornetanus, Tuscanensis, Castroplebanus, Balneoregiensis, Nepesinus, de Monte Cimino, de secundo gradu solvant tres florenos. Conventus de Centumcellis, quia fecit hoc Anno bene Capitulum, solvant quinque florenos auri. Conventus de Campiano quinque florenos, de Teglario quatuor. Locus de Verulis, de Genetiano, de Cora, de Molario, de Tibure, de Maliano, de Orto, et de Monte Flascone solvant duos, quia sunt de tertio gradu.

27 – Questi erano appunto li Conventi, li quali in questo tempo costituivano la Romana Provincia, dell’antichità de’ quali, ci giova di discorrere per brieve tratto. Primieramente gli è da notarsi, che questi si distinguevano in tre gradi, o classi; quelli de’ due primi gradi, si chiamavano col nome formale di Conventi; ma quelli poi del terzo grado, chiamavansi col nome semplice di Luoghi.

28 – Il primo Convento dunque fra quelli del primo grado è il Romano, cioè quello di S. Maria del Popolo; perochè quello di S. Trifone era già stato destinato per Studio Generale dell’Ordine, e perciò soggiaceva immediamente all’obedienza del Generale. Quello del Popolo dunque fu, come già dicessimo a bastanza sotto l’anno 1100 del Secolo passato concesso alla Religione da Papa Pasquale Secondo, essendo stata, poco dianzi, fabricata la Chiesa del Popolo Romano; laonde egli ancora, come più di tutti gli altri vien stimato antico, così anche prima di tutti vien nominato.

29 – Del Convento di Viterbo, che è il secondo in ordine, non si può assegnare certo principio, solo gli è chiaro, che prima del 1258 egli era stato fondato; perochè in quell’anno gli fu solennemente consagrato l’Altar maggiore della sua Chiesa da Papa Alessandro IV essendo stata l’anno avanti consagrata tutta la Chiesa da un Cardinale, come a suo tempo vedessimo; ed io stimo fors’anche, che egli sia più antico dell’anno 1156 nel quale [V, p. 95] scrivono gli Autori, che fosse edificato di già il Monistero nostro antico d’Orvieto, come all’hora scrivessimo, ed anche altre volte nel Secolo presente; e la ragione è questa, perché al Convento di Viterbo vien data la precedenza, e vien nominato prima, che quello di Orvieto, se ciò forse non si fa per ragione di maggior dignità, il che penso io; altrimente il Convento di Galleata della nostra Provincia di Romagna, che si pone in primo luogo, dovrebbesi porre quasi nell’ultimo, in riguardo della sua poca importanza. Hor siasi come si vuole, è un Convento antichissimo, a cui non si puole assegnare certa origine, o principio.

30 – Altrettanto conviene scrivere dell’antichità di quello di Orvieto, il quale anch’egli è più antico dell’anno 1156 se bene il P. Errera dice, che egli stima, che fosse fondato intorno a quest’anno; ma ciò di donde lo cava egli? da alcune parole, che dice il Reverendiss. Ambrogio Coriolano nella sua brieve Cronica Agostiniana a car. 9 in cui nota, come dicessimo altrove ancor noi, che Adriano IV, che regnò dall’Anno 1154 fino al 1159, concesse alla Chiesa di S. Agostino d’Orvieto un’Indulgenza di tre Anni, ed altretante quarantene; ma chi dice in questa guisa da ben’ansa di affermare, e di credere fermamente, che la sudetta Chiesa fosse stata fondata prima di quest’anno, ma non che in quest’anno si fondasse il Convento; quanto poi prima ciò potesse essere accaduto, gli è difficile il dirlo; direi sì bene, che anch’egli fosse più moderno del Romano, come similmente di quello di Viterbo.

31 – Restavi del primo grado solo il Convento di Perugia, il quale è certo, che è più antico dell’anno 1254 come sotto di quello notassimo, tutto perché precede a' Padri Francescani, li quali nel detto Anno fondarono il loro Monistero. Quanto poi prima di quello fosse il nostro edificato, non si può sapere; questo si bene ci giova d’aggiungere, che prima di fondare questo, che hora possediamo, un altro antichissimo n’havevamo fuori nell’Eremo, qual dicono alcuni, che fosse fondato prima del millesimo, il che quanto sia vero, a noi non tocca di giudicarlo.

32 – Sieguono i Conventi del secondo grado, il primo de’ quali è quello di Corneto, et è certo, che è più antico del 1274 nel qual’anno vi si celebrò un Capitolo Provinciale, come ivi vedessimo; gli è però certo, che la sua antichità è molto maggiore, ma non potiamo dimostrarla, perché li nostri Padri antichi poco si curavano di registrare tali antichità.

33 – Degli altri quattro, che sieguono appresso, cioè di Toscanella, di Castello della Pieve, di Bagnarea, e di Nepe, non troviamo memorie scritte più antiche di quest’anno; gli è però certo, che tutti sono molto più antichi, perché se habbiamo d’argomentare l’antichità della precedenza, che hanno sopra il Convento del Monte Cimino, che siegue appresso, siamo necessitati a dire, che siano più antichi dell’anno 1164 nel quale è fama, che egli fosse fondato, come a suo luogo scrivessimo quanto bastava, che però hora non ci pare di dovere soggiungere altro.

34 – Solo del Convento di Nepe dobbiamo accennare un Decreto fatto in questo stesso Capitolo Provinciale; e fu questo, che si dovesse prendere un luogo nuovo nella vicina Città di Sutri, e che tutti i beni di quello di Nepe si convertissero in beneficio, ed utile del nuovo Convento di Sutri sudetto, e F. Paolo da Maliano fu destinato Procuratore di questa Fondatione. Quello, che poi ne seguisse non ci costa; questo solo sappiamo, che in Sutri non v’è Convento della Religione, e quello di Nepe hora tuttavia si conserva nel suo stato assai buono.

35 – Del Convento di Centocelle io non dirò di vantaggio, di quello scrissi sotto l’anno 388 nel Secolo Primo, ove [V, p. 96] notai, con molti Autori, che ivi per qualche poco vi si trattenne il nostro Glorioso S. Agostino, e che anche mentre ivi dimorava, nel vicino lido vedesse quel Celeste Bambino, che con un picciolo Cocchiaro tentava di vuotare il vasto Mare in una picciola fossetta, che fatta haveva nel detto lido, e fu in quel tempo appunto, che il Santo Dottore stava componendo i Libri Divini dell’Altissimo Mistero della Santissima Trinità, quali (atterrito dalla visione) lasciò per all’hora imperfetti, e non li compì se non doppo molti anni, essendo già Vescovo, e vecchio nella sua Cattedrale d’Hippona, come egli medesimo dice nelle sue humilissime Ritrattationi.

36 – Alcuni appresso il P. Errera stimano, che questo Monistero fosse già ne’ tempi più antichi dall’Ordine habitato per molti Secoli, e poscia abbandonato per molto tempo, e poi di nuovo ripigliato. Ciò, che ne sia dell’opinioni di questi tali, io non lo so, questo è ben certo, che il B. Giordano afferma, che nel detto Monistero li Frati usavano due modi di vivere fino al tempo di Gregorio IV, il quale appunto fu creato Pontefice l’anno 827 a 24 d’Ottobre; perché alcuni vivevano nel Monistero uniti in commune, altri poi habitavano in alcune Cellette sparse per il vicino Bosco, e ne’ giorni di Festa venivano poi tutti al Monistero, e facevano la vita commune anch’eglino con gli altri; poscia ritornando alli loro Tugurj, portavano seco per loro sostentamento Pane, et altre cose, come al suo luogo già dicessimo, registrando anche le parole del B. Giordano; puol’essere, che doppo questo d’indi partissero, e che poi vi ritornassero. Quello, che è fuori di dubbio si è, che del 1275 vi stavano di certo i nostri Padri, e vi sono poi sempre stati fino a questi nostri tempi; ben’è vero, che hora è più tosto Eremitorio, che Convento; perochè le sue entrate, che erano molto pingui furono già ne’ Secoli passati, applicate al Monistero di Corneto, come, che stimassero quel luogo i Padri, poco habitabile, in riguardo dell’imtemperie dell’Aria.

37 – Degli altri due Conventi di Campiano, e di Teglario, non habbiamo trovata maggiore antichità, che dell’anno 1289 nel quale, come dicessimo, ivi, cioè in quello di Teglario nel Contado di Perugia, fu in quell’anno celebrato un Capitolo Provinciale. Di quello di Campiano, non ve ne è memoria, che io sappia appresso i nostri Autori; né in altro luogo l’ho potuto rinvenire, fuori che nel sudetto Registro antico della Romana Provincia.

38 – Quanto poi a’ Luoghi del terzo grado, cioè di Veroli, di Genazzano, di Magliano, di Orto, di Montefiascone, di Cora, di Molara, e di Tivoli, gli è certo, che tutti sono più antichi di questo Secolo, salvo però quello di Molara, il quale, come vedessimo fu fondato nell’anno 1274 dal Cardinal Riccardo Annibaldense Protettore dell’Ordine nostro. Quello di Tivoli è più antico dell’anno 1241 come a suo tempo provassimo; degli altri, altro non si può dire, se non che sono più antichi di questo tempo, ma non gli si può assegare certa origine e principio, perché gli antichi Registri della Religione prima della grand’Unione, non si vedono.

39 – Un Prelato del nostro Ordine, per nome Bonifacio Vescovo della Chiesa Bosoniense, e Suffraganeo di Basilea, con un suo Diploma dato in Ratisbona nel giorno della Pentecoste di quest’anno concesse alcune Indulgenze a tutti que’ Benefattori de’ Frati Eremitani di S. Agostino, li quali havessero visitato in certe Feste particolari la Chiesa loro di Colonia. Dubita quivi il P. Errera, che questo Vescovo non sia il medesimo con un altro Bonifacio Vescovo Bolonense, e Suffraganeo di Trento, del quale parlassimo ancor noi sotto l’anno 1285, se bene all’incontro due cose poi l’inducono a [V, p. 97] credere più tosto, che egli sia diverso, e costa, che questo era Vescovo non Bosoniense, ma Bolonense, e Suffraganeo di Basilea, non di Trento.

40 – Ma ciò, secondo me, potrebbesi rispondere, che nel titolo del Vescovato v’è pochissimo suario, e puol’essere, che lo Scrittore habbi errato, ed in vece di scrivere Bolonense, habbi scritto Bosoniense, et è contra. Quanto poi alla diversità de’ Suffraganeati, poco stringe la risposta, perochè puol’essere, che quel Bonifacio, che era Suffraganeo del 1285 della Chiesa di Trento, fosse poi Suffraganeo della Chiesa di Basilea nel 1290 stringirebbe ben più se nell’istesso tempo trovassimo un Bonifacio Suffraganeo di Trento, ed un altro di Basilea. Fu veramente un solo Bonifacio Vescovo Bosonense, e non Bolonense, come habbiamo notato sotto l’anno 1285.

41 – Stimasi, che in quest’anno, ispirato da Dio benedetto, prendesse l’Habito della nostra Religione il B. Giovanni Gucci Molli degl’Incontri da Siena, in quel fortunato Seminario di Santi, il Convento di Lecceto, all’hora detto della Selva del Lago, per le ragioni più volte da noi addotte in varj luoghi di questo Secolo; e come credesi, che l’Habito in questo tempo prendesse, così anche si stima, che in questo tempo istesso gli succedesse quella bella apparitione del Salvatore, la quale appunto raccontasi dagli Autori della sua vita nella seguente guisa.

42 – Entrato nella Religione Giovanni ancor tenero garzoncello, come che nella paterna Casa era stato allevato con molta commodità e delicatezza, appena hebbe egli provato, per poco tratto di tempo, l’aspro e stentato vivere di que’ penitenti Religiosi, che considerando la delicatezza di sua natura, con soffismi suggeritili di repente dall’Infernale Maestro, argomentò ben tosto di non potere, in progresso di tempo, perseverare in quel Santo Istituto, principalmente non li pareva possibile di potersi avezzare a mangiare que’ cibi in vero troppo rozzi, e grossi, e quasi sempre insipidi, de’ quali si cibavano que’ buoni Servi di Dio, ed in particolare li Novizzi; per la qual cosa diffidatosi affatto delle sue poche forze deliberossi prima, che venisse il tempo della Professione solenne, di ritornarsene alla Casa Paterna. Era nulladimeno poi così grande il dolore, et il ramarico, che egli haveva di lasciare la santa e beata conversatione di que’ Servi di Dio, che a lui sembrava un Paradiso terreno, che quantunque si fosse in questa guisa risoluto di partire, andava nulladimeno tal partenza procrastinando, per vedere pure se in qualche maniera, con il divino aiuto, potevasi a così aspra vita assuefare. Passato dunque qualche tratto di tempo, nè potendosi assuefare alla rozzezza di quelle più che rusticane vivande, anzi sentendosi ogni giorno più soprafare dalla nasuea di quelle, e considerata inoltre la debolezza del suo tenero corpicciuolo, giudicando in fine onninamente impossibile il potere più oltre procedere, un tal giorno, nel quale, più che mai sentivasi da questi così fatti pensieri agitato, deliberò di partire in ogni modo.

43 – Prima, però, che a tal impresa egli s’accingesse, volle prendere licenza da un’Imagine devotissima del Santissimo Salvatore, avanti della quale soleva sovente orare. Prostratosi dunque davanti quella sagra Imagine il semplice, ma però aflittissimo Giovinetto, diramando dagli occhi un diluvio di lagrime, proruppe finalmente in somiglianti accenti: Benignissimo Signore, voi sapete, con quanta mia consolatione, e con quanta prontezza io ubbidj alla vostra Divina Voce, quando mi chiamaste a questa Santa Religione; non mi viddi mai contento, fin tanto che non hebbi posto il piede entro di queste sagre pareti, e non mi viddi vestito, benchè ne fossi indegno, di quest’Habito Religioso; v’è molto ben noto mio pietosissimo Iddio, che io havevo intenzione [V, p. 98] di non più rivolgere gli occhi indietro per rimanere il Secolo fallace, e menzoniero; ma tutta la mia brama ardentissima consisteva nel volere impiegare tutti i giorni di mia vita mortale nel vostro santo servitio, entro di questo Luogo beato; ma appena fui ammesso al felice consortio di questi Angeli terreni, che ben tosto mi accorsi, che non era degno un peccatore mio pari di godere in terra le delitie del Paradiso. Signore, lo Spirito è pronto, ma la Carne è troppo debole, e frale; non si puole assuefare a questi cibi troppo in vero per lei aspri e rozzi; io so di certo, che se qui poco più mi restassi, diventarei così infermo ed inutile, che farei a questi buoni Padri vostri Servi, ed amici, di grand’impaccio e disturbo; ho pensato dunque Signore, con vostra buona gratia, di ritornarmene alla mia Casa Paterna, ove col vostro Divino aiuto, spero ben’anche di servirvi, se non con quella perfettione, con la quale siete qui servito da questi Santi Religiosi, almeno con quella maggiore, che io potrò, e che voi, per vostra misericordia infinita, vi degnarete di concedermi, è incredibile il dolore, et il ramarico, che io provo solo in pensare a questa dura partenza. Ma, che posso fare? all’impossibile niuno è tenuto; Signore, voi che il mio cuore vedete, accettate la mia buona volontà; ed in questo punto datemi la vostra santa Benedittione, che a quest’effetto mi sono io quivi a vostri Santissimi Piedi prostrato prima di partire.

44 – Queste, e simili parole andò più volte replicando, con infuocato affetto il Santo Novizzo, nel restante di quel giorno, e per tutta la seguente notte, con copia così grande di lagrime, di sospiri, e di singulti, che haverebbe destata la compassione, e la pietà per insino nelle Furie, se ne fossero state capaci. L’udiva intanto dal suo sublime Soglio il Gran Padre delle Misericordie, e quasi lieto godeva di vedere la fiera battaglia, che nel cuore dell’innocente Fanciullo l’amor di Dio e della Religione, dall’un de’ lati, sotto lo stendardo della ragione, e dall’altro il timore di non potere resistere sotto la Bandiera del Senso, aspramente facevano, e se bene di già, con modo grandemente privilegiato, haveva pensato di volerlo in ogni modo soccorrere, differiva nulladimeno il suo celeste aiuto per suo maggior beneficio, affinchè egli da quella sua diffidenza di potere resistere nella Vita Religiosa, imparasse per l’avenire a confidare solamente in Dio, et a rimettere nelle mani di S. D. M. tutte le sue speranze; così suole tal’hora Iddio Benedetto, a senno del mio Agostino, permettere ne’ Servi suoi qualche poco di male, per cavarne poi un bene di gran lunga maggiore; così permise, che Lazaro s’infermasse, e prolongò a curarlo per poterlo risuscitare; così lasciò, che Pietro negasse di conoscerlo, che Tomaso difficile si mostrasse nel credere la di lui gloriosa Rissurrettione; e che Paolo perseguitasse la sua Chiesa, per poi cavare da questi mali infiniti beni, e per essi, e per noi.

45 – Havendo dunque in questa guisa l’afflittissimo Giovinetto consumata tutta quella notte in un continuo pianto ed oratione, essendo finalmente venuto il giorno chiaro, stabilito più che mai nella sua deliberatione, si leva dall’oratione, e con piede tremante e tacito, tutto asperso di lagrime, esce fuori del Monistero, scavalca la siepe del Giardino, e nel folto Bosco s’inselva, per ritornarsene nel Secolo alla Casa del Padre. Ma pochi passi haveva fatti, quando di repente s’avvenne nel pietosissimo Redentore, sotto forma visibile di Pastore, il quale vedendo questa semplice sua Pecorella smarrita, gire fuori della Greggia miseramente errando, e quasi vicina ad essere divorata dal rapace Lupo d’Abisso, pronto al soccorso, se gli para davanti sotto la spoglia accennata, e con benigne parole, così gli prende a dire. Deh buon figliuolo, e che v’è egli avvenuto di male, [V, p. 99] che state con le ciglia così dimesse, con gli occhi così piangenti, col volto così squallido, e col sembiante in fine così turbato, che ben chiaro si vede, che qualche gran disgratia vi deve essere occorsa? Ah troppo ben vi opponete, o cortese Pastore, rispose il buon Giovanni; una gran disgratia in vero m’è occorsa in questo punto. E qual maggior disgratia mi potev’ella avvenire, quanto che abbandonare questo Beato Paradiso terreno, e tornare di nuovo in questo Inferno temporale del Mondo? Oh Dio, e perché non dovrò io sempre piangere amaramente, e sospirare la perdita così grande, che hora faccio della beata compagnia di questi Servi di Dio? Non potrà mai ammettere il mio cuore alcuna consolatione, perché già potrà scordarsi di havere un sì gran bene perduto. Ma deh figliuol mio caro, ripigliò all’hora il Divino Pastore, e se tanto v’è caro questo luogo, e cotanto vi piace la Religiosa conversatione di questi buoni Servi di Dio, ed il loro Istituto, perché l’abbandonate? Ah lo lascio sforzatamente, e non di buona voglia, replicò, più che mai dirottamente piangendo, l’afflittissimo Fuggitivo, perochè non posso resistere con la debolezza della mia troppo delicata natura all’asprezze di vita così austera e penitente, come è quella, che menano questi Santissimi Religiosi, e specialmente non mi dà l’animo di mangiare li loro cibi troppo in vero rozzi, sempre insipidi, e sempre mal conditi, che porgendomi quasi una continua nausea, mi necessitano a pascermi solamente di Pane, e questo ancora e poco anch’egli buono; per questo io me ne parto, per questo io me ne torno, benchè con mio indicibile dolore, alle paterne Case.

46 – Appena haveva finito di così dire Giovanni, quando il pietoso Signore, che più non poteva stare in quella guisa celato, deposto di repente il Pastorale sembiante, gli si fece d’improviso vedere nella forma stessa per appunto di quella sagra Imagine del Salvatore, avanti della quale haveva fino a quel punto fervidamente orato, e sfavillando nello stesso tempo dal suo Divino Volto, un diluvio di raggi d’eterna Gloria negli occhi, e più nel cuore del fortunato Novizzo, da quello tostamente sgombrando ogni mestitia, rasciugateli le lagrime, che amaramente spargeva, con dolcissime parole così gli prese brievemente a dire. Ah Giovanni, e dove mal cauto ne vai? Torna, deh torna indietro, ed attendi con lieto cuore a servirmi in questo luogo, ove t’ho io così benignamente chiamato; non sai, che che io mi sono lasciato intendere nel mio sagrosanto Vangelo, che chi impugna l’aratro per coltivare le dure glebe della Religione, e poi riguarda indietro, questi si dichiara per incapace dell’eterna Gloria? impara della Moglie di Loth a non rivolgere né meno per un puntino gli occhi verso la Sodoma perversa dell’impuro Mondo, se con essa non vuoi ancor tu divenire una Statua di Sale, dalla quale altri poi habbino da imparare a tue spese, ad essere più ubbidienti alle mie voci; e se i cibi di questi miei Servi e Fedeli, ti paiono troppo aspri, troppo insipidi, e grossolani, deh immergerli in questa Piaga (et in questo dire, il petto si scoperse) e proverai, che il Mondo non ha dolcezza eguale a questa mia. Il che detto disparve incontanente, tramandando però da quella Beatissima Caverna di Paradiso una luce così grande, et un splendore così immenso verso di quel felice Religioso, che se bene di repente da gloria così grande sopraffatto, come già fecero su la cima del Taborre i tre più cari Discepoli di Christo, cadde anch’egli semimorto nel suolo; ma tosto ravvivato dalla Divina gratia, alzossi coraggioso, e tornato nel Monistero humilmente prostrato a' piedi del Superiore, alla presenza di tutti i Padri publicamente la sua leggerezza confessò, e gli ne chiese il perdono, qual benignamente gli fu concesso, ed egli poi visse per l’avvenire [V, p. 100] con tanta Santità quanta ci reserbiamo di raccontare puntualmente a suo tempo.

47 – Fiorirono in questo tempo ancora, appresso il B. Giordano nel libro secondo delle vite de’ Frati al cap. 4 tre gran Servi di Dio, di fama non volgare, de’ quali, come quasi sempre suole, non produce i nomi. Furono questi due Religiosi, et una Monaca. Il primo fu un Priore, il quale fino da giovinetto fu sempre casto Religioso e divoto; ma fu all’incontro nel governo grandemente rigoroso e severo; e sotto il suo governo trionfò sempre gloriosamente la Regolare osservanza; perochè nel Choro si recitava l’Officio Divino con tanta esattezza e puntualità, con tanta distintione e chiarezza, che parevano que’ Frati tanti Angeli, che lodassero Iddio; l’Ubbidienza, la Povertà, il Religioso silentio, e tutte l’altre virtù claustrali si esercitavano sotto di questo Maestro perfettissimo eroicamente in vero; ed era ben necessario, che così facessero, perochè, chi o negligente trascurava, o contumace ricusava di conformarsi col rimanente della Comunità nella puntuale osservanza delle nostre Sante Leggi era da esso indispensabilmente, e con qualche notabile rigore castigato.

48 – Trovavasi per avventura una volta un Religioso, fra gli altri di sua famiglia, assai buono, ma che però abborriva un rigore, così grande, come a lui pareva (e questo sia il secondo di cui parla il sudetto B. Giordano) per la qual cosa, non dandoli l’animo di più lungamente durare sotto il suo rigido governo, procurò d’essere mandato di stanza in un altro Monistero; ma ecco, che mentre a ciò fare si accinge S. Giovanni Battista, di cui egli era teneramente divoto, gli apparve in visione, e gli disse, che a patto alcuno egli non si partisse da quel Priore, perochè gli era cosa molto utile, e profittevole alla salute dell’Anima sua il fermarsi sotto la disciplina sua fino alla morte; il che esequì poi puntualmente, e meritò poscia di morire santamente nel giorno Festivo del suo glorioso Avocato S. Giovanni Battista.

49 – Quel benedetto P. Priore doppoi, fu per maggior suo profitto visitato da Dio nel fine di sua vita con molte gravi infermità, e finalmente come da Santo egli era vissuto, così da Santo morì; e fu da Iddio benedetto premiato nel gran Regno de’ Cieli con molti gradi di Gloria, come fu rivelato da S. D. M. ad una S. Monaca dell’Ordine nostro. Veramente dice il nostro P. S. Agostino, che il Superiore deve più tosto inclinare alla piacevolezza, che al rigore, più a farsi amare con dolci maniere, che a farsi temere con modi aspri e severi: Ille qui vobis praest, non se existimet potestate dominante, sed charitate serviente felicem; sed magis a vobis amari appetat, quam timeri. Il modo però più sicuro per fare approfittare è il rigore, perochè, ubi non timetur reprehensor iniquitas ibi licentius perpetratur. Nell’Arca del Testamento v’erano le Tavole della Legge, et insieme con quelle la Verga d’Aronne e la Manna, per insegnarci, che per indurre i Sudditi alla osservanza delle Leggi deve adoprare il Prelato, et il Superiore ben sì la manna della dolcezza e dell’amore, ma quando questa non basti, o vede, che ella sia abusata, ha da mettere mano alla verga del rigore, e del castigo. E però Christo, quando si trasfigurò, si fece vedere nel mezzo di Mosè piacevole, ed Elia rigoroso, dice S. Pietro Cluniacense, affinchè imparino i Superiori, che della piacevolezza dell'uno, e del rigore dell'altro si hanno anch'eglino vicendevolmente da servire a tempo, e luogo con discreta prudenza. Avvertino però sempre di fare ad imitatione di Dio, che la pietà e la misericordia sempre s’avanzi sopra del rigore; perochè, chi con troppo rigore vuol sempre procedere, corre rischio di non porre in disperatione i poveri Sudditi; come per il contrario quando un Superiore [V, p. 101] vede un Religioso abbassato ed avvilito, o per suo, o per difetto altrui, è vicino al disperarsi, per ritornarlo sul vero e dritto sentiero, non v’è rimedio migliore d’una pietosa, e veramente paterna piacevolezza. A questo proposito giovami di quivi trascrivere in volgare alcune parole del sopracitato Beato Giordano, il quale in questa guisa dice:

50 – Io ho conosciuto alcuni Prelati nella Religione, li quali con la loro indiscreta asprezza, ed impertinente rigore, fecero perdere alcuni buoni Soggetti, che potevano riuscire sodissime Colonne dell’Ordine nelle sue Provincie; quali haverebbero potuto grandemente fomentare e giovare con pietose consolationi. Ho poi anche conosciuto per lo contrario altri Frati nell’Ordine, li quali, con le loro piacevoli ammonitioni, e caritative esortationi, ritornarono in filo, e ridussero alla primiera tranquillità dell’Anima alcuni Religiosi, li quali erano già poco lontani ad abbandonarsi nelle braccia della disperatione, ed in questa soave guisa li conservarono, con la Divina Gratia, nel suo honore, e buona fama; fin qui il B. Giordano. Habbiamo così a lungo discorso di questo importante Afforismo Religioso, perché da questo dipende tutto il buono, o rio governo della Religione; ed affinchè i Religiosi imparino, se sono Superiori, come hanno da diportarsi nel reggere le loro Famiglie, e se sono Sudditi, non abborischino i Superiori se gli vedono un poco rigorosi, ma gli compatischino, e baccino quella mano, che li percuote, e quella verga, che li flagella, perché è verga di Superiore, perché è mano di Padre, e già si sa, che Pater flagellat omnem filium, quem diligit.

51 – Leggeva in questo tempo le Divine Lettere, e spiegava la sagra Scrittura nello Studio già famoso della gran Città di Lisbona F. Andrea della Nobilissima Casa Orsina, insigne Teologo, del qual Studio essendo Decano, fu anche appresso honorato dal Re D. Dionigio del sovrano titolo di Rettore di quello; ma egli, che fino da giovinetto s’era santamente avvezzato a calcare ogni humano fasto, e generosamente sprezzare ogni terrena Dignità, humilmente quell’honorevole carica ricusò; tanto per appunto riferisce il P. M. Antonio della Purificatione Portoghese nel suo Teatro Trionfale di Portogallo appresso il P. Errera nel primo Tomo del suo Alfabeto.

52 – Nello stesso Teatro trionfale registra il sudetto Antonio della Purificatione la memoria Illustre d’un un altro insigne Soggetto della sua Provincia di Portogallo, il quale in questo tempo istesso era Predicatore dello stesso Re D. Dionigio, e non meno egli con le sue dotte, et erudite Prediche, honorava in quel nobile Paese, e nel cospetto di quel famoso Re la Religione, di quello facesse con le sue Lettioni in quell’insigne Accademia il sopracitato Andrea Orsino Italiano. Chiamavasi questo Predicatore F. Soerio da Lisbona.

53 – Il P. Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto sotto l’anno 1290, registra la famosa memoria d’un’Insigne Soggetto della Provincia Romana chiamato Ugolino Malabranca da Orvieto, il quale, havendo con la sua Illustre Dottrina honorata grandemente la Religione meritò in fine, per premio di tante sue fatiche, d’essere assonto prima al Vescovato di Rimini, e poscia anche appresso al Patriarcato di Costantinopoli, rimanendo con l’amministratione del Vescovato della sudetta Città di Rimini, e se bene, egli dubita sul principio, che questo non sia il medesimo Ugolino Malabranca da Orvieto Vescovo pur anch'egli di Rimini, e Patriarca di Costantinopoli, il quale fu eletto Generale dell’Ordine l’anno del Signore 1368 nel Secolo seguente a questo; tuttavolta, perché egli trova, che molti Autori tutti classici e gravi, lo pongono sotto di quest’anno 1290 e niuno dice, che egli fosse Generale, [V, p. 102] s’induce a credere, che veramente nell’Ordine vi possino essere stati, anzi vi siano stati due Soggetti della stessa Casa e Patria col nome d’Ugolino ambi Vescovi di Rimini, e Patriarchi di Costantinopoli. Gli Autori poi, che a ciò credere lo persuadono, sono Marc’Antonio Sabellico nell’Eneade nona al lib. 7 a car. 257; il Ciacconio nelle Vite de’ Papi e Cardinali sotto Honorio IV a car. 625; l’Autore delle Additioni al Specchio Historiale di Vincenzo Belluacense a car. 431 sotto Celestino V con parole maturate da Artmano Schedellio nella sua Cronica delle sei Età del Mondo a car. 218 e quello, che più importa, Monaldo Monaldeschi da Cervara nel lib. 8 dell’Historia Orvietana foglio 62 sotto l’anno però 1291 come fa anche il Bzovio; così il Tritemio nel suo Libro degli Ecclesiastici Scrittori sotto l’anno 1290; Raffaelle Volaterrano nel lib. 21 dell’Antropologia sotto l’anno medesimo; Girolamo Bardi nella Cronologia; l’Ensengrenio nel Cattalogo de’ Testimonj della verità a car. 125 sotto l’anno però 1299 e quello, che più stringe Raffaello Ademari nel Trattato, che egli fa del sito della Città di Rimini a car. 131, ove trattando d’una miracolosa Apparitione della B. V. Santissima fatta ad un Contadino, sotto il Pontificato di Papa Nicola IV dice (parlando del Contadino): postea Ariminum, rem narrat Ugolino Malabranca Urbevetano, Episcopo Ariminensi, post Patriarchae Constantinopolitano Ord. Erem. S. Augustini, et celeberimmo Theologo.

54 – Veramente non ha dubbio, che il testimonio di tanti Autori così classici e gravi, quali quasi tutti d’accordo parlano di quest’Ugolino in quest’anno, e sufficentissimo a fare credere, che vi possino essere stati due Religiosi dell’istesso nome, Casa, Patria, e Dignità nell’Ordine nostro a chi che sia; ma però se si considererà ben bene l’antichità di questi Autori, che ciò asseriscono, si trovarà, che quest’Historia ha bisogno di maggior ponderatione, perochè gli è vero, che tutti li sopracitati Autori concludono, che questo Ugolino fiorì prima del 1300, ma di donde l’hanno eglino cavato? Certo non da altri, che dal Sabellico, che fu il Primo a scriverlo nel luogo citato; e così poi di mano in mano gli altri appresso, senza esaminare la verità del fatto, hanno il medesimo nelle sue Historie scritto con niuna, o almeno poca differenza.

55 – Et a dire la verità, chi non vede, che a quest’Ugolino, che il P. Errera s’induce a credere, che sia diverso da quello, che fu Generale, vengono dalli sudetti Autori applicate, et ascritte tutte l’Opere, che realmente quell’altro scrisse; di più, se ci fosse stato questo primo Ugolino, è possibile, che niuno de’ nostri Autori non ne havesse parlato? Oh n’hanno tralasciati tant’altri non men famosi ed insigni; gli è vero, ma però il B. Giordano, che visse vicinissimo a questi tempi, mentre scrisse così esattamente del secondo Ugolino Generale, Vescovo di Rimini e Patriarca di Costantinopoli, pare a me, che l’havrebbe distinto dal primo necessariamente, se vi fosse stato, per non confondere l’uno con l’altro; ne ha del verisimile, che la memoria del primo fosse così presto svanita, che non potesse essere pervenuta alla notitia e cognitione del B. Giordano, che visse in tempo, che quasi lo poteva havere conosciuto.

56 – In oltre, se egli vi fosse stato quest’Ugolino primo, gli è quasi impossibile, che non ve ne fosse rimasta qualche memoria in quell'antico Registro della Romana Provincia, tante volte da noi citato, e prodotto in questo Secolo; e pure gli è certissimo, che dall’anno 1274, nel quale comincia fino al 1339 nel quale finisce, tutto che vi si leghino registrati i nomi di tanti altri Religiosi di minor conto, nulladimeno mai si vede quello di questo Ugolino.

57 – [V, p. 103] Concludiamo finalmente, che se veramente vi fosse stato questo primo Ugolino, e fosse stato Vescovo di Rimini e Patriarca di Costantinopoli, come il secondo, si come di questo si ritrova registrato il nome nelli Registri Pontificj del Vaticano, così di quello parimente si trovarebbe il nome registrato; hor leggasi il secondo Tomo dell’Italia Sagra del P. Ughelli nel Cattalogo de’ Vescovi di Rimini, e vi si ritrovarà ben scritto il nome del secondo, che fu Generale, ma non già quello del primo, perché quello non essendo mai stato nel Mondo, non che Vescovo, e Patiriarca, in Rimini, e Costantinopoli; il P. Ughelli non lo potè trovare scritto, e registrato nel sudetto Regesto Pontificio del Vaticano.

58 – Restavi il testimonio dell’Ademari, il quale, se non errasse nel tempo, grandemente stringerebbe, perochè come di sopra habbiamo accennato sotto l’anno 1286 al tempo, dice egli di Papa Nicola IV pone l’Apparitione della B. Vergine a quel Contadino, il quale subito l’andò a rivelare al Vescovo, che era Ugolino.

59 – Ma qui di certo v’è errore del doppio, primieramente, perché egli dice, che ciò avvenne al tempo di Nicola IV del 1286 e pure gli è più che certo, appresso a più classici Scrittori Historiografi e Cronologi, che in detto tempo non sedeva su la Cattedra di Pietro Nicola IV ma ben sì Honorio IV, essendo quello stato eletto doppo la morte di questo a 22 di febraio dell’anno 1288 come a suo luogo vedessimo; e questo è il primo errore essentiale; l’altro poi è, che lo fa Vescovo di Rimini prima degli altri Autori sopranominati, e così discorda da essi. Stimo io dunque, che egli racconti questo caso 90 anni prima di quello, che ei accadde, perochè se egli veramente successe al tempo, che era Vescovo di quella Città il nostro vero Ugolino Malabranca da Orvieto, ciò dovette essere del 1376 ed egli havendo letto questa Apparitione in qualche antica Historia, e trovando essere avvenuta al tempo di questo Ugolino, pensando, che egli veramente fosse in questo tempo fiorito, vome forse letto l’haveva appresso gli Autori citati dal P. Errera senza più oltre pensare, scrisse ingannandosi anche nel Pontefice, che regnava, ciò essere accaduto del 1286 al tempo di Nicola IV stimando forsi, che gl’Historici, da quali egli cavò la detta Historia, tutto che assegnassero il tempo giusto, s’ingannassero di 100 anni se la mettevano del 1386 o pure di 90 se la registrivano del 1376 e queste sono le ragioni, che a me pare efficacemente concludino contro quelli, che tengono vi siano stati due Ugolini, Malbranca da Orvieto dell’Ordine nostro entrambi Vescovi di Rimini, e Patriarchi di Costantinopoli; mi rimetto però sempre a qual si sia più purgato giudicio, e non intendo di punto pregiudicare al sentimento di tanti Autori, e massime dell’eruditissimo Errera, quale sopra d’ogn’altro riverisco ed honoro. A suo tempo, così in questo, come nel Secolo futuro, tornaremo a favellare, ma però del vero Ugolino con somma lode.

60 - Riferisce l’Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto in Conventu Spoletano, che fu concessa benignamente in quest’anno a 16 di Decembre nell’Indittione terza, e nell’anno terzo del Pontificato di Papa Nicola IV da Gerardo Vescovo di Spoleto, e dal Sig. Giacomo del quon. Gilberto Priore, e dal Capitolo della Chiesa Secolare di S. Gregorio maggiore, la Chiesa di S. Massimo di Spoleto, soggetta alla sudetta Chiesa di S. Gregorio, a Religiosi Frati di S. Agostino del luogo, o Convento di S. Nicolò di Spoleto; e fu la detta Concessione accettata da F. Matteo di Spoleto Lettore, et all’hora Priore del sudetto Convento; e questa fu poi forse la cagione, che indusse i Padri a dare per titolare della nostra Chiesa di Spoleto, nella di lui Consagratione, insieme [V, p. 104] con li SS. Nicolò e Agostino, anche S. Massimo Martire. E’ poi di parere il P. Errera, che quel F. Matteo, che habbiamo detto di sopra, essere stato Priore al tempo della Consacratione di quella Chiesa di S. Massimo, fosse poi quello,che fu Vescovo di Faenza, e benedisse la prima pietra della nuova Chiesa nell’anno 1309 e si appone al vero, perochè veramente in detto tempo era Vescovo della sudetta Città, F. Matteo da Spoleto dell’Ordine di S. Agostino, ed era stato creato da Bonifaccio VIII sotto l’anno 1301, come a suo tempochiaramente provaremo.

61 – Non ha dubbio alcuno, che il Monistero, che havessimo già nella famosa Città di Strigonia nell’Ungheria, è assai più antico di questo tempo, ma perché non ne habbiamo potuto rinvenire memoria certa a questo tempo anteriore, parlaremo dunque in questo luogo di ciò, che di più certo ci viene somministrato da nostri Scrittori, e specialmente dal P. Errera, il quale appunto riferisce nel suo Tomo 2 dell’Alfabeto in Conventu Strigoniensi, che il Re Ladislao donò in quest’anno del 1290 a nostri Frati del Convento di Strigonia, che haveva il titolo di S. Anna, la Terra degli Armeni promessa prima al Conte Kunchilmo fino a’ confini della Terra del Capitolo della Cattedrale di Strigonia e dell’Acque, o Bagni caldi di questo Monistero, ne tornaremo più volte a favellare negli Anni avvenire, e specialmente sotto l’anno di Christo 1384 in cui vi fu celebrato un Capitolo generale, nel quale fu eletto supremo capo dell’Ordine il Vener. Servo di Dio Maestro F. Bartolomeo da Venetia.

62 – Scrive parimente Giovanni Speed nel suo Cattalogo de’ Monisteri dell’Inghilterra, che si legge unito all’Historia dello stesso Regno scritta da Nicolò Arpsfeldio, che fosse quest’anno fondato e fabricato il monistero di Norvico, o Nordovico, o pure Norvichia nel Contado di Norfolcia della Provincia d’Inghilterra, del quale dicesi, che fosse fondatore o Remigio, o il Re, né maggiormente si specificano gli Autori sudetti.

63 – Stima però il P. Errera, che questo Monistero sia più antico di quest’anno; perochè in quest’anno istesso terminò l’ultimo giorno di sua vita mortale F. Tomaso Bostallo dottissimo, il quale fu figlio di questo Convento, come riferiscono di commune accordo il Cattolico Pitseo, e l’Eretico Baleo ne’ Cattaloghi, che scrissero entrambi de’ Scrittori Illustri dell’Inghilterra, di sorte tale, che se questo Religioso, che morì in quest’anno, era stato figlio di questo Monistero, pare a me, che il P. Errera habbi somma ragione di scrivere, che la Fondatione sua sia più antica di quest’anno 1290 se bene e si potrebbe dire, che egli essendo Religioso dell’Ordine, e di questa Patria nativo, procurasse poi la Fondatione del detto Convento, del quale si facesse poi figlio in quest’anno, e poi doppo si morisse nel medesimo, che non sarebbe gran fatto.

64 – Hor siasi come si voglia, il Monistero di certo era in quest’anno in piedi. Di F. Tomaso poi sudetto, altro non dicono gli accennati Autori, fuori che egli, doppo havere studiato nell’Accademie dell’Inghilterra, come in Offonio e Cantabrigia, e ricevuta la Laurea Magistrale, egli se ne passò in Francia a far pompa del suo alto sapere nella famosa Città di Parigi, ove arruolossi ancora fra quegl’insigni Dottori. Scrisse ancora alcune Opere in Teologia, e finalmente in quest’anno ritrovandosi nella sua Patria e Convento, venne a morte, e fu sepolto nella Chiesa dello stesso Convento.

65 – Era anche in quest’anno fondato il Convento nostro detto della Porta del Cielo in Sassonia; il che si cava evidentemente dalle Croniche di Brunfuich scritte da Arrigo Maybaum, il quale appunto alla pagina 229 racconta, come in quest’anno, Arrigo [V, p. 105] di Vuildembroch Abbate Vuerdense, concesse ad alcuni Frati Agostiniani, che venivano dal Convento della Porta del Cielo vicino a Vetermigendo, di potere fabricare un nuovo Monistero nella sua Terra di Verda, concedendoli di potere anche gire limosinando ogni quattro giorni, e di potere inoltre comprar tanto Terreno, quanto n’havevano per tal fabrica di bisogno; dandoli il Senato la Capella, o Chiesa di S. Spirito, la quale 20 Anni prima era stata da esso comprata per uso di Ospitale da un certo Comendatore in Spiglingen. Tanto appunto, e non più dice l’Autore sudetto della Cronica di Brunfuich.

66 – Due cose certe ne caviamo da questo discorso, cioè la Fondatione del Convento di Vuerden in quest’anno, e l’esistenza di quello della Porta del Cielo; il quale quando fosse edificato, e per conseguenza quanto fosse più di questo tempo antico, non si può dire senza correre manifesto rischio di togliere ad indovinare.

67 – Fu finalmente fondato in quest’anno un Monistero di Monache nostre in Foligno, sotto il titolo di S. Giuliana, da una Religiosa appunto di santa vita, che così chiamavasi anch’ella; et afferma Lodovico Giacobilli ne’ suoi Santi di Foligno a car. 122 che nelli Manoscritti antichi di quella Città si chiama di S. Giuliana da Foligno, la quale non molto doppo, benchè non sappi precisamente il quando, santamente se né morì. Come poscia in progresso di tempo le Monache, che successero appresso, cedessero questo Monistero a' Padri Serviti del vicino Convento di S. Giacomo, et alla Chiesa di S. Giovanni detto volgarmente delle Poelle; e doppo ancora unendendosi alle Monache di S. Maria del Popolo dell’Ordine di S. Domenico, prendendo l’Habito di questo Santo, lasciassero il loro antico di S. Agostino, lo diremo più distintamente ne’ suoi tempi.

68 – Passiamo hora da Foligno nella vicina Terra di Montefalco a considerare la miracolosa Fondatione dell’insigne e celebre Monistro di S. Croce, in cui visse, e morì quella Gloriosa Verginella, e bella Martire d’Amore, la B. Chiara da Montefalco. Già sotto l’anno 1281 riferissimo, come la B. Giovanna di Damiano sorella della B. Chiara, con alcune sue Compagne havendo per alquanto poco di tempo menata insieme una vita ritirata, e penitente nel Reclusorio di S. Illuminata vicino alle Carceri di S. Leonardo poco lungi dalla sudetta Terra di Montefalco, desiderando hoggimai di fondare un Monistero formato, in cui vestite con Habito di qualche approvata Religione, potessero più da dovero attendere a servire al loro Celeste Sposo; doppo haver più volte pregato il benignissimo Signore a manifestarli, in qual luogo sarebbe stato di suo gusto maggiore, che elleno havessero il detto Monistero edificato, finalmente si compiacque S. D. M. di rivelare alla sudetta Giovanna, che ivi dovessero fabricare, ove havessero ritrovato la di lui Croce nel suolo improvisamente piantata; per la qual cosa, havendo le Compagne, avvisate già dalla Serva di Dio, dell’Oracolo Celeste, ricercata con gran diligenza, per qualche tratto di tempo, la detta Croce, piacque finalmente al pietoso Signore, che un giorno molte di quelle Verginelle, vedessero una bellissima Croce risplendente su la cima del colle di S. Catterina del Bottaccio, vicino, anzi pure sotto le mura della Terra di Montefalco, intorno della quale stavano molte Donne, con atto riverente e divoto. Essendo dunque colà passate le fortunate Compagne con la loro Maestra, raccolte alcune poche limosine, diedero ben sì principio al nuovo Monistero, ma per la scarsezza del danaro non lo puotero finire fino a quest’anno 1290.

69 – Imposto dunque felice fine alla fabrica del nuovo Monistero, cominciarono a pensare le sagre Vergini sotto qual Stendardo dovessero elleno arruolarsi, [V, p. 106] cioè, di qual Habito si dovevano vestire, e qual Regola osservare; e perché niuna cosa volevano di proprio capriccio fare, o risolvere, alla perfine determinarono di rimettere totalmente le loro volontà nelle mani del Vescoco di Spoleto, a cui dovevano soggiacere, affinchè egli come loro Superiore, gli additasse la norma, che elleno seguire dovevano per maggior gloria di Dio, e beneficio dell’Anime loro.

70 – Rallegrossi grandemente il Vescovo, che in quel tempo chiamavasi Gerardo, della buona volontà di queste Serve di Dio, e volendole compiacere, doppo haver prima raccomandato molto caldamente un così importante negotio al Signore, finalmente gli concesse, che ricevessero la Regola di S. Agostino, e per conseguenza anche il suo Habito; dandoli facoltà di potere ricevere all’istessa Religione et Habito, altre Vergini, che havesserodesiderio di servire con esse loro al Signore, con l’altre facoltà necessarie in simili occorenze, come di suonar Campane, d’havere Cimitero, Chiesa, etc. con patto, che in segno di soggettione, gli dovessero pagare una libra di Cera ogni anno. Ma per maggior chiarezza vogliamo quivi registrare il Diploma di questa Concessione, acciò vedino i PP. Francescani la bella ragione, che essi hanno di pretendere, che la B. Chiara possi essere stata dell’Ordine di S. Chiara, o pure del Terz’Ordine di S. Francesco, come alcuni di loro costantemente non cessano di scrivere, e di dire, non ostante, che la Chiesa habbi giudicato il contrario. La copia dunque del Diploma del Vescovo è la seguente:

71 – Gerardus miseratione Divina Episcopus Spoletanus. Dilectis in Christo Ioanne Damiani de Montefalco, et suis Sororibus degentibus in Domibus S. Crucis, et S. Catharinae de Bottaccio prope Castrum Montisfalchi Spoletanae Dioecesis, salutem in eo qui est vera salus. Religiosam vitam eligentibus efficaci debet praesidio subveniri, ut per grata subvetionis subsidia in Sanctae Religionis Habitu perpetuo valeant Domino famulari. Sane pro parte vestra nobis est humiliter supplicatum, ut cum Domus Sanctae Crucis, et Sanctae Catharinae de Bottaccio prope Castrum Montisfaschi Spoletanae Dioecesis, in quibus sub Regulari Observantia placitum Deo disponitis impendere famulatum satis ad locum Religionis habiles videantur, certam Regulam, et alia, quae loco regulato conveniunt, vobis de speciali gratia concedere dignaremur. Nos igitur vestrum laudabile propositum in Domino comendantes Christi nomine invocato Beati Augustini Regulam vobis auctoritate Apostolica duximus concedendam; quam per vos, et alias Sorores, quae in eodem loco fuerint pro tempore volumus, et mandamus, quantum possibile fuerit perpetuo inviolabiliter observari. Oratorium quoque cum Campana, in quo laudes Domino persolvatis, et Caemeterium pro vestra vestrarumque Sororum, et Conversarum, et quod Personas a saeculo fugientes recipere possitis in socias et Sorores, vobis plenam, ac liberam damus, et concedimus potestatem. In recognitionem autem Dominij volumus, quod unam libram Cerae nobis, et successoribus nostris annis singulis persolvatis. In cuius rei, etc. Datum apud Plebem nostram S. Fortunati de Montefalco, Anno Domini millesimo ducentesimo nonagesimo, Pontificatus D. Nicolai Papae Quarti, Anno tertio, Indictione tertia, Mense Iunij, die decimo.

72 – Io mi faccio a credere, che trovandosi personalmente il Vescovo sudetto nella Terra, o Castello di Montefalco nel tempo di detta Concessione, egli medesimo ancora con le sue proprie mani gli mettesse l’Habito della Religione, quale è da credere certamente, che egli fosse il nostro, benchè [V, p. 107] il Vescovo nel Diploma non lo specifichi, ma mentre gli concede la Regola, e dell’Habito non se ne parla, si deve dunque intendere, che fosse quello dello stesso Santo; che se fosse stato di qualch’altro l’haverebbe necessariamente il Vescovo specificato, come è chiaro. Laonde io non so vedere, come i PP. Francescani ardiscono di pensare, non che di dire, come fanno, che la B. Chiara sia stata del suo Ordine.

73 – Io so, che alcuni hanno detto appresso il Vadingo nel Tomo 3 degli Annali del suo Ordine de’ Minori, che queste Monache vivevano ben sì sotto la Regola di S. Agostino, ma vestivano però l’Habito di S. Francesco, e questa non è cosa nuova in quella Religione, dice il sudetto Vadingo nel Tomo primo de’ suoi medesimi Annali, perochè si trovano molte bolle Pontificie, che parlano di molte Monache, e Suore Clarisse, che però militavano sotto la Regola di S. Benedetto.

74 – Ma mi scusino questi tali, perchè dato, che sia ciò, che dice il Vadingo sudetto, non per questo corre la parità; perochè se bene le Monache sudette osservavano la Regola di S. Benedetto, non si chiamarono però mai da’ Pontefici dell’Ordine di S. Benedetto, ma sempre Clarisse, o Damianite, o Minoresse; il che veniva a dinotare, che veramente d’Habito erano Francescane, tutto che osservassero la Regola Benedettina; così i Padri di S. Domenico tutto che osservino la Regola di S. Agostino, tuttavolta, perché vestono l’Habito di S. Domenico; non Agostiniani, ma Domenicani vengono ragionevolmente chiamati; ed altre tanto si può dire di tutti gli altri Religiosi, che osservano ben sì la Regola Agostiniana, ma non portano però l'abito di S. Agostino. Hor così se le Monache di S. Croce fossero state Francescane, benchè havessero osservata la Regola Agostiniana, nondimeno, secondo gli esempi adotti non dell'Ordine di S. Agostino, ma di S. Francesco, si sarebbero chiamate; hor chiaro sta, che la B. Chiara fu Monaca nel Monistero di S. Croce insieme con la B. Giovanna sua sorella, ed osservò la Regola Agostiniana, che loro diede il Vescovo Gerardo sudetto, e non si sa, che mai si chiamasse, nè essa, nè l'altre Monache di quel Monistero col nome di Minoresse, o Damianite, come quelle, che osservano la Regola di S. Benedetto, ma sempre dell’Ordine di S. Agostino; dunque gli Avversarj restano convinti, perché la risposta è ad hominem.

75 – Ma replicheranno per avventura, che nella Fondatione puol’essere, che quelle Monache fossero Agostiniane, ma che poi poco doppo, lasciato l’Ordine primiero, prendessero quello di S. Francesco, come hanno fatto tanti altri Monisteri di Monache Agostiniane in varie parti del Christianesimo, come è noto a chi è prattico dell’Historie dell’una, e dell’altra Religione.

76 – Ma qui si fa transito dal fatto al possibile; non neghiamo il possibile, ma ben sì il fatto; poteva ciò veramente succedere, et eccovi salvato il possibile; ma ciò realmente non successe, ed eccovi negato il fatto. Anzi che dissi, né meno il possibile si può concedere, per quanto almeno s’aspetta alla Beata Chiara; perochè se le Monache di Santa Croce havessero mutato l’Habito, e la Regola vivente la B. Chiara sudetta, Papa Giovanni XXII in due Bolle sue, spedite, per formare processo della sua Canonizatione, nell’anno secondo del suo Pontificato, l’una però a 25 Ottobre dell’anno 1317 e l’altra 19 Febraio del 1318; (quali produrremo più a basso sotto gli anni accennati) né meno dieci anni doppo la morte della detta Serva di Dio, non l’haverebbe chiamata con espresse parole, Ordinis S. Augustini, come fa in amendue, ma Ordinis Clarissarum, vel Minorissarum, aut Damianitarum, etc. dunque, nè ciò successe de facto, come è chiaro, né tampoco al tempo della B. Chiara.

77 - [V, p. 108] Diranno forse in fine i PP. Francescani, che quelle parole delle due Bolle, nelle quali il Papa dice, che la B. Chiara fu dell’Ordine di S. Agostino, sono parole enuntiative, cavate di peso dalla narratione della parte, alla quale, come interessata, non si deve prestar fede.

78 – E questa obiettione anch’ella non è sufficiente per nulla; perochè sul bel principio piglia un grand’equivoco, perché gli Oratori non sono, come essi stimano li Padri Agostiniani, ma il Vescovo di Asssisi, quel di Foligno, con l’Università delle due sudette Città, in oltre le Città di Perugia e di Spoleto, e molti Castelli, e Ville dell’istesso Ducato di Spoleto, come si può vedere nel principio d’ambe le Bolle, quali produrremo a suo tempo, ne’ quali Oratori cessa ogni sospicione, et ombra; si come cessa ancora ogni presuntione d’ignoranza del fatto, considerata la qualità, e moltidunine degliOratori tutti circonvicini al Castello di Montefalco; e la brevità del tempo, che s’interpose dalla morte di essa Beata infino all’impetratione di detti Brevi, che fu solo lo spatio di 10 anni, ed anche meno, essendo morta la detta Beata l’anno 1308 come tutti gl’Historici classici communemente affermano; e seguita poi l’impetratione di detti Brevi, uno del 1317 e l’altro del 1318 laonde gli è ragionevole, e verisimile, che li sudetti Esponenti, ed Oratori, come circonvicini, e contemporanei della B. Chiara, fossero appieno informati, e dall’Habito, e della Regola, e non esprimessero capriciosamente ad un pontefice in cosa tanto seria, una cosa per un’altra.

79 – Aggiungiamo di vantaggio, che quando ben’anche gli Oratori fossero stati i PP. Agostiniani, non si puole né meno presuporre con giudicio, che in cosa così recente di 10 anni, e non più fossero stati così privi di cervello, che havessero esposta una falsità tanto notoria, come dicesi dagli Avversarij, in loro favore, per farla poi commettere, e riconoscere, come seguì al Vescovo di Perugia, et a quello d'Orvieto insieme col Rettore di Spoleto; li quali, e per se stessi, e per un’infinità di Testimonj del Paese, li quali in vita potevano benissimo haver conosciuta la Beata Chiara, morta solamente 10 anni prima, come habbiamo più volte replicato, erano istromenti sufficientissimi per iscuoprire, se ella era veramente stata dell’Ordine di S. Agostino, o pure di quello di S. Francesco.

80 – E quantunque le risposte fin’hora date da noi a gli Argomenti de’ PP. Minori, e specialmente del P. Vadingo, siano così sode, e per ogni lato irrefragabili, non per questo finisce di arrendersi a quelle il mentovato Vadingo; anzi che nel Tomo 7 de’ suoi Annali de’ Minori sotto l’anno 1491 dal numero 61 fino al 68 inclusive, rinuova la Battaglia con produrre molte altre ragioni, le quali ad esso paiano convincenti, e pure come più a basso vedremo, sono di pochissimo momento. Primieramente dunque, dice, che la B. Chiara insieme con le Compagne, nel primo Reclusorio di S. Illuminata vestì l’Habito di Tertiaria Francescana. Secondo, dice, che nel Convento di S. Croce, essa con l’altre Monache fino alla di lei morte, hebbe per Confessori li PP. Francescani, li quali altresì gli asistettero nel suo beato passaggio; Terzo, che si trovarono presenti a visitare li reconditi Misteri della Passione di Christo, che haveva nel suo cuore racchiusi; Quarto, che un Padre Francescano fece l’Oratione funebre sopra il suo Beato Cadavere, e che li primi atti, che si fecero per il Processo della sua Canonizatione, furono fatti nella Chiesa de’ PP. Minori; Quinto, soggiunge (e qusto lo stima egli un gagliardo Argomento) che così la B. Chiara, come le altre Monache del sudetto Convento di S. Croce vestirono sempre in que’tempi di panno di colore gattinello, che era appunto, dice [V, p. 109] egli, il colore di che vestivano i Padri Minori; Sesto, dice cavarsi da’ Processi della sudetta Canonizatione, che la B. Chiara, prima di morire, vidde il P. S. Francesco, e disse: Ecco il mio P. S. Francesco; se bene aggiunge, che hoggidì vi si vede aggiunto anche il nome del P. S. Agostino, ma con carattere più moderno; confessa però, che Battista Piergilio Confessore del Monistero sudetto di S. Croce, e Rettore foraneo della Terra di Montefalco, nella Vita, che ultimamente divulgò della detta Beata, quale dice d’havere puntualmente cavata dal sudetto Processo, assolutamente testifica, che gli apparvero li Padri SS. Agostino e Francesco, et ella disse: Ecco il mio P. S. Agostino, et il P. S. Francesco.

81 – Ma prima di procedere più oltre mi giova di rispondere a gli Argomenti fin’hora prodotti, riserbandomi di rispondere a due altri ne’ due numeri seguenti. Al primo dunque del Reclusorio di S. Illuminata, rispondiamo, che puol’essere, che la B. Chiara sua sorella, et altre loro Compagne, vestissero in quel tempo, che ivi stettero, con un’Habito humile, e vile, e del colore simile a quello delle Tertiarie Francescane; ma che poi fossero Tertiarie del detto Ordine, io non so vedere, di donde possa havere ciò cavato il P. Vadingo; imperciochè, se ciò fosse stato Gerardo Vescovo di Spoleto, il quale gli diede nel Convento di S. Croce la regola, et Habito di S. Agostino, haverebbe detto nel suo Diploma, da noi più sopra prodotto in quest’anno sotto il numero 70, che se bene fino a quel punto erano state tertiarie Francescane, et havevano osservata la Regola di quelle, nulladimeno esso le assolveva dalla detta Osservanza, e Religione, e li dava quella del P. S. Agostino; hor non havendo poi di ciò fatta alcuna mentione del detto Diploma, si deve concludere, che le dette Verginelle non fossero state nel mentovato Reclusorio vere Tertiarie Francescane; aggiungo, che non solo il detto Vescovo havrebbe fatta mentione della sudetta Francescana Professione, ma molto più fatta l’havrebbe il Sommo Pontefice, Giovanni XXII, nelle due Bolle, da esso lui date, in ordine alla Canonizatione di essa Santa, negli Anni di Christo 1317 e 1318 il che né meno esso fece, come può vedere da per se stesso l’erudito Lettore, leggendo le dette Bolle, quali produrremo sotto gli anni accennati in questo quinto Tomo.

82 – Al secondo, terzo, e quarto, ove dice, che il Convento di S. Croce hebbe sempre per Confessori li PP. Francescani, e che questi assisterono alla morte della B. Chiara, et allo scuoprimento de’ sagrosanti Misteri, che racchiusi teneva la Beata nel Cuore, e che uno d’essi orò nella di lei morte, et altre cose simili. Rispondiamo, che dall’havere havuti il Convento di S. Croce, nel tempo della B. Chiara, confessori Francescani, non si deduce, ne dedurre in verun conto si puole, che il detto Convento fosse di professione Francescano; imperciochè, e quanti Monisteri hoggidì si ritrovano, li quali hanno per Confessori Religiosi di Religione diversa da quella, che essi professano? Io so pure, che li nostri PP. Agostiniani, da gran tempo in qua sono Confessori e governanno il Convento di S. Nicolò di Lucca, che è di Monache Benedettine; e quello altresì di S. Nicolò di Prato, che è di Monache Domenicane, et altri in altre parti pure sono governati da’ nostri, che sono di diverse Religioni, che per brevità tralascio. Hora governando poi li PP. Francescani di Montefalco, per Concessione del Vescovo di Spoleto, a cui era immediatamente soggetto il Convento di S. Croce, et essendo anche Confessori delle dette Monache, non è poi gran fatto, che assistessero alla sua morte, che uno d’essi facesse l’Oratione funebre, e che assistessero all’apertura del Cuore, e che altresì nella Chiesa di detti PP. Minori si dasse principio al Processo della [V, p. 110] Canonizatione della detta Beata; dal che più tosto si arguisce, che la Beata non fosse Francescana, perché questi atti solenni, concernenti la Canonizatione di qualche Beato, non si costuma mai di farli, regolarmente parlando, ne’ Monisteri di loro Professione, ma ben sì in luoghi neutrali.

83 – Al quinto poi, qual stima il Padre Vadingo essere quasi convincente ciò che egli pretende, cioè, il colore gattinello di cui asserisce, che vestivano le Monache di S. Croce, il quale era lo stesso di cui pure vestivano i PP. Francescani. Io rispondo, che anche questo Argomento, o poco, o nulla vale, imperciochè, quando il P. Vadingo lo formò, dovevasi ricordare, che anche alcune Congregationi di nostro sagro Istituto, e specialmente quella de’ Giamboniti, e de’ Brittinensi, prima della grand’Unione, portavano gli Habiti di colore somigliantissimo a quello de’ PP. Minori, che doveva essere appunto il gattinello; che però insorsero gravissime liti fra questi e quelli, le quali poi furono sopite dalli due Sommi Pontefici Gregorio IX et Alessandro IV a' quali erano riccorsi li detti PP. Minori, come ampiamente scrivessimo sotto gli Anni di Christo 1237 e 1240 ove dimostrassimo, che gli accennati Pontefici storditi dalle continue querele de’ sudetti Francescani, decretarono, che le due mentovate Congregationi, lasciato il colore cinericio, o gattinello, come lo chiama il P. Vadingo, portassero da indi in avvenire gli Habiti di color nero, come appunto faceva tutto il rimanente della Religione. Hor supposta questa verità, non è poi gran fatto, che il sudetto colore cinericio, o gattinello, che furono costretti di lasciare li Frati delle dette Congregationi, che erano in Italia, restasse poi, e si conservasse in qualche Monistero di Monache della medesima natione, tanto più che il sudetto Decreto fu diretto a’ Frati, e non alle Monache; laonde non è poi maraviglia, che le Monache di S. Croce, sì per la loro povertà, la quale era grandissima, e molto più per la loro humiltà, che era molto singolare, si vestissero di panno rozzo di colore anche gattinello; la qual cosa appunto non ostava alla loro Agostiniana Professione.

84 – E ciò potiamo confirmare con l’esempio, che pur anche fino al giorno d’hoggi habbiamo sotto de gli occhi in alcuni Monisteri, non solo di Monache, ma etiamdio di Frati Agostiniani, che vestono di colore differente dal nero; e specialmente gli è chiaro, che l’intiera Congregatione di Calabria veste di colore Leonato, che però volgarmente si chiama la Congregatione de’ Colorititi, e pure sono frati Agostiniani. Delle Monache poi, massime di quelle, che sono governate dagli Ordinarj, io non ne parlo, perché vestono per la maggior parte a modo loro, e sono in tanto numero, che troppo mi allungherei se quivi io volessi di quelle registrare i Monisteri.

85 – Ma che diremo all’argomento dell’Apparitione del P. S. Francesco alla B. Chiara nel fine di sua vita, a cui ella disse: Ecco il mio P. S. Francesco? dico che questo è il più debole Argomento, che possino portare per la loro pretensione li PP. Francescani; imperciochè non fu solo il P. S. Francesco, che apparve alla detta Beata, ma gli apparve ancora il P. S. Agostino insieme con quello, che però disse prima, ecco il mio P. S. Agostino, e poi altresì il P. S. Francesco; la qual cosa pure anche confessa lo stesso P. Vadingo, se ben poi, per non perdere totalmente la lite, cerca di porre in dubbio l’Apparitione di S. Agostino, con dire essere stata aggiunta con carattere più moderno ne’ Codici antichi; ma perché ciò dice gratis, non merita credito alcuno, tanto più, che esso confessa, che il Piergilio, et altri, che non sono né Francescani, né Agostiniani, ma naturali pongono e registrano nella Vita della Beata l’Apparitione di S. Agostino in primo luogo, [V, p. 111] e quella di S. Francesco in secondo. Anzi che io ritrovo, che il P. M. Agostino da Montefalco, il quale 160 anni sono, cioè l’anno 1515 stampò in Venetia la Vita della B. Chiara, quale confessa però haver cavata da un’altra antica scritta in latino, estratta, come egli dice, da’ Processi fatti per la Canonizatione della detta Beata, non fa in essa mentione d’altra Apparitione della di lei morte, salvo solo, che di quella del P. S. Agostino, e ciò scrive nel Capit. 40.

86 – Ma dato, e non concesso, che nella morte della B. Chiara, non li fosse apparito altri, che il P. S. Francesco, e che ne cavarebbe egli da ciò il P. Vadingo? forse, che ella fosse stata Francescana? ma questo sarebbe una conseguenza molto disparata; imperciochè, e quanti Santi Regolari sono apparriti a varj Servi di Dio d’Ordini diversi da i loro; dunque s’havrà da dire, che fossero tutti d’un Ordine con que’ Santi, che gli apparvero? mai non per certo, impeciochè ben’è sovente Iddio permette, che i Santi apparischino a varj suoi Devoti, per la devotione, che verso quelli hanno dimostrata. Per cagion d’esempio, quante volte apparve il Padre S. Agostino a S. Maria Maddalena de’ Pazzi, e seco famigliarmente divisò, e recitò anche l’Hore Canoniche? E pure non vi sarà huomo, così scimunito, che ardisca di dire essere stata la detta Santa dell’Ordine Agostiniano, essendo cosa notoria, che fu Carmelitana. Che più? quante volte S. Domenico, S. Francesco, et altri Santi di varj Ordini apparvero alla B. Veronica da Binasco, e seco con ogni famigliarità trattarono, e pure è cosa certissima, che ella non fu Domenicana, né Francescana, ma ben sì Agostiniana; hor veda il P. Vadingo, e qualunque altro, che siegue il suo partito, quanto sia debole l’Argomento dell’Apparitione del Padre S. Francesco alla beata Chiara, quando ben’anche fosse stata senza quella del nostro Padre S. Agostino.

87 – Ma produciamo in fine due altri Argomenti del nostro Concertante, de’ quali fa egli grandissimo Capitale. Il primo consiste in molte Pitture, overo Imagini della nostra B. Chiara in Habito di Francescana, non con la Cintura, ma con la Corda, o Fune, le quali si vedono in varie Chiese della Valle di Spoleto, et una in ispecie nella medesima Chiesa di S. Croce, ove giace il di lei Beatissimo Corpo, segno chiaro et evidente, dice egli, che la B. Chiara, et il di lei Monistero di S. Croce appartiene all’Ordine Francescano assai più che altri non vorrebbe.

88 – A questo Argomento però è facilissima la risposta, imperciochè potiamo primieramente dire, che le dette Pitture, o Imagini, che sono nella Valle di Spoleto, et anche nel resto dell’Umbria, o sono nelle Chiese de’ Frati e delle Monache Francescane, o in altre; se nelle prime non habbiamo, che dire, imperciochè havendo essi questa falsa opinione, che la detta Beata fosse, almeno in quel primo Reclusorio, Tertiaria Francescana, perciò nell’Habito di Tertiaria loro l’hanno fatta dipingere, il che anche replichiamo dell’Imagine dell’istessa Beata, che dipinta si vede, come esso dice, nella Chiesa di S. Croce, imperochè havendo li PP. Minori per lunga serie d’anni governanato e retto in qualità di Confessori, e de’ PP. Spirituali, quel sagro Monistero, fecero perciò dipingere la Beata in quella forma, che stimavano essersi ella vestita nel sopramentovato primo Reclusorio. Se poi nelle seconde, cioè nelle Chiese d’altri; rispondiamo, che ciò sarà stato, o perché i Padroni di quelle Chiese saranno stati affettionati all’Ordine Francescano, o pure, perché imbevuti dell’opinone di quelli, havranno stimato esser stata la Beata di tal Ordine in quel suo Reclusorio, contro però la verità del fatto.

89 – Favorisce grandemente queste mie risposte lo stesso P. Vadingo, mentre sotto il numero 68 del sopracitato [V, p. 112] anno del 1491, conoscendo molto bene la poca ragione, che ha la sua Religione di chiamare sua la B. Chiara, quale confessa in fine, essere stata Agostiniana, doppo il di lei ingresso, insieme con l’altre sue Compagne nel Monistero di S. Croce, dice, che se bene li PP. Agostiniani hanno grand’occasione di santamente gloriarsi d’havere un così pretioso Tesoro nella loro Religione; nulladimeno anche li PP. Francescani devono entrare a parte de’ loro godimenti, mercè, che nella di lei prima infantile età l’hebbero Tertiaria di loro Religione, e nell’Agostiniana poi proseguirono altresì a regolare la di lei coscienza e spirito, insieme con quello di tutte l’altre sue Campagne, che però non devono essere biasimati li detti PP. Minori, mentre tal’hora fanno dipingere per loro divotione la sudetta Beata in quell’Habito, che stimano havere ella portato in quel primo Reclusorio. Produce poi l’esempio de’ PP. Canonici Regolari del nostro P. S. Agostino, li quali nelle loro Chiese dipingono l’Imagini del P. S. Antonio da Padova nell’Habito loro Canonicale, tutto che Francescano fosse, e ciò perché nella sua prima giovinezza, egli fu per alcuni anni di loro Canonicale professione; e certo questo suo discorso sarebbe molto ragionevole, quando egli potesse provare essere stata la B. Chiara in quel primo Reclusorio, vera Tertiaria Francescana, il che è difficilissimo da provarsi; e certo se ciò fosse stato vero, non havrebbero tralasciato di dirlo, e di provarlo con l’altre loro ragioni li medesimi PP. Francescani, nelle gravissime liti, che passarono fra la loro e la nostra Religione, quando le dette Monache di S. Croce, per la maggior parte, mosse dell’esortationi de' medesimi PP. Francescani, tentarono di passare dall’Ordine Agostiniano a quello di Santa Chiara d’Assisi, ove appunto osserva il nostro acuto Errera nel primo Tomo del suo Alfabeto Agostiniano, che nella detta lite mai li detti Padri puotero provare essere stata la B. Chiara in alcun tempo di loro Religione, provando all’incontro, con chiarissime evidenze, il Vescovo di Spoleto, et i nostri Padri Agostiniani essere sempre stata di loro Religione, da che era Religiosa, si fece; attesochè nel primo Reclusorio, come habbiamo dimostrato nel principio di questa controversia, né la B. Chiara, né l’altre sue Compagne professarono alcuna particolare Religione, imperciochè, se l’havessero professata, non haverebbe mai tralasciato di farne qualche mentione Gerardo Vescovo di Spoleto nel suo Diploma, quando alle medesime poi, passate del nuovo Monistero di S. Croce, diede la Regola, et Habito del nostro P. S. Agostino, il che altresì havrebbe fatto il Sommo Pontefice Giovanni XXII nelle due Bolle di sopra mentovate.

90 – Ma tempo è hormai, che produciamo l’ultimo Argomento del Padre Vadingo, quale egli stima essere un fortissimo Achille per la sua pretensione; e quale è poi cotesto? Senti, et osserva per vita tua Lettore cortese, ciò che si lasciò uscire dalla penna, e dal pensiero un Soggetto, cotanto per altro qualificato. Dice egli il P. Vadingo: Volete vedere quanta ragione habbi la Francescana Religione di pretendere per sua figlia, et Alunna la B. Chiara da Montefalco? Argomentatelo da questo, che ogni qualunque volta ha volsuto la S. Romana Chiesa trattare della Canonizatione di detta Beata, sempre ha deputato, per esaminatore de’ Processi fatti della Vita, Virtù, e Miracoli della sudetta Beata, qualche gran Prelato dell’Ordine Francescano; e specialmente gli è chiaro, dice il detto Padre, che hebbero questa gravissima incombenza, l’uno appresso all’altro, tre Cardinali dell’Ordine accennato di S. Francesco, cioè Vitale del Forno del titolo di S. Martino de’ Monti, Reginaldo Vesc. d’Ostia, e Beltrando Vesc. Toscolano; il che non si legge essere mai stato commesso ad alcun Agostiniano.

91 – [V, p. 113] Che ne dici Lettore? non ha egli havuta ragione il P. Vadingo di dar nome a questo Argomento d’un fortissimo Achille? sì per certo, ma non già per sua pretensione, ma ben sì per la nostra; imperciochè, dall’havere la Santa Sede dati da esaminare li Processi della Vita, Virtù, e Miracoli della nostra B. Chiara susseguentemente a tre Cardinali dell’Ordine Francescano, con ogni più che chiara evidenza si convince non essere ella mai stata in alcun tempo dell'Ordine Francescano, che se fosse stata di detto Ordine, mai la S. Sede haverebbe deputati per esaminatori delle di lei Attioni, Soggetti del detto Ordine; laonde io resto grandemente maravigliato, che il P. Vadingo, che pure era Cosultore della Sagra Congregatione de’ Riti, potesse mai indursi a produrre, per la sua pretensione, un’Argomento di questa sorte, il quale tanto è lontano, che la spaleggi, o l’avalori, che anzi finisce di totalmente distruggerla, et annichilarla.

92 – E ben si vede la poca stima, che hanno sempre fatta di questi Argomenti de’ PP. Francescani li Sommi Pontefici, e la Sagra Congregatione del Concilio di Trento, ogni qualunque volta hanno volsuto litigare con essi noi sopra la Professione, et habito della Beata Chiara da Montefalco; avvegnachè gli è notissimo, che sempre hanno havuta la sentenza contraria, così da quelli, come da questa; e specialmente nell’anno 1577 gli è chiaro, che egli Eminentissimi Cardinali preposti alla Sudetta Sagra Congregatione nel sudetto anno, essendosi litigato acremente fra li due Ordini Francescano et Agostiniano, sopra la professione, et Habito di detta Beata, finalmente dichiararono essere stata la detta Beata dell’Ordine Agostiniano, senza fare alcuna memoria, che ella fosse stata mai in alcun tempo Francescana, e perciò decretarono, che fosse rivestito il Corpo della Beata con l’Habito suo Agostiniano, e che tutte le Pitture di quella, che erano vestite con l’Habito francescano, fossero figurate con l’Habito pure Agostiniano; e ciò apertamente si cava da una Lettera scritta da Filippo Buoncompagni Cardinale del Titolo di S. Sisto, Nipote del nostro gran Concittadino Gregorio XIII, di santa e felice memoria, al Vescovo di Spoleto, nella quale per ordine della sudetta Sagra Congregatione, li comanda, che debba fare esequire in tutta la sua Diocesi l’accennato Decreto. La Lettera poi è la seguente, e registrata si legge nella Risposta Pacifica del nostro P. Errera a carte 166.

Reverendiss. Domino uti Frati Episcopo Spoletano.

93 – Reverendiss. Domine. Controversiam, quae hoc in libello continetur, S. D. N. Illustriss. Cardinalibus interpretationi Decretorum Sacri Concilij Tridentini praepositis conoscendam commisit, qui auditis saepius utriusque Ordinis Procuratoribus, et quae ab utraque parte adducebantur, mature, et diligenter consideratis, postea rem totam ad eius Sanctitatem retulerunt; quae etiam ex sententia ipsorum Cardinalium declaravit B. Claram a Monte Falco esse Ordinis S. Augustini, ideoque restituendum esse Corpori eius Habitum dicti Ordinis, necnon Picturis, et Imaginibus de ea factis aptandum esse Habitum, et colorem, qui conveniat eidem Ordini S. Augustini. Tua igitur amplitudo, tam in Civitate Spoletana, quam in caeteris Dioecesis tuae locis, haec ita exequenda sedulo curabit, et bene in Domino valebit. Romae die 17 Octobris 1577. Amplitudinis tuae uti Frater Philippus Boncompagnus Card. S. Sixti. Locus Sigilli.

94 – Quanto a' Pontefici poi, già gli è notissimo, e l’habbiamo più volte motivato di sopra, e meglio anche lo vedremo sotto gli anni di Christo 1317 e 1318, quando produrremo due Bolle [V, p. 114] di Papa Giovanni XXII che quando hanno parlato della B. Chiara da Montefalco, e massime il mentovato Giovanni, sempre la chiamano dell’Ordine di S. Agostino, senza fare alcuna memoria o mentione, che ella fosse mai stata in alcun tempo dell’Ordine Francescano; la qual cosa più strettamente anche si convince con una Bola del Santissimo e Dottissimo Pontefice Urbano VIII, nella quale concedendo a tutta la Religione Agostiniana, di potere recitare l’Officio, celebrare la Messa sotto Rito doppio della B. Chiara da Montefalco, espressamente la chiama dell’Ordine di S. Agostino, senza fare alcuna memoria d’essere stata Tertiaria Francescana, come pur vorrebbe il P. Vadingo con gli altri, che sieguono il suo partito. E qui notar si deve, che questo Sommo Pontefice era stato per molti Anni Vescovo di Spoleto, della cui Diocesi è la Terra di Montefalco, che però si deve credere, che egli fosse molto bene informato di qual’Ordine fosse stata Religiosa la B. Chiara; laonde si dovrebbero hormai quietare li PP. Francescani, e lasciare godere il libero possesso della detta Beata alla nostra Religione Agostiniana, già che vedono, che non hanno pure un minimo fondamento sopra di cui possino stabilire la loro pretensione. Ma, perché alcuno non habbi da desiderare di vedere la Bolla del mentovato Urbano VIII e perciò habbi occasione di sospettare, che non sia così chiara a nostro favore, come noi la decantiamo, la vogliamo perciò quivi anticipatamente produrre, et è questa, che siegue:

Urbanus Octavus ad futuram rei memoriam.

95 – Domini nostri Iesu Christi, qui servos, et ancillas suas aeternae gloriae praemio donat in Caelis vices quamquam immeriti gerentes in terris ex iniuncto nobis Pastoralis officij debito procurare tenemur, ut eorundem servorum, et ancillarum Christi debita veneratio in dies magis promoveatur, et Laudetur Dominus in sanctis fuis. Quamobrem fidelium quorumlibet, praesertim, vero suavi Religionis iugo altissimo famulantium, votis, quae peculiarem Sanctorum huiusmodi cultum respiciunt libenter annuimus, prout conspicimus in Domino salubriter expedire, sane nomine dilectorum filiorum Procuratoris, et Fratrum Ordinis Eremitarum S. Augustini nobis nuper expositum fuit, quod ipsi ex peculiari, quem erga Beatam Claram de Montefalco eiusdem Ordinis Monialem, gerunt devotionis affectum; in cuius visceribus Passionis Domini nostri Iesu Christi mysteria maxima cum devotione a vicinis incolis venerari asserunt, et ad augendam Christi fidelium erga illam devotionem, Officium et Missam de eadem B. Clara recitare et celebrare posse summopere desiderant. Nobis propterea humiliter supplicari fecerunt, ut desuper hoc oportune providere, de benignitate Apostolica, dignaremur. Nos igitur pijs eorumdem Procuratoris, et Fratrum votis huiusmodi annuere, illosque specialibus favoribus, et gratijs prosequi volentes, et a quibusvis Excommunicationis, Suspensionis, et Interdicti, alijsque Ecclesiasticis Sententijs, Censuris, et poenis a Iure, vel ab homine, quavis occasione, vel causa latis, si quibus quomodolibet innodati existunt, ad effectum praesentium dumtaxat consequendum, harum serie absolventes, et absolutos fore censentes, huiusmodi supplicationibus inclinati de Venerabilium Fratrum nostrorum S. R. E. Cardinalium Sacris Ritibus Praepositorum consilio, ut de dicta B. Clara Officium, et Missa de Communi Virginum, cum Oratione propria in eiusdem Ordinis Missalibus inserta, et ab omnibus Ordinis praedicti, utriusque, sexus Regularibus personis tantum recitari, et celebrari libere, et licete possit, et valeat, Apostolica Auctoritate, tenore praesentium licentiam concedimus, [V, p. 115] et impartimur. Non obstantibus Constitutionibus, et Ordinationibus Apostolicis, caeterisque contrarijs quibuscumque volumus autem, ut praesentium transumptis, etiam impressis manu alicuius Notarij publici subscriptis, et Sigillo personae in dignitate Ecclesiastica constitutae munitis, eadem prorsus fides in iudicio, et extra adhibeatur, quae ipsis praesentibus adhiberetur, si forent exhibitae, vel ostensae. Datum Romae apud S. Mariam Maiorem sub annulo Piscatoris die 14 Augusti 1624, Pontificatus nostri Anno secundo.

96 – Fu in quest’anno confirmato sotto la nostra Regola, allo scrivere dell’eruditissimo Barbosa nelle sue Apostoliche Decisioni a carte 139 la Religione di S. Maria della Carità, qual poco dianzi nel Regno di Francia, poco lungi da Zianville, haveva fondata Guido di Granvilla Signore di S. Giogio nella Diocesi Catalaunense. Era questo un’Ordine, che attendeva, ed hora pur anche attende, come quello del b. Giovanni di Dio, alla pietosa cura degl’Infermi, e la cosa in questa guisa passò. Questo Cavaliere fondato haveva, fino al tempo, che viveva il Santo Re Luigi IX di Francia, un magnifico, e sontuoso Ospitale per i poveri Infermi, ed alcuni anche vogliono appresso il nostro Campo, che la spesa di questo primo, la facesse il sudetto S. Luigi, e crebbe poi appresso, con l’agiuto di molti altri Ospitali, a segno, che hora n’ha ben venti di numero, come anche testifica il Meiero appresso lo stesso Campo a carte 230.

97 – Altri però vogliono, come riferisce lo stesso Campo a Car. 232 che fosse Bonifacio VIII quello, che diede titolo di Religione a quest’Ordine, e che lo confirmò non sotto la nostra Regola, ma sotto quella di S. Francesco. Ma che poi Clemente VI nell’anno 1346 volle, che si vestissero di negro, portando Cappa, e Scapulario di questo colore, e che osservassero la Regola di S. Agostino. Ma come di questa opinione non produce né gli Autori, né li loro fondamenti, io più tosto mi appiglio alla Sentenza del Barbosa, come più clasica e più sicura.