Tomo V

Anni di Christo 1291 - della Religione 905

1 - [V, p. 115] Due grandissimi accidenti successero in quest’anno nella Cristianità, uno sommamamente infausto, e l’altro felicissimo; l’infausto, fu la perdita della famosa Città di Tolemaida in Terra Santa; il felicissimo poi, fu la venuta della Santa Casa di Nazarette nella Dalmatia. Parliamo prima della perdita dell’accennata Città, che poi appresso discorreremo del miracoloso trasporto della Santa Casa, fatto dagli Angeli, per Divino Volere, e per consolatione dell’afflitta Christianità. La perdita dunque di Tolemaida, per quanto scrive Gonzalo d’Igliescas Autore grave, nel primo Tomo della sua Historia Pontificale Spagnuola, nella seguente guisa passò. Erano stati li Christiani di Terra Santa alcuni anni in pace, godendosi quelle poche Città, che gli erano rimaste, come quelle di Tiro, di Sidone, di Berito, d’Acon, e di Tripoli; ma essendo poi stato creato Soldano dell’Egitto, Elpis, crudelissimo nemico del nome Christiano, mosse subitamente guerra, et assediando la Città di Tripoli, l’hebbe nelle mani e la distrusse, non lasciandovi persona viva, e ciò successe del 1289. Poco appresso fece lo stesso di Tiro, di Sidone e di Berito, si che nulla più vi [V, p. 116] rimaneva, che Tolemaida, contro della quale, per all’hora non si mosse, perochè ancora durava una tregua di due anni, che s’era poco dianzi accordata; e questa anche fu la cagione, che questa Città si riempì ben tosto di grandissima moltitudine di gente, e specialmente di molti Signori, che scamparono dalle Città prese, che fu poi indi a poco la sua total ruina. Havendo inteso il Papa l’esterminio di tante Città procurò di sollecitare tutti li Principi Christiani ad accudire al soccorso di quei Santi Paesi, ma in vano, perché tutti fecero i sordi; sì che solo il Papa mandò da due mila Soldati di soccorso, oltre moltissimi altri Italiani, li quali spontaneamente andarono ad impresa così santa; laonde la Città si fece così forte, che non haveva di che temere della furia de’ nemici. Ma perché dentro v’era il Re di Cipro, il Patriarca di Gierusalemme, li tre gran Maestri de’ tre Ordini famosi de’ Cavalieri, cioè de’ Templari, de’ Teutonici, e degli Hospitalarj di S. Giovanni con altri molti Signori, quindi ne nacque la ruina totale della Città, perochè, pretendendo ogn’uno di loro comandare, ne nacquero grandissime gare, si che ogn’uno a suo modo faceva, e succedevano, e dentro e fuori grandissimi disordini, e specialmente li Soldati, uscendo fuori a foraggiare, entravano sovente su quello del Soldano, si che, questi, ciò vedendo, diede per rotta la tregua, e movendosi con un formidabile Esercito, venne ad assediare Tolemaida, e se bene i Christiani difesero per qualche tempo con valore, e vi morse anche sotto l’Elpis, nulladimeno essendosi poi partito il Re di Cipro, con i gran Maestri delle tre Cavalierie sudette, e restato entro della Città, di tanta moltitudine, solo il Patriarca con 12 mila persone, ciò inteso da Malescrafo figlio del morto Soldano, strinse così gagliardamente l’assedio, che alla per fine, vedendo il Patriarca, che gli era impossibile il potere quella Città più lungo tempo difendere, determinò di partirsi anch’egli; così imbarcatosi in un Naviglio, s’imbarcarono con esso lui tanti, e tanti, che alcuni vogliono, che nell’istesso Porto, per il soverchio peso, si sommergesse il Vascello, benchè l’Iglescas dica, che fu nel viaggio; basta, poco ciò importa. Per lo che informato il nuovo Soldano, che la Città era quasi affatto abbandonata, gli diede l’assalto generale, e facilmente la prese, ed affinchè mai più i Christiani ivi potessero annidarsi, tutta la distrusse, e disfece; così hebbe in questa guisa fine quel nobilissimo Regno di Gierusalemme, guadagnato ed acquistato con tanta gloria, et honore dal Pio Gottifredo Buglione, poco meno di due Secoli prima, né in Asia vi restarono più che alcyne poche Reliquie di Christiani nella Cilicia e nell’Armenia, le quali né meno esse lungo tempo durarono.

2 - Passiamo hora a riferire l’accidente felice successo alla Christianità, doppo la già descritta ruina di Tolemaida, quale dicessimo più sopra essere stato la Translatione Celeste della Santa Casa di Maria sempre Vergine, la quale era situata nella Città di Nazarette nella Galilea, la quale appunto nella seguente guisa passò, imperciochè vedendo il grand’Iddio, che non havendo più li Christiani alcun luogo di qualità in quelle parti di Terra Santa, non solo quell’insigne Santuario non sarebbe stato più così frequentemente visitato da suoi fedeli, ma che anzi sarebbe stato empiamente profanato; per tanto, poco doppo la caduta di Tolemaida, comandò a gli Angeli, che sradicata in un baleno quella Santa e Veneranda Casa dalle sue fondamenta, la dovessero tostamente portare nella Provincia della Dalmatia, e precisamente collocarla sopra d’un poggio ameno, situato fra le due Città di Tersato e di Fiume. Fu poi fatto questo felicissimo trasporto, da quei Spiriti Beati, come scrivono alcuni, a’ 9 di Maggio in quest’anno 1291 nel primo [V, p. 117] Sabbato, o come altri piace, il primo Mercoledì doppo l’Ascensione verso la mezza notte, alla vista della quale, cominciarono a concorrervi da tutte le parti i divoti Fedeli, et essendo stata riconosciuta la detta S. Casa da Alessandro Vescovo di Tersatto, risanato dalla Vergine, che gli apparve in visione, e l’avisò di così gran Mistero; poco appresso havendo anco mandati Nicolò Fangipani Romano Pretore dalla Dalmatia, huomini fidati a visitare il luogo in Nazarette, ove stava prima la Casa, e trovata la verità del fatto, si resero le dovute gratie al Signore d’un tanto beneficio. Come poi indi a tre anni, e sette Mesi, fosse di nuovo, per occulto giudicio di Dio, trasportata dagli Angeli medesimi a felicitare la nostra fortunata Italia, ci riserbiamo di riferirlo, a Dio piacendo, sotto l’anno di Christo 1294.

3 – Con l’occasione poi di questa traslatione della Santa Casa dalla Città di Nazarette nella Christianità d’Europa, mi giova di qui notare una mia curiosa consideratione, quale non so, che da altro Scrittore sia fin’hora stata avertita, et è questa, che prevedendo Iddio, che i Luoghi di Terra Santa si havevano da perdere, per i nostri peccati, permise perciò, che le cose più misteriose e principali, spettanti alla Nascita, alla Vita et alla Passione di Christo, fossero in varj tempi trasferite nella Christianità di Europa; imperciochè noi sappiamo di certo, che la Culla et il Fieno, sopra del quale egli nacque nell’Antro di Betlemme, si ritrova in Roma nella Basilica di S. Maria Maggiore, e precisamente nella bellissima Cappella di S. Sisto V. Le Fascie, con le quali la B. V. fasciò il suo Divino Infante, insieme con la Cintura di Maria sempre Vergine, si conservano, come si dice, nel pretioso tesoro di S. Marco di Venetia. La S. Casa ove egli fu allevato, come habbiamo veduto più sopra, perché non poteva essere dagli Huomini trasportata così intiera, come era, la fece perciò Iddio trasferire dagli Angeli prima nella Dalmatia, e poscia in Italia. La Veste inconfutile, che li fu fatta dalla sua Beatissima Genitrice, mentre era fanciullino, la quale poi, come è fama, andò crescendo col crescere di Christo, questa pure si conserva in Roma nella sovrana Basilica di S. Pietro in Vaticano, e fu mandata a donare insieme col Ferro della Lancia, che trafisse il Costato del nostro Redentore nella Croce, da Baiazetto Secondo gran Tiranno de’ Turchi, a Papa Innocenzo VIII e ciò ad effetto, che non dasse mai la libertà a Zizimo, o Gemme suo fratello ribelle, quale il Pontefice teneva racchiuso in Castel S. Angelo per sua sicurezza, et il Gran Turco pagava di vantaggio 40 mila Scudi ogn’anno al Pontefice, la qual cosa durò poi fino al tempo d’Alessandro VI successore d’Innocentio, il quale poi lo consegnò, benchè per forza, a Carlo VIII Re di Francia nel suo passaggio alla Guerra di Napoli, con pretesto di volersi servire di quel Barbaro Principe nell’impresa di Terra Santa, quale meditava di fare, doppo la presa del Regno di Napoli; ma questo poi poco appresso se ne morì in Napoli, non senza sospetto di veleno. Il sagrosanto Preputio di Christo, recisoli nella sua Circoncisione, Reliquia in vero sopra d’ogni altra insigne, si ritrovava in Roma nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, ma essendo poi stato d’indi sagrilegamente levato da un Soldato nell’ultimo Sacco di Roma, sotto il Pontificato di Clemente VII restò poi nella Terra di Calcata, poco distante da Roma, essendo ivi morto quel Soldato, per gran ventura di quel luogo, poco per altro considerabile. La Colonna alla quale stava Christo appoggiato, mentre predicava nel Tempio di Salomone, pure si conserva in Roma in S. Pietro.

4 – La Mensa sagratissima, alla quale Christo Signore Nostro, et i suoi Santi Apostoli, si assisero nell’ultima Cena, da essi fatta nel maestoso Cenacolo [V, p. 118] di Sionne, la quale appunto servì per sagro Altare, in cui il Redentore celebrò la sua prima Messa, questa parimente si conserva in Roma nella Basilica di S. Giovanni Laterano. Il Piatto reale in cui, sotto gli accidenti di Pane, instituì Christo Signor Nostro il Santissimo Sacramento, il quale è di finissimo Smeraldo, questo si conserva nella Chiesa Metropolitana di Genova, e l’accquistarono li Signori Genovesi nella presa della Città d’Almeria, o Almeira nelle coste del Regno di Granata, allo scrivere di D. Gonzalo d’Igliescas nella seconda Parte della sua Historia Pontificale. Il Calice altresì in cui sotto le specie di Vino, consagrò il suo pretiosissimo Sangue lo stesso Signor Nostro, il quale fu di purissimo Oro, questo pure si conserva nella Metropolitana di Valenza.

5 – La Colonna alla quale Christo fu legato da manigoldi Ebrei, e crudelmente flagellato, questa si ritrova in Roma, nella Chiesa di S. Prasede, servita et officiata da’ Monaci di Vallombrosa. La Corona di Spine, con la quale Christo Signor Nostro fu dagli empi Ebrei Coronato, per ischerno, nel Pretorio di Pilato, per la metà si ritrova nella Santa Capella di Parigi, e l’altra metà divisa si vide, e si adora in varie Chiese del Christianesimo; fra le quali, ve ne sono alcune di nostra Religione, e fra l’altre nella Chiesa di S. Agostino d’Ancona si conserva un pezzetto del Tronco della detta Corona con tre Spine. La Croce sopra della quale, su la cima del Calvario, per la Redentione del Mondo, fu Crocefisso lo stesso Nostro Signore, per la metà si conserva nella Basilica di S. Croce in Gierusalemme in Roma, e l’altra metà si vede e s’adora in moltissime Chiese della Christianità, fra le quali pure alcune ve ne sono del nostro sagro Ordine, e specialmente in questa nostra di S. Giacomo di Bologna ve n’è un buon pezzetto donatoli dal Sig. Card. Poggi. I Chiodi pure, co’ quali fu Crocefisso, si ritrovano nella Christianità d’Europa, perochè uno se ne conserva in Milano nella Chiesa Metropolitana, un altro nella Cattedrale di Colle nella Toscana, et un altro in Napoli nella Chiesa delle Monache dette della Regina. La Lancia pure, come habbiamo detto di sopra, ma però spuntata, si ritrova in S. Pietro di Roma; e la Punta poi si conserva nel famoso Reliquiario della Chiesa Cattedrale di S. Ciriaco d’Ancona, nella quale parimente si riverisce, et adora la Sponga, con la quale, inzuppata nell’aceto, e fiele, fu abbeverato Christo, nella sua penosa Agonia, da’ scelerati Ebrei. Il Titolo pure della Croce si conserva in Roma nella Chiesa di S. Croce in Gierusalemme, insieme con alcuni de’ Trenta Danari del tradimento.

6 – Il volto Santo mandato da Christo ad Abagaro Re di Edessa, si ritrova in Genova nella Chiesa di S. Bartolomeo de’ PP. Barnabiti. L’altro Volto Santo impresso da Christo, con la sua Santa Faccia nel Sudario, o Fazzoletto, somministratoli da Santa Veronica, mentre andava al Calvario con la Croce in spalla, si ritrova in Roma nella Basilica di S. Pietro. La sagra Sindone, nella quale fu involto il Redentore doppo la Morte nel Sepolcro, che fu duplicata, una se ne ritrova nella Metropolitana di Torrino, e l’altra nella Cattedrale di Bisanzone, Metropoli della Franca Contea di Borgogna. Il Sudario poi, o Fazzoletto, che fu posto su la faccia di Christo nel sudetto Sepolcro, per sua gran ventura, lo conserva, e lo gode la nostra Religione nella Chiesa di S. Agostino di Carcassona nella Provincia di Tolosa.

7 – Che più? la Scala istessa, che era nel Palazzo di Pilato, la quale è di marmo, et è formata di Scalini numero 28 questa pure ha volsuto Iddio, che sia stata trasferita nella Metropoli del Christianesimo, Roma, et è quella, che con tanta divotione si salisce con le ginocchia da’ devoti Fedeli, vicino [V, p. 119] alla Basilica di S. Giovanni Laterano, e chiamasi la Scala Santa; tutto perché Christo Signor Nostro nel tempo della sua Santa Passione, fu forzato a salire, e scendere per quella, ove anche più volte cadde, e vi sparse qualche poco del suo pretioso Sangue. Ed è stato così puntuale il Signor Iddio in questo santo affare, che ha volsuto, che sia stato anco trasportato quel Campo, che fu comprato dagli Ebrei co’ Danari del tradimento, affinchè servir dovesse per Sepoltura de’ Pellegrini; e questo appunto hoggidì si vede vicino alla Basilica di S. Pietro in Roma, e si chiama Campo Santo, ed in quello pure non si seppelliscono se non i Pellegrini, che muoiono in Roma, e se per avventura vi fosse seppellito qualche Romano, subito in termine di 24 hore, quel prodigioso terreno lo getta fuori, e di questo prodigio se ne vedono ivi gli esempi.

8 – Si che, per quanto fin’hora habbiamo veduto ne’ numeri scorsi, il benignissimo Iddio vedendo, che per i nostri peccati, come anche più sopra accennassimo, dovevasi perdere i Venerandi Luoghi di Terra Santa, non volle però, che colà rimanessero esposti al ludibrio di que’ malvaggi Saraceni li Sagrosanti Misteri, spettanti alla di lui santissima Vita e Passione, ma volle, che quasi tutti fossero trasportati nell’Europa, per consolatione de’ suoi Fedeli Christiani; osservo io però, che uno forse de’ più principali Misteri, non ha volsuto, che sia con gli altri trasportato, ma ha permesso, e pur tutt’hora permette, che resti fra Barbari Cani; è egli poi cotesto il Sagrosanto, e Venerando Sepolcro, in cui doppo morte fu seppellito il nostro Crocefisso Redentore, e dal quale poi anche, indi a tre giorni, glorioso e trionfante risorse a nuova vita; hor quale puol’essere già mai stata la cagione, per la quale Iddio ha permesso, che resti un così gran Santuario esposto allo scherno, et al ludibrio di quegl’Infedeli? e pure di quello vaticinando l’Evangelico Profeta Isaia, hebbe a dire, che sarebbe stato fra tutti gli altri Santuarj Glorioso: et erit Sepulcrum eius gloriosum. Hor qui Lettor divoto, fa di mestieri, che profondamente riveriamo gli Oracoli Divini, e che ci asteniamo dal perscrutare curiosamente gli occulti e segreti giudicj di Dio; che se pure vogliamo dire, con la dovuta riverenza, qualche cosa, potiamo asserire, che sì come il Signore Iddio non ha fatti trasportare tutti in un tempo medesimo gli accennati Misteri, ma in diversi tempi, così non ha ancor fatto trasferire il Santo Sepolcro nella Christianità, perché forse non è ancor giunta la pienezza di quel tempo da S. D. M. determinato per la detta traslatione.

9 – Se pure dir non vogliamo (e serva questa per una pia e morale consideratione) che forse Iddio non ha volsuto fin’hora, che sia trasportato il Santo Sepolcro dalla palestina, per maggior beneficio de’ Turchi, che ne hanno il possesso; imperciochè gli è certo (et è Dottrina del nostro P. S. Agostino) che Christo Signor Nostro scese dal Cielo in Terra in qualità di Medico Celeste, per applicare a' malori degli Huomini peccatori, li dovuti, e proportionati Medicamenti: Ideo Magnus de Coelo venit Medicus, quia magnus in Terra iacebat Aegrotus. Hora due sorti poi d’Infermi Spirituali si ritrovano in questo Mondo, l’una è de’ Peccatori Christiani, e l’altra de’ Turchi, et altri Infedeli; gli è vero, che i Peccatori Christiani sono aggravati dalla febre della Superbia, dell’Avaritia e della Lussuria, etc. Già che disse S. Ambrogio, che febris nostra Superbia est, Avaritia est Luxuria est, etc. ma però, perché hanno il polso della Fede molto gagliardo e saldo, per ciò il Signore Iddio ha volsuto applicare a malori di questi, rimedj ordinarj che consistono appunto ne’ Misteri, e ne’ Santuarj spettanti alla Nascita, alla Vita et alla Passione di N. S. Gesù Christo, fatti perciò da esso trasportare a tale effetto nella Christianità. Ma a Turchi, et altri simili Infedeli, li quali [V, p. 120] non solo sono aggravati dalle medesime febri de’ Peccatori Christiani, di sopra mentovate, ma di vantaggio ancora hanno perduto il polso della Fede, e perciò sono all’estremo ridotti, alla maniera de’ prudenti Medici, ha volsuto applicare, in vece de gli ordinarj, un rimedio totalmente estremo, quale appunto ha giudicato essere il S. Sepolcro, che viva rappresenta la Morte, la quale appunto a senno d’Aristotele, è l’ultima delle cose estreme, e terribili: Mors est ultimum terribilium; come seco stesso discorrendo habbia detto Iddio: se i turchi, e gli altri Infedeli, con la consideratione del mio Sepolcro, e della Morte mia, non si convertono, e non lasciano l’infedeltà loro, sono affatto spediti, perochè questo è l’ultimo rimedio, che io posso applicare al loro estremo male, in cui si ritrovano. Et a questo mio sensato, e morale discorso hebbe l’occhio, per aventura il melifluo S. Bernardo, all’hora che, parlando appunto di questo Santo Sepolcro, così disse: Inter Sancta, ac Venerabilia Loca Sepulcrum primum sibi vendicat Principatum; puto enim quod magis humanae blandiatur Infirmitati Requies dormitionis, quam conversatio Vitae; e tutto ciò sia detto in gratia de’ PP. Predicatori.

10 – Ma lasciamo hoggimai queste pie Meditationi, e passiamocene nell’antica e nobile città d’Orvieto, ove in questo tempo dimorava la Romana Corte, per vedere, che cosa dicesse mai, e che facesse il nostro Santo Pontefice Nicola, quando li fu recata l’infelicissima nuova della caduta di Tolemaida, con la totale ruina del Regno Gerosolimitano, il quale era stato mantenuto a costo d’un Mare di sangue, ed infiniti Tesori, poco meno di 200 anni da’ Christiani d’Europa. Pianse egli amaramente, e poco vi mancò, che per il soverchio dolore, che li trafisse il cuore, per un così infausto accidente, non se ne morisse; pur tuttavia, com’era d’un animo generoso dotato, e di gran cuore provisto, rasciugate, per qualche tratto, le lagrime dolorose, cominciò a pensare seriamente, come potesse mai fare, per dar qualche rimedio ad una tanta ruina; e finalmente deliberò di promlgare una famosa Crociata a' Christiani, dandosi a credere, che si potesse raccogliere in poco tempo una copiosissima Armata, con la quale passando di nuovo i Christiani in Terra Santa, potessero in brieve ricuperare il perduto Regno. E per tale effetto, spedì sue Bolle efficaci a i Padri Generali di tutti gli Ordini Mendicanti, come mi persuado, acciò mandassero alcuni Predicatori a Predicare la sudetta Crociata per la Christianità, massime nella nostra Italia; io dissi (come mi persuado) perché io ritrovo, che al nostro una ne spedì in quest’anno nel primo giorno d’Agosto in Orvieto, nella quale, doppo havere riferite e deplorate, con longa narratione, le miserie, e le ruine, da noi poco dianzi accennate, di Tolemaida e di Tera Santa, ordina finalmente al nostro Generale, che debba deputare 30 Predicatori, acciò vadino a predicare l’accennata Crociata per la Christianità di qua dal Mare, eccettuando però li Regni di Sicilia, di Ungheria, di Boemia, e di Polonia. Una copia poi di questa Bolla si conserva in questo nostro Archivio di S. Giacomo di Bologna, il cui tenore, è questo che siegue:

Nicolaus Episcopus Servus Servorum Dei.

11 – Dilecto filio Priori Generali, vel eius Vicesgerenti, salutem, et Apostolicam benedictionem. Terrae Sanctae miserabilem statum, non absque gravi amaritudine intra mentis nostrae praecordia recensentes; itaque ad liberationem ipsius nostra simul, et desideria convertentes, et studia inter multa operosa subsidia, quae ipsi Terrae. Deo auspice, fructuosa sedulo procurare, atque impendere studuimus, et [V, p. 121] mandamus generale passagium pro eiusdem Terrae subsidio in festo Nativitatis B. Ioannis Baptistae, quod erit Anno Domini millesimo ducentesimo nonagesimo tertio de Fratrum nostrorum consilio duximus statuendum, sicut in alijs nostris litteris, per quas ad subventionem eiusdem Terrae Sanctae universos Christicolas exhortamur, quasque tibi una cum praesentibus mittimus, evidentius declaratur. Ut autem ad succurrendum promptis in eodem passagio Terrae Sanctae praefatae per Divini Verbi virtutem mentes fidelium salubriter excitentur; Christicolis per diversas Christianitatis partes proponendum deliberavimus Verbum Crucis; ideoque praedicandae ipsius vivificae Crucis Misterium in Civitatibus et Dioecesibus, in quibus Civitatibus, quarumve Dioecesibus citra Mare Fratres tui Ordinis commorantur, praeter Siciliae, Unghariae, et Boemiae Regna, et partes Poloniae, prout tua discretione, cum consilio discretorum Fratrum eiusdem Ordinis, videris expedire, tibi et triginta Fratribus ipsius Ordinis Religiosa conversatione probatis, atque ad huiusmodi aptis officium, quos ad haec, cum simili consilio duxeris eligendos, paesentium auctoritate committimus in remissionem peccaminum iniungentes, quatenus tu, et ijdem eligendi Fratres huiusmodi minesterium, iuxta datam vobis a Deo prudentiam, non obstante, quod hoc idem alijs sit commissum solerter, et efficaciter exequi studeatis omnes fidei ortodoxae cultores, ad tam pii negotii prosecutionem idoneos praedicationibus crebris, et sedulis exhortando, ut, ad liberandam praedictam Terram de manibus impiorum, victoriosum eiusdem vivificae Crucis signum devote suscipiant, et proprijs assigientes humeris, ac magis cordibus imprimentes, reverenter, et publice deferant, atque ad eiusdem Terrae succursum, in praedicto passagio generali, promptis animis, totisque viribus se accingant. Quod quidem Venerabile signum volumus, ut cunctis devote petentibus concedatis, omnibus generaliter praedicentes, quod qui eandem Crucem susceperint in praedictae Terrae subsidium, vel personaliter in proprijs, vel in alienis expensis accedere, vel iuxta qualitatem, et facultatem suam bellatores, seu alias personas idoneas destinare, vel saltem, si ex causis legittimis Ecclesiae opportunum fore videbitur susceptae Crucis votum ad arbitrium Apostolicae Sedis, seu eorum, qui ad hoc fuerint deputati per ipsam de facultatibus suis redimere tenebuntur. Hos autem qui taliter huiusmodi votum redemerint remissionis, et Indulgentiae, quae transfretantibus in subsidium antedictum conceditur, volumus, et concedimus esse participes iuxtam quantitatem subsidij quod impendent, et eius, quo hoc facient devotionis affectu. Aliorum vero privilegiorum, et immunitatum, seu gratiarum, quae ipsis transfretantibus per praesentes, et alias universis Christi fidelibus directas nostras litteras concedantur, plena eos volumus commoditate gaudere. Insuper omnes, qui hactenus idem signum pro eodem subsidio susceperunt, monere, ac inducere procuretis, ut illud, si forte dimiserint, reasumentes, alacriter votum Domino reddere studeant, quod noverant, terrae praefatae subveniendo efficaciter, ut tenentur. Cum autem Christi fidelibus omnibus, qui eidem Terrae succursum impenderint oppotunum, unicuique secundum proprium meritum Indulgentiam salutarem, et maxime illis, qui Cruce suscepta in ipsius Terrae subsidium, vel personaliter ibunt, vel personas idoneas iuxta qualitatem, et facultatem suam in proprijs sumptibus destinabunt, multiplicium gratiarum beneficia commendamus, sicut in alijs nostris litteris praelibatis seriosus continetur, earumdem litterarum tenorem per te, ac Fratres a te ut praemittitur ad praedicandae Crucis officium eligendos volumus popolis Christianis frequenter, et diligenter, exponi. Ita siquidem proinde, quod, et [V, p. 122] beneficia supradicta, quae ipsis in Terra concedimus, et copiosam mercedem, quae ipsis praeparatur in Caelo cognoscere valeant, et amare; nec tamen ex verbis concipiant se ut plenam in casibus, in quibus nequaquam conceditur, aut maiorem, quam, conceditur Indulgentiam promoveri. Sane ipsos populos ad certa, et idonea loca, quoties expedire videritis convocandi ad Verbum Crucis humiliter audiendum, ac omnibus vere poenitentibus, et Confessis, qui ad huiusmodi vestras praedicationes venerint, et idem Verbum audierint, reverenter, centum dies de iniunctis sibi poenitentijs misericorditer relaxandi, vobis auctoritate praesentium concedimus facultatem. Si vero aliquando ad Ecclesias interdicto suppositas devenire contigerit, liceat vobis ad ipsas Populos convocare, et Verbum Crucis proponere in eisdem necnon Excommunicatis, et Interdictis exclusis, non pulsatis Campanis submissa voce, ianuis clausis, cum vestris socijs Divina Officia celebrare. Ad haec si quis eorum quos ad transfretandum personaliter, vel iuxta qualitatem, et facultatem suam personas idoneas destinandum votum asumptae iam Crucis adstringit, vel assumendae deinceps obligabit ad idem, Excommunicationis, ac violenta iniectione mannum in personas Ecclesiasticas essent vinculo innodati, dummodo non fuerint excessus difficilis, et enormis, et passis satisfaciant competenter, sive pro eo quod sepulchrum dominicum visitare, seu ad quaslibet alias terras accedere, vel aliquibus communicare non tantum in crimine contra prohibitionem praesumpserunt, dumodo equos, Arma, ferrum, seu lignamina, quibus Christianos impugnant, non portaverint Saracenis, absolvendi eosdem in forma Ecclesiae, ac dispensandi cum Clericis, qui cum Excommunicationis Sententiam latam a Canone, vel ab homine incurrissent Irregularitatis notam, imiscendo se Divinis Officijs, seu ministrando in susceptis ordinibus, contraxerunt, tibi, et decem ex Fratribus antedictis, quos ad haec specialiter de consilio discretorum elegeris, concedimus potestatem. Ita quod beneficium absolutionis, et dispensationis huiusmodi, tu, et quilibet eorumdem decem Fratrum omnibus, qui de manibus vestris, aut aliorum Fratrum, qui a te sicut praemissum est, fuerint ad officium antedictae praedicationis electi, Crucem susceperint, dumodo personae sint cognitae discretionis, impartiri possitis. Porro quia dignus est operarius mercede sua, tibi, et Fratribus memoratis in hoc Divino fideliter laborantibus opere, praeter mercedem aeternam, quam merito sperare potestis, quotiescumque studueritis, populis ad hoc specialiter convocatis, proponere verbum Crucis, centum dierum Indulgentiam elargimur, ac vos Indulgentiae memoratae, quae tranfretantibus in subsidium saepedictum conceditur iuxta laboris vestri mensuram volumus participatione gaudere. Caeterum si quos ex Fratribus, quos, ut supra dicitur ad exequenda praemissa duxeris eligendos, ab executione huiusmodi, sive per mortem, sive alias quomodolibet impediri, vel per tuam sortem prudentiam removeri contigerit, facultatem tibi concedimus loco ipsorum alios subrogandi. Cum autem hoc idem praedicandae Crucis Officium Venerabilibus Fratribus nostris Archiepiscopis, et Episcopis, ac nonnullis alijs per alias nostras Litteras committamus te ac fratres Ordinis tui ad huiuscemodi ministerium per te, ut praemittitur, eligendos cum omni diligentia volumus observare, ut eisdem Praelatis humili reverentia deferrentes, cum ipsorum aliquem in quavis Civitate Castro, vel Oppido praedicare contigerit, vos ibidem eadem hora nullatenus, sed nec eadem die, nisi de ipsorum speciali consensu, convocare Populos ad praedicationem huiusmodi praesumatis. Caventes omnino, ne Praelatorum ipsorum praedicatio per vos, seu occasione vestri, impediatur quomodolibet, vel turbetur. Cum alijs etiam qui [V, p. 123] eiusdem praedicationis auctoritate nostra officium exercebunt, sic loca praedicationis, et tempora curetis dividere, quod vos mutuo non turbetis, nec impediatis aliquatenus per concursum, sed vobis invicem alternis vicibus in omni patientia, et quiete cedatis, ita quod ex vestra modestia populi bonam aedificationem accipiant, et consequenter ex praedicationibus vestris uberior fructus valeat provenire; denique discretionem tuam volumus providere, ut singuli Fratres, quos ad officium saepedictum elegeris, tam praesentium, quam aliarum Litterarum nostrarum, quae Christicolis omnibus diriguntur sub manu publica, vel saltem sub tuo sigillo copiam habeant, quam inspiciendo frequenter, de ijsque agenda committuntur, eisdem reddantur plenius informati. Postremo quia diversis olim temporibus nonnullae, super predicatione Crucis, in saepefactum subsidium commissiones a Sede Apostolica emanarunt, ne forte occasione illarum turbatio ulla, sive confusio valeat suboriri, nolumus, ut auctoritate commissionum illarum in locis ad quae praesens commissio nostra pervenerit Crux de caetero praedicetur; sed praedicationi huiusmodi eos dumtaxat insistere volumus, qui praesentis nostrae commissionis fuerint auctoritate sussulti. Datum apud Urbemveterem Kalen. Augusti Pontificatus nostri Anno quarto.

12 – Questa è per appunto la copia fedele della Bolla, che spedì Nicola IV al Generale dell’Ordine nostro, per la deputatione da doversi da esso fare delli 30 Predicatori sopramentovati di nostra Religione, per la predicatione della Crociata in ordine alla Ricuperatione di Terra Santa. E perché, mentre il Papa faceva distendere questa Bolla, non era certo ancora, se era stato creato da’ nostri Padri il nuovo Generale in luogo del morto Beato Clemente; perciò il Pontefice indrizzò la detta Bolla al Generale, overo al Vicario Generale. Per la qual cosa, prima che più oltre procediamo nel riferire ciò che facesse la Religione per eseguire la santa mente del Papa, fa di mestieri, che prima succintamente raccontiamo la morte beata del detto Generale, e poi appresso altresì diamo, giusta il nostro consueto, un succoso ragguaglio della sua santa Vita. Hor mentre dunque in questo tempo, sotto il felice, e santo governo, di questo Beato Generale, la nostra Religione, avvalorata dal vivo esempio di un tant’Huomo, attende in ogni lato a fare smisurati progressi, così nelle Lettere, come nella Santità, e gode realmente in questa guisa, la vera età dell’Oro; egli in fine consumato non meno da una lunghissima serie d’asprissime penitenze, che da gli anni, nella Città d’Orvieto, impose glorioso fine alla sua santa vita, con una morte veramente da Santo. Prima però, che io la riferisca, fa di mestieri, che quivi diamo un brieve saggio della sua Santa Vita e miracolose Attioni.

Brieve, e succinto Racconto della Vita, Morte e Miracoli

del B. Clemente da Osimo, terzo, e quinto Generale dell’Orine Unito.

13 – Trattano di questo gran Servo di Dio, tutti li nostri Scrittori, e specialmente il B. Arrigo di Urimaria, che lo conobbe, il B. Giordano di Sassonia, il Coriolano, il Panfilo, il Ven. F. Alfonso d’Orosco, il Crusenio, l’Errera, il Gelsomini, et altri ancora in buon numero, fra quali altresì noi ne formassimo un succoso Elogio nella seconda Centuria degli Huomini e Donne Illustri in Santità, ed anche nel Tomo 4 di questi nostri Secoli. Primieramente dunque, per dar principio hoggimai [V, p. 124] questo brieve racconto, gli è da sapersi, che se bene questo Servo di Dio si chiama communemente da Osimo, non nacque però in questa Città, ma la sua Patria fu la Terra, non ignobile, di S. Elpidio nella Marca d’Ancona, e della Diocesi di Fermo, come espressamente dice nella sua Cronica il Coriolano, benchè venghi dal P. Errera censurato; e lo stesso anche afferma il General Egidio da Viterbo, che poscia fu Cardinale, nel primo Tomo de’ suoi Registri, mentre scrive, che nell’anno 1510 furono dalla Communità di S. Elpidio a lui inviati alcuni Ambasciatori, per impetrare da esso Lettere di raccomandatione alla Communità d’Orvieto, acciò si compiacessero di concederli una Reliquia del B. Clemente detto da Osimo loro Concittadino, le quali Lettere gli fece egli benignamente, et insieme li diede facoltà di potere havere la bramata reliquia, per quanto a lui spettava, come nel fine di questa Vita vedremo, con produrre la Lettera dello stesso Cardinale; chiamossi dunque da Osimo, perché nella Religione egli fu figlio di quel Convento, come anche forsi nella sua Patria, nel tempo, che egli si fece Religioso, non vi fosse ancora stato fondato Monistero; non si sa poi in che tempo egli fosse nato, mi persuado però, che essendo egli morto vecchissimo, nascesse nel principio di questo Secolo.

14 – Hor si come è ignoto il tempo nel quale egli nacque, così ne meno si sa chi fossero li di lui Genitori; ci persuade però la sua santa educatione, che fossero molto timorti di Dio, e che procurassero di allevarlo con ogni loro studio nel santo timore dello stesso, più co’ fatti, che con le parole, già che disse il Filosofo, che magis movent exempla, quam verba; oltre che è infallibile l’Assioma di Christo, il quale disse nel suo santo Vangelo, che si come un’Albero cattivo non puole produrre frutti buoni, così un’Albero buono non puole produrre frutti cattivi.

15 – Giunto a quell’età, che si stima capace, di potere francamente sottoporre il collo al soavissimo Giogo della Santa Religione, o ivitato dalla fama, che in que’ felici tempi per ogni parte grandissima correa della Santità de’ nostri Religiosi, o pure, perché forsi nella sua Patria capitassero, o a predicare la parola di Dio, o per chiedere la limosina i Padri del Monistero di Osimo, o finalmente, perché Iddio benedetto (e questo stimo io per il più certo) previde fino ab eterno, la futura Santità di Clemente, volesse arricchire di questa Gioia la Religione del Grand’Agostino, basta communque sia, egli si dispose di arruolarsi sotto il glorioso Stendardo di quel Santissimo Patriarca, e richiesto l’Habito a' Padri del sudetto Convento d’Osimo, facilmente l’ottenne insieme con la figliuolanza di quello; quando però ciò succedesse, non è così facile il dirlo; io però stimo certamente, che prima della grand’Unione, anche di molti Anni egli prendesse l’Habito; e perché egli era venuto per servire Iddio da dovero, quindi in brevissimo tempo cotanto s’avanzò nella carriera della Religiosa Perfettione, che lasciati addietro quelli, che, fra gli ottimi erano stimati i migliori, diede ben tosto a dividere, quanto dovesse essere soda, e massiccia la Santità, con la quale questo beato Novizzo haveva ne’ tempi a venire da illustrare la Religione.

16 – Fatta la solenne Professione, non rallentò punto il modo rigoroso di vivere, che esercitato fin all’hora haveva nel Novitiato, anzi maggiormente l’accrebbe, quando che intese, e conobbe essere più che prima non era, obligato, per forza de’ Voti fatti, a ciò fare. Ordinato a suo tempo Sacerdote, fu anche poco appresso applicato all’Apostolico officio di Predicatore; nel qual ministero importante, come procurò sempre di predicare a' Popoli più con l’esempio, che con le parole, così non si puole con humana lingua spiegare il frutto grandissimo, [V, p. 125] che egli faceva dovunque ei predicava. Erano le sue parole infuocate saette, le quali come trafiggevano i cuori de’ Peccatori, e li convertivano a Dio, così infiammavano maggiormente nell’amore dello stesso Signore, quelli, che per altro lo temevano, e l’amavano.

17 – Fu in somma così grande il merito, e il talento di questo gran Predicatore, che era traditione quasi commune della Religione, e specialmente della Provincia della Marca, che egli fosse quel fortunato Religioso, che Predicando nel Castello di S. Angelo, trasse dal Secolo alla Religione nostra, il gran Taumaturgo dell’Italia S. Nicola da Tolentino; la quale però poco aggiustandosi con la verità del Processo della Canonizatione del detto Santo, in cui chiaramente costa, che non fu il B. Clemente, che convertì S. Nicola alla nostra Religione, ma ben si un altro Religioso di gran bontà e spirito, per nome F. Reginaldo, il quale appunto in quel tempo era Priore del Convento di detto Castello di S. Angelo; dunque correggere si deve cio, che noi, incautamente seguendo la sudetta Traditione, scrivessimo sotto l’anno di Christo 1264 nel fine del num. 25.

18 – Havendo dunque in questa guisa il buon Clemente, per molto tempo, così fruttuosamente speso il celeste talento, ricevuto dal Cielo, a pubblico beneficio dell’Anime redente col pretiosissimo Sangue di Giesù Christo, et essendo anche stato d’alcune Case dell’Ordine Superiore, così prima, come anco doppo la grand’Unione generale dell’Ordine, essendosi sparsa per tutta la Religione la santa fama, non meno della sua intemerata vita, che della celeste habilità, ch’egli haveva nel reggere non meno di fatti, che di nome Clemente, con istraordinaria clemenza appunto, chiunque al suo Angelico comando soggiaceva; essendo già morto il Generale secondo, doppo la grand’Unione, F. Guido della Stagia, fu egli, a pieni Voti di tutto l’Ordine, nel Capitolo Generale celebrato in Orvieto dell’anno 1270 benchè contro sua voglia, con grandissimo applauso, ed allegrezza acclamato Generale in luogo del morto.

19 – Posto in questa guisa, benchè, come habbiamo poco dianzi accennato, con sua estrema repugnanza, questo gran Candeliere su la più alta Mensa dell’Agostiniana Religione, moltiplicò di sorte i luminosi splendori della sua Santità, che come non tralasciò mai cosa per ardua, che ella si fosse, che con generosa intrepidezza ei non facesse per beneficio de’ suoi Religiosi; così non cessò mai di tentare di deporre quel grave peso, il quale cotanto a suo credere gli era stato su le sue spalle caricato. E quantunque in que’ tempi il Generalato non durasse più che tre anni, come nulladimeno ogni anno si congregasse il Capitolo Generale in Italia, per i publici affari dell’Ordine, sempre in tutti procurò d’essere assoluto dall’officio, ma già mai l’ottenne; specialmente nella Città di Lione, dove era andato, con molti Padri principali dell’Ordine, al General Concilio, che ivi s’era congregato d’ordine di Papa Gregorio X come a suo tempo vedessimo, gran cose fece, e mosse, come dir si suole ogni pietra per sottrarsi da quel peso, che altri cerca con tanta sete, ma non fu possibile, che ciò gli permettessero i Padri, dice il Panfilo; perochè havevano fatta costantissima deliberatione, o d’havere esso Generale, o nissuno; e così hebbe anche per questa volta patienza l’humilissimo Servo del Signore.

20 – Tornato poi quell’anno medesimo dal Concilio sudetto in Italia, e radunato il Capitolo Generale nel nuovo Convento di Molara, benchè i Padri fossero risolutissimi di confirmarlo nell’officio, s’oppose nulladimeno l’humile Clemente, con costanza così grande, ad ogni sforzo loro, che finalmente furono necessitati ad eleggere un’altro [V, p. 126] in suo luogo, e fu eletto, come vedessimo in quel tempo, il buon Servo di Dio F. Francesco da Reggio Lettore; tanto per appunto riferiscono di commune accordo tutti i nostri Cronisti, ed in particolare il Panfilo, il quale parlando di questo Capitolo, dice: Cumque in hoc Conventu nemo ad suadendum proficeret, ut Clemens, qui iam sese eripuerat officium; retineret, tandem Franciscus, Regiensis Prior Generalis eligitur. Hor chi haveva gettato un così profondo fondamento di tanta humiltà, ben si vedeva, che voleva sopra fabricarvi un’altissimo edificio per potervi dare commodissimo ricetto, ed albergo, come fece a tutte le Virtù più eroiche, e più sublimi, insegnando a tutti quelli, che bramano di riuscire perfetti Religiosi, con l’esempio suo, anzi pure con quello di Christo nostro commune Maestro, che le Dignità non si devono incontrare, ma fuggire; perochè nella strada di Dio per salire si scende, e per scendere si salisce; e la natura degli Ecclesiastici honori, a senno del gran Pontefice Gregorio, e di fuggire chi li siegue, e di seguire chi li fugge, come ben si vidde nel nostro humilissimo Generale.

21 – Sgravato dunque da quel grave peso, che l’opprimeva, tutto ripieno nel cuore d’un incredibile allegrezza, ritirossi il S. Huomo entro d’un angusta Cella, ove con suo estremo contento, si diede di tal sorte, con più libero campo, all’esercitio di tutte quelle virtù, che haveva sempre con tanto zelo predicate a suoi Sudditi, mentre era stato Superiore, dimostrando nella pronta esecutione di quelle, che non era men perfetto nell’ubbidire, di quello si fosse stato discreto nel comandare, che ogn’uno l’ammirava come Angelo del Cielo. Nel Choro, e nella Chiesa, egli era il primo ad entrarvi, e l’ultimo ad uscirne; era così puntuale osservatore d’ogni, benchè minimo consiglio, delle nostre Leggi, che stimava quasi al pari d’un sacrilegio il trasgredirlo, benchè di leggieri; poco dormiva, perché sempre orava; ed affinchè il suo Corpo non havesse punto forza, e vigore contro il suo spirito generoso, lo mortificava, ed in freno teneva co’ suoi continui rigorosi digiuni; in tutte le cose però sempre voleva, che l’humiltà trionfasse; insomma era uno specchio tersissimo, in cui miravansi que' buoni Religiosi, che bramavano di servire, come lui, da dovero, il Signore.

22 – Dieci anni godè il B. Clemente la pace, e la quiete della sua Cella, con gusto, e con profitto incredibile dell’Anima sua; ma essendo poi passato all’altra vita il Generale Francesco, radunatosi il Capitolo di nuovo in Orvieto, ove la prima volta era stato eletto Generale, ricordandosi i Padri del suo santo governo, e de’ progressi grandi, che al tempo suo haveva l’Ordine fatti, tutti di commune accordo elessero lui di nuovo Generale; e se bene egli, tutto asperso di lagrime, non tralasciò cosa, che non facesse, e non dicesse, per isfuggire quella carica così grave, che pure ad altri sembra così leggiera, nulla però li valse, perochè in somma erano risolutissimi i Padri di non volere altri, che esso per loro Generale. L’accettò finalmente con suo estremo cordoglio, e se bene, ogni volta, che si celebrava il Capitolo, sempre per l’avvenire, come habbiamo ne’ suoi luoghi accennato, egli rinuovava le sue istanze di essere assoluto da quell’officio, nulladimeno mai fu esaudito, ma li convenne di proseguire fino all’ultima vecchiaia, e se la Morte pietosa non troncava in quest’anno il filo della sua vita mortale, non l’haverebbero mai compiaciuto.

23 – Giunto dunque il Sant’Huomo ad un’età veramente decrepita, e troppo hormai cadente, procurò egli di tutto senno nell’ultimo Capitolo celebrato in Ratisbona, ove fece anco molte cose miracolose, come attesta il B. Arrigo d’Urimaria, che si trovò presente in quel Capitolo, come ancor noi scrivessimo ampiamente nell’anno scorso; procurò egli, dico, di buon senno, di essere [V, p. 127] hormai liberato da quell’officio, se non per altro almeno per l’impotenza sua; ma li riuscì vano ogni suo dissegno, come l’altre volte, perochè si protestavano, fin che egli viveva, che altri non volevano, che esso per Generale. Tornato dunque in Italia, e passatosene in Orvieto, ove pur anche in quel tempo dimorava il Papa con la sua Corte Romana, ecco che mentre il Servo di Dio attende con ardentissimo zelo a governare la Religione, Iddio mosso a pietà della sua estrema vecchiaia, si compiacque per mezzo d’una beata morte, chiamarlo al godimento eterno della Vita Beata del Paradiso da lui ben meritata nel lunghissimo corso di tant’anni, con tante opere Sante ed Eroiche.

24 – E perché Iddio benedetto suole per ordinario honorare la morte de’ suoi Servi fedeli, e massime di quelli, che sono stati grand’humili, come lo fu sempre a maraviglia il B. Clemente, con molti Prodigi e Miracoli stupendi; così appunto volle manifestare nella morte di quest’humile Prelato, con una numerosa serie di segnalati Miracoli alla gran Corte di Roma, che è lo stesso, che dire a tutto il Mondo, in quella epilogato, la santità grande di questo suo Servo, perochè, non così tosto si seppe la morte sua, che moltissimi Infermi raccomandandosi all’efficacissime intercessioni di quell’Anima beata, riceverono subitamente la santità perduta, per la qual cosa, prendendo animo una numerosa turba di Ciechi, e Zoppi, di Sordi, e Muti ed altri molti oppressi da varj e diversi malori, ad implorare l’aiuto di questo gran Medico Celeste, se ne venne veloce anch’ella, ed appena hebbe il suo bisogno spiegato, che subito in ricompensa della sua divotione, ottenne ciò, che bramava.

25 – Havendo dunque ciò inteso con suo estremo contento il Sommo Pontefice Nicola IV il quale l’haveva sempre amato, e come vero Servo di Dio, grandemente sempre honorato, fece intendere a’ Padri, quali già stavano per darli Sepoltura, che non lo dovessero altrimente seppellire in verun conto, perochè egli voleva, che stasse insepolto per molte settimane, affermando, come testifica il B. Giordano, che un Corpo di tanta Santità no doveva essere, alla maniera degli altri, con la terra ricoperto. Rimanendo dunque in questa guisa, per ordine del Vicario di Christo, insepolto quel Beato Corpo, venivano i Popoli da tutte le parti di quella Nobile Provincia, per loro somma divotione, a visitarlo, per ricevere qualche opportuno soccorso a suoi travagli, e bisogni in tanta moltitudine, che non potendo per le strade capire, e specialmente per alcune vicine alla Chiesa, che erano un poco strette, che affinchè le povere genti non si soffocassero nella soverchia folla, fu necessitato il Magistrato d’Orvieto, di far gettare per terra alcune Case, per allargare più la strada, e rendere più ampio il passaggio a que’ divoti Fedeli, cosa in vero maravigliosa, e che poch’altre volte si sarà pratticata in somigliante occasione; tutto ciò scrive, et afferma il Beato Giordano, il quale, pochissimi anni doppo, fiorì anch’egli grandemente nella Religione, non meno nella Santità, che nella Dottrina, e nel Sapere. Fu poi doppo molti giorni, in un luogo particolare sopraterra, come Santo, depositato il sudetto Corpo, ove fino al presente non cessa il Signore di operare stupendissime maraviglie a prò de’ suoi Divoti. Successe la sua beata Morte alli 8 Arprile di quest’anno medesimo del 1291.

26 – E qui notare dobbiamo, che quando si hebbe da seppellire quel Santo Corpo, non solo il Sommo Pontefice Nicola IV vi si volle trovare presente, ma ciò che maggiormente stimare ed ammirare si deve, volle con le sue proprie mani (cosa in vero inaudita) agiutare a porlo nella Sepoltura; e di questa grande, et eroica attione, ne rende certa, et indubitata testimonianza il nostro gran Cardinale Egidio [V, p. 128] da Viterbo in una sua lettera, che scrisse già mentre era Generale dell’Ordine nostro 167 anni sono, cioè l’anno 1510 alla Communità di S. Elpidio Patria del nostro B. Clemente, quale registrata si legge sotto l’anno accennato nel Tomo primo de’ Registri del sudetto Generale Egidio. E perché questa Lettera contiene un nobilissimo Elogio della santa Vita e Miracoli di questo gran Servo di Dio, la vogliamo perciò quivi anticipatamente produrre, per maggior consolatione de’ nostri Religiosi Lettori, et anche per maggiore autentica di questo così grande, et insolito avvenimento; la copia della Lettera è la seguente:

F. Aegidius Viterbensis Generalis Indignus.

27 – Tametsi mortales in terris sortiti sedem sunt, ubi simul et oriantur, et occidant, nec usque ad interitum declinandum patet via; nonnulli tamen ita Immortali Deo iuncti sunt, ut quando in terris moriendum erat, immortalitatem tamen in Coelo consequuti sint; quae tanto vita mortalium praestat, quanto terris est Coelum sublimius, divinius, diuturnius. Hi inquam felicissimi inter homines apparuerunt: quoniam non modo contemptis humanis rebus Deo adhaeserunt, verum etiam divinum et nomen, et honores promeruerunt. Fuit in horum numero Divus Clemens Elpidiensis vester, Religionem meam Augustinianam professus, qui tanta sanctitatis, tanta vitae, tantaque Sanctorum morum luce splenduit, ut et a Pontefice Maximo ad magnas res agendas, et a Deo optimo ad miracula exercenda vocaretur. Is cum sanctissimum vitae institutum diu traduxisset, cum vivens miraculis innumerabilibus in Italia universa claruisset, cum Pontifici Summo per nonnulla Tempora iussus exisset, cum Reipublicae ad Religionis suae habenas bis suscipere coactus fuisset; postremo cum, et humanas illecebras, et stygias insidias admirabili virtute, fortitudine, constantia vicisset, ut ex humana victoria Coelestem quandoque Triumphum ageret, in Urbevetana Civitate vitam, et mortalem, et casuram reliquit, et immortalem, et perpetuam asequutus est. Iacet Sanctissimi Hominis Corpus in Templo meo apud Urbevetanam Civitatem Pontificijs manibus tumulatum. Quo nemo frustra confugit; nemo bona spe ductus incassum accessit, nemo quod petijt non idem impetravit. Cumque tot Populi, tot gentes Beatissimi hominis memoriam colant; Vos, qui eius colitis Patriam, ad idem efficiendum non potuistis, natura conciliante, non compelli. Quamobre Nicolaus Briottus Elpidiensis, Dioecesis Firmanae, Iure etiam utroque consultissimus, qui se se, ex Sancti Hominis sobole ortum facit, rebus cum benegestis Urbevetanam Rempublicam mirum in modum sibi, et demeruisset, et devinxisset, facile a Civitatis Principibus assequutus est: ut partem aliquam B. Corporis in Patriam reportaret. Is itaque cum ad me in Cyminos venisset, litteras etiam vestras ad me, et suavissimas, et pijssimas detulisset; parvo me negotio commovit, ut vestro vel desiderio, vel potius pietati acquiescerem, iuberemque monumenti Custodes Patriae desiderio satisfacere; qua equidem in re Beneficium non dare sum visus, sed accipere. Quare vos, de vestra Republica optime merentes, accipite, quas optastis Reliquias, simulque sic habete: nihil per vos curari potuisse, quo potius Patriae vestrae, vel pietas, charitasque ostenderetur, vel salus felicitasque quereretur. Valete.

28 – Da questa eruditissima Lettera del grand’Egidio da Viterbo, come se ne deduce, benchè in compendio, la Santità grande del B. Clemente; così poi altresì con chiara evidenza si comprende, che non solo, fin dal tempo della di lui beata morte, a quello in cui scrisse questo eruditissimo Generale la detta Lettera, haveva egli havuto [V, p. 129] il Beato il publico culto della Religione in Orvieto; ma di vantaggio ancora erasi sparsa la di lui santa fama per tutto l’Ordine, et anche era in veneratione appresso del Secolo, a segno, che si spedivano da’ Magistrati delle Terre lontane, publici Ambasciatori, per ottenerne qualche veneranda Reliquia; e pure erano di già passati 219 anni doppo il di lui santo passaggio. E questo culto s’è poi continuato viè sempre maggiore fin’a questa nostra età, mercè delle continue gratie, che ha sempre fatte il Signor Dio, per l’efficace intercessione di questo suo Beato Servo a pro de suoi divoti.

29 – Morto, che fu questo Santissimo Generale, affinchè la Religione non rimanesse senza capo, che la governasse, fu in suo luogo sostituito fino al futuro Capitolo Generale per Vicario, o Amministratore Generale un Religioso di santa fama per nome F. Paolo da Perugia, quale non ha molto, che dicessimo essere stato eletto in un Capitolo Provinciale, mentre era da quello absente, per Divina ispiratione, Provinciale della Provincia Romana. Non si sa però se fossero i Frati, che lo dichiarassero Vicario Generale, o se pure fu il Papa, come in questi nostri tempi si costuma; basta comunque sia, egli governò in questa guisa la Religione lo spatio di nove Mesi, e poi morì, come vedremo nell’ultimo di quest’anno.

30 – Vedendosi in questa guisa il Buon F. Paolo sostituito in luogo del B. Clemente, al governo della Religione, in qualità di Vicario Generale, et havendo ricevuta la Bolla del Pontefice Nicola IV, quale habbiamo prodotta più sopra; pensò per tanto di dovere ben tosto fare una Congregatione intermedia, nella quale si dovessero principalmente eleggere li 30 Predicatori, che dovevano predicare la Crociata per la ricuperatione di Terra Santa, come ordinato haveva il Pontefice in detta Bolla, e per trattare altri importanti affari per la Religione. Il luogo, ove fu fatta la detta Congregatione, fu il Convento di Viterbo; et in essa di primo tratto, col consiglio del grad’Egidio Colonna, il quale pur poco dianzi era ritornato di Francia in Italia, e con quello ancora d’altri gravissimi Religiosi, giusta il commando del Papa, furono eletti li sopradetti 30 Predicatori; non ho però potuto rinvenire li nomi, le Provincie, e le Patrie loro, salvo solo, che di due, li quali furono eletti, della Provincia Romana, e questi furono F. Giovanni da Todi, e F. Pietro da Corneto; e tutto ciò habbiamo cavato dal Registro della Provincia di Roma, più volte da noi negli Anni scorsi mentovato, il di cui Autore non si curò di notare se non i nomi di quelli della sua Provincia. Si fecero poi anche nella detta Congregatione alcune Deffinitioni per il ben publico dell’Ordine, quali non habbiamo potuto vedere.

31 – Furono altresì imposte le Collette a' Conventi di detta Provincia nell’anno anteriore a questo, fra quali vi si aggiunge quello di Acquapendente, e si ripone ne’ luoghi del terzo grado. Ma non si dice però in quell’antico Registro sudetto, dal quale habbiamo questa notitia cavata, nè quando fosse questo Convento fondato, nè chi fosse il di lui Fondatore, con altre circostanze. Io però stimo, di certo, che questo Monistero, fosse fondato nel principio di quest’anno, o al più presto nel fine del 1290, perochè nel tempo del Capitolo di quell’anno, egli non era ancor stato fondato, perché se ne sarebbe fatta qualche mentione da’ Padri nell’imporre le Collette a’ Conventi della Provincia.

32 – E’ poi stato questo Monistero favorito da Dio in molti suoi figli, li quali per la loro Dottrina, e Virtù, furono sublimati, e fra questi uno fu Maestro Nicola Foresio, il quale fu da Giulio Secondo creato suo Apostolico Sagrista l’anno 1504, et Arcivescovo di Durazzo; hebbe anche Maestro Alfonso Oliva, il quale pure anch’egli del 1539 [V, p. 130] fu creato da Papa Paolo III suo Sagrista, e Vescovo di Bovino, e poi anche appresso Arcivescovo d’Amalfi. Fu figlio ancora del detto Monistero Maestro Antonio, Teologo insigne, il quale poi per la sua molta Dottrina fu da Papa Gregorio XIII condecorato con l’Abbatia di S. Martino Laudunense, e molti altri ancora, ne ha sempre prodotti di molta fama de’ quali ne’ suoi proprj tempi e luoghi, daremo esatta notitia.

33 – Leggesi negli Annali de’ PP. Domenicani di Colmar, Città della Svevia, che in quest’anno a 25 Marzo, giorno consagrato alla Santissima Annonciatione della B. Vergine, furono solennemente consagrati alcuni Altari della loro Chiesa della sudetta Città di Colmar da Bonifacio Vescovo Bosoniense, e Suffraganeo di Basilea Religioso dell’Ordine nostro. E’ questi quel Prelato, di cui più volte habbiamo havuto occasione di ragionare negli anni scorsi, e di cui anche tornaremo a ragionare altre volte; perochè egli fu molto affettionato alla sua Religione, dalla quale era stato alle grandezze partorito, che però egli si dimostrò sempre gratissimo figlio.

34 – Ritroviamo pur anche, che in quest’anno li nostri Padri di Cantiano, Terra non inobile dello Stato d’Urbino, non havendo ancora potuto terminare la fabrica della loro Chiesa e Convento, quale già scrivessimo essere stata incominciata da F. Matteo da Spoleto l’anno 1272 e non havendo il modo di finirla per la loro povertà, ricorsero per tanto al Vescovo di Gubbio, sotto la cui Diocesi sta quella Terra, et humilmente lo supplicarono, acciò si degnasse di concedere qualche Tesoro Spirituale a chiunque havesse con qualche limosina agiutata e soccorsa la detta fabrica; laonde quel buon Prelato, che Benvenuto chiamavasi, mosso dalle preghiere di que’ buoni Religiosi, spedì tostamente un suo Diploma gratioso in cui concedeva 100 giorni d’Indulgenza a qual si sia fedele Christiano, che con qualche carità agiutata havesse la fabrica mentovata. Conservasi poi questo Diploma nell’Archivio dell’accennato Monistero, e fu dato a 30 di Decembre.

35 – Nel fine di quest’anno venne a giungere al desiato Porto del Cielo, come piamente si stima, il buon Servo di Dio F. Paolo da Perugia, qual dicessimo essere stato sostituito, come Vicario Generale al governo della Religione in luogo del B. Clemente da Osimo, perochè dicono il Panfilo e l’Errera, et altri Cronisti, che havendo ricevuto il Vicariato alli 8 Aprile, che fu appunto il giorno, nel quale morì il sudetto Beato Clemente, lo tenne nove Mesi. Di questo Servo di Dio non potiamo raccontare alcuna cosa particolare, salvo che egli era di santa vita; e certo, se egli viveva fino al Capitolo Generale, sarebbe stato da’ Padri, con grand’applauso, eletto in Generale. La sua morte successe in Orvieto. E qui terminiamo l’anno presente 1291.