Tomo V

Anni di Christo 1294 - della Religione 908

1 - [V, p. 149] Vidde la nostra Italia in quest'anno del Signore 1294 due grandi accidenti, per ogni parte maravigliosi, anzi pure miracolosi, de' quali ne portò ben tosto la Fama con le sue cento bocche, per l'Universo tutto, il grande aviso; fu poi il primo l'elettione tanto sospirata del Sommo Pontefice, caduta non già nella persona d'alcuno degli Eminentissimi Cardinali, che stavano racchiusi nel Conclave di Perugia, né tampoco in quella d'alcuno de' numerosi Prelati della Chiesa di Dio, ma ben si nella persona d'un povero Religioso Regolare, il quale racchiuso nel suo povero, et humile Monistero, situato in una solitudine nell'Abruzzo, attendeva, alla sola contemplatione delle cose Celesti, e stava infinitamente lontano da un così alto, e sublime pensiero. L'altro poi fu il felicissimo Trasporto della Santissima Casa di Maria sempre Vergine, fatto dagli Angeli per Divino Volere, dal sfortunato Monte di Tersatto, al fortunatissimo Colle Lauretano nel felice Territorio di Reccanati Città nobile della Marca d'Ancona. Parliamo prima dell'elettione miracolosa del Sommo Pontefice, che poi appresso brievemente discorreremo della venuta in Italia della S. Casa, così richiedendo ancora l'ordine del tempo.

2 - Erano di già passati ben due anni, tre mesi, e due giorni, che la Sedia di Pietro era vacante, nulladimeno i Cardinali, non ostante, che sul principio si trasferissero da Roma a Perugia, [V, p. 150] affinchè l'elettione riuscisse, e più presta, e più libera, perochè temevano, che non venisse loro fatta alcuna forza dal Re Carlo, il quale alla nuova della morte del Papa, s'era con gran celerità in Roma portato, altro però in tanto tempo non havevano fatto, che gareggiare tra di loro, divisi in due fattioni, delle quali erano Capi alcuni Cardinali delle due nobilissime, e potentissime Case Colonna, ed Orsina. Hor mentre stavano le cose in questi termini, occorse, che poco prima il sudetto Carlo II Re di Napoli, e Carlo Martello suo figlio, ritornando di Francia, vollero passare per Perugia, per riverire il sagro Collegio, et esortarlo a venire una volta all'elettione del Padre universale de' Christiani, come fecero con ogni ardore; ma nulla accorgendosi d'haver fatto, proseguirono il loro camino alla volta di Napoli; ed è fama, per quanto riferisce l'Abbate D. Celestino Telera di Manfredonia nella sua Storia degli Huomini Illustri in Santità dell'Ordine suo Celestino nella quarta Parte appunto della Vita di S. Pietro Celestino al Capitolo primo, che facessero la via dell'Abruzzo, et essendosi avvicinati al Morone, ove faceva già molto tempo era, il glorioso Eremita Pietro, detto del Morone, che fu fondatore del sagro Ordine de' Padri Celestini nell'Ordine di S. Benedetto, asprissima penitenza; come era grande la fama della Sua Santità, vollero i Regi gire a visitarlo per ricevere la sua Santa Benedittione, e raccomandarsi alle di lui santissime Orationi. Doppo havere dunque sodisfatto alla loro divotione, nel partire lo pregarono di tutto cuore, che egli supplicasse il Signore con tutto l'affetto, affinchè per sua misericordia, volesse una volta ispirare i Cardinali a creare il nuovo Papa, ed in questa guisa rimediare alla perfine, a gl'innumerabili mali, che nella Chiesa giornalmente succedevano per mancamento di chi ostava, e gl'impediva, a quali promise il Santo Religioso di volerlo fare maggiormente per l'avvenire, come haveva fatto per il passato; per lo che essi molto contenti se n'andarono a Napoli.

3 - Pietro dunque tutto infiammato di santo zelo per il ben publico della Sposa di Christo, e di tutto il Christianesimo, altro quasi mai non faceva giorno, e notte, che supplicare il benignissimo Iddio, che non volendo più haver riguardo alla moltitudine innumerabile delle sceleraggini de' malviventi mortali, volesse hormai moversi a pietà della sua Chiesa, la quale priva di Sposo visibile, era da ogni vile homicciuolo poco meno, che sprezzata, e vilipesa; si degnasse dunque una volta di togliere lo scandalo, che cagionava anche ne' più buoni la discordia de' Cardinali, li quali, essendo successori degli Apostoli, vivevano quasi con un solo Cuore, et un'Anima sola, così malamente gl'imitavano poi; considerasse in fine S. D. M. con l'occhio della sua incomparabile pietà, e si degnasse di rimirare le lagrime continue, gl'infuocati sospiri, che non cessavano notte, e giorno di tramandare, e dagli occhi, e da' petti loro tanti suoi Servi devoti, e fedeli, per quest'effetto; sapere egli molto bene, che la tardanza di quell'elettione era un'effetto del suo giustissimo sdegno, ma essergli poi anche noto all'incontro, quanto egli era inclinato ad esercitare gli atti più di pietà, che di giustitia, massime quando vedeva qualche segno di pentimento ne' Peccatori; essere egli in somma non più il Dio delle Vendette, e degli Eserciti, ma ben sì delle Misericordie, e delle Consolationi, consolasse dunque hoggimai l'afflittissima Chiesa, e li concedesse un Pontefice, che ristorasse i danni passati, et aumentasse con la santità della sua vita, e governo, il di lei publico bene, e di tutto il Christianesimo. Havendo in simil guisa dunque l'humilissimo Religioso, più, e più volte soventemente picchiato alla porta della Divina Misericordia, fu finalmente [V, p. 151] non pure udito, ma benignamente esaudito dal gran Padre di quella; perochè apparendoli una notte, così gli disse più all'orecchie del cuore, che del corpo. Pietro ho inteso le tue voci, approvo il tuo zelo, ed accetto le tue preghiere: Scrivi per tanto al Collegio de' Cardinali, e dilli per mia parte, che se tantosto non si risolvono di fare l'elettione del nuovo Papa, l'Ira della mia Divina Giustitia, pur troppo fin qui da essi stuzzicata, contro di loro diverrà furore; e ciò detto disparve.

4 - Inteso Pietro l'Oracolo del Cielo, e volendo in ogni conto ubbidire al Divino volere, doppo havere per buona pezza pensato, a chi de' Cardinali, e come dovesse scrivere, ed accennare le minaccie dell'adirato Nume, si risolse alla perfine d'avisare con molto senso il gran segreto al Cardinale Latino Orsini, il quale era appunto Decano e Capo del sagro Colleggio et era stato altre volte suo gran famigliare, ed amico; presa dunque la penna, li diede minutamente parte di quanto era passato fra Dio, e lui, che però egli, come Capo del sagro Collegio de' Cardinali, e come zelante del publico bene di Santa Chiesa, dovesse proporre, ed intimare a gli altri suoi Colleghi le minaccie del cielo, affinchè tanto più facilmente si disponessero d'ubbidire al sovrano Monarca.

5 - Ricevuto il Cardinale un così grande aviso, tutto che ne facesse quella stima, che meritava, tuttavolta saggiamente pensò di non se ne servire, se non in tempo di qualche gran congiuntura, ed occasione, né guari stette ella a venire, perochè doppo pochi giorni, permise il Signore Iddio, che dalla Falce d'immatura Morte, venisse troncato il stame della Vita d'un Fratello dello stesso Cardinale Orsino, il più degno, e qualificato Cavaliere, che in questo tempo havesse Roma, che però la sua morte riuscì di gran dolore, non solo al fratello, ed a gli altri suoi Parenti, ma universalmente a tutti, e in particolare al sagro Collegio de' Cardinali, li quali in segno della mestitia loro, vollero essi medesimi farli solennemente il Funerale. Mentre dunque tutti insieme congregati, ed uniti stavano intorno al Cadavere di quel Cavaliere, attendendo alla pietosa funtione, è fama, che un gran Cardinale (e dicesi, che fosse il Card. Tusculano) soprafatto della consideratione di morte, che specolava in quel Cadavere presente, tutto compunto, a gli altri suoi Compagni eslamasse: Deh Reverendissimi miei Colleghi, e per qual cagione andiamo noi, per i nostri particolari interessi, più oltre prolongando, e diferendo da un'anno all'altro la Creatione del Vicario di Christo? Non temiamo forse, che il giustissimo Iddio, provocato dalle continue lagrime, e singulti di tutto il Christianesimo, che cotanto patisce in così longa Vacante, giustamente contro di noi sdegnato, non sia ben presto per severamente punire con gran castighi la nostra ostinatione? Via dunque, che facciamo, moviamoci hoggimai a pietà di un Mondo intiero, che annellante aspetta, che gli eleggiamo il Padre; rimordeci tutto il giorno la coscienza, e noi quasi insensati non sentiamo i suoi morsi; io temo grandemente, che all'improviso sopra di noi non piombi così pesante fagello, che non siamo più a tempo di rimediare a' nostri casi; Signori, io hora scarico la mia coscienza, e mi protesto davanti al giusto Giudice Eterno, che per me non istà, che non vengasi pur hora a questa tanto necessaria, e bramata elettione.

6 - Al tuono di queste voci dettate veramente dal cuore di quel zelante Cardinale, si commossero stranamente tutti gli altri; e già ne' volti loro ben dimostravano, che gli haveva in quel suo brieve discorso, ma però tutto di fuoco, di tal sorte infiammati a fare il loro dovere, che altro più non mancava fuori, che un Personaggio di sovrana autorità, che stringesse il trattato, e si venisse alla conclusione di quel grand'affare; [V, p. 152] ed ecco appunto, che il Card. Latino, vedendosi aperta una porta così ampia per iscuoprire hormai, e palesare le Divine Minaccie al sagro Colegio, con parole gravissime accompagnate da molte lagrime, così gli prese seriamente a dire: Signori miei, meglio di me sapete quanto sia grave il danno, che la Chiesa patisce per così longa Vacante, quanti siano i peccati, e quanto gravi, che si commettono senza ritegno alcuno, quando non v'è chi li reprima, e gl'impedischi con la sua autorità; sono già più di due anni, che i Fedeli sono senza Padre, e la Chiesa è senza Sposo; non si ponno a bastanza esaggerare i danni, e le ruine, che giornalmente patisce; e di tutti questi mali ne sono causa (io mi vergogno a dirlo) non già i Turchi, né gl'Infedeli, né tampoco i Principi Christiani, ma le nostre particolari Passioni, ed interessi; e siamo così ciechi, che non conosciamo, e non vediamo chiaramente il castigo, che ci sovrasta per così grand'errore? Ricordiamoci, che Iddio è ben pietoso, aspetta longhissimo tempo i Peccatori a penitenza, ma se questi fanno i sordi, ed ostinati la prolungano, egli tanto più grave, e pesante scarica sopra de' loro capi il suo Divino Castigo, quanto più longa è stata la sua Celeste Patienza. Horsù parliamo chiaro; Iddio giustamente sdegnato con essi noi, ci fa intendere per mezzo d'un suo gran Servo, che se ben presto non terminiamo i nostri vani, ed importuni litigi, e non veniamo all'elettione del suo Vicario, ci farà ben tosto provare il suo Divino Flagello. A questo così saggio, e serio discorso, disse il Card. Benedetto Caetano, che quel Servo di Dio non poteva essere stato, fuori che Pietro del Morone, a cui di buona voglia rispose il Card. Latino, che s'apponeva, ed in quel punto istesso, tratta fuori la Lettera, publicamente la lesse.

7- Appena hebbe il Card. Latino finito di leggere quella Lettera, che ella cagionò un'incredibile commottione in tutto il sagro Collegio, e perché era molto ben nota a ciascheduno la santità di Pietro, tutti riceverono quei detti, come veramente venuti dal Cielo; poscia cominciando a favellare vicendevolmente fra di loro delle rare virtù, e sante qualità di quel gran Servo di Dio, tanto in ciò s'accesero, che di repente un Cardinale di gran stima, si lasciò in questa guisa intendere a Compagni. Signori miei Reverendissimi, io tengo per costante, che non verremo mai al capo di questa benedetta elettione, se non ci risolviamo, almeno per questa volta, di creare Pontefice un Soggetto fuori del nostro Collegio, il quale sia spogliato d'ogni passione, ed interesse humano, e sia gran Servo di Dio; il che se anche viene, come facilmente mi persuado, da voi altri approvato, ed in qual Soggetto per vostra se più degno, più cospicuo, più giusto, e più santo, potiamo noi gli occhi nostri rivolgere, fuori che in questo glorioso Servo di Dio, da cui, anzi per cui il benignissimo Signore ci manda questo paterno aviso? Via, su dunque Signori, deponiamo ogni nostro particolare interesse, e solo attendiamo alla causa di Dio, e della Chiesa, e consoliamo una volta il Mondo tutto, che ansioso aspetta di vedere il suo nuovo Pastore.

8 - In così gran congiuntura, vedendosi aprire il Card. Latino un varco sì grande a suoi, già molto prima, premeditati dissegni, levossi incontinente in piedi, e disse ad alta voce: Horsù Signori, Iddio vuole in questo punto, che noi veniamo all'elettione del nuovo Pontefice, ecco il mio voto, e subito lesse un Polizzino, nel quale v'erano scritte queste parole: In Nomine Patris, et Filij, et Spiritus Sancti Amen. Ego Frater Ioannes Latinus Ostiensis Episcopus, eligo Fratrem Petrum de Murone Ordinis S. Benedicti in Romanae, et universalis Ecclesiae Episcopum, et Pastorem. La di cui risolutione fu di tanta efficacia appresso gli altri, che subito, [V, p. 153] ad esempio suo si mossero sei altri, e fecero il medesimo, due solamente stettero per un tratto sospesi, ma poscia essendo venuti due altri Cardinali Orsini, che erano fuori, vi concorsero anch'essi insieme con quelli; et essendo ancora andati i Scruttatori a ricevere i Voti degli altri Cardinali, che stavano ne' loro Palazzi infermi, gli riportarono ben tosto favorevoli; e così fu ben poi con incredibile allegrezza, e giubilo di tutti dichiarato dal Card. Decano per Sommo Pontefice F. Pietro del Morone. Successe questa miracolosa elettione non nel quinto giorno, come scrive il sopracitato D. Celestino Telera, ma ben sì nel settimo di Luglio di anno presente del 1294.

9 - Non si può credere quanto fosse grande l'allegrezza de' Perugini, quando viddero già terminata una così longa, e così noiosa vacante, e che poi intesero il Soggetto, che era stato eletto; né punto minore fu quella, che sentì tutto il Christianesimo; ed in particolare, non si puole con humana facondia spiegare il contento, che n'hebbe il Re Carlo di Napoli, il quale subito, che lo seppe, si risolse d'andare in persona a ritrovarlo, e baciarli i santissimi piedi; ed in effetto partitosi, giunse al Morone in tempo appunto, che arrivavano ancora i Legati del sagro Collegio, inviati a portar la nuova della sua elettione al Santo Padre, et insieme a pregarlo a trasferirsi quanto prima alla Romana Corte. Entrati dunque insieme, e datoli una nuova così grande, mentre stimava ogn'uno, che anch'egli sopra d'ogn'altro se ne havesse a rallegrare, né sentì all'incontro esso tanto dispiacere, che se non fosse stato per non si opporre alla volontà di Dio, che ciò haveva miracolosamente ordinato, non haverebbe già mai in alcun modo prestato il suo consenso, et accettata una così sublime Dignità. Letta per tanto la Lettera del sagro Collegio, e considerato quanto gli esponevano, gli rispose ringratiandoli di quanto havevano operato per lui, e poi gli disse, che per essere egli assai vecchio, e la stagione assai calda, non si poteva per all'hora trasferire, né a Perugia, né a Roma, che era sua intentione di passarsene nella vicina Città dell'Aquila ad essere consagrato, e ricevere il sagro Pontificale Camauro.

10 - Deliberatosi dunque di passare all'Aquila a ricevere la triplicata Corona Pontificale, ordinò, che in vece della solita Lettiga, od una generosa Chienea, o Pallafreno Reale, gli fosse apparecchiato un'humile Asinello, e sopra di quello, mal grado della Corte, volle cavalcare, essendo per un pezzo di strada condotto per le redini dal Re sudetto, e da suo Figlio, con maraviglia, e stupore di chiunque vi si trovò presente; ed il Signore Iddio per far conoscere quanto gli fosse grata l'humiltà di quel suo Servo, operò alcuni Miracoli nel camino, quali più diffusamente vengono raccontati da' Scrittori della sua Vita, e specialmente dal P. D. Celestino sudetto. Fecesi poi la sua Coronatione molto solennemente nella detta Città dell'Aquila nel giorno 29 di Agosto; e poco appresso, a persuasione del Re Carlo se ne passò con tutta la Corte in Napoli, ove ancor noi fra poco con la penna, ci portaremo a Dio piacendo.

11 - E qui gli è necessario, che procuriamo di purificare una difficoltà intorno alla Professione Religiosa di questo Santo Pontefice, prima che egli assumesse l'Habito, e la Regola del P. S. Benedetto. Gli è certissimo, che prima d'essere Benedittino, egli per longo tratto di tempo menò vita Eremitica, e non come semplice Anacoreta in questo, e quello Eremitico Tugurio, ma come vero Cenobita in compagnia di molti suoi Sudditi in un ben formato Monistero, detto volgarmente della Maiella, poco lungi dalla Città di Sulmona nell'Abruzzo. Quindi è, che havendo considerato questa sua vita Eremitica Cenobiale, alcuni Scrittori di nostro sagro istituto, si sono dati a credere, [V, p. 154] che così egli, come gli altri suoi Compagni, e Sudditi, fossero stati di Professione, e Regola Agostiniani; e ciò, tanto maggiormente hanno creduto, quanto che hanno osservato, che così egli, come gli altri, chiamavasi in quel tempo, col semplice titolo d'Eremiti senz'altro aggiunto; et essendo sempre stato questo titolo puro antonomasticamente proprio del solo Ordine Eremitano di S. Agostino, come più volte habbiamo dimostrato ne' nostri Secoli trascorsi, e massime nel Tomo 2 sotto l'anno di Christo 601 dal num. 6 fino al 30, perciò l'opinione di questi Autori non era senza qualche ragionevole fondamento.

12 - Tutto ciò non ostante, diamo pur noi il suo luogo alla verità, ed assolutamente diciamo, che se bene la sopradetta Sentenza non è destituita d'un apparente probalità, nulladimeno gli è certissimo, che S. Pietro Celestino co' suoi Compagni, prima di farsi benedettino, tutto che Cenobiticamente vivesse nel sopradetto Monistero, non fu però mai vero Religioso Regolare, né ad alcuna Regola votivamente obbligato; e questa verità faremo fra poco evidentemente palpare con una Bolla espressa d'Urbano IV data in Orvieto nel primo giorno di Giugno nell'anno 1264 e diretta al Vescovo di Città di Chieti, che era in quel tempo Nicolò della Fossa Monaco Cisterciense. In questa dunque, dice il Pontefice, che havendo supplicata la Santità Sua il Rettore degli Eremiti di S. Spirito della Maiella, li quali non erano astretti all'obbedienza d'alcun'Ordine, che degnare si volesse di darle licenza di poter prendere l'Habito, e la Regola di S. Benedetto, ed incorporare altresì al sudetto Ordine quel loro Monistero; ordina dunque il Papa al detto Vescovo, che s'informi della verità di tal fatto, e se ritrova essere così, sodisfacci il desiderio di que' Servi di Dio; ecco la Bolla del Pontefice, quale viene prodotta dall'Abbate Ughelli nel Tomo 6 della Sua Italia Sagra in Ecclesia Teatina 906, num. 34.

Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei.

13 - Venerabili Fratri Episc. Teatino, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Cum sicut ex parte dilectorum filiorum Rectoris, et Fratrum Eremi Sancti Spiritus de Maiella tuae Dioecesis fuit propositum coram nobis, quod ipsi, qui nullius Ordinis Obedientiae sunt adstricti, Ordinem B. Benedicti profiteri eique incorporari desiderant, et ipsius informari etiam Institutis. Nos eorum propositum favore benevolo prosequi cupientes, Fraternitati tuae per Apostolica scripta mandamus, quatenus si est ita, ut eis facultatem propriam suffrageris, adeout idem ordo possit ibidem perpetuis temporibus observari, eundem Ordinem in Eremum ipsam, si expedire videris, inducens eosque incorporare Ordini memorato sine iuris praeiudicio alieni. Datum apud Ubemveterem Kal. Iunij Pontificatus nostri Anno secundo.

14 - Con questa Bolla, come si convince, che S. Pietro Celestino con gli Eremiti suoi Sudditi, e Compagni, prima d'essere Benedittini, non erano vincolati con alcun Monastico Voto ad Ordine veruno; così potiamo noi probabilmente credere, che vivendo eglino Colleggialmente insieme in un'istesso Monistero, e non potendo ciò fare senza qualche soda direttione, osservassero per tanto, a beneplacito loro, e non per obbligo, la Regola del nostro P. S. Agostino; che se poi, quando si vollero legare co' Voti, non elessero l'Ordine di S. Agostino, ma ben sì quello di S. Benedetto, ciò forse fu, perché parendo la Regola nostra a quel Santo Eremita più piacevole, e mite di quella di S. Benedetto, come aspirava a maggiore perfettione, a questa per tanto, e non a quella si compiacque egli insieme [V, p. 155] co' suoi Compagni, di soggettarsi. E così in questa guisa viene a salvarsi la probabilità della Sentenza de' nostri Autori di sopra accennati.

15 - Ma tempo è hormai, che diciamo alcuna cosa del secondo miracoloso Accidente, qual dicessimo nel principio di quest'anno, haver veduto l'Italia in questo tempo, cioè, il felicissimo passaggio della Santa Casa della Beata Vergine dal Monte di Tersatto nel beato Monticello Lauretano. Devesi dunque sapere, che questo sagro Santuario, doppo essere stato per tre anni continui, e Mesi sette, sopra la cima dell'accennato Monte, a Tersatto vicino nella Dalmatia, o fosse, perché non era riverito quel Santissimo tabernacolo di Dio con quella divotione, che si richiedeva, o come più certo stimo, perché sapendo il Signor Dio, che fra poco tempo havevano da innondare verso quelle parti numerosissimi Eserciti di Barbari, non volendo però, che la S. Casa della sua Beatissima Madre, restasse ivi esposta a gl'ingiuriosi ludibrj di que' miscredenti, ordinò per tanto a gli Angeli, che trasportar la dovessero in un momento, nel mentovato Colle, in una Selva, la quale essendo d'una Signora Vedova di Reccanati, che Laureta chiamavasi, ha poi sempre perciò ritenuto il nome di Lauretana, tutto che ben due volte habbi, per divina permissione, mutato sito, e posto. Era la notte decima di Decembre, quando quel pietoso Tesoro fu nella mentovata Selva depositato da gli Angeli; et i primi, che ciò sapessero, furono alcuni Pastori, che stavano pascendo la loro Greggia in quel beato contorno; li quali havendone portato l'aviso alla Padrona del Fondo, tutto che sul principio li stimasse per sciocchi, nulladimeno, come li vidde costanti nella relatione di così gran prodigio si arrese; et essendosi in un baleno sparsa la fama di questa miracolosa comparsa della S. Casa di Maria Vergine, non solo per la Città sudetta, e per tutta quella gran Provincia della Marca, ma di vantaggio ancora per tutte l'altre dell'Italia, non si può credere quanta moltitudine di genti d'ogni sorte frequentassero a visitare quel terreno Paradiso; il che poi fecero poco appresso, et hanno poi sempre proseguito a fare tutte l'altre nationi della Christianità; tanto più che il Signor Dio non ha mai cessato, e non cessa di far continui Miracoli per l'efficacissima intercessione della sua gloriosissima Madre, a pro, e beneficio de' suoi fedeli divoti, che frequentato quella santa pellegrinatione. Vedesi ciò, che diffusamente ne scrisse l'eruditissimo Padre Oratio Torselini in un suo Libro molto divoto, e curioso; l'Angelita, et altri molti, che diffusamente ne hanno anch'essi scritto. Mentre noi fra tanto partendoci da Loreto ce ne passaremo in Napoli a ponderare alcune gratie, che furono concesse in quest'anno all'Ordine nostro dal Santo Pontefice Celestino V.

16 - La prima gratia dunque, che ritroviamo haverci concessa questo Santo Pastore, fu una Bolla amplissima, nella quale, doppo haverci confirmati tutti i nostri Privilegi, e preso l'Ordine tutto ad imitatione di molti altri suoi Predecessori, sotto la sua Apostolica protettione, ci concede in oltre, che non potiamo essere convenuti da chi che sia per qual si voglia causa, etiam di grave delitto, o di qual si sia altra ragione avanti ad alcun Giudice non solo secolare, ma né meno Ecclesiastico, salvo solo il Romano Pontefice, quale solamente dichiara essere il nostro Giudice, e Superiore immediato, annullando fin dall'hora, con tutta la pienezza della sua Apostolica potestà, tutte le Sentenze, ed i Processi, tanto spirituali, quanto temporali, che fossero, o potessero essere stati formati contro l'Ordine nostro, tanto in universale, quanto in particolare, con molte altre clausole grandemente favorevoli, ed honorevoli. Fu data questa Bolla in Napoli a' 27 di Novembre l'anno primo del suo [V, p. 156] Pontificato, e si legge nel Bollario nostro Agostiniano a car. 100 et è la seguente:

Celestinus Episcopus Servus Servorum Dei.

17 - Dilectis Filijs Priori Generali, et Fratribus Eremitarum Sancti Augustini, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Dum solicitae considerationis indagine perscrutamur, quod vos, mundi spretis illecebris, voluntarie Religionis subire onera, ut Christi obsequijs liberius insistatis, elegistis, abnegando (quamvis salubriter) vosmetipsos. Dum etiam intra mentis arcana revolvimus, quod Ordo vester in Agro Dominico superna dispositione plantatus, uberes in hortum Domini fructus infert; quodque salutis commoda grandia ex vestrae solicitudinis studio, quod laudabiliter continuare fatagitis, fidelium proveniat animabus, dignum et rationi conveniens arbitramur, ut vos dictumque Ordinem oportuni favoris prosequamur auxilio, et specialis gratiae privilegio muniamus. Ex parte siquidem vestra fuit propositum coram nobis, quod vobis, et Ordini vestro nonnullas libertates, Privilegia, et Immunitates Apostolicae Sedis benignitas duxit hactenus concedendas, quae quidem omnia auctoritate Apostolica tenore praesentium ex certa scientia confirmamus; sed quidam vestrae quietis otio invidentes, super eis vos, et Ordinem ipsum molestant multipliciter, et perturbant, propter quod vobis facultas adimitur, libere divinis obsequijs insistendi. Quare suppliciter petebatur a nobis, ut vobis, et eidem Ordini vestro super ijs providere de benignitate solita dignaremur. Nos itaque diligentius attendentes, quod eo efficacius, et commodius cultui divinorum salutis operibus, et animarum profectibus intendere, et vacare poteritis, quo quietior, et tranquillior fuerit status vester. Volentes quoque praerogativa favoris, et gratiae vos, et Ordinem prosequi memoratum; vos et praedictum Ordinem, Personas, et Ecclesias, Oratoria, Domos, res alias, et loca vestra, ac spectantia ad eadem in quibus inhabitatis, et inhabitabitis, cum omnibus iuribus, et pertinentijs suis, a cuiuscumque Dioecesani, vel cuislibet alterius iurisdictione, ac potestate omnimoda in perpetuum prorsus eximimus de gratia speciali; ita quod vos nec ratione delicti, neque rei, de qua agitur, neque ratione contractus neque alia ratione quacumque valeatis coram quocumque Ecclesiastico, vel saeculari Iudice quomodolibet impeti, conveniri, seu etiam molestari, sed in supradictis casibus ad Sedem Apostolicam habeatur recursus. Decernentes ex nunc eundem Ordinem, ac Personas, Ecclesias, Oratoria, Domos, et loca praefata, et pertinentia ad eadem soli Romano Pontifici, et Romanae Ecclesiae, tam in spiritualibus, quam temporalibus absque ullo medio subiacere. Omnes quoque sententias, ac processus spirituales, et temporales, contra vos, et vestrum Ordinem, Personas, Ecclesias, Oratoria, Domos, et Loca, praefata, ac spectantia ad eadem, auctoritate Apostolica de speciali gratia, et ex certa scientia tenore praesentium de potestatis plenitudine relaxamus. Nulli ergo, etc. Datum Neapoli quinto Kalendas Decembris, Pontificatus nostri Anno primo.

18 - Concesse ancora nello stesso giorno un'altra Bolla, nella quale diede facoltà, alli nostri Generali pro tempore, ed anche a Provinciali, e Diffinitori, di potere dar facoltà, quelli ne' Capitoli Generali, e questi ne' Provinciali, a Frati soggetti alla loro giuridittione, pur che siano sufficientemente instrutti nelle sagre Lettere, e siano idonei, di predicare liberamente in ogni luogo del Christianesimo la parola di Dio a Popoli fedeli, et ascoltare le Confessioni de' Peccatori, pur che questi [V, p. 157] una volta l'anno si confessino da' suoi Parochi conforme i Decreti del gran Concilio Generale, inteso per il Lateranense, celebrato sotto Innocenzo III. Leggesi questa pure stampata nel sudetto Bollario Agostiniano a car. 103 et è la seguente.

Celestinus Episcopus Servus Servorum Dei.

19 - Dilectis filijs Generali, et Prioribus Provincialibus Ordinis Fratrum Eremitarum S. Augustini, salutem, et Apostolicam benedictionem. Ad fructus uberes, quos in Agro Dominico, producendo verbo pariter, et exemplo, Confessiones audiendo, et alia virtutum exercitia, satis Ordo vester, et humiles ipsius Ordinis Professores produxerunt hactenus, et in futurum (Deo auspicie) producturi, attente considerationis aciem convertentes, quod Fratres eiusdem Ordinis Praedicationis, et audiendi Confessiones, et officia eo liberius, et efficacius exequi valeant, quo certius de ipso cura eadem auctoritate constabit. Tibi fili Prior Generalis, per te, vobis vero Provincialibus Prioribus, et Deffinitionibus in Provincialibus vestris Capitulis Congregatis committendi Apostolica auctoritate Fratribus eiusdem Ordinis, in sacra pagina eruditis, et approbatis a vobis, praedicationis officium, audiendi Confessiones, absolvendi confitentes, iniungendi eis poenitentias salutares, et etiam alijs Fratribus idoneis concedendi; eidem quoque saepefatis Ordinis Fratribus, quibus dicta officia per vos taliter commissa, sive concessa fuerint, quod eadem liberius valeant exercere, plenam damus, et concedimus, auctoritate Apostolica, facultatem. Districtius inhibentes, ne quis Fratres ipsius Ordinis, quibus dicta officia taliter concedenda duxeritis, prout praemittitur, sive etiam substituendos in executione officiorum ipsorum, audeat quomodolibet impedire. Volumus autem, quod ij qui Fratribus eisdem confitebuntur, suis Parochialibus Presbyteris confiteri saltem semel in anno, prout generale Concilium statuit, nihilominus teneantur; quodque ijdem fratres eos ad hoc efficacius, et diligentius secundum datam eis a Domino gratiam exhorentur. Nulli ergo etc. Datum Neapoli quinto Kalendas Decembris Pontificatus nostri Anno primo.

20 - Appena erano scorsi otto giorni doppo la data delle sudette due Bolle, quando il nostro P. Generale dell'Ordine comparve davanti il benignissimo Pontefice, ed humilmente gli espose, che non ostante, che la Santità Sua, e moltissimi altri Sommi Pontefici suoi predecessori havessero all'Ordine nostro concesse Privilegi amplissimi, e Gratie singolarissime, nulladimeno gli erano sempre state contrastate con grandissima violenza da molti perversi Secolari, et invidiosi Ecclesiastici, e se ciò mai era stato con maggior perfidia, tanto era appunto in questo tempo, che però conoscendo egli, che l'Ordine per la sua professione, humiltà, e poca forza, non poteva da se stesso reprimere una tanta malvagità, riccoreva per tanto a' suoi bengnissimi piedi, suppllicando la Santità Sua a concederli un Cardinale, il quale, come altre volte erasi costumato, con la potenza, ed autorità sua, proteggesse, e difendesse l'Ordine dalle violenze, et offese de' maligni, e perversi invidiosi, che all'incontro si esibiva egli con tutto il suo Ordine, di continuamente pregare per lo felicissimo stato di S. Chiesa, e per la conservatione, e salute della Sua Beatissima Persona.

21 - Rimase il buon Pontefice attonito in sentire, che si ritrovassero huomini cotanto temerarj, che havessero ardimento d'opporsi a' Privilegi, ed impedire le Gratie, che venivano fatte dalla Santa Sede alle sagre Religioni, [V, p. 158] laonde tutto di santo sdegno ripieno, spedì subitamente un'amplissima Bolla diretta a Pietro Colonna Diacono Cardinale di Sant'Eustachio, grand'Amico, e Benefattore dell'Ordine, quale è anche da credere, che fosse al Papa proposto dal Santo Generale, come quello, che era di sua famiglia, ordinandoli, che egli come Protettore, e difensore dell'Ordine Agostiniano, dovesse di buon senno prendere la tutela, e difesa di quello, opponendosi gagliardamente a chiunque troppo ardito, e temerario tentasse di volere offendere, o molestare in qual si sia, benchè minima cosa, questa sagra Religione; o volesse impedire l'esecutione de' Privilegi, e delle Gratie, che gli erano state concesse così da esso, come da tutti gli altri Sommi Pontefici suoi Predecessori, quali egli di nuovo confirmava tutti, con tutta la pienezza dell'Apostolica potestà, dandoli ampia facoltà di Scommunicare, castigare i protervi, e contumaci; imponendoli in oltre, che facesse loro rifare qual si voglia danno, che gli potesse esserestato fatto per lo passato, con molte altre clausole molto ampie, come più chiaramente può ciascheduno vedere nella qui seguente Bolla stampata pure anch'essa nel Bollario Agostiniano a carte 101 e fu data in Napoli a 5 di Decembre, otto giorni appunto prima che egli facesse la rinuncia memorabile del Sommo Pontificato con gran meraviglia di tutto il Christianesimo. La Bolla poi è la seguente:

Celestinus Episcopus Servus Servorum Dei.

22 - Dilecto filio Petro S. Eustachij Diacono Cardinali, salutem, et Apostolicam benedictionem. Ex parte dilectorum filiorum Prioris Generalis, et Fratrum Ordinis Eremitarum S. Augustini nobis humiliter porrecta petitio continebat, quod licet diversas immunitates, libertates, et privilegia a diversis Summis Pontificibus praedecessoribus nostris, necnon, et a nobis fuerint consequuti; multi tamen saeculares, et Clerici contra supradictas immunitates, libertates, ac privilegia, ac alias multipliciter ipsos Priorem, et Fratres, ac Oratoria, et Loca dicti Ordinis, ac spectantia ad eadem, multipliciter iniuriose impetere, ac praesumptuose molestare diversimode non formidant, propter quod provideri eis, et eorum Ordini super hoc per Apostolicae Sedis misericordiam supplicarunt. Nos igitur huiusmodi malignorum audacijs, et conatibus obviare volentes, ac eiusdem Ordinis statui, et eorumdem Prioris, et Fratrum quieti salubriter providere, tibi, quem ab experto cognovimus ad praedictos Priorem, ac Fratres, ac Ordinem gerere syncerae Charitatis, et dilectionis affectum, volentes eorum indemnitatibus salubriter providere, ac attendentes multiplicia dona virtutum, quibus te bonorum dator eximius decoravit, sperantes quod et tui providi maturitate cosilij, quod in multis, et arduis iugiter experimur, ea quae tuis humeris committuntur a nobis, providenter, solicite, discrete, et laudabiliter exequaris; et intendentes, ut ea, quae in praesentiarum Ordo, et Fratres, ac oblati eorum obtinent, aut in futurum eos (dante Domino) obtinere contigerit, illibata, et integra conserventur, recuperentur deperdita, et collapsa nihilominus restaurentur; Te praedictorum Ordinis Fratrum, et oblatorum suorum bonorum, locorum, privilegiorum, libertatum, immunitatum, exemptionum, et iurisdictionum, et universorum iurium eorundem, Defensorem, et Conservatorem auctoritate Apostolica tenore praesentium fiducialiter statuimus, facimus, et etiam ordinamus. Plenam tibi licentiam, et potestatem, et liberam tenore prasentium auctoritate simili concedentes, ut contra occupatores, invasores, damnificatores, iniuriarores, sive molestatores tam praesentes, [V, p. 159] quam futuros dictorum Ordinis, Fratrum Confraternitatum, oblatorum iurisdictionum, Privilegiorum, immunitatum, et exemptionum, quae quidem Privilegia, libertates, et exemptiones quorumcumque tenorum extant, tenore praesentium auctoritate Apostolica, et certa scientia confirmamus. Bonorum quoque, et Iurium quorumcumque ubicumque et in quibuscumque consistant ad Ordinem pertinentium antedictum, quoties super huiusmodi occupationibus, invasionibus, damnis, iniurijs, sive molestijs contra praedictos Ordinem, personas, et bona iam commissis, vel de caetero committendis illatis hucusque, aut in posterum inferendis, fueris requisitus, et videris expedire, etiamsi super iis causa, vel causae in Romana Curia pendeant coram quibuscumque personis, aut extra Apostolica, vel alia quavis auctoritate, ex officio summarie sine strepitu, et figura iudicij, indagine (ut videbitur) praemissa, sive per facti evidentiam, sive alias ex quacunque causa patuerit, occupatores, invasores, damna inferentes, iniuriatores, et molestatores eosdem, Clericos, et Laicos cuiuscumque sint praeminentiae, status conditionis, aut gradus, cessantibus quibuscumque Privilegijs, ipsis, vel eorum alicui, sub quavis verborum forma, vel expressione concessis, ut invasa, capta, et occupata restituant, et de damnis, iniurijs, et molestis, plenam ea passis infra terminum, quem tu videris prefigendum, satisfactionem impendant, et a similibus abstineant in futurum, per te, aut alium, seu alios auctoritate nostra monere procures, eos, et eorum quemlibet per censuram Ecclesiasticam appellatione posposita compescendo, ac alias procedendo spiritualiter, et temporaliter contra eos, et eorum quemlibet invocando ad hoc (si opus fuerit) auxilium brachijs saecularis, et contra invocatos (si non obediant, sive Civitas fuerit, sive Collegium, sive Communitas, sive Castrum, sive alia singularis persona, eiuscumque praeminetiae, status, ordinis, aut conditionis existant) per interdicti, Privilegiorum quoque privationem, aut excommunicationis, et alias spirituales, et temporales sententias compellendo, ac alias aggravando contra eos nihilominus manum tuam prout exegerit protervia eorundem, et videris expedire. Super praemissis quoque omnibus, et eorum singulis, illos ad tuam, aut eius, aut eorum, cui vel quibus vices tuas commiseris in praemissis, aut aliquo praemissorum, praesentium personaliter citare procures, si personalem comparitionem tua discretio viderit oportunam, contradictores auctoritate nostra appellatione posposita conpescendo. Non obstante constitutione de duabus dietis edita in Concilio generali, seu quibuslibet alijs Privilegijs, Indulgentijs, seu Statutis, per quae effectus praesentium in toto, vel in parte impediri posset in aliquo, vel etiam retardari. Volumus autem quod a data praedentium, huiusmodi tua iurisdictio super praemissis incipiat, et perpetuationem accipiat, illamque perinde obtineat roboris firmitatem, ac si per citationem, vel alium actum, seu modum perpetuata legitumum extitisset. Nulli ergo omnino hominum liceat, etc. Datum Neapoli nonis Decembris, Pontificatus nostri Anno primo.

23 - Attesta parimente il dottissimo P. Errrera, che il medesimo Celestino confirmasse con un'altra sua Bolla tutte le gratie, et indulti, che erano per l'adietro stati concessi da gli altri suoi Predecessori alla Chiesa, e Monistero nostro di S. Agostino della nobilissima Città d'Avignone in Francia; e dice, che questa Bolla si conserva nell'Archivio di detto Convento sotto il numero 71, non assegna però né il Mese, né il giorno della Data di detta Bolla. Quindi inserisce con evidenza in vero il sudetto Historico, che questo Monistero sia molto più antico di quest'anno; perochè altrimente non haverebbe havuto occasione il Papa di confirmarli i suoi antichi Privilegi. [V, p. 160] Quanto poi prima d'hora egli fosse stato fondato, senz'altra luce maggior di questa, non ci potiamo arrischiare di dirlo.

24 - Hor mentre non solo la nostra Religione, anzi pure la Chiesa, e l'Universo tutto, sotto il governo d'un Pontefice così Santo, godeva una specie di Paradiso in terra, ecco che di repente, contro l'aspettatione di tutti, a 13 del Mese di Decembre, stando pure tuttavia in Napoli, fa chiamare a Concistoro i Cardinali, a quali imposto prima un rigoroso silentio, e commandatoli appresso, che niuno di loro havesse ardire d'interrompere, e di contradire a quanto egli in quel punto intendeva di dire, e di fare; alla perfine cavatasi della manica una carta nella quale haveva scritta la rinuntia solenne del Sommo Pontificato, con voce alta, e sonora, e con fronte serena la lesse, et era appunto del seguente tenore: Ego Caelestinus Papa Quintus motus ex legittimis causis, idest causa humilitatis, et melioris vitae, et coscientiae illesae, debilitate corporis, defectu scientiae, et malignitate Plebis, infirmitate personae, et ut praeteritae consolationis possim reparare quietem; sponte, ac libere cedo Papatui, et expresse renuncio loco, et Dignitati, oneri, et honori, et do plenam, et liberam ex nunc sacro caetui Cardinalium facultatem eligendi, et providendi duntaxat Canonice universali Ecclesiae de Pastore.

25 - Al rimbombo di una così inaspettata novità come rimasero li Cardinali in sommo grado attoniti, e storditi, così non mancarono contro il divieto fattoli, di procurare con varie ragioni, et argomenti di frastornare il Santo Pontefice da così strana risolutione, ma come finalmente videro, che egli più che mai fermo, e stabile si stava nella sua, già molto bene da esso considerata, e maturata deliberatione, lo supplicarono, che almeno si degnasse di fare un Pontificio Decreto, in cui dichiarasse, che si come li Vescovi, e gli altri Prelati, possono rinunciare nelle mani del Pontefice le loro Chiese, e Dignità, con sicura coscienza, ogni qualunque volta, che conoscano, così essentialmente richiedere la necessità, et il ben publico di quelle, così anche puole il Romano Pontefice per le medesime cagioni rinonciare volontariamente nelle mani dell'Apostolico Collegio la sua sovrana Dignità; dichiarandosi finalmente essi, che questa istanza li facevano, acciò per avventura, per la malitia degli huomini non succedesse qualche Scisma nella Chiesa di Dio; la quale istanza, come paresse molto ragionevole al Santo Padre, così ben tosto fece il richiesto Decreto, il quale poi dal di lui successore fu inserto nel sesto de' Decretali nel capitolo primo de Renunciatione.

26 - Havendo dunque in questa guisa sodisfatto alla giusta richiesta, li diede poi anche appresso libera facoltà d'eleggere nuovo Pastore, il quale fosse più habile di lui a potere sostenere il gravissimo incarico dell'Ecclesiastico Cielo; doppo di che spogliatosi affatto di tutti gli ornamenti Pontificali, si fece vedere come prima, in habito di semplice Monaco. Li Cardinali poi essendo entrati in Conclave, indi a dieci giorni soli, come piacque a Dio, elessero in suo luogo il Cardinale Benedetto Gaetano d'Anagni, soggetto sopra tutti gli altri sapientissimo, a cui subitamente andò con allegro sembiante a baciare i sagri Piedi, l'humilissimo F. Pietro del Morone, con gran meraviglia, e tenerezza insieme di chiunque vidde, una così eroica attione. Havendo poi egli chiesta licenza al sudetto Pontefice di far ritorno al suo amato Convento della Maiella, et essendoli stata negata da Sua Santità, per giuste cagioni, quegli temendo di qualche strano accidente, celatamente fuggendo, nell'amato Monistero ben tosto si portò; la qual cosa come riseppe il Pontefice, dubitando, che da' malevoli non fosse di nuovo sollevato nel Trono, e [V, p. 161] nascesse perciò Scisma nella Chiesa di Dio, a sè ben tosto lo richiamò; ma egli, che bramava di vivere quietamente nella sua Monastica Religione, pur anche celatamente dalla Maiella partendosi, s'incaminò alla volta del Mare, con pensiero di farsi traghettare nella Dalmatia; ma perché il Prefetto di Roma, da molti suoi Ministri lo faceva tracciare per ordine del Pontefice, facilmente cadde nelle mani d'una truppa di quelli, e subito fu dal sudetto Prefetto mandato con buona custodia al Pontefice, il quale, per liberarsi una volta per sempre da tanti sospetti, lo mandò, come prigione nella Rocca di Fumone, ove poi stette fino alla morte, la quale successe l'anno 1296 come all'hora notaremo. Vedansi tutti gli Analisti della Chiesa, e del Secolo.

27 - Per far dunque ritorno al filo della nostra Agostiniana Historia, quale habbiamo sospesa per brieve tratto, per descrivere la maravigliosa rinuncia del Santo Pontefice Celestino, gli è da sapersi, che in quest'anno si celebrò il Capitolo Provinciale della Provincia Romana nel Convento della Città di Veruli nella Campagna, sotto il Vicariato Generale, o Presidenza di F. Roberto da Monte Rubiano della Provincia della Marca d'Ancona, il quale in questo tempo era Lettore nello Studio Generale di Roma, fu eletto Provinciale F. Giacomo Romano, il quale attualmente era Priore di S. Trifone. Non saprei però veramente dire, se questi fosse quel F. Giacomo Colonna, che un'altra volta era stato eletto per compromesso, da Egidio della stessa Casa Colonna, mentr'era ancora Baccilliere, in un Capitolo celebrato nel Convento di Cora l'anno del Signore 1283, come all'hora anche accennassimo, o se fosse un altro F. Giacomo pure Romano, ma però di Casa Sassi, del quale spesse volte havremo occasione di favellare negli Anni avenire; io però più tosto stimo, che egli fosse primo.

28 - In questo Capitolo fu da' Padri accettato un nuovo Convento per la Religione, e fu incorporato alla Provincia Romana; fu egli questo il Convento di Cerqueto nel Contado di Perugia, il quale poscia in progresso di tempo, si divise da questa, e s'incorporò alla provincia dell'Umbria, come anche si fece dello stesso Monistero di Perugia; delle quali divisioni ne parlaremo a suo tempo dovuto. Chi poi fosse il Fondatore, chi lo dasse all'Ordine, con altre circostanze, non lo potiamo dire, perché l'accennato Registro non dice di vantaggio di quel che habbiamo scritto di sopra; solo diciamo per hora di passaggio, che ben presto si fece conoscere per Padre secondo d'un insigne Religioso, che molto illustrò la Religione; e fu per appunto il Beato Antonio da Cerqueto, di cui a suo tempo, così piacendo a Dio, tesseremo la Vita.

29 - Habbiamo ancora in quest'anno la Fondatione del Convento insigne della Città di Monaco, fondato fuori delle mura vecchie nella Piazza, o foro Neushasiano, che hoggi ritrovasi dentro del nuovo recinto, da F. Ottone di Volburch, a cui essendo stato donato un sito, a proposito per la Fondatione, da Lodovico e Rodolfo Duchi di Baviera, o più tosto (come scrive l'Aventino nel libro 7 degli Annali de' Boi, et il Schedelio) Lodovico, che poscia fu Imperatore, fu quello, che ci fondò di suo questo Convento. A questa Fondatione vi concorse il consenso d'Emicone Conte di Morburg Vescovo, et ordinario Frisingense, il quale con sue Lettere sigillate, che incominciano, Cum Religionem sacram, etc. e furono date in Vernigen a 31 di Marzo in quest'anno 1294, diede ampia facoltà di proseguire l'accennata Fondatione.

30 - Finita, che fu di fabricare la Chiesa, et anche parte del Convento, il che seguì in pochissimo tempo, fu altresì consagrata alla presenza [V, p. 162] degl'istessi Duchi di Baviera, come vogliono alcuni, il Cimitero, e l'Altare maggiore in honore di Dio, e di S. Giovanni Evangelista, e del P. S. Agostino, havendo prima consagrata nel giorno istesso anche la Chiesa de' PP. Francescani; e ciò dicono gli Autori essere avvenuto nel secondo giorno di Maggio, et il Vescovo sudetto fu quello, che fece la consagratione. Discordano però fra di loro gli Autori, perochè alcuni, come Uviguleo Hund nella sua Metropoli Salisburgense a car. 217 dice, che il detto Vescovo, doppo havere consagrato il Choro de' PP. Francescani, andò poi nel tempo istesso a benedire, o consagrare il Cimitero degli Agostiniani. Il Gonzaga Francescano nella terza parte della sua Historia di S. Francesco a car 714, riferendo anch'egli questa medesima funtione Episcopale, scrive, che la prima Domenica, doppo la Festa de' SS. Apostoli Filippo, e Giacomo, il Vescovo Frisingense, doppo havere con gran solennità consagrato la Chiesa de' PP. di S. Francesco, così vestito come era in Pontificale, et a piedi accompagnato dalli stessi Duchi di Baviera, e seguito da tutto il Popolo della Città, se ne passò alla Chiesa de' PP. di S. Agostino, e benedisse con l'istessa pompa solenne, non la Chiesa, né il Choro, ma il semplice Cimitero. A me però arride l'opinione dell'Aventino, il quale assolutamente dice nel luogo sopracitato, che nello stesso giorno furono dal Vescovo medesimo consagrate le due Chiese de' PP. Francescani, et Agostiniani; et a dire il vero, perché il Vescovo haveva da consagrare la Chiesa de' PP. Francescani, e non quella degli Agostiniani, ma solo il loro Cimitero? se bene però anche questo potrebbe stare forse, perché non era ancor finita di fabbricare la nostra Chiesa, che però solo benedisse per all'hora il Cimitero.

31 - Riferisce anche il Milensio nel suo Alfabeto Germanico Agostiniano, che in quest'anno medesimo Benedetto Vescovo della Chiesa Albense, concesse alcune Indulgenze al nostro Monistero di Marchek, del quale più volte habbiamo in questo Secolo favellato, in riguardo delle molte gratie, e favori ricevuti da altri Prelati, così dell'Ordine nostro, come da molti altri ancora di diversa professione; non dice però il Milensio, se questo Benedetto fosse dell'Ordine nostro, come né meno l'Errera, che pur anche ne produce la memoria nel suo Alfabeto.