Tomo V

Anni di Christo 1295 - della Religione 909

1 - [V, p. 162] Lasciassimo scritto, e notato verso il fine dell'anno scorso, come il Santo Religioso Pietro del Morone, non havendo potuto ottenere dal Pontefice Bonifacio, doppo la sua rinuncia, di far ritorno alla quiete del suo Monistero, nascostamente, senz'altro dire, colà se ne passò; e come altresì il Pontefice, temendo di qualche gran disturbo nella Chiesa, lo fece prendere, e condurre carcerato nella Rocca di Fumone. Hor mentre dunque si dava a credere, che in questa guisa si dovessero quietare i sussurri, e le mormorationi, che di lui publicamente facevansi, ben tosto s'accorse, che il rimedio erale riuscito assai peggiore di quel male, che egli prima temeva; attesochè vedendo i mal contenti, et i seditiosi, che Bonifacio haveva fatto carcerare il povero Celestino, moltiplicarono a mille doppj le maledicenze, e le mormorationi, con dire specialmente, che conoscendo molto ben'egli non essere stata valida, né spontanea la [V, p. 163] rinuncia del Papato fatta da quel semplice, ma però santissimo Vecchio, l'haveva però egli fatto carcerare, per farlo ivi miseramente morire, ed in questa guisa goder egli doppoi il sovrano posto di Sommo Pontefice, con pessime arti da esso occupato. E non contenti d'andare in così fatto modo que' maligni cicalando contro il buon Pontefice, presero di vantaggio le penne, e si studiarono di scrivere, e di provare con vari soffistici Argomenti, che Celestino non haveva potuto rinunciare quella sovrana Dignità, la quale essendo un carattere Celeste impresso nell'Anima non meno del Sacerdotio, non si poteva perciò da quella in verun conto cancellare; e che havendo anche ricevuta la Pontificia Potestà dalle mani di Dio, non poteva in altre mani, fuori che in quelle dello stesso Dio rinunciarla, il che far non si poteva se non per mezzo della morte. Con questi soffismi dunque, e con altri molti, che si possono leggere dagli Eruditi appresso il nostro B. Egidio, e nella Somma de Ecclesiastica potestate del nostro B. Agostino Trionfi d'Ancona, procuravano questi empj di sconvolgere, e di porre in iscompiglio tutta l'ecclesiastica Gerarchia.

2 - Ma Bonifacio, che era un personaggio di gran spirito, e cuore, et era altresì molto dotto, e sapiente, s'oppose ben tosto all'impeto temerario di quegl'ignoranti Teologastri, ordinando ad alcuni sapientissimi Teologi, che dovessero rispondere alle soffistiche chimere de' setidiosi, e porre in chiaro la verità delle sue ragioni. E fra questi uno fu il nostro Reverendiss. Gen. Egidio Colonna, il quale prontamente ubbidendo al Santo Padre, prese la dotta penna, et in pochi giorni, col divino agiuto, compose il bellissimo Libro de Renunciatione Papae; e se bene gli altri Dottori formarono anch'essi alcuni Trattati assai dotti, ed efficaci dell'istessa materia, nulladimeno, quando fra essi comparve il Libro del grand'Egidio, parve per appunto un luminoso Sole, il quale, come fece meno comparire lo splendore della Dottrina degli altri Teologi, così poi totalmente disfece, e dissipò le tenebrose nubi degli Avversarj, le quali minacciavano una fiera tempesta alla Chiesa di Dio. Laonde, come il Santo Pontefice, si conobbe per questo gran servigio in sommo grado tenuto al dottisssimo Generale, così lo volle ben tosto generosamente premiare; che però essendo all'hora vacato l'Arcivescovato Bituricense, Metropoli, e primato dell'Aquitania, ne volle perciò honorare il grand'Egidio, con mandarlo appunto Arcivescovo di quella nobilissima Metropoli, e primate di tutta la sudetta Provincia. E se bene haverebbe potuto creare in luogo suo un Vicario Generale Apostolico, non lo volle però fare, ma ordinò al sudetto Arcivescovo già consagrato, che dovesse proseguire a governare la Religione fino al Capitolo Generale, che già era stato intimato per il Mese di Giugno di quest'anno medesimo nella Città di Siena.

3 - In questo mentre essendo arrivate al B. Generale le querele di Varj Superiori contro alcune Religioni Mendicanti, li di cui Superiori in diverse parti della Christianità tentavano di fondare Conventi più vicini a nostri di quello era stato vietato loro da alcuni Sommi Pontefici, perciò fece egli subito ricorso al buon Pontefice Bonifacio, e con grande istanza lo supplicò a volere, con sua espressa Bolla, proibire di nuovo simili attentati a qual si sia degli Ordini Mendicanti; laonde la Santità sua per sodisfare al debito della buona giustitia, et anche per fare cosa grata al sudetto Generale, da cui pur poco dianzi era stato così ben servito, con il bel Libro composto da esso in comprobatione della legittima, e spontanea rinuncia fatta da Celestino V spedì ben tosto una gratiosa Bolla nella quale proibì a qual si sia degli Ordini mentovati, il fondare Monisteri in minore [V, p. 164] distanza di 140 canne, da doversi misurare anche per aria, sotto pena della demolitione de' Luoghi fondati. La Bolla fu data nel Laterano a 19 di Febraio l'anno primo del suo Pontificato, et è registrata nel Bollario del P. Empoli a car. 48 et è la seguente:

Bonifacius Episcopus Servus Servorum Dei.

4 - Dilectis filijs Generali, alijsque Provincialibus, Prioribus, ac universis Fratribus Ordin. Eremitarum S. Augustini, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Ad consequendam gloriam Coelestis patriae, sic divina pietas, per suam gratiam humilitatem vestram cernitur allexisse, quod semper ad hoc intenti estis, et vigiles, ut illam vobis, et proximis per innocentis vitae studium acquiratis. Haec, et alia sancta pauperrimae Religionis vestrae merita Nos inducunt, quod simus ex intimo cordis affectu soliciti, ut in omnibus, quae ad laudem Dei, et tranquillum statum devotionis vestrae cupitis, habeamus providentiae studium efficacis. Sane non sine quadam turbatione animi frequenter audivimus, quod inter vos, et Religiosos aliquos illa de causa aemulationis, et diffensionis materia oritur, quod ipsi Domos, et Ecclasias Regulares iuxta loca vestra non sine gravi vestro praeiudicio, et scandalo manifesto quandoque construere praesumebant. Cum itaque ab Apostolici spectet officij dignitatem, de Regno militantis Ecclesiae cuilibet scandali materiam abolere, Nos digne volentes, quod huiusmodi aemulationis, et diffensionis occasio per diligentiae nostrae studium amputetur; auctoritate praesentium ordinamus, et districtius inhibemus, quod nulli liceat amodo de Minorum, Praedictorum, Poenitentiae Iesu Christi, Sanctae Mariae de Monte Carmelo, Sanctae Clarae, alijsque Ordinibus in paupertate fundatis, nullique mulierum de praedictis, seu quibuslibet alijs Ordinibus, aliquod Monasterium, Ecclesiam, vel Oratorium aedificare, seu constuere, nulli quoque saeculari, vel Religioso cuiuscumque professionis, Ecclesiam, vel Monasterium, seu Oratorium iam aedificatum in aliquem transferre de Ordinibus memoratis infra spatium centum quadraginta cannarum a vestris Ecclesijs mensurandarum per aerem etiam, ubi alias recte mensurari loci dispositio non permittit. Praeterea statuimus, ut quidquid contra huiusmodi ordinationis, et inhibitionis nostrae tenorem ex nunc in antea aedificatum fuerit diruatur; et ne de notitia Ordinum, et quantitate cannarum huiusmodi aliqua possit dubitatio exoriri; illos Ordines intelligi volumus in pauperte fundatos, qui ex Regula, vel Constitutionibus suis extra septa Ecclesiarum, Monasteriorum suorum, vel officinarum eorum, et clausuram ipsorum nullas debent possessiones habere. Quod si aliquis de Ordinibus ipsis possessiones in aliquibus membris suis habere, in alijs vero non habere noscatur; eum ad ordinationem, et inhibitionem huiusmodi de praedictis Ordinibus in paupertate fundatis, annumerari volumus, et quamlibet cannarum ipsarum octo palmorum longitudinem continere. Non obstantibus varia locorum consuetudine, seu Privilegijs, Indulgentijs, sive Litteris quibuscumque tam supradictis, Ordinibus, quam mulieribus, vel alicui eorum ab Apostolica Sede sub quacumque forma concessis, seu etiam concedendis, quae de praesentibus specialem, et expressam non fecerint mentionem. Nulli ergo omnino hominum liceat, etc. Datum Laterani undecimo Kalendas Martij, Pontificatus nostri Anno primo,

5 - Occorse parimente in questo tempo, che essendo nata una gravissima controversia tra il Decano, et il Capitolo della Cattedrale della Città d'Osnaburgo Provincia di Sassonia, et il Priore, e Frati del Monistero della stessa Città dell'Ordine nostro di S. Agostino, [V, p. 165] per causa, che il sudetto Decano, e Capitolo d'Osnaburgo, pretendendo, senz'alcun'ombra di verità, che i nostri Padri havessero edificato il Convento loro nel fondo del sudetto Capitolo, doppo la denuntia fattali, mediante un tiro di pietra, come dicevano: istavano per tanto, che il tutto si havesse a demolire, e citavano i Padri a sentire il giudicio davanti il Tesoriere della predetta Chiesa d'Osnaburgo, deputato Giudice di questa Contoversia dal Vescovo della stessa Città, ma protestandosi i Padri di quel Monistero, che essi non potevano essere convenuti davanti ad alcun Giudice non delegato dalla S. Sede, alla quale sola erano essi immediatamente Sudditi; nè volendo il Tesoriero suddetto ammettere la loro ragione, trattava di proseguire il giudicio, contro ogni giustitia; il che vedendo i nostri Religiosi, s'appellarono in ogni caso alla Sedia Apostolica, rappresentando il torto grande, che pretendevano di far loro il Vescovo, ed il Tesoriere sudetto contro i Privilegi amplissimi, che gli erano stati concessi da' suoi Predecessori; che però pregavano la Santità Sua, che volesse nominare un Giudice, che dipendesse immediatamente da essa, il quale senza passione, vedesse le ragioni delle parti, e giudicasse poi rettamente a favore di chi havesse ragione.

6 - Si mosse a pietà il benignissimo Pastore di que' poveri Padri, e tostamente spedì una Bolla al Prevosto, Decano, et All'archidiacono di Rostria, nella Chiesa di Brema, nella quale gli ordinò, come a suoi Delegati, che dovessero citare a Brema le parti interessate, et ascoltare le loro ragioni, e giudicare poi conforme il giusto, et il dovere, a favore di chi havesse più ragione, senza ammettere alcuna appellatione; sforzando anche per via d'Ecclesiastiche Censure, ciascheduna delle parti, all'osservanza di quanto essi per giustitia havessero sententiato, e decretato doversi fare; dandoli facoltà di procedere con l'istesso rigore, contro i testimonj, che saranno nominati, se per gran odio, o timore, ricusassero di comparire, doppo essere stati citati a dire la verità. Fu data anche ella questa questa Bolla nel Laterano alli 11 di Marzo, come attesta il P. Empoli nel suo Bollario a car. 42 e non nel Mese di Maggio, come scrive il P. Errera nel suo Alfabeto, benchè io mi persuado, che sia errore di Stampa. La Bolla poi suddetta è la seguente:

Bonifacius Episcopus Servus Servorum Dei.

7 - Dilectis filijs Praeposito, Decano, et Archidiacono Rostriae in Ecclesia Bremensi salutem, et Apostolicam Benedictionem. Sua nobis Prior, et Fratres Erem. Osnaburgensis Ordinis S. Augustini petitione monstrarunt, quod Decanus, et Capitulum Ecclesiae Sancti Ioannis Osnaburgensis praetendentes minus veraciter, quod ipsi Prior, et fratres locum eorum in fundo dictorum Decani, et Capituli, post denunciationem novi operis, per iactum lapidis factam (ut dicebant) duxerunt construendum, ipsos super hoc petendo eos ad demoliendum quidquid ibi post denunciationem praedictam fuerat superaedificatum compelli coram Thesaurario Ecclesiae Osnaburgensis, cui Venerabilis Frater noster Episcopus Osnaburgensis auctoritate ordinaria causam huiusmodi audiendam commiserat, et sine debito terminandam, fecissent, ad iudicium evocari, ex parte ipsorum Prioris, et Fratrum fuit coram eo excipiendo propositum, quod cum ipsi, et totus Ordo, et Loca eorum ab omni iurisdictione Dioecesanorum Episcoporum, et cuiuscumque alterius per specialia privilegia Sedis Apostolicae sint exempta, ita quod ratione delicti, seu contractus, sive rei, de qua agitur, ubicumque committatur delictum, iniatur contractus, aut res ipsa consistat, non possint ijsdem Prior, et Fratres, seu [V, p. 166] aliae personae ipsius Ordinis coram locorum ordinaris conveniri, prout erant per exhibitionem dictorum privilegiorum legitime docere parati, respondere super praedictis coram eodem Thesaurario minime tenebantur, et quia idem Thesaurarius eos super hoc audire contra Iustitiam recusavit, ipsi sentientes ex hoc indebite se gravari, ad Sedem appellarunt eandem. Quo circa discretioni vestrae de utriusque partis Procuratorum assensu per Apostolica scripta mandamus, quatenus apud Civitate Bremensem vocatis qui fuerint evocandi, et auditis hinc inde propositis, quod iustum fuerit (appellatione postposita) decernatis; facientes quod decreveritis per censuram Ecclesiasticam firmiter observari. Testes autem qui fuerint nominati, si se gratia, odio, vel timore subtraxerint, censura simili (appellatione cessante) cogatis veritati testimonium perhibere. Quod si non omnes ijs exequendis poteritis interesse, duo vestrum ea nihilominus exequantur. Datum Laterani quinto Idus Martij, Pontificatus nostri Anno primo.

8 - Che esito poi havesse questa Controversia, o Lite, fra il sudetto Decano, e Capitolo d'Osnabruco, et i nostri Religiosi, io non l'ho potuto ritrovare ne' nostri antichi Scrittori, mi persuado però, che buono egli riuscisse per noi; perochè il Convento durò, e stette in piedi fino al tempo dell'infame Apostasia del scelerato Lutero; e negli antichi Registri, doppo questo tempo, se ne fa molte volte mentione, come nota il diligente Errera in varj luoghi dell'Alfabeto suo. Devesi qui però notare, che questo Convento era stato prima di questo tempo fondato.

9 - In questo istesso tempo, desiderando li Padri nostri del nuovo Convento della nobil Terra di Villavitiosa (qual già scrivessimo essere stato fondato nell'anno del Signore 1267, con Privilegio particolare del Re D. Alfonso III) di fabricare altre sei Celle, si che in tutto fossero 25 e non havendo pietra da potere fare la detta fabrica, presentarono perciò un Memoriale al Re D. Dionigio figlio del già defonto D. Alfonso, e Marito della Santa Regina Elisabetta d'Aragona, in cui lo supplicarono a degnarsi di concedere loro licenza di potere tagliare dalla di lui reggia Petriera, che non era molto d'indi lontana, tanta quantità di pietre, che fosse sufficiente a potere compiere la dissegnata fabrica delle sudette sei Celle; il Re dunque, che divotissimo era della nostra Religione, et era altresì molto pio, tostamente condescese alle humili suppliche di que' buoni Religiosi con il seguente Privilegio, il quale tradotto nella nostra lingua dalla Portoghese nella quale fu scritto, è di questo tenore:

10 - Dionigio, per la gratia di Dio Re di Portogallo, etc. Per la devotione, che io ho all'Abbate, et al Monistero di Villavitiosa, mi piace, che possino tagliare dalla petriera del Monte, tutta la Pietra, che havranno di bisogno per far sei Celle, acciò il Monistero n'habbi 25. La difendo, la comando, che non sia alcun'ardito di levare alli detti Frati questa mia licenza, e gratia, che li faccio. In Lisbona alli 10 di Marzo nel'Era 1333. Che sono appunto di Christo 1295.

11 - Né qui alcuno si maravigli se il Re D. Dionigio chiama il Superiore del Convento di Villatiosa col titolo di Abbate, contro l'uso commune della nostra Religione, massime doppo il tempo della grand'Unione, attesochè prima di quella era in uso in molte parti; imperciochè il Superiore del detto Convento dal tempo della sua fondatione, per longa serie d'anni in avvenire era perpetuo, e però come nella duratione del tempo del suo ufficio si differentiava dagli altri Superiori della Religione, così il titolo differente d'Abbate godeva; e quest'uso si mantenne nel deto Monistero fin all'anno 1500.

12 - [V, p. 167] Ma tempo è hormai, che accompagniamo con la penna il nostro Santo Arcivescovo, e Generale Egidio verso la nobilissima Città di Siena, ove già si doveva celebrare il Capitolo Generale, in cui dovevasi eleggere il di lui Successore; il qual Capitolo appunto era stato intimato per li 22 Maggio. Giunto dunque il Generale nella sudetta Città nella quale erano parimente arrivati da tutte le parti dell'Ordine li PP. Vocali, finalmente nel giorno determinato, entrò con essi in Capitolo, ed invocata la gratia dello Spirito Santo conforme il consueto, finalmente si venne allo Scrutinio, e senz'alcuna discrepanza, fu eletto per Generale uno de' più cospicui Padri dell'Ordine, così in Lettere, e Dottrina, come che è quello, che maggiormente importa, nella Santità della vita, che fu per appunto il Ven P. F. Simone da Pistoia, del quale favellando il B. Arrigo d'Urimaria, che viveva in questo tempo, e lo conobbe molto bene, dice in questa guisa nel suo brieve Trattato dell'Origine, e Progressi dell'Ordine: Septimus fuit Frater Simon de Pistorio, Vir Sanctus, et grandaevus, et omni reverentiae dignus. E vuol dire: il settimo Generale (cioè, doppo la grand'Unione dell'Ordine) fu il P. F. Simone da Pistoia, huomo santo, e degno d'ogni riverenza.

13 - E qui potiamo venire in cognitione dell'antichità del Convento di Pistoia, qual è certo, che è maggiore di questo tempo, perochè egli è da credere, senza dubbio, che questo F. Simone, che in questo Capitolo fu eletto Generale, fosse figlio del Convento della sua Patria; se bene potrebbe anch'essere, che fosse stato figlio di qualche altro Convento, prima, che nella Patria sua fosse fondato Monistero della Religione; tuttavolta, mentre non apparisce di ciò alcuna chiarezza, la presontione sta per la prima opinione.

14 - Per quanto si deduce da' Libri antichi del Monistero di S. Agostino di Siena, nel quale si celebrò questo Capitolo, si ritrova, che il Senato di questa Illustriss. Patria, diede per elemosina al Capitolo Generale 400 lire di quella moneta, che fu una somma molto grande in que' tempi, dal che si puole francamente argomentare quanto fossero pietosi fino in que' tempi que' benignissimi Signori, ed in qual credito fossero appresso di loro i nostri Religiosi. Oltre di questi denari, spese l'Ordine in questo Capitolo 403 Fiorini, che tanto appunto si legge nell'antico Registro della Provincia Romana, quali distribuiti in tutte le Provincie, gli ne toccò 24 per ciacheduna, da doversi da esse pagare nel termine di due Anni a venire; le parole del Registro sono le seguenti: Deditum Ordinis fuit quadrigentorum, et trium florenorum, de quibus quaelibet Provinciae solvat 24 florenos infra duos Annos futuros, etc.

15 - Furono anche in questo Capitolo fatte molte virtuosissime attioni; perochè, oltre le molte Prediche, che furono da varj eloquentissimi Predicatori recitare, furono ancora tenute alcune dottissime Cattedre, ma due furono quelle, che resero memorabile per tutti i Secoli questo famoso Capitolo, delle quali fa particolare mentione l'accennato Registro antico della Provincia Romana. La prima fu sostenuta da F. Pietro Romano Lettore in sagra Teologia dottissimo, il quale difese tutta la sudetta sagra facoltà, e quello, che maggiormente rese illustre per ogni capo questa gran funtione, fu, che l'istesso Egidio, così Arcivescovo come era, cosa, che forsi non s'è veduta mai nè prima, né poi, assistè egli medesimo a questa famosa Cattedra, con quell'honore, e decoro, che ciascheduno può certamente pensare, e perché questa fu una cosa tanto singolare, io voglio portare quivi le parole del citato Registro, le quali sono queste: In hoc Capitulo Frater Aegidius jam factus Archiepiscopus Bituricensis fecit generales Disputationes de quolibet, et tunc [V, p. 168] postea ivit ad Archiepiscopatum suum primo, et Frater Petrus Lector de Roma sustinuit. Dalle quali parole si cava evidentemente quello, che dicessimo nel bel principio, cioè, che Egidio, quando venne al Capitolo già era consagrato Arcivescovo. Questo Lettore Pietro da Roma, stimiamo certamente, che sia quello, che essendo stato eletto Provinciale della Provincia Romana nel Capitolo Provinciale celebrato l'anno 1289 nell'Eremo di Teglario, essendo egli Lettore di Teologia nello studio Generale di Napoli, humilmente rinuntiò l'ufficio, amando più d'insegnare quella sagrosanta Dottrina a suoi Scolari, che di essere Superiore.

16 - All'istessa impresa di questo Lettor Pietro Romano, si pose nell'istesso Capitolo un altro valentissimo Lettore suo pari, chiamato F. Gregorio da Lucca, il quale pur anch'egli, con grandissimo applauso difese tutta la sagra Teologia; et il suo Assistente fu un gran Maestro di teologia della Marca d'Ancona, chiamato F. Angelo da Camerino, quale bisogna ben credere, che egli fosse uno de' maggiori Soggetti, che havesse questo Secolo, mentre hebbe cuore di mettersi ad una così grande impresa a paragonare d'un Egidio Romano; e se bene egli non era com'Egidio Prelato, lo fu nulladimeno anch'egli poco appresso, come vedremo, prima di terminare quest'anno presente; tanto pur anche riferisce l'accennato Registro in questa guisa: Item in eodem Capitulo habuit easdem generales disputationes Frater Angelus de Camerino sacrae Theologiae Magister, et sub eo sustinuit F. Gregorius Lucanus Lector.

157- Furono altresì fatte in questo Capitolo molte Diffinitioni, e Decreti, de' quali è necessario, che ne facciamo qualche memoria, massime d'alcuni più principali. Primieramente fu decretato, che ogni Provincia dovesse pagare ogn'anno un fiorino d'oro da doversi dare al famoso Maestro Giacomo da Viterbo, affinchè egli potesse scrivere, e compir Opere in sagra Teologia, come gli haveva la Religione ordinato; e questi danari gli dovevano servire per pagare i Scrittori, a quali dettava, per la carta, et altre cose per ciò fare necessarie; e perché questo è un Decreto importantissimo, qual vorrei io vedere in questi nostri tempi praticato, e dice in questa guisa: Cum sit nostrae intentionis, et velimus omnino, quod frater Iacobus de Viterbio Magister in sacra Theologia debeat scribere, et facere opera in sacra pagina, diffinimus, quod singulis Annis debeat habere ab ordine pro qualibet Provinciae Ordinis unum florenum de auro pro scriptoribus, et charta, et alijs suis necessitatibus. Oh, Dio volesse pure, che ciò si costumasse in questa nostra età, come si vedrebbero di molte Opere alla luce, che per la povertà de' Soggetti, se ne stanno sepolte nelle tenebre dell'oblivione.

18 - Fu anche decretato, che all'istesso Maestro Giacomo da Viterbo, fossero per le medesime honorate cagioni, liberamente concessi, e donati 100 Fiorini, che erano del Deposito, o Cassa commune della Religione, quali gli haveva prestato un'insigne Maestro Fiorentino, per nome F. Ruggiero; dichiarandosi i PP. Deffinitori, che non vogliono, che egli sia tenuto di restituirli né al sudetto P. Maestro Ruggiero, che prestati gli haveva, né tampoco all'Ordine di cui erano; e le parole del Decreto sono le seguenti: Item deffinimus, et concedimus eidem centum florenos de denarijs Communitatis Ordinis, quos mutuavit sibi Frater Roggerius de Florentia Magister, quos florenos non teneatur sibi reddere, nec Ordini nostro.

19 - In oltre fu anche decretato, e deffinito, che fosse promulgata, e presa da tutto l'Ordine, cioè tutti i Monisteri della Religione, la sagra Historia di S. Paolo primo Eremita, la quale era stata elegamente composta in versi da F. Pietro Romano, quale forse è quello di cui habbiamo più sopra favellato, [V, p. 169] benchè il Decreto non gli dia titolo di Lettore, che però si può anche credere, che egli fosse qualche altro Religioso della stessa Patria, che havesse il medesimo nome, che non sarebbe gran fatto; e soggiungono i Padri nel detto Decreto, che vogliono, che i Religiosi dell'Ordine leggano la detta Historia, e se ne servino ad honore, e riverenza del predetto Santo. Dal che si vede, che la nostra Religione fu sempre divota, ed hebbe in gran veneratione questo glorioso antessignano degli Eremiti antichi; ecco le parole del Decreto: Item definitum, quod Historia, quam edidit Frater Petrus Romanus de B. Paulo primo Heremita in cantu, per totum Ordinem nostrum promulgetur, et ea Fratres nostri Ordinis utantur ubique ad honorem, et reverentiam dicti Sancti.

20 - Fra l'altre spese dell'Ordine, fu anche determinata questa, che si dovessero pagare vinti Fiorini per il Convento di Parigi in riguardo de' Frati del Sacco, e de' Baccilieri: Item pro Conventu Parisiensi ratione Fratrum de Sacco, et Baccallariorum solvat Ordo 20 florenos, etc. Dal qual Decreto in conseguenza si cava, che in questo tempo già il Re Filippo il Bello haveva donato, col consenso del Vescovo di Parigi il Monistero, che già prima era stato de' Padri della Penitenza di Giesù Christo, chiamati ancora Frati del Sacco; e di già era habitato da' Padri nostri fin del 1293 nel quale fu fatta la donatione di questo Convento ad istanza di Egidio, affinchè servir dovesse per i Studenti dell'Ordine; questi danari però, che in questo Capitolo furono ordinati doversi pagare, parte havevano a servire per sostentare i Baccilieri dell'Ordine, che ivi studiavano, e parte per soccorrere que' Frati del Sacco, che erano ancor vivi, quali bisognava pure alimentare fin che duravano.

21 - Furono ancora in questo Capitolo confirmate alcune gratie fatte dalla Santa memoria del Beato Clemente da Osimo, mentre era Generale, all'Abbatessa, et altre Monache del Monistero di S. Maria Maddalena d'Orvieto dell'Ordine nostro di S. Agostino, ad honore, ed utile del sudetto Monistero; una, cioè, consistente in una commissione fatta a F. Agostino Seneca sopra il detto Convento, et anche sopra il Luogo di S. Martino di Campiano; l'altra della vendita fatta all'istesse Monache, et al medesimo Monistero del sopradetto Convento di S. Martino di Campiano; tanto per appunto dice il Decreto: Item praesenti Deffinitione acceptamus, et confirmamus Litteras, quas bonae memoriae Frater Clemens olim Generalis concessit Abbatissa, et Monialibus Monasterij Sanctae Mariae Magdalenae Ordinis Sancti Augustini de Urbe veteri in obsequium, et utilitatem dicti Monasterij. Unam scilicet de commissione facta Fratri Augustino Seneca supra dictum Monasterium, et Locum Sancti Martini de Campiano; aliam de venditione facta ipsis Monialibus, et Monasterio supradicto de Loco de Campiano. Era questo Convento di S. Martino di Campiano un Monistero della Provincia Romana del secondo grado, del quale ne parlassimo sotto l'anno 1290 mentre registrassimo il numero di tutti i Conventi, che in quel tempo haveva sotto di sè la Provincia Romana.

22 - Riferisce Il Panfilo nella sua brieve Cronica, che in questo Capitolo Generale furono ordinati i tuoni, con i quali si havevano da cantare da indi avanti nelle nostre Chiese li Salmi, e Lettioni, e tutte l'altre cose spettanti al Culto divino; e così si fece poi un Libro particolare di queste cose, a cui diedero nome d'Ordinario.

23 - In quest'anno medesimo, poco doppo il Capitolo Generale, celebrarono anche i Padri della sudetta Provincia di Roma il loro Capitolo Provinciale nel picciolo Convento di Montefiascone; fu Vicario Generale F. Pietro Romano, il quale era in questo tempo primo Lettore nel Convento di Roma, credo di S. Trifone; e fu eletto [V, p. 170] Provinciale F. Pietro da Chiusi, antichissima Città della Toscana, ove solevano risedere i Re di quella famosa natione, era però egli figlio del Convento del castello della Pieve hora Città, poche miglia distante da Chiusi.

24 - Morì anche in quest'anno medesimo la devotissima Serva di Giesù Christo, Giovanna da Montefalco, sorella carnale della Beata, e Serafica Chiara dell'istessa Terra, il giorno 22 di Novembre, nel quale successe il suo felice passaggio; ma perché questa, oltre l'essere stata primiera fondatrice dell'insigne Monistero di S. Croce di Montefalco; che sempre è stato fin dal bel principio della sua miracolosa fondatione, un seminario di Sante Verginelle, fu anche molto cara al Re del Cielo per la sua Santità; gli è necessario dunque, che facciamo, giusta il nostro solito, un brieve epilogo della sua Vita.

Succinta Relatione della Vita, e Morte gloriosa

della Beata Giovanna da Montefalco.

25 - Questa gloriosa Serva di Dio nacque nella nobil Terra di Montelfalco; ma non habbiamo potuto rinvenire, né il Mese, né il giorno della felice nascita sua; gli è ben però vero, che se visse 40 anni, nacque in conseguenza nell'anno del Signore 1255; communque sia, ella nacque di certo in questo Secolo. Suo Padre hebbe nome Damiano, dal quale ella poi sempre, conforme il costume di quel Paese, prese la sua denominatione, chiamandosi sempre Giovanna di Damiano; sua Madre poi chiamossi col nome di Giacoma; furono questi assai commodamente ricchi di Beni di fortuna, ma molto più furono poi dovitiosi per una copiosa suppellettile di santi costumi, ed eroiche virtù Christiane.

26 - Quattro figli hebbero questi, e tutti quattro furono da essi procreati per il Cielo; fu Giovanna la prima, Chiara la seconda, Francesco terzo, e l'ultima fu Teodora. Questa ancor pargoletta innocente, scioltasi con sua felice sorte, non pure dalle fascie della Nutrice, ma da' legami del picciolo corpicciuolo, nauseando il terreno latte della Madre, se ne volò leggiera a cibarsi a sua voglia, per tutta l'eternità, del dolcissimo Nettare della Gloria. Francesco anch'egli, giunto a gli Anni della pubertà, accortosi per tempo, che il Mondo è un'intricatissimo Labirinto, che chi troppo vi camina per entro, corre facilmente riscio di smarrire la vera strada del Cielo, ed essere, quel che è peggio, crudelmente ingoiato dal crudele Minotauro dell'abisso, volgendoli intrepidamente il generoso tergo, ricovrossi nella sicurissima Rocca della Religione, sotto il Serafico Stendardo del Stimmatizzato S. Francesco d'Assisi, ove in brieve tempo accoppiando con la sagra Teologia, nella quale divenne grandemente famoso, una bontà di vita non ordinaria, dimostrossi mai sempre fino alla morte, dignissimo fratello di Chiara, e di Giovanna, la santità delle quali è nota a tutto il Mondo; e da quella ben puossi argomentare quanto fossero timorosi di Dio i Padri loro, perochè di rado, o non mai si vidde da un'Albero cattivo nascere buoni frutti.

27 - Giovanna dunque essendo stata santamente allevata, hebbe fin da bambina così rivolto il suo cuore al suo Celeste Amante Giesù Christo, che fin da giovinetta risolutasi di non isposarsi con altri, che con esso, ritirossi per tempo, insieme con altre sue Compgne, il cui numero non si racconta dagli Autori, in un picciolo Reclusorio, attacato ad una Chiesetta, od Oratorio dedicato a Santa Illuminata vicino alle Carceri di S. Leonardo, et alla Terra [V, p. 171] di Montefalco sua Patria, prima dell'anno 1274 ove senza alcun'Habito Religioso, e senza alcuna Regola, attese per alcuni Anni insieme con le sue Compagne, a servire con purità di cuore, con continui digiuni, et orationi, il suo Celeste Amante.

28 - Essendo poi morti, come certamente mi persuado, i suoi Christinissimi Genitori, e rimasta Chiara la sua seconda Sorella fanciulletta di sette anni, come che anche ella, così tenerella come era, fosse incredibilmente inclinata a servire il Signore, fu per tanto ricevuta dentro quel sagro Viridario, alla presenza di Tomaso Vescovo di Spoleti l'anno del Signore 1274 le penitenze, l'asprezze di vita, e l'altre mortificazioni, che Chiara incominciò anche così tenerella, ad esercitare ivi dentro, con l'asprissime battaglie, che ella hebbe continuamente, con l'Inferno tutto insieme, con le gloriosissime vittorie, che sempre ne riportò, ci riserbiamo a dirle a lungo, quando registraremo la sua santissima, e prodigiosissima Vita.

29 - Ma come indi ad alcuni anni considerasse la prudentissima Superiora insieme con l'altre sue Suddite, e Compagne, che più francamente haverebbero potuto servire al Signore Iddio, se si fossero sottoposte all'Habito, ed alla regola di qualche ben fondata Religione approvata da S. Chiesa, cominciarono per tanto a pregare con continue lagrime, e fervorose Orationi il loro Sposo Divino, che volesse loro ispirare così l'Istituto, che havevano a fondare il nuovo Monistero; e perché Iddio benedetto non vien meno già mai, e non manca a chi di cuore l'invoca, non passò guari, che egli medesimo, apparendo alla B. Giovanna, gli disse, che ivi era di suo gusto, che fondassero il nuovo Monistero, ove havessero ritrovata una Croce d'improviso piantata nel suolo; il che havendo ella riferto alle sue Compagne, e Figliuole, come altrove più a lungo scrivessimo, si mossero queste ansiose a cercare questa gloriosa Croce, e finalmente trovatala sul Colle di S. Catterina del Bottaccio, vicino, anzi sotto le mura della loro Patria di Montefalco, cominciarono ivi, con licenza de' Superiori, a fabricare il nuovo Monistero, circa gli anni di Christo 1281 come ivi notassimo, e non lo puotero finire per la scarsezza del danaro, e delle limosine, se non nell'anno del 1290 eccettuata la Chiesa, la quale fu poi finita dalla B. Chiara, doppo la morte della B. Giovanna, come a suo luogo vedremo.

30 - Finito il nuovo Monistero, ed in quello passata la Serva di Dio Giovanna con le Suddite sue, restava quello, che più importava, cioè di prendere l'Habito, e la regola di qualche approvata Religione, che era stato il principale motivo, e scopo di tutte loro; doppo havere fatte lunghe, e fervose orationi, e raccomandatesi ben di cuore a Dio, affinchè l'ispirasse, per sua infinita misericordia, quel che havessero a fare per ben operare; finalmente la gloriosa Serva del Signore Giovanna, illuminata, come piamente si può credere, da S. D. M. si risolse di scrivere al Vescovo di Spoleto, sotto la di cui cura vivevano quelle Sante Verginelle, supplicandole a volerli esso assegnare l'Habito, e la Regola di qualche ben fondata Religione, affinchè in essa potessero esse meglio servire al suo Divino Sposo.

31 - Ritrovavasi per avventura in questo tempo, che fu appunto l'anno del Signore 1290 il Vescovo di Spoleto alla visita nella detta Terra di Montefalco, e chiamavasi Gerardo di natione Francese; laonde ricevuta la Lettera di questa Serva di Dio sottoscritta, come mi persuado, anche dall'altre sue Suddite, grandemente s'intenerì; indi considerando il santo zelo di quelle sagre Verginelle, e la gran ragione, che havevano di farli simile richiesta, doppo essersi raccomandato al Signore, acciò l'ispirasse qual Regola, e modo [V, p. 172] di vivere, egli dovesse assegnare a quelle sue dilettissime Spose, acciò che da esse egli potesse essere meglio servito; finalmente si risolse di sottoporle alla Regola, et all'Ordine del nostro glorioso Padre S. Agostino, come chiaramente si può vedere dalla sua Lettera patente, data appresso la Pieve di S. Fortunato di Montefalco a' 10 del Mese di Giugno nell'Inditione 3 l'anno terzo del Pontificato di Papa Nicola IV, cioè, del 1290, quale registrassimo in quel tempo.

32 - Ma qui non potiamo trattenerci di non ponderare di vantaggio una breve consideratione contro le pretensioni delli padri Francescani, e massime del P. Vadingo, il quale pur vuole, che la B. Giovanna con l'altre Serve di Dio sue compagne, in quel primo Reclusorio di Santa Illuminata, portassero l'Habito francescano, come tertiarie; perochè dico io, vogliam credere noi, che se la B. Giovanna con l'altre sue Compagne, havessero portato quest'Habito di S. Francesco, che hora volendo accettare lo stato fermo della Religione, et obbligarsi co' voti essentiali, e ricevere un'habito a quella Religione conveniente, non havessero pregato il Vescovo, che volesse loro concedere, o per meglio dire, confirmare quello, che di già portavano, con la Regola Francescana a quello conforme, e che il Vescovo non l'havesse loro concessa più che volontieri? Anzi che lo stesso Vescovo, senza né anche essere supplicato da loro a confirmarli il detto Habito, e darli Regola conforme, sapendo essere esse Francescane, benchè Tertiarie, gli haverebbe data indubitamente anche la Regola Francescana, per non toglierli né l'Habito, né la divotione, che a S. Francesco portavano. Hor havendo questa Serva di Dio addimandata al Vescovo indeterminatamente qualche Regola approvata, gli è segno evidente, che prima non ne havevano alcuna, e per conseguenza, non erano di alcun Ordine Religiose, che se fossero state anche solamente Tertiarie, l'haverebbero accennato nel loro Memoriale, o Lettera al Vescovo sudetto, ed esso ancora nella sua Patente, o Privilegio, nel quale li concesse la Regola, e l'Ordine di S. Agostino, haverebbe fatta qualche memoria del primo stato loro; dicendo (se male io non mi aviso) che se bene fino a quel tempo esse havevano portato l'Habito di Terziarie Francescane, ed osservati in conseguenza i Statuti di quelle, nulladimeno, considerando, che sotto la Regola, ed Habito, o Ordine di S. Agostino, meglio haverebbero potuto servire al loro gloriosissimo Sposo, per tanto egli supprimendo in esse l'Habito, e Regola antica, gli dava la Regola di S. Agostino, e le sottoponeva all'Ordine di detto Santo. Che poi l'Habito, che portarono prima, potesse essere di color berettino, io non mi oppongo, anzi me lo persuado facilmente; perché gli è ben credere, che se la B. Giovanna s'era ivi ritirata dal Mondo per servire con puro cuore, insieme con quell'altre Verginelle, il suo Signore, dovette vestirsi non già di rosso, né di verde, o d'altro simile colore allegro, e secolaresco, ma di qualche colore mortificato, e penitente, quale è veramente il berettino; ma che poi fosse nella forma Francescana, e con i Statuti di quell'Ordine, o questo sempre resta da provarsi dal P. Vadingo, e da suoi seguaci.

33 - Fatta adunque in questa guisa la B. Giovanna, insieme con le sue Compagne, vera Religiosa nell'Ordine Eremitano di S. Agostino, e creata dal Vescovo Abbatessa di quello, non più semplice Reclusorio, ma vero, e famoso Monistero di Monache, non si può credere con quanto spirito ella s'applicò al governo più spirituale, che corporale delle Suddite sue; laonde io primieramente mi persuado di certo, che oltre la premura grande, con la quale, ella doveva procurare, che dalle Monache sue fosse osservata, con ogni esattezza la regola del Gran Patriarca S. Agostino, [V, p. 173] con gli altri Statuti dell'Ordine, così anche usasse ogni opra di far che le medesime caminassero a gran passi verso la più alta cima della religiosa Perfettione; che però continuamente gli dasse, e suggerisse celestiali riccordi, per tenerle lontane dalle cose del Mondo, e della Terra, e sollevarle al Cielo; e questo io lo cavo da quello, che ella fece, doppo che fu entrata nel primo Reclusorio di Santa Illuminata, la B. Chiara sua sorella, fanciullina di sei anni; perochè indi a poco, chiamata lei con un'altra figliuola per nome Andriola compagna di Chiara, procurò di esortarle allo stato della perfettione, con parole veramente Angeliche, dimostrandoli quanto dovevano rendere continue gratie al Signore, che s'era degnato di cavarle dal profondo Mare del Mondo, e ridurle in quel sagro luogo, dove fuori d'ogni strepito si serviva solamente a Sua Divina Maestà, e dove era così facile acquistare l'eterna Salute; e per fare, che maggiormente si radicassero nel Divino Amore, gli volle dare alcuni Precetti, o Documenti spirituali; da quali ben si conosce, quanto ella fosse gran maestra della via spirituale, quali vogliamo quivi distendere, affinchè servino a tutti i Religiosi, e Religiose, per Massime sicurissime da giungere facilmente all'auge della Religiosa Perfettione.

34 - Primieramente, diceva, questa gloriosa Serva di Dio, gli è necessario figliuole, che noi procuriamo, se bramiamo di ben servire il nostro Celeste Sposo, di conservare, con ogni nostra diligenza, intatto il fiore della nostra Virginità, non solo in quanto al corpo, ma etiandio in quanto alla mente, et al cuore, perochè, poco giovarebbe l'essere caste di corpo, mentre poi fossimo impudiche di mente, e di pensiero, ed in ciò poco saressimo dal Diavolo differenti, il quale anch'egli, in quanto alla sostanza sua, è vergine, perochè mai conobbe Donna, ma di pensiero, e di mente, egli è impudicissimo. Secondo, soggiungeva, se siamo rissuscitate insieme con il nostro Redentore, dal fetido Sepolcro della Terra, e del Mondo, appartiamo dunque mai sempre gli occhi nostri, così del corpo, come della nostra mente dalle cose basse, e terrene e solleviamoli al Cielo, contemplando quella Celeste Patria, per la quale siamo state create, ivi sempre s'indrizzino tutti i nostri pensieri, le nostre parole, e finalmente tutte le nostre operationi, perochè così daremo a dividere, che siamo Cittadine, non della Terra, ma del Cielo, già che disse il nostro Salvatore, che chi è Cittadino della Terra, di questa parla; e chi è Cittadino del Cielo, non d'altro in vero, che di cose Celesti parla, e ragiona. Il Terzo Documento, che li diede, fu questo: fuggiamo, dilettissime mie, con ogni diligenza, ogni qualunque pratica di persone secolari, e non habbiamo mai con esse alcuna famigliarità, perochè gli è impossibile di toccare con le mani la pece, e non rimanere in quella imbrattato. E diceva molto bene la verità, perochè il praticare, e trattare famigliarmente una Serva di Dio consagrata al divino servitio, con persone del secolo, se non si guasta, e corrompe ne' costumi, per lo meno grandemente s'intepidisce nell'Amor di Dio, e patisce danni notabili nella via della Perfettione. Il Quarto Documento, che diede loro, fu la Custodia degli occhi, dicendo loro, figliuole mie, habbiate sempre cura di tenere gli occhi vostri molto ben custoditi, affinchè essendo questi, per ordinario, le finestre dell'Anima, non entri per essi la morte ad uccidere, con qualche oggetto, il nostro Spirito. Il Quinto Documento, fu dell'osservanza rigorosa del religioso Silentio, dicendo, figliuole, sopra d'ogni altra cosa, io vi prego, e vi comando, che in ogni maniera procuriate d'osservare il Silentio, perochè in quello consiste la Fortezza di quell'Anime, che servono a Dio; per tanto voi osservarete il Silentio conforme l'uso di questa nostra [V, p. 174] Casa, dall'hora di Compieta fino all'hora di Terza del seguente giorno. Il Sesto Documento fu, di ricordarli, che procurassero di vivere in maniera, come se havessero da morire ad ogni momento, e di morire tali, quali bramavano di vivere per tutti i Secoli nel Cielo, cioè in tutto Sante. Et a dire il vero non v'è Maestro più eccellente per insegnare a ben vivere, quanto che pensare a ben morire; onde diceva quel Saggio: Si vis recte vivere, disce mori. Se tu vuoi vivere bene, impara di morire. Onde ben con ragione, il nostro gran Patriarca S. Agostino, spiegando quelle parole tanto volgate dall'Ecclesiastico al cap.7: Memorare novissima tua, etc. disse al proposito della B. Giovanna: Consideratio huius sententiae, destructio est Superbiae, extinctio Invidiae, medela malitiae, effugatio Luxuriae, evacuatio vanitatis, et iactantiae, instructio disciplinae, perfectio sanctimoniae, praeparatio salutis aeternae. Che è lo stesso, che dire: Il pensiero di morte è una falce appunto con la quale si tagliano affatto fino dalla radice l'herbe mal nate, fetide, e puzzolenti di tutti i vitj. Il settimo Documento fu, di avisarle, che si ricordassero sempre, che le cose di questo Mondo per vaghe, e belle, che paiano, sono però frali, caduche, e transitorie, e passano in un momento, che però non sono degne di trattenere i nostri pensieri, non chè i nostri affetti per contemplarle, e per amarle; solo dunque dovessero tenere le loro menti fisse nelle cose del Cielo, le quali sole sono stabili, e ferme, e nelle quali sole, come dice la Chiesa, consistano li veri contenti, e le vere allegrezze; ivi dunque, nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia. L'Ottavo Documento, che li diede fu, che per osservare quanto gli haveva insegnato, gli era necessario, che procurassero d'esercitarsi in continui atti di Penitenza, ed Austerità di vita; perochè diceva questa gran Serva di Dio, la Penitenza, e l'Austerità della vita, sono le guardiane, e le custodi perfette della religiosa Honestà; e l'Astinenza del cibo corporale è il banchetto lautissimo dell'Anima. Questi furono appunto i Documenti, che diede in quel primo Reclusorio, mentre non era ancora vera Religiosa, ma semplice Custode, e Guadiana di quelle poche Anime innocenti, che ivi a modo di Religiose vivevano sotto la di lei disciplina.

35 - Facciamoci da capo, e diciamo, se la B. Giovanna, mentre era ancora, si puol dire secolare, in quel primo Reclusorio, ove non con altra Regola si viveva, che con quella, che li dettava la propria coscienza, dava alle Suddite sue Documenti così saggi, e così santi, gli è ben da credere, che non solo ella gli ponesse molto bene, di tutto senno, in esecutione, ma che essendo poi fatta Religiosa Agostiniana, insieme con tutte l'altre Compagne, e fatta anche Abbatessa, e Superiora, gl'istessi Documenti non solo ella gli dasse, ma ancora ve ne aggiungesse degli altri anche più gravi; e che principalmente, come gran maestra dell'Oratione, ella in questo santo esercitio, unico mezzo, col quale intatta si conserva la Religiosa perfettione, le tenesse, quasi del continuo, occupate.

36 - Era ella tanto innamorata della santa Oratione, che ben'è spesso, anzi quasi sempre, tanto s'internava nella contemplatione delle cose celesti, che veniva rapita per ordinario in Estasi di tal sorte, che vi stava uno, e due giorni intieri. Et a questo proposito raccontano gli Autori della Vita della B. Chiara sua santissima sorella, ed in particolare il P. Maestro Vincenzo Duprè nostro Religioso della dotta, ed osservante Provincia di Fiandra, che essendo solita a mezza notte sempre di levarsi la B. Giovanna, per fare oratione, e meditare specialmente i dolorosi Misteri dell'atrocissima Passione del nostro Redentore, seco ancora sempre s'alzava la sua beata Sorella, ed anche molte altre delle sue Compagne; ma perché [V, p. 175] la Venerabile Abbatessa, ordinava a Chiara, che si ponesse in una tal parte dell'Oratorio, ed indi non si levasse fin tanto, che ella non la chiamasse; occorreva per tanto spesse fiate, che andando la B. Giovanna in Estasi, vi rimanesse fino alla sera del seguente giorno, e Chiara non volendo trasgredire il precetto della sua Superiora, stasse anch'ella ivi genuflessa, con grandissimo suo patimento, per tutto quel tempo, andando l'altre a mangiare, e fare gli altri esercitij necessari della Chiesa.

37 - Fu in vero, come poco dianzi accennammo, grandemente divota della Passione di Nostro Signore, che però altro mai non faceva, che esortare le sue Religiose a portarla continuamente nel cuore, dicendoli, che era gran vergogna, che le membra attendessero a delitiare fra i gigli, e le rose de' spassi, e de' piaceri, mentre il capo si stava di pungentissime spine coronato; havendo forse letto S. Bernardo, il qual dice: Non decet sub capite spinoso membrum iacere delicatum; e però essa sempre in tutte le cose si mortificava, e da essa poi imparò tanto la B. Chiara sua sorella, che fino da tenera bambina di sei anni fu allevata sotto la disciplina d'una così perfetta Maestra, che però fece quella gran riuscita, che ogn'uno sa, e noi ampiamente promettiamo di dimostrare puntualmente nella sua prodigiosa Vita.

38 - Ma che diremo della diligenza grande, con la quale questa Serva di Dio custodiva la sua Purità virginale? n'era ella così vigilante custode, non solo in se stessa, ma anche in tutte le sue Religiose, che si racconta dal P. Duprè nel cap. 4 della Vita della B. Chiara sua sorella, che una notte, mentre la buona Superiora Giovanna andava visitando, come sovente soleva, le Celle delle sue Monache, essendo entrata in quella di Chiara, la ritrovò, come era costume, a dormire in terra, ma perché vidde un piede di lei un poco discoperto, et ignudo, subitamente accesa di santo zelo, la risvegliò, e molto acremente la riprese di quella sua, come a lei pareva, scompostura di corpo; per la qual cosa la Beata Chiara, doppo havergliene chiesto humilmente perdono con molte lagrime, ne fece poi aspra penitenza. Hor chi con tanta severità riprendeva, e correggeva colpe così picciole, e leggiere, che non erano in effetto colpe, quanto pensiamo poi, che procurasse di tenere ogni, benchè picciolissimo neo, da se stessa onninamente lontano, castigando in mille strane guise il suo corpo virginale, per potere poi francamente dire con l'Apostolo S. Paolo: Io castigo il mio corpo, et a forza di durissime sferzate lo faccio star servo, e schiavo dello spirito, affinchè dovendo predicare a gli altri le Virtù, non venga io ad essere conosciuta, ed iscoperta per vitiosa, e cattiva.

39 - E con tutto ciò che ella fosse così puntuale nel correggere, e riprendere i difetti delle sue Suore, era però molto pietosa nel castigarle; in ciò molto bene osservando quello, che con tanta prudenza insegna il nostro Santo Padre nella Regola, mentre parlando del modo, che ha da tenere il Superiore nel correggere i suoi Sudditi, dice: Disciplinam libens habeat, metuendus imponat, et quamvis utrumque sit necessarium, magis tamen a vobis amari appetat, quam timeri. E vuol dire, che chi sovrasta a gli altri, deve ben quasi del continuo tenere la disciplina, e la sferza nelle mani, più però per intimorire, che per percuotere, procurando sempre d'accoppiare con il fiele del rigore, e del timore, il latte della Piacevolezza, e dell'amore, facendo però, che sempre questa trionfi. E come ella non aggrava mai di soverchio la mano con le sue Religiose, così non comportava, che esse, con indiscrete penitenze martirizzassero i loro Corpi. Quindi essendoli una volta stata portata una disciplina, con la quale pur poco dianzi erasi flagellata la Beata Chiara sua sorella, la quale era tutta intrisa di sangue fino al manico, parendoli che fosse [V, p. 176] troppo crudele contro di se stessa, fattala a sè chiamare, la riprese di questa sua indiscretezza, come stimava, dicendoli, che se ne dovesse per l'avvenire astenere; perochè, diceva ella, ha ben caro il nostro Divino Sposo, che noi mortifichiamo questo nostro corpo, ma non vuole però, che noi l'uccidiamo.

40 - Corredata in questa guisa la nostra B. Giovanna di tante Angeliche virtù, che maraviglia, che ella poi quasi sempre anche in questa bassa terra godesse la vista, e la conversatione degli Angeli; che però stava del continuo con un volto, ed una faccia così allegra, e serena, che ben'è spesso all'improviso prorompeva in un riso, che dava grand'ammiratione a chi per altro la conosceva per l'Idea della prudenza. Per la qual cosa la B. Chiara, che insieme con l'altre Monache n'haveva più volte trasecolato ancor lei, mossa un giorno da santo zelo, ritiratela in disparte, così li prese a dire. Deh Madre e sorella mia dilettissima, e quale, per carità, e già mai la cagione, che essendo voi in tutte le vostre cose circospetta, e prudente, nulladimeno poi all'improviso prorompete in certi risi smoderati, li quali non havendo apparenti motivi, fanno rimanere attonite tutte queste Religiose, e me più di tutte loro? Ridete voi forse di qualche nostra simplicità, o mancamento? Ma questa non è cagione da muovervi a ridere, ma più tosto a piangere; in fatti, perdonatemi se tanto ardisco: questo riso in bocca d'una vostra pari non istà bene, e quel che è peggio, apporta qualche scandalo a queste Serve di Dio. Sorella, e figlia cara, rispose all'hora la santa Abbadessa, io ti ringratio sommamente per la caritativa correttione, che tu mi fai; ma però sappi, che questo mio riso, benchè in apparenza egli riprensibile appaia, non è in me volontario, ma sforzato, e la cagione di quello è così alta, e sublime, che né meno le lingue degli Angeli sarebbero sufficienti ad ispiegarla. Sappi, diletta figlia, che il mio cuore prova del continuo dolcezze così grandi di quella Patria eterna, alla quale siamo incaminate, che per la soverchia gioia, che in quel punto io sento, mi esce a viva forza dalla bocca quel riso, che tu vedi insieme con quell'altre tue Compagne; questa seguente notte te lo farò sensibilmente vedere, e con le mani palpabilmente toccare.

41 - Quietatasi per queste grandi parole la Verginella Chiara, si diede ad aspettare, con grandissimo desiderio, che venisse, l'hora della notturna Oratione, per vedere la causa di questo così traboccante riso di sua Sorella. Ed ecco appunto, che essendo con essa lei entrata nell'Oratorio, fattasela bene appressare, gli disse: Chiara, vedi tu hora alcuna cosa? a cui essa: Vedo, con mia gran meraviglia un gran splendore, che illumina tutto qunt'è questo sagro Oratorio. E non odi tu, replicò la B. Giovanna, con le tue orecchie alcuna cosa? Ah Madre mia diletta, s'io odo eh? Io odo, con mio grandissimo contento, e con giubilo indicibile del mio cuore, ascolto una dolcissima Musica d'Angelici Cantori, che mi fanno estatica rimanere, e l'Anima mia naufragando nell'immenso pelago di tante dolcezze, abborrisce di più stare racchiusa nell'angusto carcere di questo mio Corpo. Hor sappi, ripigliò all'hora la felicissima Giovanna, che la vista quasi continua di questi Paranninfi Celesti, ed i loro soavissimi canti, sono quelli, che mi fanno stare mai sempre così allegra, e così lieta nel volto, e mi cavano anche a tempo, a tempo, benchè sia con mio gran rossore, il riso dalla bocca: impara dunque da qui a conoscere, ed a sapere, che il motivo del mio riso, non è terreno, né vano, ma Celeste, e sovrahumano; e da qui ancora scorgi, quanto sia fallace il giudicio humano, e quanto disse bene il nostro Celeste Sposo, all'hora quando volendoci distogliere dal giudicare l'altrui [V, p. 177] attioni, hebbe a dire: Nolite secundum faciem iudicare; proibendoci in questa guisa non solo il giudicare alcuno per vane congetture, che noi habbiamo di lui, o per alcune parole, che di esso ci venghino riferite, anche da persone che amano la verità, ma né tampoco per qualsivoglia cosa, che ci mostrino gli occhi, perochè sarà cosa facilissima, che noi facciamo un giudicio temerario; tuttochè né meno gli occhi sono base sufficiente, e bastante per sostenere la macchina d'un giudicio; tu hai l'esempio fresco avanti gli occhi. Chi di voi vedendomi in quella guisa ridere senza apparente cagione, non istimava, e giudicava ancora, che io, o ruminassi qualche vanità nel pensiero, o fossi forsennata, o menteccata? Così questa saggia, e prudente Prelata, sapeva anche dall'ombra del mal nascente, cavarne bellissime occasioni di riempire i cuori delle sue figlie di celesti eruditioni, e santi documenti del Paradiso.

42 - Ma aimè, che il Cielo non potendo più soffrire, che una sua Cittadina tanto da tutta la Corte del Paradiso amata, dimorasse più com'esule, e bandita in questo oscuro bosco del Mondo, la fece per tanto in quest'anno, per mezzo d'una morte soave, a sè ben tosto salire, ove coronata da Dio, con la Corona imarcessibile della Gloria, fu posta a a sedere nel Choro delle Spose più care del Sovrano Monarca dell'empirea Maggione.

43 - Non raccontano gli Autori delle nostre Historie, né tampoco si cava dalli Processi fatti per la Canonizzatione della B. Chiara, né l'infirmità, né le cricostanze della Morte beata di questa gran Serva di Dio, solo ben si riferiscono gli Autori, e massime Lodovico Giacobilli nella sua Vita, che morisse a 22 di Novembre in quest'anno 1295, se bene altri vogliono, che nel 1291 ci assicuriamo solamente di questo, che fu la sua morte, così accerbamente sentita dalle sue Religiose, ed accompagnata da tante lagrime, che quantunque fossero molto conformate nel Divino Volere in tutte le cose, benchè avverse, e contrarie, tuttavolta in questa morte pareva, che non potesse in verun conto darsi pace, e quietarsi, e sopra tutte inconsolabile affatto si dimostrava la sua Beata Sorella Chiara, la quale, come raccontano gli Autori della sua Vita, pianse senza potere ammettere conforto d'alcuna sorte, per lo spatio di tre giorni, e tre notti intiere, con tanta maraviglia dell'altre Religiose, le quali l'avevano sempre sperimentata incredibilmente trasformata nella divina volontà, che non si puotero contenere di non le addimandare la cagione di pianto così smoderato, ma sodisfece loro la santa Verginella, con questa saggia, e religiosa risposta: Ah Sorelle mie carissime, non istimate per carità, ve ne priego, che queste lagrime, venghino originate da qualche affetto carnale, o terreno di mia Sorella; Io non piango, o Anima Santa, sallo bene il mio Dio, e tu ancora lo sai, la tua morte temporale; perochè so, che per te ella è stata un principio di quella eterna Vita, che tu hora godi, e goderai per tutti i Secoli nel gran Regno del Cielo; più alta, e più importante è la cagione del mio pianto. Piango la perdita amarissima della mia Maestra spirituale, della Direttrice della mia salute; di quella che fin'hora col latte de' suoi santi Documenti, e più con l'esempio della sua vita santissima m'ha fin dalle fascie allevata, nutrita, et educata nella scuola della vera santità; la perdita dunque, o mie care, di questo grand'esemplare d'ogni virtù, di questa così sovrana Maestra della religiosa Perfettione, io piango, massime in questo tempo, ch'io per le mie imperfettioni, havevo più che mai bisogno, che ella mi assistesse. Le quali cose molto bene considerate da quelle buone Religiose, li fecero rinuovare il tralasciato pianto, a segno tale, che quella santa Casa pareva divenuta la Reggia del Pianto, e la Metropoli del Dolore.

44 - [V, p. 178] Ma il Signor Iddio, che costuma tal'hora di rasciugare con le le sue proprie mani le lagrime de' suoi Servi, si compiacque appunto di rasciugare quelle della sua diletta Sposa Chiara, con un favore molto singolare, con il quale la venne a certificare della Gloria, e della Beatitudine, che di già possedeva, e godeva la sua fortunata Sorella. Erano di già passati tre giorni, e tre notti intiere, doppo la beata Morte di Giovanna, e Chiara nondimeno smoderatamente mesta, e sconsolata, stava più che mai naufragando nell'amarissimo Mare delle sue lagrime dolorose; quand'ecco, che doppo il Matutino della terza notte, essendosi ritirata all'oratione, sentì come un calpestio di persona, che caminava per entro di quell'Oratorio, molto simile a quello di sua Sorella, per la qual cosa, dandosi certamente a credere, ch'ella si fosse d'essa, chiamolla francamente per nome, a cui gli fu da quella prontamente risposto. Assicurata dunque Chiara, che ella era sua Sorella, più che mai incorraggiata, gli disse: Ah Sorella, Rettrice, e Madre mia, non siete voi, che morta mi parlate? Quella veramente mi sono, replicò la B. Giovanna, che poco dianzi morij; ma acciò tu sappi, la mia Morte mi ha servito per un Ponte, od Arco trionfale, per cui facilmente sono io passata al Paradiso, ove perfettissimamente io godo, e goderò in eterno quel sommo Bene, a cui in terra, per mezzo d'un purissimo amore, stetti unita, e congiunta. Udiva in questo mentre in vero, la Beata Chiara, la voce di sua Sorella, ma non la vedeva; rivoltasi però verso la di lei voce, vidde di repente una lucidissima fiamma, come d'un Cereo acceso, della grandezza d'una gran trave, la quale sollevatasi in alto, e postasi perpendicolarmente sopra del suo capo, gl'istillò nel cuore una dolcezza così grande, che in un balleno, rasciugate le lagrime, ad altro più non attese, che a ringratiare il benignissimo Iddio, che degnato si fosse d'havere fatta partecipe della sua Gloria la sua dilettissima Sorella. Così andarono a terminare l'Astinenze, e i Digiuni, le Discipline, et Orationi, le Penitenze, ed Austerezze della nostra B. Giovanna da Montefalco, affinchè noi sappiamo, che ad un brieve patire, siegue un'eterno gioire. Come dunque questa gloriosa Serva di Dio visse da Santa, e da Beata, e come tale morì così sempre da tutti li Scrittori è stata chiamata fino a questi nostri tempi, col titolo illustre di Beata; anche ne' Processi formati pochi anni doppo la di lei Morte, in ordine alla Canonizzatione della B. Chiara sua Sorella, da' Testimonij, che conosciuta, e pratticata per lungo tempo l'havevano, viene communemente chiamata, Ioanna magnae Sanctitatis, et famae Virgo: cioè, Giovanna Vergine di gran fama, e Santità.

45 - Ma qui gli è forza, che ci fermiamo ancora un altro poco nel terreno Paradiso del Monistero di queste sante Verginelle, fin tanto, che elleno habbino create la loro nuova Madre Superiora. Doppo havere dunque data honorevole Sepoltura alla già morta Giovanna, avisarono le Religiose il di lei felicissimo passaggio al Vescovo di Spoleto, affinchè egli che era il loro supremo Superiore, gli provedesse d'una nuova Abbatessa; questi dunque spedito colà il suo Vicario Generale, le diede facoltà di radunare a suo nome le predette Suore, accio da esse si facesse la sudetta necessaria elettione. Arrivato per tanto il detto Vicario al Monistero, le fece subito congregare in Capitolo, et invocata la gratia, e l'assistenza dello Spirito Santo, vennero le Monache allo Scrutinio, e perché in coscienza sapevano, che fra di loro non v'era alcuna, in cui più viva, e più perfettamente riscontrate si ritrovassero le perfettissime conditioni, e le rarissime qualità di Giovanna, fuori che in sua sorella Chiara, tutto che ella non passasse il vigesimo settimo anno dell'età sua, con unanime consenso, elessero lei per loro Madre, e Superiora; [V, p. 179] per la qual elettione, come ne sentirono incredibile allegrezza, e contento tutte quelle caste Verginelle, così ne rimase sommamente trafitta la B. Chiara, la quale non volendo a patto veruno accettare quella carica, subitamente la rinuntiò; ma il Vicario considerando, che quell'elettione era venuta da Dio, e molto ben conoscendo la di lei grandissima perfettione e santità, gli comandò, che in ogni modo accettasse per obedienza quell'Ufficio, perché tale era la volontà di Dio, e tale il bisogno di quel suo Monistero; al suono di queste voci quella terrena Angioletta, ristrettasi nelle spalle, sottopose di buon cuore il collo al pesantissimo giogo di Superiora, e fugli nello stesso tempo, e luogo, prestata, con incredibile allegrezza dalle sue Suddite, la solita obedienza. Quello, che poi facesse subito fatta abbatessa, come santamente governasse quel Monistero fino alla morte, e quali fossero le sue eroiche attioni, ci riserbiamo di riferirlo ampiamente nella sua prodigiosa Vita, nel suo proprio tempo, e luogo proportionato.

46 - Honorò in questo primo Anno del suo Pontificato Bonifacio VIII la Religione, con promovere tre Soggetti di gran valore, e virtù, ad altre tante Chiese di molta stima. Il primo fu, come habbiamo scritto di sopra, il Generale Egidio Colonna, quale creò Arcivescovo di Brouges in Francia; l'altro poi fu Maestro Ottaviano da Cagli, il quale essendo stato eletto nel fine dell'anno scorso Vescovo di Gubbio dal Clero di quella Città, Bonifacio non volle ammettere la detta elettione, non perché havesse alcuna avversione al sudett'Ottaviano, ma perché lo volle honorare con il Vescovato della sua Patria, il quale era parimente vacante in questo tempo. La sua Creatione poi successe a 5 di Genaio, e vedesi registrata nel Regesto Vaticano nell'Epistola 599 tanto per appunto testifica l'Abbate Ughelli nel Tomo 2 della sua Italia Sagra colonna 903 num. 25, prima però ch'egli fosse promosso al detto Vescovato, era stato Abbate di S. Pietro ad Ara in Napoli, Dignità, che hoggidì godono li Padri Canonici Regolari Lateranensi. Da questo titolo, e dignità di Abbate, con la quale fu condecorato il nostro Ottaviano, come anco più per essere stato eletto Vescovo di Gubbio, e di Cagli, io ne ricavo, che egli dovesse essere un soggetto molto qualificato; e che fors'anche fosse stato Ministro d'alta consideratione nella Corte del Re di Napoli. Visse pochi mesi nella sua Chiesa, imperciochè non giunse al fine dell'anno.

47 - A questo poi fu dato per successore Maestro Angelo da Camerino, che fu quel gran Letterato, che in quest'anno medesimo nel Capitolo Generale celebrato in Siena, hebbe cuore di assistere in competenza del grand'Egidio ad una Cattedra in cui F. Gregorio da Lucca difese tutta la sagra Teologia; cade poi l'elettione di questo terzo Vescovo a 17 di Decembre.

48 - Avvegnachè Alfonso Morgado Nobile Cittadino, ed erudito Historico della sua famosissima Patria di Siviglia in Ispagna, allo scrivere del nostro Errera, attesti nel libro sesto dell'Historie di quella sua Città, che il Monistero delle nostre Monache di S. Lorenzo di Siviglia fosse fondato dal Re Ferdinando IV di questo nome, e non assegnando egli l'anno, habbiamo determinato di registrarlo in questo luogo; già che per sentenza del medesimo Scrittore, questo buon Re cominciò appunto a Regnare in quest'anno del 1295. Altre volte per l'avenire ci occorrerà di parlare di questo Monistero.

49 - Fu anche in quest'anno consagrata la Chiesa, il Cimitero, et il Feretro per portare i Morti alla Sepoltura del nostro antico Convento di S. Maria del Pantano fuori della Terra di Galleata nella Provincia di Romagna da Uberto Vescovo della Chiesa Feretrana sotto la Metropoli di Ravenna, [V, p. 180] il quale era ancora Abbate, o Amministratore dell'Abbatia, e Monistero di S. Ilario di Galleata, successe questa solenne Consagratione alli 9 del Mese di Decembre in giorno di Venerdì nell'Indittione ottava; ben'è vero, che il P. Errera confonde questo Convento di Galleata, con quello, poco distante di Rimini, il quale pur anch'egli si denomina del Pantano, et è lontano dalla detta Città di Rimini da otto miglia in circa vicino alla strada di Roma su la riva dell'Adriatico; la dove quello di Pantano di Galleata, del quale stiamo hora scrivendo, è lontano da Rimini più di quaranta miglia.