Tomo V

Anni di Christo 1303 - della Religione 917

1 - [V, p. 230] In quest'anno del Signore 1303 che fu l'ultimo della vita di Bonifacio VIII fece egli questo gran Pontefice tre grand'imprese, per le quali, come fece conoscere a tutto il Mondo, che egli era sempre stato un grand'amatore delle Lettere, e de' Letterati, così diede a dividere, ch'egli haveva gran desiderio, che ognuno attendesse, per quanto fosse possibile, allo stato suo di farsi dotto, e sapiente. Queste poi furono le Fondationi di tre Studj Generali in tre Città principali dello Stato Ecclesiastico, cioè nell'Alma Roma, in Fermo, et in Avignone, se bene in questo tempo Avignone non era ancora divenuto dell'Ecclesiastico Stato. Le Bolle poi, in virtù delle quali queste Fondationi si fecero, registrate si leggono nel Tomo primo del Bollario Romano, raccolte da Cherubino Laertio a carte 159, 160 e 161.

2 - Io poi tanto più volontieri faccio quivi mentione di queste nobili Fondationi, quanto che io ritrovo, che la mia Religione sempre in ogni tempo ha somministrati molti de' suoi più dotti Figli, li quali hanno letto nelle dette Università, e specialmente in quella di Roma, ove sempre da gran tempo in qua v'è stato un Lettore, come vi è pur anche di presente di Sagra Scrittura; e se bene per ordinario suole esercitare la detta Carica il Procuratore Generale pro tempore della Religione, nulladimeno in questo tempo, in cui stiamo queste cose scrivendo, è Lettor piblico della sopradetta Sagra Scrittura, il P. Assistente di Germania, Maestro Michele Vanech. Si aggiunge di vantaggio, che Monsig. Sagrista di Nostro Signore pro tempore, quale sempre è un Religioso di nostro Sagro Agostiniano Istituto, come anche il Procuratore Generale sudetto, concorrono nel detto Studio alla Creatione di tutti li Dottori di Teologia e Filosofia, et hanno le loro Propine; anzi che il Sagrista sudetto (che hora è Monssignor Eusanj Aquilano Vescovo di Porfirio, gran Benefattore della sua Religione) ha la sudetta Propina doppia.

3 - Ma ecco, che mentre il Dotto Pontefice attende con tanta applicatione a promovere, e favorire le Lettere, ed i Letterati; all'incontro Filippo Re di Francia suo accerrimo nemico, [V, p. 231] sta machinando, per mezzo di Sciarra Colonna, e d'altri suoi Parenti, et Aderenti, di levarli con l'armi la vita, o per lo meno d'imprigionarlo, e farlo in questa guisa, di puro affanno morire, come pur troppo successe non andò molto. Imperciochè sospettando l'accorto Pontefice ogni male dal detto Filippo, e dagli altri suoi Nemici, e perciò vedendosi poco sicuro in Roma, per essere quella gran Metropoli del Mondo tutta ripiena di Forestieri, pensò per tanto di ritirarsi in Anagni sua Patria, non tanto per la fortezza di quella, quanto per la fedeltà, che grandissima supponeva di dovere sperimentare ne' suoi Compatriotti; ma ben presto si avvide d'essersi sommamente ingannato nel suo giuditio, imperciochè quelli, stimava poco fedeli, forse l'haverebbero coraggiosamente difeso, la dove da quegli altri, che riputava dovegli essere fidelissimi fu empiamente tradito; perché havendo Filippo mandato segretamente Sciarra con gli altri suoi Aderenti in Italia, et essendosi questi accordati con alcuni malvagi, e scelerati Anagnini, alla perfine havendo questi Traditori, nella notte delli 6 di Settembre, aperte le Porte al sudetto Sciarra, entrò questi con le sue Truppe, segretamente ammassate, et assalendo di repente l'Apostolico Palazzo, ove quietamente dormiva il tradito Pontefice, prestamente vi entrò. Ma di già havendo sentito lo strepito, e il rumore, et immaginandosi ciò che era, nulla d'animo perdendosi, subitamente si fece degli Habiti Pontificali vestire, e nella Reggia Sala si pose sopra la Cattedra Pontificale a sedere, dandosi a credere, che li nemici, per rabbiosi che fossero, dovessero alla prima vista di lui rimanere abbagliati dalla maestosa presenza del Vicario di Christo, et in conseguenza astenersi dall'ingiurie e da' strapazzi; ma vani riuscirono, e fallaci, i suoi, per altro, giustissimi pensieri; imperochè gli è fama, che Sciarra, con i detti Contumeliosi, e con fatti insolenti (cosa in vero horribile da pensare, non che da esequire) grandemente lo vilipendesse e strappazzasse, e poi imprigionato lo condusse in Roma; ove non vedendo comparire da alcuna parte soccorso, finalmente in capo a 35 giorni, soprafatto da tante disgratie, e miserie di pura passione, se ne morì. Fu però da Cardinali con la solita pompa sepellito; e vacò la S. Sede undici giorni, doppo de' quali, come piacque a Dio, fu eletto Sommo Pontefice il Cardinale Nicolò da Trevigi Vescovo Ostiense, il quale era stato prima Religioso Domenicano, e si chiamò Benedetto XI.

4 - Di questa gran caduta poi di Bonifacio VIII da noi succintamente descritta nel numero passato, scrive Gio. Villani, che viveva in questi tempi, che nell'anno antecedente se ne videro due gran segni, uno nell'aria, e l'altro in terra; il primo fu d'un'horribile Cometa, la quale presaguiva la morte d'un Grande, e l'altro fu un Leone, quale haveva mandato a donare lo stesso Pontefice Bonifacio alla Republica Fiorentina, i Signori della quale lo tenevano legato con una Catena nel Cortile del Palazzo de' Priori. Hora accade, che un tal giorno entrasse a caso un'Asino carico di legna nel detto Cortile, il quale come vide il Leone, ristette per un poco, poscia esalando un fiero ragliato, s'infuriò di tal sorte, che volgendo il tergo, cominciò a dar calci al Leone con tanta rabbia, che finalmente l'uccise; e con tutto ciò, che molti huomini, che erano ivi procurassero a tutto loro potere, di scacciare quell'asino maledetto, non fu mai possibile. Dice poi l'Historico citato, che gli Astrologi di quel tempo presagirono dovere succedere qualche gran travaglio alla Chiesa, il che poi, dice, videsi verificato l'anno seguenrte, che fu questo del 1303 nella caduta del Pontefice Bonifacio; e ciò basti haver detto di questa funesta Historia.

5 - [V, p. 232] Essendo in tanto terminato il Triennio del Generalato del Lettore F. Francesco da monte Rubbiano, si celebrò per tanto il nuovo Capitolo Generale in quest'anno nel Convento nostro di S. Giacomo e Filippo, hoggidì però chiamato di S. Agostino della Città di Perugia, nella Vigilia della Santa Pentecoste, e come tutta la Religione haveva ne' tre anni scorsi sperimentato l'ottimo governo del mentovato Generale, non vollero i Padri Vocali, che la detta Religione rappresentavano, venire a nuova elettione, ma si compiacquero tutti d'accordo, di confirmare per un altro triennio il sudetto F. Francesco; tanto scrivono tutti li nostri Autori, e notato anche leggesi nel registro, tante volte da noi citato, della Romana Provincia, il di cui Provinciale essendo morto in questo tempo, che chiamavasi F. Giovanni, fu in suo luogo fatto Vicario F. Francesco da Roma, che altre volte era stato Provinciale della medesima Provincia.

6 - Habbiamo parimente in quest'anno la Traslatione del nostro B. Giacomo da Viterbo dall'Arcivescovo di Benevento a quello più nobile, et insigne della Reggia Metropoli di tutto il Regno di Napoli, imperciochè essendo morto per alcun tempo avanti Filippo Minutoli nobilissimo Napolitano Arcivescovo della Città, il Re Carlo II che svisceratamente amava il nostro Giacomo, come nell'anno scorso ampiamente dimostrassimo, interpose per tanto la sua Regia Intercessione appresso il Pontefice Bonifacio, che era ancor vivo, acciò si degnasse di trasferire dalla Chiesa di Benevento, a quella di Napoli, il predetto Prelato, et il Pontefice li fece volontieri la gratia; e ciò indubitamente successe non nell'anno 1302, come male informato scrive il P. Ughelli, ma ben sì in questo del 1303, atteso che in questo medesimo anno il Re Carlo raccomandò i Beni del detto Arcivescovo, mentre era di Benevento a Carlo di Lagonissa alli due di Ottobre; laonde fa di mestieri, che quasi subito facesse la detta richiesta al Papa, poco dianzi da noi narrata, alli 11 di questo medesimo Mese, et anno.

7 - Essendo stato eletto Vescovo di Veste nel regno di Napoli un'Abbate dell'Ordine di S. Benedetto per nome Gabriele, et essendo morto prima di essere consagrato, fu poi nello stesso anno eletto in sua vece, dal Cardinale Landolfo Legato Apostolico, un nostro Religioso per nome F. Giovanni, il cui Cognome e Patria non si sanno; e perché in questo tempo occorsero forse l'ultime miserie del Pontefice Bonifacio, più sopra da noi narrate, fu poi confirmato da Benedetto XI a 15 di Febraio; e la Bolla della detta Conferma fu data nel Laterano, et è nel Regesto Pontificio del detto anno l'Epistola 445, così scrive l'Ughelli nel Tomo 7 della sua Italia sagra alla colonna 1180.

8 - Scrivono altresì alcuni Autori nostri dell'Historie Leccetane, e specialmente F. Girolamo Bonsignori, F. Bernardo Monaldi, et il B. Filippo della Gazzaia, che intorno a quest'anno del 1303 nascesse alla luce del mondo quel gran Servo di Dio, che tanto poi illustrò il gran Santuario di Lecceto, il B. Nicola Tini de Marescotti, famiglia Nobilissima di Siena, da quali pretendono essi, che siano discesi li Marescotti nostri di Bologna; se beni questi pensano, che quelli da essi siano originati. Si fece poi questi, circa gli anni di Christo 1337 nostro religioso nel sudetto Convento di Lecceto, e riuscì poi un gran Servo di Dio, come in quel tempo vedremo.

9 - In quest'anno medesimo, per quanto stima il nostro Errera nel Tomo primo a car. 133, Nostro Signore Giesù Christo concesse alla nostra gloriosa Serafina terrena, la B. Chiara da Montefalco, uno de' più singolari favori, et una delle più segnalate gratie, che già mai concedesse la M. S. D. [V, p. 233] ad alcun Santo, o Santa del Paradiso; e fu d'imprimere se stesso Crocefisso, con tutti i Misteri sagrosanti della sua dolorosa Passione nel Beato Cuore di quella sua amata Sposa. Il caso poi, come lo raccontano gli Autori della di lei vita, e specialmente Maestro Agostino da Montefalco, che la scrisse 160 anni sono, e gli altri più moderni, come il Piergigli, il Duprè, l'Antolinez, il nostro Frascinelli, l'Errera, il Curtio, et altri nella seguente guisa per appunto passò. Se ne stava una tal volta questa gloriosa Serva di Dio, contemplando, con straordinaria applicatione, e divotione la dolorosissima Passione del suo Crocefisso Signore, con tutti i Misteri a quella in qual si voglia modo spettanti; ed ecco, che mentre stava nel maggior fervore della sua santa, e divota Meditatione, gli apparve visibilmente il suo dolcissimo Sposo in forma di Pellegrino, con una gran Croce in spalla; indi così prese a dirli: Iddio ti salvi, o Figlia; io son venuto qui a bella posta da te con questa mia Croce, perché io non ritrovo luogo, ove io la possi meglio piantare, fuori che nel tuo Cuore; damelo dunque tostamente, acciò tu con esso me Crocefissa possi altresì meco sopra di questa Croce morire. E ciò detto, con modo mirabile, all'hora fu, che gl'impresse realmente, non solo la sua Croce nel Cuore, ma tutto se stesso su la stessa Croce inchiodato, come fino al giorno d'hoggi, con perpetuo Miracolo visibilmente si scorge; e noi, benchè indegni, lo vedessimo l'anno 1649 e questo si vede da una parte del Cuore, e dall'altra poi vi sono tutti i Misteri della stessa Passione, cioè, Martello, Tenaglie, Sferze, et altri Ordegni a quella spettanti.

10 - Qual si rimanesse la gloriosa Vergine Chiara doppo havere ricevuto dal suo Celeste Sposo un così alto favore, non vi è lingua così eloquente, benchè fosse del più infuocato Serafino del Cielo, a cui dia l'animo di poterlo spiegare; solo dirò, con la scorta de' sopracitati Autori, che ella restò di tal sorte ebria del Divino Amore, che non capendo quasi in se medesima per la soverchia allegrezza, tutta quant'era stavasene assorta nella Meditatione dell'amata Passione; laonde avvenutasi, doppo questo gran Caso, in tre delle sue Monache, come se fosse stata tutta la Comunità, li fece un divoto, e pietoso discorso della Passione di Christo, esortandole con gran fervore, et energia a volerla anch'esse frequentemente meditare; e finito il discorso, tosto diede la disciplina, che seco portava, alla sudette Monache, comandandoli, che senza alcuna replica la flagellassero.

11 - Hora si glorj pure santamente, che n'ha ben somma ragione, la Serafica Religione per il gran Favore, che finalmente fece il Crocefisso Signore al suo gran Patriarca S. Francesco, all'hora che, apparendoli sul Monte dell'Alvernia, in forma di Serafino allato, e Crocefisso, impresse le sue cinque sagratissime Piaghe nel Beato Corpo di quel terreno Serafino. Ma a me pare, che non habbia minor ragione di santamente pregiarsi la nostra Santa Religione Agostiniana, per quest'altra gratia concessa dallo stesso Crocefisso amante, alla sua diletta Sposa Chiara da Montefalco, anzi a me sembra esser stato questo vantagiosamente di quello maggiore; attesochè se Christo impresse nel Corpo di S. Francesco le sue Sante Cicatrici; e Christo impresse nel Cuore, parte più nobile del Corpo della sua Chiara, non solo le cinque sue Piaghe, ma tutto se stesso piagato e Crocefisso, con la Croce, e tutti gli altri Stromenti della sua Santa Passione.

12 - Riferiscono parimente il Milensio, e l'Errera ne' loro Alfabeti, che in quest'anno medesimo Burchardo secondo Arcivescovo di Maddeburgo nella Sassonia, consagrò il Cimitero, e quattro Altari nella nostra Chiesa della sudetta Città; e non contento d'havere durata quella spirituale fatica, fece poi di vantaggio dare a quel Convento una [V, p. 234] copiosa limosina; hoggidì questo Monistero non è più nostro, perché dall'Eretica pravità, dalla quale, già molto tempo fa rimase ammorbata questa Città, ci fu levato.

13 - Intorno a quest'istesso tempo, essendo venuti in Italia alcuni Religiosi dell'Ordine di S. Basilio Magno, et havendo fondato in Genova un Monistero con una Chiesa in honore di S. Bartolomeo Apostolo, e lasciato l'habito loro; presero, con licenza del Sommo Pontefice Bonifacio VIII un altro Habito in tutto simile, e conforme a quello, che portano i Religiosi Laici dell'Ordine di S. Domenico, et il sudetto Pontefice confirmò nel presente anno quest'Ordine nuovo sotto la regola del nostro gran Padre S. Agostino. Fondarono poi appresso alcuni altri Monisteri, e si cominciarono a denominare col nome d'Armeni, et anche di Bartolomisti, perché erano venuti dall'Armenia, e perché il primo Monistero, come habbiamo detto, haveva il titolo di S. Bartolomeo. Ma come nel lungo corso di più di tre Secoli non si fossero avanzati, come dir si suole, d'un palmo, Papa Urbano VIII conoscendo poco utile alla Chiesa di Dio il detto Ordine, lo supresse. Vedi il Campo a carte 231 et i nostri Secoli nel Tomo primo sotto l'anno 389, num. 131 a carte 262.