Tomo V

Anni di Christo 1305 - della Religione 919

1 - [V, p. 239] Erano di già passati dieci Mesi, e giorni 27 da che li Cardinali, doppo la morte del Pontefice Benedetto XI, si rachiusero nel Conclave in Perugia, né mai per anco si erano potuti accordare, di eleggere uno del numero de’ Cardinali in Sommo Pontefice, quando finalmente, storditi più da’ continui clamori, et anche dalle minacce de’ Perugini, che per buona voglia, che n’havessero, si ridussero ad eleggere in Sommo Pontefice l’Arcivescovo di Bordeos Guascone, che Bertrando chiamavasi, il quale non era Cardinale, che subito prese il nome di Clemente V, e la la detta elettione cadde nel giorno quinto di Giugno di quest’anno 1305. Il nuovo Eletto poi, in vece di portarsi quanto prima in Roma sua vera, e legittima Residenza, a persuasione di Filippo Re di Francia, deliberò di fermarsi nel detto Regno, che però spedì subito ordine espresso a’ Cardinali, che colà col rimanente della Romana Corte si dovessero trasferire, acciò potessero ritrovarsi presenti alla di lui solenne Coronatione, la quale poi si fece con grandissima pompa a’ 12 di Novembre in Lione nella Chiesa di S. Giusto, e vi si ritrovarono presenti tre Teste Coronate, cioè, Filippo Re di Francia, Edoardo Re d’Inghilterra, e Giacomo II Re d’Aragona, con molti altri Principi, e Nobili de’ tre Regni accennati.

2 - Ma qui fa di mestieri, che riferiamo una gran disgratia, che successe, mentre il Pontefice, con gli accennati Principi e Cardinali, andava alla sudetta Chiesa, per ricevere il Triregno Pontificio, e fu, che un Muro vecchio d’una Casa, non potendo reggere il gran peso delle genti, che appoggiate alle finestre si stavano, cadde di repente e diede la morte a molti, e oppresse fra gli altri, Giovanni Duca di Bertagna, e stroppiò Carlo fratello del Re Filippo, et il Papa fu gettato sossopra, a segno, che li cadde la Mitra, e si perdè una gioia di gran prezzo. Fu poi stimato questo per un funesto pronostico de’ futuri mali, che doveva patire la Chiesa, per la lontananza del Pontefice, e della Corte Romana da Roma e dall’Italia. Platina, Rainaldi, Bzovio, Spondano ed altri.

3 - Ci ricordiamo di haver lasciato scritto, e notato sotto l’anno di Christo 1297 che Papa Bonifacio VIII per le gravissime rotture insorte fra esso e la casa Colonna, privò della Porpora e del Capello due Cardinali della detta Casa, cioè, Giacomo e Pietro, questo Zio, e questi Nipote, il quale era anche Protettore della nostra Religione, e ce l’haveva dato il Santo Pontefice Celestino V l’anno 1294, come all’hora accennassimo; hora essendo stato privo Pietro insieme col Zio, lo spatio di otto anni intieri, finalmente il nuovo Pontefice Clemente V per le grandi istanze, e raccomandationi del Re Filippo, verso il fine di quest’anno, cioè a 14 di Decembre nella sua prima Creatione di 12 Cardinali, restituì all’uno et all’altro la perduta Dignità. E così Pietro ritornò a favorire la nostra Religione, come certamente mi penso, in qualità di Protettore, come prima fatto haveva. Alfonso Chiaccone, Ughelli, Errera, et altri.

4 - Essendo stato fondato il picciolo Conventino di Montecchio, poco lungi da Siena, dal Dottore Ugo de’ Fabri, nell’anno del Signore 1302 come in quel tempo accennassimo, e non essendo mai stata confirmata dal Sommo Pontefice, come era in questi tempi necessario, la Fondatione; finalmente Clemente V si compiacque di confirmarla nel fine di quest’anno con una sua Bolla, la quale si conserva inserta in un’Istromento, nell’archivio del nostro Monistero di S. Agostino di Siena.

5 - Se bene altrove stimassimo, che il Glorioso P. S. Nicola fosse passato da [V, p. 240] questa all’altra Vita sotto l’anno del Signore 1306, perché così l’havevamo letto appresso alcuni Autori, anche di prima classe; hora però per le certissime relationi, che habbiamo ultimamente havute da chi ha letto il Processo autentico della Vita, Morte, e Miracoli del Santo, fatto in ordine alla di lui solenne Canonizzatione, siamo venuti in chiaro, che egli veramente morì in quest’anno del 1305, a 10 di Settembre; laonde fa di mestieri, che prima di riferire la di lui gloriosa morte, io quivi dia un brieve saggio, ma però pieno, e succoso, della di lui maravigliosa Vita.

Vita mirabile, Virtù rare, Miracoli stupendi e Morte gloriosa del gran Taumaturgo Agostiniano S. Nicola da Tolentino.

6 - Prima di ogni altra cosa, gli è necessario, che io avverta il mio divoto, et erudito Lettore, che se bene questo glorioso Santo volgarmente si denomina da Tolentino, non è però, perché la detta Città fosse la di lui vera Patria; imperochè è cosa più che certa, che S. Nicola non da Tolentino, ma dall’antica, et assai cospicua Terra di S. Angelo in Colle nella Diocesi di Fermo, trasse i suoi natali. I di lui Genitori, che chiamaronsi l’uno Compagnone de’ Guarutti, e Amata de’ Guidiani, se bene da che si accoppiarono in santo Matrimonio, havevano per alcuni anni goduta una pace di Paradiso, nulladimeno questa veniva non poco amareggiata dal vedere, che in tanto tempo non erano ancora stati degni di scorgere un solo frutto del loro Matrimoniale accoppiamento. Per la qual cosa, perché erano buoni Christiani, se bene si conformavano col Divino volere, nulladimeno, come punto non diffidavano della Misericordia Divina, così non cessavano mai nelle loro Orationi di supplicare S. D. M. a volerli consolare d’un Figlio; e per ciò più facilmente ottenere, non mancarono d’interporre appresso l’Onnipotente Signore, ben’è sovente ancora l’intercessione di varj Santi loro Avocati, e specialmente quella del gran Vescovo di Mirra S. Nicolò, il di cui sagrosanto Corpo si riverisce nella Chiesa Cattedrale di Bari nella Puglia.

7 - Hor come a questo, più che a gli altri offerissero d’ordinario le loro fervorose preghiere, alla perfine ambidue d’accordo fecero Voto, per ottenere la pretesa gratia della desiata prole, di andare in pellegrinaggio a visitare il Venerabil Corpo di quel Santo nella sudetta Città. Et ecco per appunto, che appena fatto il Voto, essendosi adormentati, subito gli apparve un’Angelo, e gli disse, che il loro Voto era stato molto grato al Signor Iddio, che però s’incaminassero pure a Bari per sodisfarlo, perochè ivi li sarebbe stato detto, qual Figlio, e quanto grande, dovevano, in termine di poco tempo, procreare.

8Lieti dunque oltre modo questi due felici Accasati, per il Celeste aviso dell’Angelo ricevuto, incontanente postisi in habito di Pellegrini, e raccomandata la Casa a Parenti, tutti ripieni d’incompararabile allegrezza, verso la Puglia, s’incamminarono. Essendo poi finalmente giunti, doppo molti giorni, nella bramata città di Bari, gli è da credere, che subito, senza prendere punto di riposo, s’incaminassero a diritura al Tempio, ove giace quel Santo glorioso, in cui, doppo Iddio, havevano fondata tutta la loro speranza; fatte poi, e più volte reiterate, le loro divotioni, e preghiere a quel gran Santo, ecco, che di nuovo essendosi adormmentati per la stanchezza del viaggio appresso il Sepolcro del Santo Vescovo, tosto questi [V, p. 241] tutto circondato di luce, gli apparve, e giusta l’oracolo dell’Angelo, che nella loro Patria gli era poco dianzi apparito, assicurò quelli, e gli disse, che ben presto haverebbero havuto un figlio, il quale sarebbe stato gratissimo a Dio, che haverebbe preso lo stato di Religioso, si sarebbe fatto Sacerdote, et in somma sarebbe riuscito un gran Santo, e che con le sue rare Virtù, e stupendi Miracoli, haverebbe illustrato, non che la Terra, ma il Cielo istesso.

9Svegliati dunque di nuovo, e soprafatti da un’incredibile allegrezza per la felice nuova altresì datali dal Santo di Bari, lieti oltre modo fecero all’amata Patria ritorno. Indi a poco, ecco, che la buona Amata, con suo estremo contento, gravida si vede, et a suo dovuto tempo partorisce, con buona sorte, un Figlio maschio, che anche così bambino, portava nel suo bel volto delineata la santità futura; riccordevoli per tanto i Genitori d’haver ricevuta una gratia così singolare da Dio benedetto, per l’intercessione del glorioso S. Nicolò di Bari, perciò deliberarono d’imporre altresì al loro nato Bambino il nome di quel gran Santo. Questa miracolosa nascita poi successe non nell’anno 1224 come incauatamente scrisse il nostro P. Nicola Plenevaulx nel suo Primate Agostiniano; né tampoco nel 1246 come pensa l’Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto, alla cui opinione noi pure ci sottoscrivessimo nel nostro quarto Tomo sotto il detto anno al num. 9, ma ben si nell’anno 1249 come evidentemente si cava dal sopramentovato Processo della di lui Canonizzatione.

10Giunto, che fu questo Santo Bambino a quell’età, che già si rende capace della spirituale istruttione; cominciarono que’ buoni Coniugati, come erano veramente ottimi Christiani, e perciò molto timorati di Dio, ad istruire il Figlio, che per altro haveva un naturale inclinatissimo alla pietà, et alla divotione, non meno con l’esempio, che con le parole nella santa Legge di Dio, e ne’ suoi divini Precetti, ne’ quali fece egli in brieve tempo così smisurato profitto, che giunto all’età di sette anni, si ritrovò così avanzato nel reale camino delle virtù, delle quali poteva essere capace la sua tenera età che già pareva a molti, ch’egli havesse toccato il termine, ove sogliono giungere i più perfetti ai suoi trattenimenti, fuori della scuola, non erano i giuochi fanciulleschi, e la compagnia de’ suoi eguali, perochè solo godeva egli di trattenersi nella Chiesa a far oratione, e con persone Religiose si dilettava di conversare per ascoltare dalla loro bocca ragionamenti e discorsi di Paradiso, e delle cose spettanti al servitio di Dio, et al profitto, e salute dell’Anima.

11E perché egli era, qual’altro Samuele, figlio dell’oratione, tutto il tempo, che gli avanzava, in quel santo esercitio santamente spendeva e consumava, il che poi fece maravigliosamente per tutto il corso della sua santa vita, come appresso vedremo. E ciò, che fece inarcare le ciglia per lo stupore, per infino a gli Angeli del Cielo, fu il vedere, che in quella medesima età tenerella, ad imitatione del suo gran Protettore S. Nicolò, che anche bambino in fascie tre volte la settimana, una sol volta il giorno poppava, così il santo Fanciullo cominciò anch’egli di sette anni a digiunare tre volte la settimana; per la qual cosa essendosi reso oltre modo grato a Dio, cominciò per tanto S.D.M. a farli provare i suoi Celesti Favori; il primo de’ quali fu, che stando una mattina nella Chiesa ad ascoltare con Angelica divotione la S. Messa nell’alzare, che fece il Reverendo Sacerdote l’Ostia consagrata, li si fece vedere il buon Giesù in quella forma di bellissimo fanciullo, e parlandoli all’orecchie del cuore li disse queste tre parole, che valsero per mille: Innocentes, et recti adheserunt mihi. Come volesse dirli: Nicola, a me non si accostano e non si uniscono, fuori che [V, p. 242] gli Huomini innocenti, e buoni, o però, tu, che hora sei in questo stato d’Innocenza e di Bontà, sapiti in quello mantenere, e conservare, se brami di star sempre a me vicino et unito. E queste parole non furono da Christo dette ad un sordo, atteso chè procurò mai sempre, mediante la sua santa vita, ed attioni, di stare così santamente alla Divina Maestà unito, che si tiene per cosa certa, che già mai da quella, per un minimo puntino si appartasse; imperciò che non si sa, che già mai, né meno per pensiero commettesse un minimo peccato mortale.

12Fatto più grandicello, cominciò a praticare sovente co’ religiosi del nostro Convento, li quali, come erano molto buoni, così discorrendo sempre con quel Santo fanciullo di cose celesti e spirituali, cominciò egli ad innamorarsi di tal sorte di quel sagro Istituto, che quasi continuamente andava dicendo, che si voleva fare Frate Eremita; la qual cosa essendo stata riferita al suo Maestro, il quale era un buon Sacerdote, e D. Angelo chiamavasi, li disse egli: è vero Nicola, che tu vuoi essere Frate Eremita? A cui egli havendo risposto, che sì. Soggiunse all’hora il buon Maestro; ciò molto mi piace, tu farai un buon’Huomo. Tanto appunto si cava espressamente dal Processo della sua Canonizzatione.

13Occorse fra tanto, che essendo giunto il Santo Fanciullo all’età di dieci Anni, e ritrovandosi una mattina presente nella Chiesa del nostro sopramentovato Monistero ad ascoltare la Predica, che faceva il Superiore di quella Santa Casa, che F. Reginaldo chiamavasi, et era un gran Servo di Dio, e facendo questi un discorso appunto contro le vanità di questo Mondo, e dimostrando sensatamente, che i piaceri di questa vita si risolvono ben presto in nulla, e non hanno, fuori che, quella poca apparenza; e che in fatti tutte le cose di questa bassa terra sono una mera vanità, che però l’huomo solo deve procurare di fare acquisto del Cielo, ove solo goder si possono i veri piaceri, le vere allegrezze et i veri contenti; perciò il Santo Fanciullo Nicola, al suono di queste parole così sensate, si sentì di tal sorte commovere, che da quel punto deliberò di abbandonare il Mondo, e di prendere l’Habito Santo del nostro P. S. Agostino, che però in quello stesso giorno, come certamente mi persuado, andò a ritrovare quel buon P. Priore, e prostratosi a suoi piedi, con grande humiltà, accompagnata da un diluvio di lagrime, lo supplicò a volerlo ammettere nella sua Santa Religione, con vestirlo dell’Habito sagro di quella.

14A questa così improvisa richiesta di Nicola, come si riempì ben tosto il cuore del buon Priore Reginaldo d’infinita allegrezza, come che fosse molto ben consapevole della rara bontà di quel Santo fanciullo, così stette per un poco sospeso nell’accettarlo; si perché li pareva troppo tenerello per soggiacere al grave peso della Regolare Disciplina; e si anche, perché temeva, che ciò non fosse per apportare gran disgusto a Genitori di quello, quali sapeva, che l’amavano molto svisceratamente. Ma come poi seppe da essi medesimi, che ciò non solo non era per riuscirli discaro, ma che anzi sommamente godevano, che il loro Figlio tutto si dasse al divino servitio, che però rendevano infinite gratie a S.D.M. di offerirle il detto loro Figlio in olocausto, in così degna Religione, facendo in questa guisa verificare gli Oracoli, che havevano per sua parte ricevuti, così dall’Angelo, come dal Santo di Bari, prima, che di Nicola divenissero Genitori. Così dunque reso sicuro il Priore di non dar disgusto a Parenti, e vedendo, che il Fanciullo costantemente perseverava nella sua santa richiesta, alla perfine, col consenso de’ Padri del Convento, che tutti giubilavano per così grand’acquisto, lo vestì con l’Habito santo della Religione, con tanto contento [V, p. 243] di quell’Anima Santa, che non si puole con humana lingua spiegare. Fece poi questo grand’acquisto la Religione nell’anno del Signore 1259 essendo il glorioso Novizzo in età di anni dieci, il che per appunto si deduce dell’accennato Processo della sua Canonizzatione, con cui puntualmente concorda la Bolla della medesima, nella quale dice Papa Eugenio IV che S. Nicola fu educato ab eius Pueritia in approbata Religione Fratrum Eremitarum S. Augustini, etc.

15Fatto in questa guisa Religioso Agostiniano il buon Nicola, conobbe ben tosto, che lo stato della Religione, era diametralmente opposto allo stato del Secolo; imperciochè la dove i Secolari si affaticano giorno e notte, e non lasciano, come dir si suole, pietra che non muovino, per far acquisto di ricchezza ed honori, e per ingolfarsi nel vasto Mare de’ piaceri del senso; per lo contrario i Religiosi sono tenuti ex voto, di rifiutare le Ricchezze, et abbracciare la santa Povertà; di vilipendere, e sprezzare gli honori, e le dignità, e sottoporre li loro voleri a quelli de’ Superiori, esattamente ubbidendo a’ cenni, non che a’ comandi loro; e finalmente sono obligati ad abborrire, e nauseare i fettori del senso, chiamati da Mondani col falso nome di Piaceri, et abbracciare la santa Castità; laonde l'intrepido Novizzo, che già prima erasi assuefatto a praticare con queste tutte l'altre virtù, poca fatica hebbe per totalmente impossessarsene nella Religione; era cosa veramente degna di gran maraviglia il vedere un figliuoletto di dieci anni caminare, anzi pur correre per l’angusto sentiero della religiosa perfettione, con tanta lena, che non solo seguiva i più perfetti da vicino, ma di vantaggio li precoreva di lungo tratto; gli era il primo nel Choro, e l’ultimo sempre ad uscire; negli atti della communità sempre egli procurava d’impiegarsi ne’ più bassi, e ne’ più vili, ne l’eseguire i comandi del Superiore volava; nel custodire l’Anima, et il Corpo da qual si voglia, benchè remotissimo pensiero, benchè honesto, stava sempre con gli occhi aperti, e per meglio schermirsi da un nemico così fiero, come la carne, et il senso, non tralasciava mortificatione, con cui non castigasse il suo Corpo; perochè a’ consueti Digiuni di tre giorni la settimana, che faceva nel Secolo, un altro ve ne aggiunse nella Religione, con buona gratia de’ Superiori, mutando però costume, imperochè la dove digiunava con Cibi Quaresimali, nella Religione ridusse il suo Digiuno di que’ quattro giorni la settimana in pane et acqua sola, e negli altri giorni non si cibava d’altra vivanda, che di legumi, et herbe, stimando cosa troppo delitiosa il cibarsi di Pesci, e di Frutti.

16Io qui punto non parlo dell’esattissima osservanza, che per tutto il corso di sua vita, fece il glorioso S. Nicola de i tre Monastici Voti, perochè mi basta di quivi produrre l’irrefragabile testimonio, che ne rende la Chiesa Agostiniana nell’Antifona del Cantico di Maria Vergine nel secondo Vespro nella Festa del Santo, nella quale, come tesse un nobilissimo Elogio della sua Santissima Vita, così rende chiara testimonianza della purissima osservanza degli accennati tre Voti della Religione; ecco il tenore della detta Antifona: Nicolaus verus Christi Pauper Virgo a Deo electus, obedientiam iugiter servans Heremitarum Ordinem signis, et Virtutibus decoravit. E vogliamo dire: il glorioso S. Nicola vero Povero di Christo, Vergine eletto da Dio, osservando una perpetua obedienza con le sue rare Virtù, e co’ suoi stupendi Miracoli, rese chiaro, et illustre l’Ordine Eremitano. E perciò, havendo l’occhio a tutta questa verità, la sopramentovata Chiesa nostra Agostiniana costuma per ordinario di far dipingere questo gran Santo con i tre nemici del Genere humano sotto de’ suoi piedi; e la medesima spiega i suoi Trionfi riportati da’ sudetti nemici nella seconda [V, p. 244] stroffa dell’Hinno delle Laudi del giorno della sua Festa, nella seguente guisa dicendo: En triumphalis redit apparatus Hostis eversi, domitaeque Carnis, Saeculi Victi trahit una Victas Dextera Turmas. Nella qual gloriosa vittoria, chiaramente apparisce, che la Carne fu dal Santo abbattuta con la sua perpetua Virginità; il Mondo conculcato, sprezzando le sue Pompe, e Ricchezze, abbracciando la Povertà; e finalmente vinto, e superato il Demonio, non ascoltando già mai le sue diaboliche suggestioni, ma solo ubbidendo alla voce di Dio, e de’ suoi Superiori.

17Le discipline poi con le quali cotidianamente flagellava il suo Corpo, che ben’è sovente erano catene di ferro; i Ciliccj, con i quali tormentava la sua povera humanità, i Cerchi di ferro, co’ quali teneva imprigionato il suo corpo, acciò non si ribellasse alla ragione, et altre inventioni tormentose per affliggere il senso, erano così terribili, che facevano inhorridire chiunque le vedeva, o le sentiva. Non parlo hora dell’oratione, che era quasi continua, e di giorno, e di notte, perché questa gli era così famiglianre, che anche mentre mangiava, e sto per dire, anche quando dormiva non cessava di orare, tutto perché ricordandosi sempre di ciò, che detto gli haveva il suo benignissimo signore, dal maestoso Trono di quell’Ostia consagrata, che accennammo più sopra, mentre li disse: Innocentes, et recti adheserunt mihi; egli per tanto, per ubbidire al suo Dio, sapendo molto bene, che l’Oratione è un carro d’oro, che guidato dal Divino Amore, conduce l’Anima a Dio, e con esso lui si unisce, già che insegnano i Dotti, che Oratio est elevatio mentis in Deum; e l’Amore poi anche a senno di Platone, est desiderium Unionis; che però, dice il Santo Areopagita Dionigio, che Amor extasim facit: laonde non è poi meraviglia se il nostro Santo Novizzo, sempre più che poteva, per maggiormente stare col suo Signore unito, nella santa oratione si occupava.

18Essendo poi di già passati cinque anni, et havendo i Padri di quel Convento sperimentata la gran Santità di Nicola, et essendo già arrivato il tempo di fare la solenne Professione, fu da tutti con applauso universale approvato per ottimo; e così nelle mani del Superiore fece li tre consueti Voti solenni, di Ubbidienza, Povertà, e Castità, con tanto contento e giubilio dell’Anima sua, che non capiva in se stesso per la soverchia gioia, e non cessava di render così a Dio, come a quei Padri le dovute gratie, per il singolare beneficio, che fatto gli havevano, con ammetterlo alla tanto da esso bramata Professione nella loro santa Religione.

19Doppo fatta la Professione, fu poi egli mandato il glorioso Nicola dall’ubbidienza di stanza in alcuni Conventi di quella vasta Provincia della Marca, e specialmente in quelli di S. Ginesio, di Macerata, di Fermo, di Reccanati, di Osimo, di Cingoli, di Valmagnente, di Fano fuori della Città, e di S. Elpidio, ove fu Maestro de’ Novizzi, ne’ quali Monisteri respettivamente stette lo spatio di undici anni, cioè dall’anno 1264, in cui fece la sua solenne Professione fino all’anno 1275, in cui poscia fu mandato di stanza a Tolentino. Hor in questi Monisteri, come egli proseguì a menare la sua solita vita con le sue consuete Penitenze più sopra motivate, così gli è da credere certamente, che in questo tempo attendesse altresì allo studio delle sagre Lettere, si perché queste gli erano necessarie per prendere gli Ordini sagri; e si anche, perché dovendo attendere alla santa predicatione, faceva di mestieri, che fosse molto bene istrutto nella sagra Scrittura, e nella Dottrina de’ Santi Padri. In quale poscia de’ mentovati Monisteri egli attendesse Nicola al detto [V, p. 245] Studio, non si sa precisamente; ma se io dovessi dire il mio parere, direi, che ciò facesse, o nel Convento di Fermo, o in quello di Reccanati, e fors’anche in tutti due, e la mia congettura è molto ragionevole, attesochè ambi questi Conventi, fin quasi dal tempo della loro Fondatione, hanno sempre havuto lo Sudio.

20Communque sia, questo è certo, che essendo egli stato ordinato Sacerdote in Cingoli da S. Benvenuto Anconitano Vescovo d’Osimo, come cominciò a celebrare la Santa Messa con incredibile divotione, e spirito, così poco appresso li fu comandato da’ Superiori, che dovesse altresì applicarsi alla santa Predicatione della parola di Dio, il che fece poi egli con tanto profitto, et utile dell’Anime, di quelli che l’ascoltavano, che in brieve tempo, ne’ luoghi dove predicò, si viddero mutationi di vita, e conversioni notabili di molti Peccatori, li quali si erano invecchiati nelle colpe e ne’ peccati.

21Essendo dunque già Sacerdote, fu dall’ubbidienza mandato nel Convento di Valmanente, o Valmagnente, come hoggidì communemente si chiama, un solo miglio da Pesaro distante, luogo per se stesso, molto delitioso per l’amenità del sito, in cui egli è fondato; hor mentre stava quivi il buon Nicola, ecco, che una tal notte mentre stava al suo solito fervorosamente orando, videsi comparire davanti un’ombra funesta, la quale haverebbe spaventato, e fors’anche atterrito ogn’altro cuore men debole, e men devoto di quello di Nicola, il quale all’apparire, che fece all’improviso l’ombra accennata, che però dimostrava essere d’un’huomo, ma totalmente contrafatto, per non dire disfatto, li disse egli: E chi sei tu, che in quest’hora importuna sei venuto a disturbare la mia quiete, et oratione? A cui l’Ombra con voce mesta rispose: Ah P. Nicola più non mi conoscete? Io sono l’Anima di F. Pellegrino da Osimo, già vostro caro Amico, mentre ero in vita, e qui sono stato inviato dalla Republica dell’Anime Purganti, humile Ambasciadore a V. P. per supplicarla a voler muoversi a pietà di noi misere et infelici, che stiamo sepolte in un profondo abisso di fiamme, dal quale però moltissime di noi speriamo certamente di uscire, se voi, con la vostra solita ardentissima Carità, vi compiacerete di celebrare la S. Messa nella settimana seguente per esse noi. Nicola in tanto, che grandemente si era commosso, per la mesta istanza di quell’Anima addolorata, esalando dal petto un gran sospiro, questa risposta li diede: F. Pellegrino dall’un de’ lati, io molto godo, e mi rallegro in estremo per intendere, che tu sia in luogo di salute; ma dall’altro lato mi dolgo nel vederti così afflitto per le pene, che tu patissi insieme con tutte l’Anime del purgatorio, e grandemente mi rincresce di non poterti soccorrere, come brami, col santo Sagrificio della Santa Messa in questa settimana; imperciochè io devo celebrare la Messa Conventuale, si che habbi patienza Anima Santa, et appagati della mia buona volontà. Ah soggiunse all’hora con voce molto più alta e dolorosa l’Anima sudetta: P. Nicola, deh per pietà venite con esso me, per brieve tratto di strada, e vi farò vedere spettacoli così miserabili, che haveranno forza di muovervi a quella compassione, che non ho io potuta destare nel vostro petto, con le mie parole. Così precedendo l’Anima di F. Pellegrino, e seguendola, per divino volere, S. Nicola poco lungi dal Convento, li fece vedere nella vicina Valle, una quantità innumerabile d’Anime Purganti, le quali, non così tosto lo videro, che proruppero in un pianto così compassionevole, e cominciarono a raccomandarsi alla carità del buon Padre con parole così pietose, che haverebbero destata la pietà nel cuore d’una Tigre, non che in quello di S. Nicola, che era [V, p. 246] tutto impastato di sviscerata Carità et Amore, per la qual cosa promettendo di fare ogni sforzo per liberarle, quelle tutte contente sparvero dagli occhi suoi.

22La mattina dunque andò il Santo a ritrovare il Superiore, et a sui piedi prostato lo supplicò con grande istanza a volersi compiacere di fare celebrare la Messa Conventuale ad un altro, e di concedere poi ad esso la licenza di celebrare la sua, in tutta quella settimana, per le povere Anime del Purgatorio; il che havendo facilmente ottenuto, celebrò poi quelle sette Messe con straordinaria divotione e spirito; doppo di che, mentre pur stava orando gli apparve di nuovo F. Pellegrino, circondato di Celeste Luce, accompagnato da un gran numero d’Anime tutte anch’esse gloriose, le quali pure all’hora erano uscite dal penoso carcere del Purgatorio, in virtù de’ sette sagrosanti Sagrificj offerti per esse loro da S. Nicola, e già se ne volavano al Paradiso. Laonde doppo haverle rese infinite gratie per il gran beneficio, che fatto gli haveva, con offerirli il loro patrocinio in Paradiso, lasciando, in questa guisa immerso in un mare di gioia e di contento, per la liberatione di quell’Anime benedette, ratte involandosi alla di lui vista, furono da gli Angeli portate nel Cielo a godere l’eterna Gloria, restando il Santo così estremamente consolato, per haverlo eletto il Signore, istromento di un tanto bene a quelle Anime fortunate; laonde, come ne rese infinite gratie a S.D.M. così maggiormente s’infervorò nel suffragare, per fin ch’ei visse, con i suoi santi Sagrificj, come con le sue efficacissime orationi, le povere Anime del Purgatorio. Da queste sette Messe poi celebrate da S. Nicola per quell’Anime, che gli apparirono, le quali gli apersero il Paradiso, ha poi havuto origine l’uso pietoso e lodevole della mia Religione, di celebrare, ad imitatione di S. Nicola, sette Messe per l’Anime de’ Defonti, con implorare l’intercessione altresì del medesimo Santo.

23Da questo Monistero io certamente mi persuado, per quello, che hor hora dirò, che il nostro Santo fosse poco appresso mandato da Superiori, di stanza nel Monistero di Fermo; ove giunto, come proseguisse più che mai le sue austerissime penitenze, le sue longhissime orationi, et i suoi rigorosissimi digiuni, così all’incontro il Demonio, vedendo, che quanto più procurava egli con le sue arti diaboliche, di frastornarlo da così santi esercitj, egli più che mai costantemente in quelli perseverava; alla perfine volle tentare un altro mezzo per conseguire l’intento, che li parve molto facile et efficace, e fu questo. Era Superiore d’un Monistero dell’Ordine del P. S. Benedetto, chiamato di S. Maria Iacobi, poco lungi dalla sudetta Città di Fermo, un Cugino del nostro Santo, il quale havendo inteso, che il suo Parente era venuto di stanza nel Monistero di S. Agostino della detta Città, come molto l’amava, così si compiacque di andarlo a visitare; giunto pertanto al Convento, e fattolo chiamare, come tantosto lo vidde così estenuato, e disfatto per così dire, a segno che non lo riconosceva, stette per qualche tratto immobile, come fosse stato una statua, sì per l’horrore che hebbe, per vederlo così contrafatto, e si anche per la compassione di vederlo poco meno, come a lui pareva, vicino alla morte; poscia istigato dal demonio, così gli prese a dire: Deh F. Nicola, e che vedo io? Sei tu forse il mio caro e diletto cugino? Se tu mi rispondi, che sì, io replicarò: e dove è andata la venustà del tuo volto? Dove è sparita la vaghezza del tuo sembiante? Oh Dio com’è possibile, che un giovine di 26 anni rappresenti nel volto il sembiante d’un Vecchio di 70 anni? Io ti stimarei un Cadavere, se al moto, et al parlare io non ti riconoscessi per un’huomo vivo; dunque questa tua Religione con tanta indiscretezza [V. pag. 247] tratta i suoi figliuoli? Che vestimenta sono coteste? Deh ascoltami per vita tua e se hai senno, appigliati al mio consiglio. In ogni luogo puole l’huomo divenire, volendo, un Santo. Io sono, come tu sai, superiore d’un Monistero del mio Ordine, il quale essendo molto ricco, vengono perciò ottimamente trattati i Religiosi, e nel vitto, e nel vestito, laonde essi poi, così honorevolmente trattati, hanno maggior commodo di potere attendere al santo servitio di Dio e diventar ancora Santi, come sono divenuti tanti, e tanti, che sono quasi innumerabili; via, F. Nicola, considera bene la verità, che io ti dico, prendi il consiglio, che io ti do, e son ben certo, che mi darai mille beneditioni, quando vedrai la differenza grande, che vi è la tua, e la mia Religione.

24 Stava intanto con grande attentione il Servo di Dio ascoltando il discorso di quel Monaco suo parente senza mai risponderli una sola parola; e se bene sul bel principio conobbe chiaramente essere questo un stratagemma sottile dell’infernale Nemico, nulladimeno, come era humilissimo, e punto di se stesso non si fidava, volle in così grave emergente appiglirsi al consiglio, non del Parente carnale, che stimava poco buono, ma a quello di Dio solo, da cui ottimo l’aspettava. Così dunque presa licenza dal Cugino se n’entrò nella Chiesa, e prostratosi davanti a Dio, fece questa brieve oratione: Deh Signore, usate con questo vostro humile Servo una delle vostre solite misericordie, indrizzate i miei piedi, e mostretemi la starda, per la quale io devo caminare, per giungere sicuramente al godimento di voi, che siete il sommo Bene; ispiratemi in questo punto quel che mi debba fare: debbo io restare in questa mia Santa Religione, dove ho già fatta la mia solenne Professione, o pure passare a quella di S. Benedetto, nella quale il mio Parente m’invita? Su, mio Signore, manifestatemi il vostro santo volere, perché quello solo io voglio onninamente seguire. E qui ponendo la bocca per terra, con grande umiltà stette attendendo qual fosse la Volontà Divina; ed ecco che in un baleno scende un Choro d’Angeli dal Cielo, li quali così dolcemente cantando, gl’intuonarono nell’orecchie, che il Divino Beneplacito era ch’egli restasse nella sua prima Vocatione, e che anche di vantaggio egli dovesse fra poco passare di stanza a Tolentino, ove altresì haveva da terminare il felice corso di sua santa vita. Intesa dunque S. Nicola da que’ Celesti cantori, con suo sommo contento, la Volontà di Dio tornato colà dove haveva lasciato il Religioso Parente, lo ringratiò con cortesi parole, per l’amorevole offerta, che fatta gli haveva; e concluse poi, che quanto allo stato suo egli non haveva pensiero di mutarlo già mai fino alla morte, così consigliato dall’Oracolo Divino, che dice: Manete in vocatione, qua vocati estis; al tuono delle quali parole, stringendosi nelle spalle il parente, mal contento, al suo convento fece ritorno, et il Demonio restò vinto e deluso.

25 Poco appresso dunque, essendo stato posto di stanza in Tolentino, come dagli Angeli gli era stato predetto, colà ben tosto si portò; e perché già sapeva, che ivi haveva da menare il rimanente di sua vita, si pose intanto in cuore di proseguire, non solo le sue consuete penitenze, ma di accrescerle, et aumentarle, quanto più le fosse stato possibile, e specialmente li due tanto necessarij esercitij della santa Oratione, e del salutifero digiuno, furono ridotti a tal segno, che pareva cosa quasi impossibile, che un’huomo potesse resistere alla lunghezza dell’una et a rigori dell’altro; attesochè per parlare dell’Oratione, egli oltre l’Officio divino, e l’Hore Canoniche che sono il tributo spirituale, che a Dio Benedetto dalli Religiosi giornalmente si paga, stava egli il nostro Santo fervorosamente [V. pag. 248] orando dalla Compieta fino al Canto de’ Galli e doppo il Matutino ripigliava l’Oratione fino alla nascita del Sole, spendendo poi il rimanente della mattina nel celebrare la S. Messa, nell’ascoltare le confessioni, e nel fare altre opere di religiosa carità; d’allora poi anche di Terza fino a Nona e da Nona fino a vespro, e così quasi tutto il giorno continuamente orava. Il digiuno era anch’egli continuo imperochè, come più sopra accennassimo, egli digiunava in puro pane et acqua quattro giorni della settimana, cioè il Lunedì, Mercoledì, Venerdì, e Sabbato, e ne’ gli altri tre giorni, se bene non osservava un così rigoroso Digiuno, nulladimeno non si cibava però d’altro cibo, che d’herbe e di legumi, non volendo nemeno ammettere altri frutti della terra.

26 E se bene egli orava cotanto, quel tempo altresi, che spendeva fuori dell’attuale oratione, o nel Confessare, come habbiam detto, o nel visitare gl’Infermi dentro, e fuori del Monistero, quali confortava, e consolava con soavi parole, regalandoli altresì con qualche Religioso dono, non per questo mai pretendeva egli d’intermettere, o rompere in alcun modo la sua amata oratione; attesochè si ricordava haver insegnato il nostro P. S. Agostino, che il Servo di Dio nutrendo nel cuore un vivo desiderio di sempre orare, tutto che poi in altri affari s’impieghi, ad ogni modo si può dire con verità, che stia sempre attualmente orando: Desiderium tuum Oratio tua; continuo desiderasti, continuo orasti.

27 – Che se poi alcun curioso mi richiedesse, perché cagione S. Nicola facesse un’Oratione così continuata, et un digiuno così rigoroso; io prontamente risponderei, perché egli sapeva molto bene haver insegnato, e con le parole, e con i fatti il nostro Celeste Maestro Giesù Cristo, per bocca del suo grand’Apostolo S. Paolo, che oportet semper orare, et nunquam deficere; et in S. Matteo egli medesimo disse: che per vincere, e scacciare i più rabbiosi Demonij, bisognava servirsi dell’Armi potentissime dell’Oratione, e del Digiuno: hoc genus Daemoniorum non eijcitur nisi in Oratione, et Ieiunio; e perciò S. Nicola, che fu sempre, oltre ogni credere, da’ Demonij perseguitato, e travagliato, continuamente orava e digiunava; et in S. Luca haveva pur detto il medesimo Signore, a suoi Discepoli, che per non soccombere alle diaboliche tentationi, faceva di mestieri di far sempre oratione: Orate, ut non intretis in tentationem. E con l’esempio poi haveva la medesima sua dottrina praticata in se stesso, e ciò era ben noto al buon Nicola; attesochè haveva pur anche letto in S. Matteo, che il suo Signore soleva d’ordinario spendere tutta la notte nella santa oratione: erat pernoctans in oratione Dei; e che quando ebbe da combattere col Tentatore d’Abisso, nel vasto campo del Deserto di Gierico, d’altr’Armi non volle armarsi, che della continuata Oratione, e Digiuno di 40 giorni e 40 notti, come pur anche si legge in S. Matteo e perciò il buon Nicola, per ubbidire puntualmente, e per conformarsi in tutto al suo clementissimo Signore, continuamente orava e digiunava.

28 – Sapeva di vantaggio il nostro Santo, che per ottenere alla Divina Bontà gratie e favori, non vi erano mezzi più efficaci, quanto che quelli dell’Orationi e del Digiuno; che però haveva letto nella Sagra Scrittura, che il gran Profeta Mosè non ottenne mai da Dio la sua santa Legge scritta con le sue Dita Divine, se non doppo, c’hebbe orato, e digiunato per 40 giorni intieri; sapeva in oltre, che per placare la giusta Ira di Dio, sdegnato contro de’ Peccatori, e per trattenere il di lui Braccio Divino, acciò non vibri i fulmini e le saette de suoi pesanti castighi, non v’è catena più forte della santa Oratione, accompagnata dal Digiuno; che però letto haveva, [V. pag. 249] che lo stesso Mosè quando vidde Iddio adirato col Popolo d’Israelle, che stava idolatrando mentre egli dava al suo Servo la Legge, non seppe impedire la Divina Mano, fuori, che con l’aurea catena dell’oratione, che però li disse Iddio: Dimitte me, ut irascatur furor meus; al rimbombo delle quali parole, attonito esclama S. Girolamo: Dum ait dimitte me, ostendit, se teneri posse, ne faciat quod minatus est. Ma chi l’impediva? Ecco la risposta del Santo, non altro, che le preghiere di Mosè: Servi enim preces Dei potentiam impediebant. E perciò S. Nicola sempre orava, e digiunava, non tanto per placare Iddio sdegnato contro se stesso, perché bene in coscienza sapeva di non l’haver gia mai offeso, ma ben sì placarlo acciò non castigasse i miseri peccatori, che con tante enormità ad ogni momento, strabocchevolmente l’offendevano. Sapeva in oltre, che il disubbidiente Giona si mantenne vivo, e sano nel ventre dell’horribile Balena, per lo spatio di tre giorni, e tre notti intiere, la dove doveva in un momento rimanere digerito e disfatto dall’immenso calore naturale di quella gran Bestia, tutto perché egli conoscendo il pericolo, e sapendo la forza grande dell’Oratione, di quella ben tosto si avalse, accompagnata anche dal Digiuno, che così pensa Grisostomo mentre dice: forte oravit Ionas in ventre Cetae, et Oratio eius Cetae ventrem Domum effecit. Sapeva pur anche, che i Niniviti, a’ quali annunciò Giona l’ultimo esterminio, doppo 40 giorni, con l’Oratione, et il Digiuno di tre giorni soli, resero Iddio pienamente placato, e perciò Nicola continuamente digiunava, et orava.

29 – Si ricordava insomma il nostro gran Penitente d’havere parimente letto, che i tre Fanciulli Ebrei, fatti gettare dall’empio Nabucco nell’ardentissima Fornace di Babilonia, perché erano armati con l’Oratione, e col Digiuno, passeggiavano nulla per tanto fra quelle fiamme voraci intatti, et illesi, come se fossero stati in un’ameno, e fiorito Giardino. Che Daniele nel Lago dei Leoni, per mezzo delle medesime armi, erasi conservato anch’egli intatto dalle bocche affamate di quelle fiere; e che finalmente Giuditta, donzella di Bettuglia, armata più con l’Oratione, e col Digiuno, che con la Scimittarra di Oloferne, recitando, di questo superbo capitano, l’orgoglioso Teschio, reciso altresì haveva da’ cuori de’ suoi Concittadini, il concepito timore di soggiacere ben presto all’ultime ruine della Patria commune. Istrutto dunque il nostro Santo con esempj così veri, e così rari, de’ maravigliosi effetti della santa Oratione, e del sagro Digiuno, perciò egli col santo Profeta David continuamente diceva: Benedicam Dominum in omni tempore, semper laus eius in ore meo; e facendo coraggio, col medesimo Profeta, all’Anima sua, concludeva: Lauda Anima mea Dominum: Laudabo Dominum in vita mea, psalam Deo meo, quamdiu fuero.

30 – Quanto poi fosse grata, et accetta al Signor Dio questa così divota, così fervosa, e così continuata oratione di S. Nicola, e quanto altresì si compiacesse la M. S. D. del rigoroso, non mai inerotto Digiuno, insieme con tutte l’altre austerezze, e mortificazioni più penose, che in gran copia giornalmente praticava il suo Servo fedele, ben lo dimostrò più, e più volte, quando massime, per cagione di quelle si vide il Santo ridotto ben’ e sovente ad estremi partiti; e primieramente gli è da sapersi, che havendoli il Demonio più, e più volte, con arti sottilissime suggerito, che forse quel suo modo di vivere così aspro, ed austero, et in conseguenza troppo singolare, non piaceva a Dio, che però meglio haverebbe fatto se la vita commune della Religione seguendo, si fosse con gli altri Religiosi conformato; hor egli, come humilissimo era, viveva con gran dubbio di sua salute; ma perché egli soleva trattare [V. pag. 250] tutti li suoi interessi dell’Anima nell’oratione con Dio, così in questo suo grave emergente, non volendo giuocare di suo capriccio, cominciò di buonsenno a supplicare il suo benignissimo Salvatore, a volersi degnare d’illuminare la sua mente in questo suo timoroso pensiero, di sorte, che conoscere potesse la verità, per potere poscia seguire ciò che fosse più conforme al suo Divino Volere; et ecco, che mentre stava dormendo una notte, gli apparve Nostro Signore Giesù Christo, e con aspetto giocondo li disse: Prosiegue pure mio Servo caro, coraggiosamente le tue sante mortificazioni, perché elleno mi sono molto grate, et accettate; e non temere di nulla, perché io farò sempre teco, né mai ti verrò meno. E gli attese ben poi la sua santa parola con ogni maggior puntualità, massime ne’ frequenti cimenti, e nelle fiere battaglie, ch’ egli hebbe co’ Demonj, e specialmente poi nelle sue gravissime infirmità.

31 – E per cominciare dalle battaglie motivate, che egli hebbe co’ Demonj, io debbo in primo luogo riferire, come vedendo l’infernale Nemico, che non gli era riuscita la poco dianzi narrata suggestione, con la quale pretendeva di fare moderare, e sminuire, se poteva, a Nicola le sue troppo in vero, aspre, e rigide penitenze. Deliberò per tanto, non potendo far altro, di disturbarlo, mentre stava intento all’oratione, con strepiti, e con rumori, con varie apparitioni d’horribili Mostri, e di strane figure, passandoli davanti più volte con urtarlo anche sovente; ma vedendo, che per qualsivoglia sua diabolica inventione, punto non si turbava, né si moveva, ma come un saldo scoglio immobile si stava, proseguendo con gran fervore le sue sante orationi, arrabbiato quell’infernale Mastino, li fa cadere la Lampade, che stava accesa in quel sagro Oratorio sul capo, la quale cadendo in terra, in cento pezzi s’infranse, e spargendosi l’oglio per pavimento, s’estinse il lume; ma ecco, che incontanente Nicola, con una brieve preghiera, fa ritornare intiera la Lampade, e con l’oglio sparso la riempie, e senza fuoco riacendendola, fa comparire in faccia del maligno, tre miracoli operati da Dio, per agiuto, e consolatione, del suo Servo, in un sol punto.

32 – Altre volte, volendo pure l’empio Tiranno dell’abisso, rinuovare la pugna, con altri suoi infernali Compagni, torna ad assalirlo nel solito Oratorio, e con voci horribili di feroci Animali, e con fischj horrendi di velenosi Serpenti, e Dragoni, e con lo sconvolgimento delle Tegole del tetto dello stesso Oratorio, e con lo scuotimento delle pareti, facendoli parere, che non solo il detto Oratorio, ma tutto il Monistero stassero di momento per cadere sossopra; ma vedendo, che il Santo si burlava delle sue macchine, e attendeva più che mai a star unito, per mezzo della santa oratione, col suo Signore, scoppiando d’indicibile rabbia, l’assale con diabolico furore, e con un sodo, e nodoso bastone, di tante percosse lo carica, che il rumore giunge all’orecchie de Frati, li quali immaginandosi, ciò che essere poteva, corrono veloci all’Oratorio, e trovano il Santo Religioso per terra disteso, e poco meno, che morto, e lo prendono pietosi, e lo portano nel suo povero letticciuolo, ove poco appresso, confortato da Dio, s’alza vigoroso di letto, e ritorna a’ consueti esercitij spirituali.

33 – Un’altra volta pure, volendo al suo solito andare nel mentovato Oratorio, trovandolo con la Porta chiusa, s’immaginò, e non si appose al falso, che era stato il Demonio che serrata l’haveva, perochè alcuni giorni prima, mentre il Santo stava rattopando la sua povera veste, il rubbò, l’invisibile Maligno, un pezzo di panno, laonde volendolo il Santo nel suo luogo cucire, e non lo trovando disse: Deh Buon Giesù, e chi già mai mi puole haver levato questo panno? Non altri certo, fuori, [V. pag. 251] che colui, quale non è degno d’esser nominato; a cui l’empio nemico fremendo, rispose, io ti ho burlato, e ti burlarò di bel nuovo; ma adimandandoli il Santo chi fosse, e come si chiamasse; replicò, ch’egli era un Diavolo, che si chiamava Beliam, et era stato destinato da Sattanasso per doverlo tentare in materia di carne; ma soggiunse il Santo all’hora, che havendo Iddio in sua compagnia, et agiuto, nulla temeva delle sue battaglie; per lo che, più che mai inferocito, fu poi egli, che chiuse la porta dell’Oratorio, che però il Santo vedendosi escluso da quello, si ritirò nel Refettorio, e prostratosi davanti ad una divota Immagine di Christo Crocefisso nella parete del Titolo dipinta, diede principio alla sua solita oratione; ma il Demonio vedendo una tanta costanza, schiattando di rabbia, l’afferra furioso, e lo sbatte contro la soglia della porta, con impeto così grande, che lo riduce quasi in punto di morte, ma il Santo, per tanto s’alza, agiutato da Dio, coraggioso di terra, e vuol tornare, ad onta dell’Inimico, al luogo dell’oratione; ma questi di nuovo l’assale, e con molte percosse malamente lo tratta, indi lo getta furiosamente per terra, e poi cacciandolo fuori del detto Refettorio, da altri Spiriti viene di nuovo bastonato, e poscia horribilmente battuto, e ribatuttuto nelle colonne del Chiostro, con tanto fragore, e strepito, che per quello svegliati di nuovo i Padri, accorrono al soccorso del glorioso Nicola, e trovatolo quasi affatto estinto, dolenti lo riportano sul letto, ove di nuovo ricreato, e confortato dal suo pietoso Iddio, ripiglia quasi del tutto le perdute forze; balza di letto, et appogiatosi ad un bastoncello, in segno della vittoria riportata da’ suoi nemici crudeli, già fuggiti, se ne torna trionfante al luogo dell’oratione, per rendere le dovute gratie, d’una tanta vittoria, al gran Monarca Iddio.

34 - E come tutte queste vittorie da S. Nicola riportate de’ Nemici d’Averno, furono cotanto miracolose, in premio delle sue rare, et incomparabili virtù, e spetialmente della sua continua Oratione, e Digiuno; così non cessò mai perfin ch’ei visse, di far nuovi e tutti stupendi Miracoli, il signor Dio, per gloria et honore del suo gran Servo Nicola; de’ quali, se io quivi volessi tessere l’intiero Cattalogo, non un brieve Compendio, ma un ben grosso Volume, la di lui Vita mi riuscirebbe. Ne riferirò alcuni de’ più principali; il primo de’ quali si è, che mentre si proseguiva la fabrica del Monistero di Tolentino, essendo mancata l’acqua, che è tanto necessaria nelle fabriche, et havendo li Muratori cavata la terra in più luoghi del Chiostro grande, nè potendola ritrovare, ciò intendendo il Servo di Dio Nicola, non così tosto, doppo brieve oratione, ma però fervorosa, pianta una Canna in terra, quando subito, con gran stupore de’ gli Astanti, spicciano dall’arsiccie pupille di quell’infecondo terreno, più di 100 pispini d’acque limpide e cristalline, le quali poi in un gran pozzo, che fu ben tosto in quel luogo cavato, si ridussero, e queste fino al giorno d’oggi si conservano più che mai limpide, e chiare, e ben’è sovente portare a gl’Infermi, e bevute da quelli, molte volte le liberano dalle loro infirmità.

35 - Ma qui fa di mestieri, che io racconti un altro gran Miracolo, che occorse, mentre i Muratori suddetti stavano cavando il Pozzo, in cui dovevano stagnarsi le mentovate acque miracolose; cadde all’improviso una gran massa di terra, che era contigua alle fondamenta d’un muro della Chiesa vicina, per la qual cosa mancando il sostegno del detto muro, già stava in bilico di cadere; il che osservato da’ Muratori, prestamente implorando l’agiuto del Santo, che pure all’hora havevano veduto fare il bel Miracolo dell’acqua; et egli prostratosi genuflesso, con una brieve oratione, trattenne per tanto tempo il muro, che già stava per cadere, [V. pag. 252] fintanto che li sudetti Muratori ebbero compita l’opera loro, mediante la quale, havendo il muro il suo solito sostegno, stette poi saldo come prima.

36 - E perché il glorioso Santo, per le passate battaglie havute col Demonio, fosse rimasto cagionevole di sua persona, a segno, che bisognava, che caminasse con l'appoggio d'un bastoncello, come poco dianzi accennammo, non per questo si rimaneva egli di visitare gl’Infermi dentro, e fuori del Monistero, e di soccorrere a bisognosi di qualsivoglia sorte, così liberi, come carcerati, per i quali, non si arrossiva di mendicare da varj suoi divoti, e conoscenti, abbondanti e copiose limosine, quali poi dispensava con Angelica carità a ciascheduno di quelli a proportione, e misura delle loro necessità. E perché quelle non bastavano, et i poveri in gran copia venivano alla Porta del Monistero per la carità, soleva egli, il pietosissimo Padre, prendere di nascosto, ogni qual’hora poteva, Pane dal Refettorio, e con grande allegrezza lo dispensava a loro; ma essendosi più volte accorto il Dispensiere di questi pietosi furti del glorioso Nicola, ne fece finalmente motto al Superiore, il quale un giorno appunto, mentre il santo, con una manica di tozzi, andava a fare la solita carità, a suddetti Poverelli, che con gran desiderio l’attendevano, venutoli incontro le disse: P. Nicola, e che portate voi in quella Manica? A cui egli, doppo una brieve girata d’occhi verso del Cielo, humilmente rispose, Padre sono Rose; et in questo, aprendo la Manica, apparve in quella, in vece di un mucchio di tozzi, un gran fascio di freschissime Rose, le quali parevano, che pure all’hora fossero state colte negli ameni Giardini del paradiso, e pur era la stagione horrida dell’Inverno.

37 - Ma non solamente si compiacque il Signore d’illustrare il suo Santo con Miracoli così stupendi in premio della sua continua e fervorosa oratione, ma volle ancora con altri non meni illustri prodigj honorarlo in riguardo del suo rigorosissimo e perpetuo Digiuno, che però leggesi ne’ suoi antichi Processi fatti per la di lui solenne Canonizzatione, che S. D. M. vedendo che il quasi continuo bere acqua, haveva ridotto il suo Servo ad un’estrema debolezza, che quasi non poteva reggersi in piedi per refocillarlo, più volte si degnò di rinuovare quel primo miracolo, che egli fece nelle Nozze di Canna di Galilea, cioè di tramutarli l’Acqua in pietosissimo Vino; e di questa verità ne rese chiara testimonianza ne’ detti Processi, un R. Sacerdote per nome Corrado, nato nel Commune d’Orbisaglia nel territorio di Tolentino, Capellano in quel tempo di S. Lorenzo, il quale dice, che mangiando col detto Santo di cui era molto affettionato e divoto, vidde ben due volte farsi la detta miracolosa tramutatione. E nel Refettorio istesso del Convento di Tolentino, più volte viddero i Padri di quel tempo, rinuovarsi le medesimo meraviglie divine, che però poco doppo il di lui beato passaggio all’Eterna Gloria fecero nel Refettorio stesso questo gran miracolo dipingere, con queste parole sotto: Ieiunijs et abstinentijs adeo animam virtutibus saginavit divinus Pater Nicolaus, ut nec carnem, nec pinguia, nec quicquam gustu delectabile susciperet unquam, solo Pane, et Acqua contentus; at divina Beati Senis languorem miserata clementia Acquam pluries illi hoc in loco in Vinum mutavit.

38 - Essendosi altresì una tal volta gravemente infermato, a cagione pur anche de’ sudetti suoi intolerabili Digiuni, et altre sue austerissime macerationi, e non volendo nepure in un puntino mutare il suo modo di vivere rigoroso, non volle perciò, che si chiamasse il Medico, perochè erasi risoluto di non voler altro medico, che la gran Madre di Misericordia Maria sempre Vergine, di cui era a meraviglia divoto, et insieme con essa il Padre S. Agostino, a quali appunto non così tosto [V. pag. 253] ebbe raccomandato il suo presente bisogno, quando subito scesero amendue dall’alto Cielo nella sua povera Cella circondati da un’immensa luce, e doppo haverlo consolato con celesti e soavi parole, gli ordinò poscia la Regina degli Angeli, che dovesse mandare a prender un Pane per elemosina da una Donna divota, al Convento vicina e quello ammolisse nell’acqua, e poi che lo mangiasse perché subito si sarebbe perfettamnente risanato; il che detto, ambi sparirono, lasciando in quella povera Stanza una fragranza di Paradiso. Havendo poi il Santo puntualmente eseguito il commando della sua gran Signora, subito si vidde perfettamente sano, come Essa predetto gli haveva. Ed da questo miracoloso medicamento ha poi havuta origine la Benedittione del Pane benedetto di questo gran Santo, che in tutta la Religione Agostiniana, si fa nella di lui Festa solenne, non solo approvata e concessa da Eugenio IV che Canonizzò il nostro Santo, ma etiamdio privilegiata così da esso, come da altri Sommi Ponterfici. Con quanto utile poi del Popolo Cristiano si sia introdotta questa santa divotione nella Chiesa di Dio, lo sanno i veri divoti di questo santo, li quali con pura fede si servono di questo Pane benedetto nelle loro urgenti necessità, e massime negl’Incendj, nelle tempeste di mare, nelle pestilenze, nelle febri, et in cento altri malori, come se ne possono leggere in varie Vitre del Santo, quali hora io tralascio per non trascendere i limiti della prescritta brevità.

39 - Essendosi parimente ammalato un’altra volta, per le medesime cagioni dette di sopra, si avanzò a così a estremo segno il suo male, che di già i medici davano per disperata la di lui corporale salute, affermando, che era necessario in tutti i modi, che per potere resistere ad un male così grande, egli mangiasse la carne, ma ricusando egli di ciò fare, e non valendo le persuasioni de’ Medici, e de’ PP. del Convento, nè quelle del Superiore del Monistero, che chiamavasi F. Angelo da S. Vittoria, e non volendo questi servirsi della sua autorità, hebbe per meglio di palesare il caso al P. Generale dell’Ordine, che era F. Francesco da Monte Rubbiano il quale all’hora ritrovavasi in Tolentino per la Visita, dandosi a credere, che se egli persuaso l’havesse, l’haverebbe il Santo ubbidito. Essendo dunque andato quel buon Prelato a visitarlo, doppo alcune parole di suoave conforto e di consolatione, entrò poscia a dirli, che si lasciasse governare da’ Medici e prendesse volentieri que’ cibi, che essi gli ordinavano per la conservatione della sua vita; non dover egli ciò in verun conto ricusare sotto pena d’incorrere nell’homicidio di se stesso; esser pieni i Libri spirituali d’esempj d’huomini santi di prima classe, li quali, tutto che fossero gran digiunanti et astinenti, nulladimeno nelle loro infirmità si erano lasciati reggere e governare da’ Medici, e da Superiori loro; che però esso altresì doveva fare il medesimo, tanto più, che ben poteva anch’egli conoscere, che hormai era egli affatto destituito di forze, e che più poco poteva prolongare la vita se non ubbidiva a chi doveva; ma come pure il Santo si andasse scusando, e mostrasse la solita repugnanza, il Prudente Prelato non ammettendo alcuna scusa, con precetto formale, li comandò, che dovesse mangiare la carne, che havevano ordinata i Medici. Al suono di questo Precetto piegò l’humile Nicola il Capo, e rispose, che haverebbe prontamente ubbidito. Venuto l’Infermiere con la detta Carne, ne gustò il Santo un picciolo bocconcino, e poi rivolto all’Infermiere disse: Ecco, che ho fatta l’ubbidienza del mio Superiore, levatimi davanti gl’occhi questo pessimo incentivo di gola e di libidine, e portatemi i miei soliti cibi, se havete cara la mia presta salute; et ecco, che essendo stato servito come bramava contro [V. pag. 254] il sentimento de’ Medici, e di tutta la prudenza del Mondo, videsi ben tosto miracolosamente sano balzar di letto, e far felice ritorno a suoi consueti esercitij spirituali.

40 - Così pur anche sucesse un’altra volta in un’altra sua gravissima infirmità, non volendo rompere il suo Digiuno col mangiare la Carne, che gl’havevano ordinata i Medici, e comandandoli il Superiore, che la dovesse mangiare, egli non potendo replicar altro, li fu tostamente portata una Pernice arrostita, et in più pezzi trinciata; ecco che non così tosto il Santo Religioso la vidde, quando alzando gli occhi al Cielo, e facendo sopra di quella il segno della S. Croce, ella subito tornando intiera, e rivestendosi di nuove piume, non più morta, ma viva, per Divino Miracolo, dibattendo l’ali, fuori della fenestra se ne volò, et il Santo rendendo le dovute gratie al Signore, poco doppo, senz’altri Medicamenti, e delicati ristori, sano come prima, divenne.

41E non solo Nostro Signore operò molti Miracoli a pro e beneficio della Persona del P. S. Nicola in vita sua, ma moltissimi altresì ne fece per la di lui intercessione, mentre pure ancor viveva a pro e beneficio di moltissimi suoi Divoti, li quali oppressi da varj malori, ricorsero al di lui patrocinio; quali se io volessi tutti ad uno ad uno narrare, sarebbe di mestieri, che di questi soli io ne formassi un’intiero Libro; ne riferirò dunque alcuni pochi, e gli altri potranno leggere i suoi Divoti in varie Vite, composte di questo Santo da diversi Autori, quali nel fine questa mia compendiosa Vita citarò.

42Margheritta moglie di Bernardo Pilaterra (e fu quella a cui fece chiedere il Santo quel Pane, per ordine di M. V. con cui si risanò) quale per sette anni sempre partorì i figli morti, raccomandatosi al Santo, li promise egli di far oratione per lei, e doppo di quella, li disse, che stasse di buon’animo, che haverebbe partorito una Figliuola la quale sarebbe vissuta, come in effetto fu, e egli altri Figli poi, che doppo partorì, tutti nacquero vivi, e furono Battezzati. Un’altra Poverella, che per molti anni era stata travagliata da un continuo flusso di sangue, a pena si raccomandò alla carità del Sant’Huomo, quando egli col segno della Croce in un momento la rese libera da quel gravissimo male. Ad un Fanciullo il quale essendo caduto nel fuoco, haveva perduta la luce degli occhi, col segno parimente della Croce segnandolo il Sant’Huomo, li rese incontanente la vista. Una povera Donna altresì patendo pure un gran male d’occhi, e temendo di non perdere la vista, ricorse all’agiuto de’ Medici, li quali procurando con varj Collirj di risanarla, gli accrebbero di tal sorte il male, che quasi stette per perdere insieme con la vista il senno e la vita; ma non così tosto il glorioso S. Nicola li disse sopra l’Oratione Domenicale, quando subito in un momento sana perfettamente si ritrovò. Così pure essendosi raccomandato al Santo F. Giovanni da Montecchio dell’Ordine nostro, a cui erano cadute l’intestina, il Santo segnatolo, col segno della S. Croce, di repente lo risanò. Mentre una volta andava cercando la limosina di Porta in Porta, una Poverella li diede un Pane, e li giurò, che in casa sua non gli era rimasta alcuna cosa, con cui potesse cibbarsi né essa, né i suoi figliuoli; a cui esso disse, con lieto sembiante: già che tu buona Donna con tanta allegrezza hai data la limosina a’ Servi del Signore, io prego Dio, che ti facci ritrovare ripiena l’Arca tua di Farina; e ciò detto, la Donna se n’entra in Casa, e ritrova l’Arca sudetta di bellissima Farina ripiena e colma.

43E non solo il P. S. Nicola fece provare con la sua potentissima intercessione, gli effetti maravigliosi della Divina Misericordia a viventi, ma ancora a’ Morti, che si ritrovavano nelle pene del Purgatorio; come più sopra nel suo luogo dimostrassimo, ma ancora [V. pag. 255] (cosa in vero rara e singolare) a chi essendo morto in peccato mortale, doveva essere indispensabilmente precipitato nel profondo Abisso infernale; fu egli poi cotesto un Cugino Carnale del Santo, il quale essendo stato improvisamente ucciso da alcuni suoi nemici, non hebbe tempo di confessarsi, il quale miserabile accidente, essendo giunto all’orecchie del Servo di Dio, mentre stava di stanza nel Convento di Macerata; li recò tanto dolore, e compassione, che pianse amaramente per molti giorni, non tanto per la perdita d’un Parente così caro, ma ben sì per il timore, che hebbe della dannatione di quello; per la qual cosa, crescendo le sue penitenze, cominciò con gran fervore a supplicare la Divina Bontà, che si dovesse degnare di rivelarli, se quell’Anima era veramente salva, o pure dannata; e come persistesse per molti giorni in questa sua pietosa richiesta, alla perfine li fu manifestato, come il suo Parente era morto dannato, e come tale doveva essere destinato all’eterne fiamme, ma che il Signor Dio, havendo fino ab eterno preveduti i meriti suoi, e le sue preghiere, et amarissime lagrime, che per quello doveva spargere non con sentenza deffinitiva, ma interlocutoria, condannato l’haveva, et hora in gratia sua l’haveva salvato. Essendo poi andato nella Chiesa di notte per orare, come sempre soleva, mentre stava accendendo la Lampade davanti l’Altare del Santissimo Sacramento, sentì una voce dilettevole e soave, che chiamandolo disse: Gratie io rendo al misericordioso Giesù Christo nostro Redentore quanto so, e posso maggiori, o diletto mio fratello Nicola, attesochè, dovendo io per i miei peccati precipitare nell’Inferno, per amor tuo, et in vigore delle tue efficacissime orationi, Iddio mi ha salvato; ma temendo che questa fosse una voce dell’Infernale nemico, che lo volesse ingannare, rispose: Vattene Spirito maligno, e perverso, se il mio Fratello è morto, alla clemenza, e giustitia di Dio si aspetta il salvarlo e dannarlo; ma replicò l’Anima di suo Fratello (che Gentile chiamavasi) fratello mio buono, non temere perché io veramente sono l’Anima di Gentile tuo Fratello Cugino, che dovevo dannarmi, ma la Misericordia di Dio, havendo riguardo a tuoi altissimi meriti, mi ha col potentissimo braccio della sua assoluta Onnipotenza preservato dall’eterno supplicio. E qui tacendo lasciò l’Anima del Cugino Nicola sommamente consolata; il quale poi per fin ch’ei visse, non cessò mai di glorificare, e di rendere infinite gratie alla Divina Bontà.

44Ma tempo è hormai, che facciamo ritorno, doppo un così lungo giro, all’anno del Signore 1305, di dove ci partimmo, con necessaria digressione, per descrivere un Compendio della miracolosa Vita di questo gran Taumaturgo di S. Chiesa; attesochè gli è necessario, che prima descriviamo quello che in quest’anno successe, cioè diamo ragguaglio di due segnalatissime gratie, e sopra tutte l’altre molto singolari, che Nostro Signore alcuni Mesi prima del suo beato passaggio, concesse a questo suo fedelissimo Servo; la prima fu, che mentre stava nel suo Letticiuolo una notte riposando, li fece Nostro Signore vedere una lucente Stella la quale si partiva dalla sua Patria di S. Angelo, e dirittamente veniva a Tolentino, e si fermava poi sopra la nostra Chiesa di Sant’Agostino; la qual cosa havendo altre volte veduta nello stesso modo, et esservato altresì, che con la scorta di quella venivano da ogni lato varie Persone di diverse nationi; e non arrivando egli all’intelligenza di somigliante Visione, con tutta confidenza la conferì ad un altro Religioso dello stesso Convento suo gran famigliare, e di molta Dottrina, il quale subito, senza punto pensarvi, con spirito profetico, le disse, che quella Stella lucente, che si fermava sopra della Chiesa, altro significar non voleva, [V. pag. 256] che la di lui santità, e che dovendo egli essere doppo morte in quella Chiesa seppellito, per la gran fama de’ molti e stupendi Miracoli, che Iddio era per fare, per i suoi gran meriti, et intercessione, sarebbero venuti da tutte le parti della Christianità Pellegrini in gran numero alla sua sagra Tomba ad implorare il suo celeste agiuto; ma rispose Nicola, Padre non dite questo, perché essendo io sempre stato un Servo inutile del mio Signore, non son capace di questi honori, e perciò vi priego, che non parliate in conto alcuno di ciò, che v’ho detto.

45La notte seguente poi volendo all’hora solita inviarsi verso la Chiesa per fare oratione, vidde la medesima Stella, che nel suo camino lo precedeva in poca distanza sollevata in aria all’altezza d’un huomo, e fino all’Altare, ove soleva orare l’accompagnò: per la qual cosa oltre modo maravigliato volle chiarirsi, se per esso lui era veramente quella Stella apparita; che però, levatosi dall’oratione, ritornò fuori di Chiesa, et in quel punto più la Stella non vidde; ma tornando indi a poco nello stesso Oratorio, tornò a vedere la Stella, che come prima lo precedette, il che poi sempre vidde nell’istesso modo. Et io qui mi faccio a credere, che quella Stella fosse un’Angelo, il quale havesse preso forma di Stella, per servirlo prestamente di guida nel felicissimo viaggio della beata Patria del Paradiso; in quella guisa appunto, che pensa S. Ambrogio havere un’Angelo in forma di Stella guidati i tre felici Regnanti dell’Oriente al Venerabile Presepio del Salvatore; mentre dice: Angelus Magos deducens, Stellae formam assumpsit. Se non vogliamo dire, che havendo poco dianzi con un segno miracoloso di Croce ad una morta Pernice restituita la vita, et invitala verso del Cielo, quello poi lo volesse ricompensare con una Stella, acciochè dovendo egli servire di Casa a Dio, e di Tempio, faceva di mestieri, che alla maniera del Cielo comparisse anch’egli di Stelle ornato; onde a tal proposito cantò un divoto Poeta di nostro sagro Istituto in persona del Santo, questo non meno vago, che sensato Distico: Do volucres Coelo, Coelum mihi sydera reddit. Ut nitidus Stellis sim Domus apta Dei.

46L’altro favore poi, che Nostro Signore fece in quest’anno al suo glorioso Servo S. Nicola, prima, che egli morisse, fu molto più segnalato di quello, che pur hora habbiamo finito di riferire; e fu, che sei Mesi avanti il suo felice transito, cioè dal giorno decimo di Marzo fino alli 10 di Settembre, ordinò S. D. M. al gran Maestro della Cappella del Paradiso, che dovesse ogni notte mandare un Choro di Celesti Cantori nella Cella fortunata del suo diletto Nicola a cantare di que’ dolcissimi Motetti, che si cantano in Paradiso; laonde non v’è penna, e non v’è lingua, che possa scrivere, o descrivere, anzi non v’è intelletto, per acutissimo, che sia, che possi arrivare a capire, anzi a pensare, quali potessero essere i contenti, et i diletti di quell’Anima felice nel sentire la Musica degli Angeli nella sua povera Cella, che è lo stesso, che dire, nel godere le delitie del Paradiso. Fu grande, io non lo niego, il favore, e la gratia, che una volta concesse lo stesso Dio al gran Serafino di Assisi, quando li fece sentire, per brevissimo tratto, il suono d’un Violino toccato dolcemente da un’Angelo; il che anche un’altra volta parimente concesse alla nostra Beata Catterina da Bologna, quando li fece sentire quel bel Motetto cantatato pure dagli Angeli registrato in Isaia: Super te autem orietur Dominus, et gloria eius in te videbitur. Ma, che ha che fare il canto udito per poco spatio di tempo, et una volta sola, con quello inteso, e goduto dal glorioso Nicola per il lungo spatio di sei Mesi continui, che non sono meno di 180 volte; laonde il buon Servo di Dio soprafatto da una [V. pag. 257] tanta dolcezza, non poteva più vedersi in questo Mondo, ma continuamente diceva con l’Apostolo Santo: Cupio disolvi, et esse cum Christo.

47Doppo dunque, che per sei Mesi continui, come habbiamo narrato nel numero passato, hebbe il glorioso Nicola, stando in questa vita ancor Viatore, goduto un saggio di quella Gloria immensa, che godano, e goderanno in eterno i Beati Comprensori nel Cielo, non potendo hoggimai più vedere l’Anima sua carcerata nell’ergastolo vile del Corpo, stava di momento bramando, che quegli Angeli Santi, che ogni notte venivano a farli provare con li loro dolcissimi canti le sempiterne delitie del Cielo, colà finalmente nel ritorno loro lo portassero; ma vedendo, che il termine da esso bramato si andava allongando, replicava sovente le parole più sopra accennate: Cupio dissolvi, et esse cum Christo; laonde mosso di lui finalmente a pietà il suo benignissimo Signore, li rivelò il tempo prefisso in cui morir doveva; et egli poi tutto ripieno di gioia e di contento, ne fa consapevoli i suoi più cari fratelli Religiosi.

48Et ecco appunto, che indi a poco gravemente, come predetto haveva, s’inferma, e nel suo povero Letticciuolo di paglia si distende; e perché sapeva di certo dover essere quella l’ultima infirmità, supplicò il Superiore nel primo giorno del suo decubito, che li facesse portare nella sua Cella quella divota Immagine della Pietà, cioè di Maria Vergine Santissima col suo dilettissimo Figlio morto in seno, avanti della quale haveva per tanti anni, e di giorno e di notte, fatte le sue divotissime orationi; il che fu puntualmente eseguito. Ma, perché essendosi risaputa per la Città la grave infirmità del Santo Padre, molti suoi Divoti l’andarono a visitare, avvenne, che fra gli altri vi andassero anche due Donne (come che in que’ tempi non si osservasse la clausura d’hoggidì per le Donne) una delle quali, haveva portata per quindici anni continui una doglia di capo, così fiera e pesante, che come era priva affatto dell’uso della vista, così non poteva impiegarsi in alcuna cosa per picciola, che ella si fosse; laonde il Santo Padre in vederla si mosse di lei a pietà, li fece sopra il segno della Croce, et in un momento sana perfettamente la rese. L’altra poi parimente, perché haveva pianta la morte d’un suo Fratello, così disordinatamente, che n’era divenuta cieca, con lo stesso farmaco della Croce li restituì la primiera luce degli occhi suoi; et in questo pietoso atto siami lecito di dire, che il glorioso Nicola volle in quest’ultimo di sua vita dimostrarsi simile al suo gran P. S. Agostino, di cui pur anche si legge, che mentre stava infermo per morire, rese miracolosamente la sanità ad un’Infermo, che per ordine di Dio s’era fatto nella sua stanza portare per tale efetto; vi fu però questo divario, che là dove S. Agostino risanò un’Inferno solo, S. Nicola a due restituì la Sanità perduta.

49Ma come si accorgesse il Santo Religioso, che il suo male s’andava avanzando, doppo haver pregato con grandissima istanza il suo Signore a non volere permettere, che il Demonio nell’ultima agonia l’havesse punto da disturbare, et havendo intesa una celeste voce, che confortandolo li disse: Exaudita est Oratio tua. Tutto ripieno di santa allegrezza, rivolto ad un Religioso, che lo serviva, li disse: F. Giovanni, che tale era il suo nome, quando tu mi vedrai all’ultimo di vita ridotto, privo dell’uso de’ sentimenti, fa che sempre m’intuoni nell’orecchie queste parole: Dirupisti Domine vincula mea, tibi sacrificabo Hostiam laudis. Poscia fatto chiamare il P. Priore con tutti li Padri del Monistero, raccolto tutto lo spirito nella bocca, e negli occhi, così con un diluvio di lagrime li prese a dire: P. Priore, e voi Padri, e Fratelli miei dilettissimi, io vi ho mandati [V. pag. 258] a chiamare in questo punto, perché dovendo io fra poco di questa vita uscire, e separarmi da voi, io non voglio fare questa partenza, se prima io non ho chiesto, così a tutti voi in un universale, come a ciascheduno in particolare, humile perdono, sì per le offese, che io vi potessi haver fatte, come del poco esempio, che io vi potessi haver dato, se bene in verità non ho memoria d’haver mai offeso alcuno di voi, ma se mai ciò fatto havessi, io hora vi supplico, per le viscere della misericordia di Dio, mi vogliate perdonare. Indi rivolto al P. Priore lo supplicò a volerli fare aministrare i Santi Sacramenti della Chiesa, e spetialmente il Santissimo Viatico; il che havendo subito ordinato il Superiore a chi spettava, li prese poi tutti il Santo con tanta divotione, che tutti i padri piangevano per tenerezza.

50Avicinatasi poi finalmente l’hora bramata del suo tanto sospirato passaggio, pregò il Superiore, che facesse portare una Croce d’argento, nella quale stava racchiuso un pezzetto del Sagrosanto Legno della vera Croce, in cui fu per la redentione del Mondo il nostro Santissimo redentore Crocefisso, la quale portata subito, fu da esso con gran fervore, e divotione riverita, et adorata. Poco appresso mostrando all’improviso nel volto, e negli occhi, gran segni di giubilo e di allegrezza, e richiesto dal Compagno, che lo serviva al letto, che cosa haveva, che tanto si rallegrava; rispose, io mi rallegro Figli, perché in questo punto è qui scieso dal Cielo, il mio benignissimo redentore Giesù Cristo insieme con la sua Santissima Madre, con il nostro Padre S. Agostino, e tutti con lieta fronte e sereno sembiante m’invitano all’eterne nozze del paradiso, dicendomi: Euge serve bene, et fidelis intra in gaudium Domini tui. Et appena hebbe finito di così dire, quando subito fattosi un poco alzare sopra del letto, tenendo gli occhi fissi nella Santa Croce, e le mani giunte nel profferire con estrema divotione quelle sante parole del Salmo trigesimo: In manus tuas Domine commendo Spiritum meum. Con soavissima quiete spirò l’Anima sua purissima nelle mani del suo buon Giesù e della sua grand’Avvocata Maria sempre Vergine e del suo gran P. S. Agostino, li quali con un corteggio d’innumerabili Schiere d’Angeli, lo portarono a trionfare per tutti i Secoli ne’ glorioso Campidoglio del paradiso, per le innumerabili vittorie riportate mai sempre de’ suoi più fieri Nemici in questo gran steccato del Mondo per lo spatio di 56 anni intieri. Vanne pure Anima Santa, e benedetta colà su nel Cielo a godere il premio ben dovuto alle tue così continue, e fervorose orationi, a tuoi rigorosi, e non mai interrotti Digiuni, alle tue asprissime Macerationi, e Penitenze; immergiti hora, che ben vantaggiosamente lo meriti, in quell’immenso Pelago d’ogni bene, già che in questa vita, per amor del tuo Dio, volontariamente sprezzasti li mondani piaceri, tanto dal pazzo Mondo stimati, e seguiti; satiati pure a tua voglia del pretiosissimo nettare e della dolcissima Ambrosia della Gloria, già che in questo Mondo mai satiare non ti volesti di pretiose vivande, ma come vero servo di Dio in continui Digiuni, et Astinenze passati i giorni di tua vita sempre penitente. Ma mentre stai colà su, in quell’immensa Gloria godendo, degnati talvolta di rivolgere, per la tua innata bontà, gli occhi verso noi Figli dell’istesso tuo P. S. Agostino, che portiamo l’Habito, che tu pure indossasti, e con la tua Protettione difendici dagli assalti de’ nostri Nemici infernali, affinchè potiamo resistere alle di loro perpetue tentationi et insidie, acciò che poi servendo a Dio con purità di cuore, come tu facesti siamo fatti degni nel fine delle nostre vite, di venire a lodare in tua compagnia, il gran Monarca Iddio per tutta l’Eternità.

51 - Come restassero poi que’ buoni Padri, doppo il glorioso passaggio del Santo Padre [V. pag. 259] alla Celeste Beatitudine, io lo lascio considerare a chi ha cuore nel petto, e senno nel capo; imperciochè io per me mi faccio certamente a credere, che da l’un de’ lati rimanessero oltre modo mesti, e dolenti per haver perduta in un momento la compagnia d’un così Santo Religioso, dalle cui divote, e fervorose orationi, tenevano per certo, che derivassero tutte le gratie e favori, che il Signor Dio continuamente mandava sopra quella loro Religiosa radunanza; ma dall’altro canto poi, essendo più che certi, che quell’Anima benedetta stava di già nel Cielo vagheggiando la Beata Faccia di Dio, et in conseguenza riempendosi a tutto suo volere, dell’immensa Gloria del Cielo, non capivano in se stessi per l’allegrezza, che havevano, che un suo Confratello stasse colà su fra Beati, rendendosi certi, e sicuri, che havevano un grand’Avocato, che non l’haverebbe mai cessato d’intercedere per il ben publico, e privato, non solo di quel Monistero, ma etiandio di tutta la Religione Agostiniana.

52 - Chi potrebbe hora ridire la divotione grande con la quale ciascheduno di loro li baciava le mani, et i piedi, e si raccomandava alle di lui preghiere, implorando il suo potentissimo patrocinio appresso la Divina Misericordia. Chi piangeva per allegrezza, che la Religione havesse acquistato un Santo così grande in Paradiso; chi lagrimava per dolore di haver perduta la presenza d’un Servo di Dio così caritativo, et amoroso, dalle cui parole, e sante operationi, ogn’uno ne riceveva sempre consolatione, et agiuto. Doppo queste pietose dimostranze, fu poi portato quel Santo Cadavere nella Chiesa, ove concorse gran moltitudine di Popolo a vedere quel Sant’Huomo, qual certamente stimava essere volato in Paradiso; che però ciascheduno non cessava di raccomandarsi alla di lui protettione, implorando ciascheduno l’agiuto efficacissimo di quello, in conformità de’ loro bisogni e necessità; laonde molti ne riceverono gratie singolarissime, fra gli altri quella Donna, che sempre partoriva i figli morti, e con l’oratione del Santo fu liberata da quel gran travaglio, come si narra nel Processo della di lui Canonizzatione, bramosa, doppo la di lui morte d’havere qualche Reliquia del Servo di Dio, li lavò le mani, et i piedi, e poi pose quell’Acqua in un Vaso di christallo, con la quale, come diede la salute corporale a molti Languenti, così quella si conservò miracolosamente per molti anni incorrota et intatta. Fu poi seppellito doppo l’Altare di quell’Oratorio, ove soleva egli in vita continuamente orare, come prima di morire ne haveva pregato i Padri.

53 - Se io poi volessi riferire tutti i Miracoli operati da Dio per i meriti del glorioso suo Servo S. Nicola a beneficio di varj, e diversi fedeli, sarebbe di mestieri, che io ne formassi un’intiero Libro ben voluminoso; attesochè fra Ciechi illuminati, fra Zoppi, e Stroppiati guariti, Sordi, e Muti risanati, Offesi liberati da Demonio, varj, e diversi Infermi restituiti alla primiera sanità, e Morti rissuscitati, fra quali vi sono alcuni Giustitiati al tempo della sua Canonizzatione, che successe l’anno di Christo 1446 furono tanti, che giunsero al numero di 301 laonde è fama, che havendoli tutti recitati a mente, senza mai sbagliare, un’Avocato Concistoriale nel publico Concistoro, alla presenza del Sommo Pontefice, e degli Eminentissimi Cardinali, il Papa, maravigliato di così gran memoria, ordinò, che la detta funtione di quell’Avvocato fosse registrata come un altro Miracolo fra gli altri da esso recitati. Lasciando dunque per hora di tessere quivi il Cattalogo di questi, ed altri Miracoli operati da Dio, per intercessione dello stesso Santo, doppo la di lui solenne Canonizzatione, fino a questi nostri tempi, promettiamo di andarli però descrivendo, e notando ne’ tempi, [V. pag. 260] e negli anni precisi, ne’ quali furono fatti da S. D. M. per la maggior gloria, et honore del suo glorioso Servo S. Nicola da Tolentino, che se pure alcuno bramasse, per sua divotione, di vederli, e di saperli, procuri di leggere li molti, e varj Autori, così del nostro, come d’altro Istituto, li quali hanno scritto la Vita di questo Glorioso Santo. Li nostri poi più cospicui, e principali sono il B. Enrico di Urimaria, il B. Giordano di Sassonia, F. Pietro da Monte Rubiano, che tutti tre vissero nel tempo del Santo, e due di loro lo viddero, e lo conobbero; Ambrogio Coriolano, che fu Generale dell’Ordine, Egidio da Viterbo Cardinale, Girolamo Seriprando Cardinale, Gioseffo Panfilo Vescovo di Segni, Andrea Gelsomini Vescovo d’Ascoli in Puglia, Girolamo Romano, Nicola Crusenio, Cornelio Curtio, Giacomo Alberici, Ambrogio Frigerio, Bernardo Navarro, Simpliciano di S. Martino, Tomaso Errera, Camillo Toma, Donato Calvi, Tomaso di S. Nicola, et altri molti. Degli esteri poi, può vedere S. Antonino, Pietro Natali, il Surio, il Lipomano, il Fiamma, il Bzovio, il Rainaldi, il Ferrario, il Troxillo, il Vigliega, il Ribadeneira, et altri in gran numero, quali per brevità tralascio.

54 - In questo tempo istesso, havendo il Santo Arcivescovo di Napoli Giacomo da Viterbo nostro, applicato seriamente l’animo alla fabrica della sua Chiesa Metropolitana, e dovendo perciò far venire alla Calabria gran quantità di legni, per i quali haverebbe bisognato pagare una buona somma di danari di Datio, e di Gabelle, confidato egli nella benignità del Re Carlo II, da cui altresì sapeva d’essere svisceratamente amato, presentò per tanto una supplica alla sudetta Maestà, acciò si degnasse di esentarlo dalli detti Datij, e Gabelle; e da quel buon Re li fu ben tosto concessa la gratia con un suo gratioso Diploma dato in Napoli sotto il giorno 15 di Luglio 1305, Ind. 3, tanto per appunto riferisce Bartolomeo Chioccarelli ne’ suoi Arcivescovi di Napoli, e precisamente nella Vita del sudetto B. Giordano a car. 194.

55 - Fioriva parimente in questo tempo un dottissimo Religioso da Forlì, per nome Maestro F. Dimalduccio, di cui scrive il Panfilo, che scrisse molte Opere, le quali dice, che si conservano nella nostra Libraria di S. Giacomo di Bologna, e che fiorì intorno a gli anni di Christo 1336, all’incontro scrive l’Errera nel Tomo primo del suo Alfabeto Agostiniano a car. 199 di haver veduto in Roma nella Libraria dell’Abbate D. Constantino Caietano un’insigne Trattato de Ressurrectione Mortuorum, composto da questo F. Dimalduccio, e scritto per mano di F. Giovanni d’Austria in quest’anno del Signore 1305, il qual Libro fu da esso Dimalduccio dedicato a Bartolomeo di Capua Protonotario, e Luogoteta di Carlo II Re di Napoli, il quale, come è certo, morì l’anno 1309; e se ben pare, che questi due Autori discordino fra di loro nel tempo, che fiorì questo Soggetto, nulladimeno l’asserto dell’uno, e dell’altro, puole ottimamente sussistere; attesochè puol’essere, che Dimalduccio componesse quell’Opera in quest’anno del 1305, essendo giovine di 30 anni, o poco più, e che poi sopravisse fino all’anno 1336 e forse anche più oltre.

56 - Già sotto l’anno del 1246 sotto li numeri 6 e 7 con la scorta del nostro Crusenio, motivassimo essersi preso luogo da’ nostri Padri della Provincia di Fiandra della nobilissima Città di Meclinia nella Brabanza; ma che poi, giusta il sentimento di Francesco Areo negli Annali della sudetta Brabanza, non si diede principio alla fabrica del Monistero, fuori che nell’anno 1252 e che essendo stato così imperfetto fino a quest’anno del 1305. In detto tempo poi Egidio Bertoldo Signore della sudetta Città di Meclinia, caritativamente soministrando grossi soccorsi a Padri, [V. pag. 261] si terminò finalmente la fabrica di quello; le parole poi del detto Autore sono queste: Et in eadem Civitate anno 1252. Eremitae D. Augustini Conventum instruere caeperunt privatorum primum eleemosynis, sed demum anno 1305 Aegidio Bertoldo iuvante, perfectum est. Come poi questo Monistero fosse da gli Eretici Geussi d’Olanda, con Diabolico furore gettato per terra, e rifondato poi anche fosse più bello di prima, lo scriveremo rispettivamente, a Dio piacendo, sotto gli annali di Christo 1572 e 1587.