Tomo V

Anni di Christo 1306 - della Religione 920

1 - [V, p. 261] Habbiamo in quest’anno (per dire alcuna cosa dello stato del Mondo) tre gran mutationi in tre principali Regni della Christianità. La prima fecesi nella Boemia, imperochè essendo morto l’anno avanti Venceslao Re di quel Regno, per inganno di Alberto Imperatore, come scrivono l’Aventino, Dubravio e Cromero. Alberto poi, contro le Leggi del Regno, fece di quello Coronare Re Rodolfo suo figlio; ma poco tempo potè godere di questa sua frode, attesochè, non molto andò, che miseramente di Disenteria se ne morì. La seconda poi videsi nella Scotia; imperochè Roberto a cui toccava di ragione quel Regno, essendoli stato usurpato da Odoardo Re d’Inghilterra, il quale teneva appresso di se prigione il detto Roberto, questi poi essendo in quest’anno fuggito dalla prigione, si portò di repente in Scotia, et ucciso Comeno suo nemico, che governava il Regno per Odoardo, prese il possesso del suo Regno. Polidoro, et altri. La terza finalmente successe in Cipro, dal cui Regio Trono fu a viva forza levato, da’ Cavalieri Templari, e Gierosolimitani, il Re Ugo, il quale fu da’ medesimi relegato in Armenia, ma esso, doppo tre anni, felicemente ripigliò il possesso del suo Regno, dal quale ben tosto ne discacciò colui, che da’ sudetti cavalieri n’era stato investito.

2 - Ma passiamo alla germana narratione delle cose spettanti alla nostra Religione, la prima delle quali fu la celebratione del capitolo Generale, la quale si fece in questo nostro Monistero di S. Giacomo di Bologna, nel qual Capitolo fu senza alcuna contradittione confirmato da’ PP. Vocali il Reverendissimo Padre Lettore F. Francesco da Monte Rubiano. In questo Capitolo poi fra l’altre Diffinitioni, e Decreti notabili, che furono fatti, uno fu questo, che da’ PP. del detto Capitolo, fu approvato, e confirmato l’accordo, o compositione, che fatta haveva pur poco dianzi il P. Generale sudetto con il Beato Servo di Dio, M. F. Giacomo da Viterbo Arcivescovo di Napoli, intorno a’ Libri, che haveva già tenuti ad uso suo, mentre stava nell’Ordine, et hora pur riteneva appresso di sè fuori di quello. L’accordo poi fu, che per all’hora dasse alla Religione 90 Fiorini d’oro, che poi, doppo la di lui morte, li sudetti Libri dovessero tornare al Convento di Viterbo, di cui era stato figlio il detto Prelato, tanto per appunto registrato si legge nell’antico Registro della Romana Provincia, tante volte da noi in questo Secolo mentovato; le di cui parole sono le suguenti: In hoc Capitulo approbata fuit a Deffinitorio compositio facta per Franciscum Generalem, cum Ven. P. Iacobo Archiepiscopo Neapolitano super Libris, quos habuit, ipse D. Archiepiscopus a communitate Ordinis, dum adhuc in ipso existeret Ordine; videlicet, quod ipse D. solvat Ordini 90 florenos auri; et ipse Ordo ulterius [V, p. 262] in dictis Libris non possit petere, etc. in casu tamen, quod per decessum ipsius Domini Archiepiscopi, cui Dominus longam, et felicem vitam concedat, ad Viterbiensem Conventum nostri Ordinis praedicti Libri debeant pervenire.

3 - Fu altresì decretato, che si dovesse porre lo Studio ne’ Conventi di Perugia, di Vienna, di Argentina, e di Colonia; e che in Monpelieri vi restasse lo studio Generale. Ecco le parole del Registro: In hoc Capitulo fuit positum Studium Generale in Conventibus Perusij, Viennae, Argentinae, Coloniae; Montispesulani confirmatur vero Studium Gener. totius Ordinis. Devesi poi sapere, che li quattro Studi posti ne’ sudetti Monisteri, non furono Generali, ma provinciali, ne’ quali non potevano studiare se non li Religiosi di quelle Provincie, delle quali erano membri li sudetti Conventi, a differenza de’ Studi Generali, come era questo di Monpelieri, ne’ quali potevano studiare ancora Religiosi d’altre Provincie.

4 - E così pure nel detto Capitolo fu da’ PP. Deffinitori decretato, che un tal F. Paolo dalla Pieve (penso che qui si parli del Convento di Castello della Pieve, hora Città nella Provincia Romana) possi restare nello Studio di Bologna fino al futuro Capitolo Generale, cioè per altri tre anni; attesochè in Italia v’erano quattro soli Studj Generali, cioè a dire, in Bologna, in Napoli, in Roma, et in Padova, et in questi quattro Studj per ordinario studiavano Religiosi di varie Provincie, li quali havevano prima studiato cinque anni ne’ Studj inferiori delle loro Provincie.

5 - Mentre ancora stavano i PP. Capitolari in Bologna, prima, che si sciogliesse il Capitolo comparve davanti il P. Generale un Messaggiero inviato a Sua P. Reverendiss. dalle Rever. Madri del Religiosissimo Monistero di Santa Catterina di Faenza dell’Ordine di S. Domenico, con un Memoriale nel quale supplicavano il detto P. Generale a voler degnarsi di concedere al loro Monistero una Lettera patente di famigliarità, con ammettere le Religiose di quello alla participatione di tutti i Beni Spirituali dell’Ordine suo Agostiniano; per la qual cosa il sudetto Prelato, che era tutto impastato di carità, molto volentieri si compiacque di sodisfare alle loro Religiose brame col seguente Diploma in Pergameno, quale pur anche fino al giorno d’hoggi conservano, e lo tengono molto caro.

Fr. Franciscus Prior Generalis Fratrum Erem. S. Augustini licet indignus.

6 - Dilectis sibi in Christo Dominae Priorissae Monasterij Sanctae Catharinae de Faventia, et eius Sororibus, atque Familiaribus dicti Monasterij, salutem in Domino sempiternam. Pro piae devotionis affectu, quem ad nostrum Ordinem geritis, sicut pia, Fratrum nostrorum relatione didicimus. Volentes vobis gratam vicissitudinem reddere. Vos omnium Missarum, orationum, vigiliarum, praedicationum, ieiuniorum, caeterorumque bonorum, quae per Dei gratiam in nostro Ordine fiunt, vel imposterum fient participes facimus, et consortes. Addentes insuper vobis de gratia speciali, ut cum obitus alicuius vestrarum Sororum nostro Capitulo Generali fuerit nuntiatus, id pro vobis devote fiat, quod pro nostris defunctis Fratribus in communi fieri consuevit. In cuius rei testimonium, sigillum nostri Officij praesentibus duximus apponendum. Data Bononiae secunda feria post Pentecosten ex nostro Capitulo Generali ibidem celebrato. Anno Domini 1306 tempore Domini Clementis Papae Quinti.

7 - Habbiamo in quest’anno medesimo le Vite, e le memorie di tre gran Servi di Dio, li quali fin dal tempo della loro santa morte, come hanno sempre havuto il publico culto da’ divoti fedeli, così hanno altresì in [V, p. 263] conseguenza goduto sempre il titolo di Beato; e questi sono li Beati F. Pietro da Gubbio e F. Angelo da Borgo S. Sepolcro, ambi della Provincia dell’Umbria, et il B. F. Filippo da Piacenza della Provincia di Lombardia. Laonde se bene delli due primi non si sa precisamente se morissero in quest’anno, tuttavolta, perché communemente si stima, che fiorissero entrambi nel tempo di S. Nicola, habbiamo perciò stimato bene di registrare le loro memorie in quest’anno, che fu il susseguente a quello in cui morì il sopracitato Santo. Il terzo poi, perché è certissimo, che morì in quest’anno del 1306 haverà il suo luogo immediatamente doppo li due accennati. Cominciaremo dunque dal primo.

Vita del Beato Pietro di Gubbio.

8 - La nobilissima Città di Gubbio fu la degna Patria del nostro B. Pietro, di cui se bene non si sa come si chiamassero li suoi Genitori, gli è però certo, che furono Nobili; attesochè, come scrive l’erudito Iacobilli nel Tomo primo de’ Santi dell’Umbria, furono di Casa Ghisenghi, famiglia in quel tempo assai nobile nella detta Città; e come incerto è il nome de’ Parenti, così incerto ancora è l’anno in cui nacque. Da fanciullo fu educato da essi nel santo timor di Dio, e fatto altresì istruire da buoni Maestri nello studio delle buone Lettere, e specialmente dice Iacobilli, che studiò l’Istituta in Perugia, e che poi passò in Francia a studiare in Parigi il rimanente delle Leggi Canoniche, e Civili, nelle quali altresì soggiunge essersi Addottorato.

9 Tornato poscia in Italia, e nella Patria, come fiorissero nella santa osservanza della nostra regola Agostiniana i nostri Padri della Congregatione de’ Brittinensi, il buon Pietro, havendo più volte considerato il loro santo modo di vivere, come era molto di sua natura alla pietà inclinato, sentendosi di vantaggio, con gran voce, da Dio chiamare a quel sagro Istituto, deliberò per tanto di ubbidire prontamente alla divina chiamata; laonde, havendo chiesto con grande humiltà l’Habito della Religione al Superiore del Monistero di S. Agostino, fu di quello ben tosto con gran contento dell’Anima sua, e con molta sodisfattione de’ Padri, vestito; e ciò necessariamente fa di mestieri, che succedesse qualche tempo prima dell’anno 1256, nel quale essendosi fatta la grand’Unione generale di tutto l’Ordine si estinse in conseguenza nel Convento di Gubbio la denominatione de’ Brettinensi, perochè la Congregatione di Brettino, in virtù della Bolla dell’Unione, s’incorporò con tutte l’altre Congregationi all’Ordine principale Agostiniano.

10 Alcuni anni doppo la sudetta Unione, come paresse a’ Superiori maggiori dell’Ordine, che il buon Pietro, e per la Santità, e per la Dottrina, fosse soggetto habile da potersi impiegare in qual si voglia governo della Religione, porta per tanto opinione il nostro Crusenio, a cui si sottoscrive il mentovato Iacobilli, che dal Generale fosse per appunto mandato nella Francia a reggere in qualità di Provinciale, una delle Provincie di quel Regno. E se bene l’Enschenio nel tomo 3 di Marzo nella Vita del nostro Beato sotto il giorno 23 del detto Mese a carte 470 pare, che poca stima facci di questi due Autori, come che dica, che il detto Provincialato sia non solo incerto, ma anche finto, perché dice, che di quello punto non ne parlano il B. Enrico di Urimaria, né il Panfilo, né l’Errera, né altro Autore dell’Ordine, tuttavolta a me pare, che il detto Autore non habbi ragione di negare assolutamente il credito a gli accennati due Scrittori; si perché l’argomento, che egli produce in contrario è negativo, e si anche, [V, p. 264] perché li detti Autori non sono di così poco credito, che si habbino da rifiutare in una cosa, che se bene è incerta, non si deve però dire, come egli fa, che ella sia finta; avvegnachè, et a che proposito haveva egli il P. Crusenio da fingere, che il B. Pietro da Gubbio fosse stato Provinciale in Francia, se in effetto non lo fosse stato? Certo io non so vedere, che cosa poteva egli dedurre da cotesto Provincialito finto a pro del detto Beato; bisogna dunque credere, che se egli scrisse, essere stato il detto Beato Provinciale in Francia, lo cavò forse dalla traditione d’una di quelle Provincie, o lo ritrovò per avventura notato in qualche antico Libro nascosto nell’Archivio di qualche Monistero della Francia.

11 Che se poi il detto Enschenio stimasse finto il mentovato Provincialato del B. Pietro in Francia, penchè li paresse cosa impropria, che un’Italiano fosse fatto Provinciale d’una Provincia fuori d’Italia, deponga pure questo scrupolo, perché se è forse cosa impropria in qualche altra Religione, non fu però mai, e tutt’hora non è impropria nella nostra; attesochè in questo nostro Secolo non habbiamo veduto, quasi con gli occhi nostri un Maestro F. Agostino di Castro Vicario Generale sopra tutte le Provincie della Germania, non che Provinciale d’una sola Provincia, e pure era Portoghese? Non habbiamo altresì veduto un Maestro F. Hippolito da Ravenna prima Visitatore del Convento insigne di Tolosa, e poi della Provincia d’Aquitania, et anche appresso Priore del gran Convento di Parigi, e poi finalmente ancora Vicario Generale sopra le medesime Provincie sopramentovate della Germania? Et ultimamente la stessa Carica sostenne per alcuni anni il P. Maestro Felice Milensio Napolitano; e se il Beato Enrico di Urimaria, il Panfilo, e L’Errera non parlano di questo Provincialato, gli è perché il primo scriveva con tutta brevità, come pur fece il Panfilo, et il terzo lo disse riferendo il Crusenio; e mentre non li contradisse, venne secondo me ad ammettere l’asserto del detto Crusenio.

12 Ma lasciamo da parte queste debolezze, e sentiamo ciò che dice della Santità di questo Servo di Dio, il poco dianzi mentovato Enrico di Urimaria Autore di tutto credito, perché Santo, e perché anche fu Coetaneo del B. Pietro, e fors’anche lo conobbe, e lo vidde, massime la prima volta, che venne in Italia per ritrovarsi nel Capitolo Generale, che si celebrò in Napoli l’anno del Signore 1300. Dice dunque nel suo brevissimo Trattato, che scrisse dell’origine dell’Ordine nostro, parlando del nostro Beato, questo poche parole, ma che però contengono un grande, et insigne Elogio: Octavus fuit Beatus Petrus de Eugubio, qui fuit homo maximae Orationis, et Patientiae, cuius vita in Domino quiescens multis Miraculis claruit. Nelle quali parole, diede a di vedere il B. Enrico, che al nostro Pietro, per costituirlo Beato, e Santo, non mancò alcuna di quelle conditioni, che sono necessarie per costituire e dichiarare un Santo; imperciochè due cose si richiedono per tale effetto, cioè un cumulo copioso di tutte le virtù in grado eroico, et un altro cumulo di Miracoli contestativi delle stesse virtù; hora dal discorso del Beato Enrico di Urimaria, si cava con evidenza l’uno e l’altro.

13 E primieramente, quanto alle virtù, mentre dice, che il B. Pietro fu huomo di grandissima Oratione e Patienza, venne chiaramente a dimostrare, che haveva nell’Anima sua le virtù tutte raccolte in grado superlativo, che fu lo stesso, che dire in grado eminente et eroico. Io dissi tutte le virtù non ostante, che il B. Enrico di Urimaria non parli, che dell’Oratione, e della Patienza, attesochè in queste due stanno tutte l’altre epilogate; imperochè un huomo, che quasi continuamente ora, sta sempre unito [V, p. 265] con Dio et in conseguenza distaccato da tutte le cose del Mondo, per le quali si puole offendere Iddio; laonde in questa guisa dimostra primieramente di havere nell’Anima sua il perfetto Amor di Dio, per causa di cui continuamente ora, et havendo l’Amor di Dio, ha anche l’Amor del Prossimo, già che l’uno ho puol stare senza dell’altro, et havendo questi due Amori, ha anche in conseguenza tutte l’altre Virtù, che da questi dipendano, et in quelli totalmente si fondano.

14 Ma che diremo poi della grandissima Patienza del nostro B. Pietro? lo stesso appunto, che habbiamo detto poco dianzi dell’Oratione; imperochè, chi ha questa virtù santa della Patienza, può ben’anche francamente dire di possedere perfettamente tutte l’altre eroiche virtù; et acciò si dia credito al mio dire, vogliamo, che ci serva di malevadore il glorioso S. Cipriano, il quale appunto favellando dell’eccellenze, e de’ beni, che produce questa santa virtù della Penitenza, dice, che è quella, che ci rende accetti, e grati a Dio; ella è, che modera lo sdegno, e la lingua raffrena; ella è, che governa la mente, e custodisce la pace; ella è, che regge la disciplina, e spezza l’impeto della libidine, supprime la violenza della superbia, et estingue l’incendio dell’odio; frena l’orgogliosa potenza de’ Ricchi, e consola la miseria de’ Poveri; ella è quella, che diffende l’integrità nelle Vergini, la faticosa castità nelle Vedove, e ne’ Coniugati il maritale Amore; ella è, che rende gli huomini di humile sentimento nelle cose prospere; e forti, e vigorosi nelle avverse, e fa che si mostrino piacevoli, e miti in faccia all’ingiurie, et alle contumelie; ella c’insegna di perdonare ben tosto a chi ci offende, e se tu offendi altrui, ella ti dispone a chiedere con molta sommissione il perdono; vince le tentationi, tollera le persecutioni, consuma le passioni, et i martirj; questa insomma è quella, che rende stabile, e fermo il fondamento di nostra Fede. Hor mentre dunque il nostro Pietro, allo scrivere del B. Enrico hebbe il possesso perfettissimo di queste due grandi virtù, cioè dell’Oratione, e della Penitenza, ben si puole ragionevolmente conchiudere, che egli fosse eminente in tutte l’altre virtù; alle quali, se aggiungiamo poi li Miracoli de’ quali dice il B. Enrico, che molto chiaro si rese, eccovelo un perfetto Beato del Paradiso.

15 E già che habbiamo toccato l’importante punto de’ Miracoli, se bene il B. Enrico ne parla solo in generale, perché brevemente scriveva, nulladimeno dalle sue parole evidentemente si cava, che molti ne facesse; fra quali non so se vi comprende quello, che communemente si narra da tutti gli Autori, che hanno scritto di questo Beato più diffusamente di lui; et è per appunto questo, che essendo stato seppellito il B. Pietro nel commune Sepolcro degli altri Religiosi, occorse, che una notte, mentre i Padri del Convento di Gubbio stavano recitando il matutino, nell’intuonare il sagro Cantico, miracolosamente composto a vicenda dalli due gloriosi Dottori della Chiesa, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino: Te Deum Laudamus, sentirono immediatamente rispondersi da una voce soavissima, le parole, che sieguono, Te Dominum confitemur. Sopraffatti i Religiosi da quella voce, che pareva di un angelo, si diedero a credere, che potesse essere d’alcuno, che stasse nella Chiesa nascosto; ma havendo ricercato per tutto, e non havendo ritrovato veruno, ispirati da Dio, aprirono la Sepoltura sudetta, e con loro incredibile stupore, ritrovarono il B. Pietro, che genoflesso, con le mani giunte et alzate, con la bocca aperta, come che stasse in atto di cantare; per la qual cosa, havendolo cavato da quel’horrido Avello, lo riposero poi in più decente luogo, cioè sopra l’Altare detto della Samaritana, ove poi è stato fino a’ nostri tempi, cioè fino all’anno 1666 dentro d’una cassa di noce.

16 [V, p. 266] Ma havendo poi li Padri di quel Convento fabricata una Capella sontuosa in honore del glorioso S. Tomaso di Villanova, parve bene al P. Priore del detto Monistero, Maestro Felice d’Offida, et al P. Maestro Andrea Babucci, Padre principale di quella Casa, di trasferire quel Santo Corpo sopra del detto Altare di S. Tomaso, che però chiestane la licenza al P. Generale Maestro Pietro Lanfranconi d’Ancona; et ottenutala, fecero altresì fare una bella Cassa di Cipresso, con molti intagli dorati, et in quella finalmente, alla presenza del Vicario Generale del Vescovo della Città, col Rogito d’un publico Notaio, trasferirono quel Santo Corpo tutto intiero, e bello, con quell’Habito istesso assai rozzo e vile, con cui era stato seppellito, essendosi quello miracolosamente conservato, per Divina Virtù, trasfusali dal Santo Cadavere.

17 E se bene non si sa di certo in che anno, et in che giorno precisamente morisse il detto Beato, nulladimeno facendo di lui mentione, B. Enrico, doppo il glorioso S. Nicola, e prima del B. Simone da Todi, il P. Errera lo stima morto fra l’anno 1305 e 1322, non assegnando però alcun anno preciso della sua morte, che però noi, per non ci avventurare, habbiamo stimato bene di registrare la di lui memoria in quest’anno del 1306, il quale immediatamente siegue all’anno 1305 in cui morì il glorioso S. Nicola, non perché stimiamo essere egli morto in quest’anno, ma per assegnarli qualche tempo nello spatio intermedio sopramentovato, fra la morte di S. Nicola, e quella del B. Simone da Todi.

18 Quanto al giorno poi in cui morì, ne meno v’è alcuna certezza, se bene il Iacobilli dice essere morto nel giorno 23 di Marzo, come che forse tale sia la traditione della Città di Gubbio, che però se ne celebra ogni anno la Festa nel Mercordì della Settimana Santa con gran concorso di Popolo, non solo di quella Città, e del suo Territorio, ma ancora da molti altri luoghi del vicino contorno. Trattano di questo Beato Servo di Dio, oltre il B. Enrico di Urimaria, il Coriolano, il Panfilo, il Crusenio, e l’Errera; e degli Esteri, il Iacobilli, e l’Enschenio ne’ luoghi sopracitati. Passiamo hora alla narratione della Vita del B. Angelo del Borgo S. Sepolcro.

Vita del B. Angelo dal Borgo di S. Sepolcro.

19 Se bene siamo certi, che il Beato Angelo nacque nella Città mentovata del Borgo S. Sepolcro, situata alle radici dell’Alpi Apenine nella Provincia dell’Umbria, della nobile Famiglia de’ Scarpetti, nulladimeno non sappiamo come si chiamassero i di lui Genitori, come ne meno in che anno, et in che giorno egli uscisse all’oscura luce del Mondo; ciò che di lui è certo si è, che egli giunto all’età giovanile, ispirato da Dio, prese l’Habito santo della nostra sagra Religione, nella quale santamente visse e morì. Di lui parlando Ambrogio Coriolano, dice, che quantunque fosse grand’amatore di tutte le Virtù, et in quelle continuamente si esercitasse, nulladimeno in tre principali avvantaggiò nel suo tempo ogn’altro suo pari, cioè nella Virginità, che intatta l’accompagnò nel Cielo, nell’Humiltà, e Povertà.

20 Quanto alla Virginità, oltre ciò, che ne scrivono li nostri Autori, ne habbiamo un’attestato antico, fin quasi dal tempo della di lui santa morte, nel Convento nostro di Perugia. Consiste poi questo in una Statua, che rappresenta il Beato, sotto della quale vi si legge questo Brieve sì, ma però molto nobile Elogio: Beatus Angelus a Burgo S. Sepulcri floruit tempore S. Nicolai de Tolentino, [V, p. 267] et Virgo moritur. Da questo Elogio poi tre cose di molto rilievo io ne deduco con evidenza; la prima si è, che questo Servo di Dio visse con tanta santità, che fin dal tempo della sua morte si acquistò il glorioso titolo di Beato, quale poi sempre ha ritenuto; che però fin dall’hora li si cominciarono ad ergere Statue, e Simulacri col sudetto titolo di Beato. La seconda cosa, che dall’accennato Elogio si cava, che come Vergine visse, così Vergine se ne morì. La terza poi è, che egli visse nel tempo del glorioso Padre S. Nicola da Tolentino.

21 Dunque se gli è così, errò di lunga mano, chi compose l’Epitaffio, che hoggidì si legge su la sagra Tomba di questo Beato nella nuova Chiesa, alla quale dalla vecchia fu trasportato il di lui Santo Corpo da’ nostri Padri, quando in quella si trasferirono l’anno del Signore 1555 mentre scrisse, ch’egli era morto nell’anno di Christo 1230, diecinove appunto prima, che S. Nicola nascesse; hor come poi poteva egli essere stato contemporaneo del detto Santo, come si legge nel sopracitato Elogio a’ piedi della sua Statua di Perugia? Ma diamo la copia dell’Epitaffio: Hic B. Angeli de Scarpettis a Burgo S. Sepulcri Ordinis Eremitarum S. Augustini Corpus iacet: Viri Sanctitate perspicui Pietate insignis, Miraculisque clari, qui anno MCCXXX Virgo in Domino quievit. Si muti dunque il numero degli anni, et in vece del 1230 si scriva, o s’intagli quello del 1306 acciò si possa verificare l’antico Elogio di Perugia in cui si dice, che visse nel tempo di S. Nicola; e così sarà poi il detto Epitaffio in ogni sua parte vero.

22 Dicessimo più sopra, che oltre la Virginità, fu anche il B. Angelo grand’amatore dell’Humiltà e della Povertà, dalle quali potiamo maggiormente argomentare tutte l’altre virtù; imperciochè ove alberga l’Humiltà, ivi ancora dimorano tutte l’altre virtù; di queste due poi parla, con molta enfasi a gloria del B. Angelo, il sopracitato Coriolano, e con esso lui il Venerabile Servo di Dio F. Alfonso d’Orosco, l’Errera, et altri passim. Fu chiaro per miracoli, come si legge nel detto Epitaffio, fra quali non è inferiore ad alcun’altro quello dell’incorruttione del suo Santo Corpo, il quale doppo 369 anni, ancor si vede tutto intiero e bello, come se fosse morto poco dianzi, cosa in vero rara e miracolosa. Scrisse la di lui Vita, come testifica l’Errera il Ven. Servo di Dio F. Giovanni da Monte Cassiano, che poi fra nostri Scalzi, l’Habito de’ quali prese tre Mesi e mezzo prima di morire, e di S. Guglielmo chiamossi; ma fin’hora io non l’ho potuta vedere. Veda il Lettore gli Autori sopracitati, mentre io passo a dare un brieve saggio della Vita del B. Filippo da Piacenza, che fu il terzo da me più sopra accennato.

Vita del Beato Filippo da Piacenza.

23 - Fa di mestieri, che sul bel principio io avverta gli eruditi Lettori, che se bene il nostro F. Girolamo Romano nella sua decima Centuria a car. 73 porta per opinione, che il B. Filippo fosse di Patria Mantovano, nulladimeno Antonio Maria Campi, Canonico della Cattedrale di Piacenza nella terza parte della sua Historica Ecclesiastica della detta Città a car. 36 dice, che fu Piacentino, e lo prova con varie ragioni, due delle quali a me paiano molto convincenti; la prima è, che tutti gli Autori, tanto Agostiniani, quanto Esteri, lo chiamano espressamente Piacentino. Degli Agostiniani poi cita il Coriolano, il Cardinale Seriprando et il Panfilo; degli Esteri Raffaele Volaterano et il Locati; aggiungo io, che tutti gli altri Autori [V, p. 268] Agostiniani, così antichi, come moderni, uno ore, toltone il solo P. Romano, Piacentino pure lo chiamano, e non Mantovano. L’altra ragione poi del Campi è, perché se fosse stato Mantovano, gl’Historici della detta Città, che sono stati diligentissimi nel raccogliere le memorie de’ loro Huomini Illustri massime nella Santità, non l’haverebbero tralasciato in conto alcuno, et in ispecie, dico io, il P. Ippolito Donesmondi nella sua eruditissima Historia Ecclesiastica Mantovana. Aggiunge poi il Campi, che se per aventura fu da qualcheduno chiamato Mantovano, ciò forse fu, perché per longo tempo stette di stanza in Mantova.

24 - E non è meno difficile il ritrovare il vero tempo in cui nacque, e nel quale passò da questa alla celeste Vita, perochè, come niuno Autore parla del tempo della nascita, così all’incontro, quelli che parlano del tempo della morte, che sono molti, non si accordano fra di loro; attesochè il Panfilo dice, che morì nell’anno del Signore 1341; il Crusenio del 1342 et il Romano ha per costante, che morisse del 1384, ma tutti errano di lungo tratto, imperochè il sopracitato Campi afferma nello stesso luogo haver ritrovato in un’antica cronica manoscritta di Piacenza, che il B. Filippo rese l’Anima al Signore in quest’anno del 1306, chiaro et illustre per molti Miracoli, le parole della qual Cronica più a basso produrremo. Hor supposta dunque questa verità, che morisse in quest’anno, e supposto ancora, che questo Beato vivesse poco più di 50 anni (come pare, che deduca il sudetto Campi da un’Immagine del nostro Beato Filippo, che si vedeva dipinta nel primo Chiostro del nostro Convento di S. Agostino di Pavia, la quale lo rappresentava con un Giglio in mano, col Capo calvo, e poca barba) potrebbesi dire, che egli nascesse poco doppo l’anno del Signore 1250.

25 - Hor communque sia, questo è certissimo, dice il sopracitato Campi, che questo gran Servo di Dio visse santissimamente per tutto il corso di sua vita, e massime doppo che hebbe indossato l’Habito Santo Agostiniano, che però Nostro Signore si compiacque d’illustrarlo con molti Miracoli, così in vita, come in morte, e doppo ancora; e ciò apertamente si cava dal testimonio della poco dianzi mentovata Cronica manoscritta antica di Piacenza, nella quale appunto sotto l’anno 1306 si leggono queste parole: Eodem anno (MCCCVI) Beatus Frater Philippus Ord. F. Eremitanorum obijt in Civitate Placentiae Miraculis coruscando, et sepultus fuit in Ecclesia Fratrum Eremitanorum Placentiae.

26 - Concordano poi col testimonio della detta Cronica tutti li nostri Autori, e specialmente il Coriolano Autore di 200 anni, et il Panfilo Autore anch’egli di 100 anni e più. Sentiamo hora il testimonio del primo nella sua brieve Cronica: Vigesimus sextus fuit B. Philippus Placentinus cuius Corpus requiescit in Ecclesia S. Laurentij Placentiae Ordinis Fratrum Eremitarum S. Augustini in magna veneratione et reverentia; meritis huius multa signa omnibus, et maxime Placentinis continue Deus ostendit, quae longum esset hic narrare. Il Panfilo poi nella sua Cronica Agostiniana a car. 52, pag. 2, parlando del B. Filippo, dice le seguenti parole: Philippus Placentinus, Vir ut Multa Sanctitate praeditus, multos etiam infirmos miraculose curavit, praesertim Guilelmum Priorem Generalem, qui gravi morbo correptus vivere desistebat.

27 - Intorno a questo testimonio dobbiamo avertire, che quando il B. Filippo miracolosamente risanò il B. Guglielmo da Cremona non era questi Generale in quel tempo, attesochè quando il Beato Guglielmo fu eletto Generale nel 1326 eran già 20 anni, che il B. Filippo era volato al Cielo; si che fa di mestieri, che ciò succedesse, mentre il detto Guglielmo era giovine; e perciò il Panfilo dandosi a credere, che il B. Filippo havesse [V, p. 269] miracolosamente risanato il mentovato Guglielmo, mentre era Generale, stimò poi, che sopravivesse fino all’anno 1341 contro la verità del fatto.

28 - Questo Servo di Dio poi, fin dal tempo della sua beata morte, ha sempre goduto non solo il titolo di Beato, ma anche il publico culto; attesochè il suo Santo Corpo si riverisce, et adora sopra un nobile Altare, et ogni anno nel terzo giorno di Pentecoste si celebra la di lui Festa con gran concorso di Popolo, al quale si dispensa un’Acqua benedetta per divotione del B. Filippo, la quale dagl’Infermi bevuta, produce molte meraviglie a pro di quelli, che con buona fede la bevano.

29 - Viveva parimente in questo tempo nel Regno della ferace Sicilia, un Santo Religioso Messinese, per nome F. Nicola Bruni, il quale era Maestro in sagra teologia; questi dunque essendo in quest’anno Priore del Convento insigne della Regia Città di Palermo, fu all’improviso soprafatto da un gravissimo dolore, che giorno e notte lo tormentava di sorte, che hormai si vedeva poco lungi dalla morte; attesochè per quanti rimedj gli havessero saputo applicare i Medici non ne haveva ricevuto alcun sollievo; per la qual cosa, egli, che era un santissimo Religioso, e grandemente divoto di Maria sempre Vergine, prese risolutione di ricorrere al di lei potentissimo Patrocinio, dandosi fermamente a credere di conseguire, per mezzo di quella, ciò che non haveva potuto ottenere per mezzo degli humani Medicamenti; il che havendo egli fatto con ogni maggiore espressione del suo devotissimo cuore, una tal notte ecco, che ben tosto gli apparve la Beatissima Vergine col suo Celeste Bambino Giesù, quasi del tutto ignudo nelle braccia, in quella forma appunto, che si vedeva, e si adorava un’Immagine della medesima Vergine nella Chiesa di quel Convento su l’Altare di S. Martino; indi con volto lieto e sereno, così li disse: Levati hoggimai, buon Religioso, che già tu sei libero dal tormentoso dolore; da qui avanti invocami sotto il titolo di Maria Vergine del Soccorso, perché io ti prometto, che io farò propitia a chiunque implorarà sotto di questo Nome, il mio celeste Agiuto, il che detto disparve.

30 - Svegliato in tanto il Buon Servo di Dio Nicola, lieto oltremodo, più per il favore dell’apparitione della sua grande Avocata, che per la sanità ricevuta, balzò tostamente di letto, con gran meraviglia de’ suoi Religiosi, a quali havendo narrata la Celeste Visione, scese poscia con essi nella Chiesa, et andò al sudetto Altare di S. Martino, ove rese le dovute gratie alla sua santa Liberatrice; poscia salito in Pergamo, come era un gran Predicatore, così con gran’enfasi palesò a quella numerosa Città la volontà di Maria Vergine, che era di essere riverita, et invocata sotto il pietoso nome della B. Vergine del Soccorso; laonde ben tosto cominciò quel Popolo divoto a frequentare la nostra Chiesa, et a porgere le sue humili preghiere alla gran Madre di Dio nelle sue necessità, supplicandola a darli soccorso, già che tanto mostrava di compiacersi di portar questo bel titolo della Madonna del Soccorso, che però la pietosa Madre di Misericordia, cominciò a fare Gratie e Miracoli grandi, così a pro e beneficio non solo de’ Panormitani, ma etiamdio di tutti gli altri Popoli del Regno di Sicilia, et anche di quello di Napoli, li quali, alla fama di sì gran meraviglie, concorrevano da tutte le parti della Christianità. La qual divotione maggiormente si accrebbe nell’anno del Signore 1315 per un altro grandissimo Miracolo, che nel detto tempo fece l’istessa Madre Santissima del Soccorso nella medesima Città di Palermo, quale all’hora, col divino favore, ampiamente descriveremo. Vedasi D. Rocco Pirro nelle sue notitie delle Chiese di Sicilia, e precisamente nella sudetta di S. Agostino di Palermo.

31 - [V, p. 270] Carlo II Re di Napoli, per quanto scrive il Chiocarelli nel suo Libro che scrisse de Archiepiscopis Neapolitanis alla pagina 195, confirmò in quest’anno, ad istanza del B. Giacomo da Viterbo Arcivescovo di Napoli, con un’ampio Privilegio Reale, tutte le Gratie, Favori, Immunità e Privilegi, che erano stati concessi alla sua Chiesa Metropolitana da tutti li Re Cattolici suoi predecessori; fu dato questo Diploma Reale in quest’anno in Napoli a 25 di Marzo, Inditione 4. Tanto testifica il sudetto Chioccarelli nel Libro accennato, ove altresì soggiunge altri favori fatti dallo stesso Re pure in quest’anno al mentovato Arcivescovo per l’affetto grande che li portava, quali perché direttamente non spettano alla nostra Historia, li tralasciamo.

32 - Havendo già li nostri Padri di Lisbona fin dall’anno 1271 abbandonato totalmente l’antico loro Monistero di S. Ginesio, doppo la fondatione di quello, che hoggidì communemente si chiama di Nostra Signora della Gratia, ove stanno di stanza sopra 200 Religiosi; alla perfine pentiti d’haver lasciato quel Venerando Luogo, che era stato il loro primo domicilio in quella gran Città, procurarono di riacquistarlo più volte, e finalmente in quest’anno conseguirono l’intento perochè l’Arcivescovo di Lisbona, che D. Giovanni chiamavasi, si compiacque di esaudire le loro preghiere, concedendoli, che di nuovo potessero ripigliare il possesso del sudetto luogo, con patto però, che ogni giorno vi si celebrasse la santa Messa da un Religioso. Fu dato questo Privilegio in Lisbona in quest’anno 1306, alli 8 di Luglio, la di cui copia è questa prodotta dal Marquez nell’Origine degli Eremitani nel capitolo 19 a car. 272.

33 - Nos Ioannes miseratione Divina Ulyxibonensis Episcopus attendentes, quod ea quae semel dedicata sunt Deo, ad humanos usus reddire non debent, nec posse fieri ultra saecularia habitacula, considerantes; quod de loco, qui dicitur Sanctus Genesius, qui est prope Civitatem Ulyxibonensem, ubi quondam fuerunt Ecclesia, et Eremitagium Fratrum Eremitarum S. Augustini, ipsi Fratres propter quasdam urgentes necessitates, et evidentes utilitates se ad alium Locum transtulerunt habentes praedictum S. Genesij Eremitagium pro derelicto, seu quasi, idcirco iuris necessitate compulsi, nec non ipsis Fratribus postulantibus, et nostrum officium omnino requirentibus, ordinamus, quod dictum Eremitagium cum suo spirituali, et Ecclesiastico Loco, et iure secundum quod fecimus per limites confrontari, sive assignari, ad Fratres rediret praedictos, quod eisdem auctoritate ordinaria concessimus, et speciali cum conditione, apposita, quod semper unus ex Fratribus ipsis ibidem quotidie Missam celebrare procuret, ita tamen quod praedictus Locus ad humanos usus nullatenus revertatur, ad quod faciendum Prior, et Conventus praedictorum Fratrum se, et Successores suos bona fide perpetuo obligaverunt, in cuius rei testimonium praesentem Litteram fieri praecipimus, et nostri sigilli munimine roborari. Datum Ulyxibonae octavo Idus Iulij Anno 1306.

34 - Se bene teniamo per certo, che il nostro Monistero dell’antica, e nobile Città di Treveri nella Germania, sia molto più antico di questo tempo; nulladimeno, perché non ne habbiamo ritrovata memoria anteriore a quest’anno del 1306, perciò fin’hora non ne habbiamo potuto scrivere alcuna cosa; questo ben sì di certo sappiamo, che in questo tempo egli era in pieno stato; attesochè havendo in quest’anno Teobaldo Duca di Loreno, fondato un Convento di nostra Religione, in una sua Terra chiamata Valdersinga; scrive il nostro Crusenio nel suo Monastico [V, p. 271] Agostiniano par. 3, cap. 10, pag. 144, che il Provinciale di Fiandra mandò alcuni Religiosi del Monistero di Treveri a prenderne il possesso; altro di notabile, per hora non habbiamo, che soggiungengere di questi due Conventi.

35 - Don Primo Luigi Tatti Chierico Regolare della Congregatione di Somasca nel suo Martirologio di Como, ultimamente mandato alle Stampe nella detta Città, sotto il giorno ottavo di Maggio, trattando della Dedicatione della Chiesa di S. Agata, annessa ad un Monistero di Monache nostre Agostiniane, poco tratto fuori della Città, dice, che il sudetto Monistero fu fondato per la nostra Religione intorno all’anno 1306, essendo Vescovo della Città Leone di questo nome il terzo, quale stima altresì, che consagrasse la detta Chiesa. Soggiunge poi, che in progresso di molto tempo, havendo le Monache comprato un’Orto grande al loro Monistero contiguo, con licenza della S. Sede, ampliarono poi così la Chiesa, come il Monistero nella forma in cui hoggidì si vide.

36 - Aggiunge in oltre, che fra le molte Serve di Dio, che hanno illustrata quella santa Casa, tiene il primo luogo la B. Eufrosina, la quale essendo nata in un Castello del territorio e Diocesi di Cremona chiamato Sorecina, da fanciulla si diede totalmente a servire Iddio con gran purità di cuore; desiderando altresì d’uscire dal Mondo, e farsi Religiosa, per haver campo più grande, e più sicuro di maggiormente servirlo, laonde Nostro Signore, per sodisfare alla buona volontà di quella Santa Verginella, mandò la gloriosa Sant’Agata a visitarla et a dirle, che la volontà di Dio era, che ella se ne passasse nella Città di Como, et ivi nel Monistero delle Monache di S. Agata prendesse l’Habito Agostiniano; il che havendo ella fatto, riuscì poi uno specchio di Santità all’altre Monache per tutto il tempo, che ella visse, a segno tale, che fin dal tempo della sua felice morte ha sempre goduto, e pur tut’hora gode il glorioso titolo di Beata; tanto per appunto scrive il mentovato Autore nel sudetto suo Martirologio a carte 86 e 87.

37 - E già, che habbiamo fatta mentione della Fondatione del Monistero di S. Agata di Como, ci piace quivi di far memoria altresì, così di passaggio, di altri otto Monisteri dell’Ordine nostro, che sono nella medesima Città di Como. Il primo de’ quali, secondo l’antichità del tempo, è quello di S. Catterina, il quale fu fondato nel 1311, di cui più esattamente scriveremo nel detto anno. Il secondo, è quello di S. Marco, che fu fondato nel 1424. Di questo Monistero fu riformatrice la Beata Prudentia della nobilissima Famiglia de’ Casati di Milano, la quale essendo Monaca professa dell’insigne Monistero di S. Marta di Milano, per la sua Santità, fu da’ Superiori stimata habile a fare la detta Riforma nel Convento di S. Marco di Como, di cui stiamo hora parlando. Di questa B. Prudentia ne fa mentione, con somma lode, il sopracitato Tatti nell’accennato suo Martirologio sotto li 6 di Maggio, in cui ella morì nell’anno 1492. Il terzo, è quello della Santissima Trinità, il quale hebbe principio nell’anno di nostra salute 1448. Il quarto è quello di S. Eufemia fondato nell’anno 1470, e fu sua fondatrice, come communemente si stima, la Ven. Serva di Dio Suor Chiara Fedeli da Milano, la quale morì con gran fama di santità nell’anno 1490. Il quinto, è quello di S. Cecilia, il quale havendo militato prima sotto l’Ordine degli Humiliati, alla perfine intorno a gli anni della nostra Redentione 1492, mutò la Regola et Habito; attesochè le Monache di quello, ispirate da Dio, come credere si deve, lasciato l’Habito antico, presero l’Habito e la Regola di S. Agostino. In questo Monistero hoggidì vive Suor Giulia Antonia, della Nobilissima Casa Odescalchi, dignitissima Nipote del nostro [V, p. 272] Santissimo Pontefice Innocenzo XI, hoggi felicemente Regnante, la quale nell’anno del 1675 governava in qualità di Superiora, con gran prudenza, et utile questo nobile Monistero, come scrisse il citato tatti nel mentovato Martirologio a car. 27. Il sesto è quello di S. Giuliano, il quale essendo prima stato di Monaci Cisterciensi, fu poi concesso nel 1594 alle nostre Monache di S. Andrea del Borgo di Brunate, le quali in quello si trasferirono. Il settimo, è quello di S. Abondio uno de’ Protettori della Città, il qual Monistero era prima de’ Monaci Neri di S. Benedetto, et essendosene questi partiti, fu concesso alle Monache nostre di S. Tomaso, le quali abbandonando anch’esse il loro vecchio Convento, passarono in quello di Sant’Abondio nell’anno 1619. L’ottavo finalmente, è quello dell’Ascensione, la di cui fondatione fin hora non ho potuta rinvenire. Di tutti questi Monisteri, me ne diede già la qui distesa Relatione il sopramentovato Tatti in una sua Lettera scrittami l’anno 1675 sotto il giorno 13 di Agosto.

38 - Soggiunge il sopramentovato Tatti nella sua Relatione, che oltre li nove Conventi di Monache, che sono nella città di Como, ve ne sono altri cinque pure di Monache Agostiniane nella Diocesi di quello, cioè, il Convento di S. Bernardino vicino al Borgo di Belinzona. S. Catterina di Locarno su le spiaggie del Lago Maggiore. Santa Margherita di Lugano fondato a’ nostri tempi. S. pietro di Chiavena nel Paese de’ Grigioni. L’ultimo in fine, è nella terra di Domaso, fabrica pure de’ nostri tempi. E’ di vero cosa molto notabile, che in una Città di mediocre grandezza, come è Como, vi siano 9 Monisteri dell’Ordine Agostinaiano, e 5 nella Diocesi, che sono in tutti 14.